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Autore: ChiiCat92    07/10/2021    0 recensioni
[...] "L’ultima ondata di adrenalina gli permise di correre, anche se aveva l’impressione che il terreno volesse risucchiarlo verso il basso, farlo diventare nutrimento per vermi e avvoltoio.
Lui era lì, sdraiato sulla pancia, la mano ancora tesa verso la spada che gli era caduta quando il suo avversario l’aveva colpito.
Ingoiò un singhiozzo e si gettò nel fango vicino a lui. Lo prese, delicatamente, lo strinse al proprio petto." [...]
Questa storia partecipa al Writober indetto da FanWriter, lista pumpINK, prompt "Abbracciare"
Genere: Angst, Guerra, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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04/10/2021


Il fumo, la polvere, le grida. Il sangue. Non vedeva più niente, gli occhi bruciavano, pieni di terra e schegge. Stava urlando qualcosa, ma le orecchie fischiavano così forte da coprire la sua stessa voce. Un nome, forse, urlato disperatamente a pieni polmoni. I piedi affondavano nel fango creato dal sangue misto alla terra. 

I soldati, una volta morti, si assomigliavano un po’ tutti. Insegne, bandiere, armature, tutto diventava pallido agli occhi della Morte. 

Urlò ancora. Non gli importava di essere l’unico ancora in piedi a camminare su una distesa di morti, non gli importava dei muscoli lacerati e del dolore pulsante che gli stringeva lo stomaco: doveva trovarlo. 

Il suo nome era appesantito dal sapore della morte, ad ogni urlo avvertiva una nuova boccata di sangue d’acido risalirgli in gola. Sentiva di non avere più tempo. 

Il sole bruciava la terra, in alto contro il cielo terso, di un azzurro intenso, volavano in cerchio gli avvoltoi. Alcuni già pasteggiavano con i cadaveri. 

Il clangore delle lame che si scontrano era lontano. La battaglia era stata rapida, uno scontro alla pari: per dieci morti nemiche, erano caduti dieci dei loro. Chiunque fosse ancora in piedi a combattere lo faceva per fuggire all’inevitabilità del fatto che avevano perso. 

Ai piani alti avrebbero scosso la testa, poi avrebbero ripulito il tavolo da lavoro e avrebbero ricominciato da capo. Per loro ogni battaglia era un gioco, e ai giochi a volte si perde. 

Che ci fossero vite umane in palio era solo una seccatura in più.

Prendevano contadini dai campi e bambini dalle braccia delle madri e gli davano una spada, un giorno per abituarsi a combattere, e una morte a loro dire onorevole. Non c’era niente di onorevole nel morire così, come animali al macello.

Urlò ancora, stavolta sentì la propria voce, rauca e disperata. Il rombo che aveva nelle orecchie si stava placando, e gli permise di sentire la flebile risposta: 

« Sono qui. » 

L’ultima ondata di adrenalina gli permise di correre, anche se aveva l’impressione che il terreno volesse risucchiarlo verso il basso, farlo diventare nutrimento per vermi e avvoltoio. 

Lui era lì, sdraiato sulla pancia, la mano ancora tesa verso la spada che gli era caduta quando il suo avversario l’aveva colpito. 

Ingoiò un singhiozzo e si gettò nel fango vicino a lui. Lo prese, delicatamente, lo strinse al proprio petto.

I bei capelli corvini erano sozzi di sangue, gli occhi blu spenti della luce di questo mondo.

« Azraq. » mormorò, accarezzandogli il viso. 

Sembrò fare uno sforzo immane per spostare gli oceani blu dei suoi occhi su di lui. Quante volte l’avevano guardato con la facilità dell’amore, quante volte aveva sentito l’acqua calda, cheta e profonda della sua anima traboccare in quella di lui.

Adesso tra loro c’era un abisso oscuro.

Piegò le labbra in un sorriso: aveva riconosciuto la sua voce. 

« Sto morendo. » mormorò, senza stupore. 

Nere non poté mentirgli, e non poté dirgli la verità.

Lo strinse in un abbraccio umido di sangue e lacrime.

« Anch’io. » poté dirgli però. Azraq apparve allarmato, per un attimo provò a tastare il suo corpo, ma trovò solo il freddo dell’armatura.

Nere scosse la testa, si limitò a stringerlo.

Era ferito, perdeva sangue, ma non sarebbe morto per quello. Perdere Azraq l’avrebbe ucciso.

Se non poteva passare quella vita con lui non voleva continuare a viverla.

Cullò Azraq nel suo abbraccio per un tempo infinito, sopra di loro il sole tracciò un arco per poi abbassarsi verso l’orizzonte. 

I rumori fastidiosi della guerra si erano placati per lasciare spazio ai lamenti dei superstiti, al richiamo degli avvoltoi.

« Nere... » chiamò Azraq, un attimo prima che l’ultimo respiro lasciasse il suo corpo.

Gli occhi blu continuarono a fissarlo, vacui.

Nere lo mise giù, delicatamente, gli chiuse le palpebre. Azraq aveva ancora un pugnale alla cintura. Gli accarezzò il volto, gli diede un ultimo bacio con labbra terrene.

« Sto arrivando. » sussurrò, amorevole. 

Le mani non tremavano, non aveva paura, non poteva avere paura. 

Si tolse l’armatura, fu come liberarsi da un enorme peso. Scoperto e inerme sul campo di battaglia anche il più debole dei soldati avrebbe potuto ucciderlo adesso. Nessuno, però, si sarebbe potuto interessare ad un singolo, misero ragazzo, un sedicenne che a malapena aveva assaggiato i piaceri della vita, chino con il volto coperto di lacrime sul corpo del compagno appena morto. 

In ogni caso la sua vita non sarebbe durata ancora a lungo. 

La lama penetrò nella carne con facilità, penetrò anche il dolore, la consapevolezza.

Mentre il sangue e la vita si riversava fuori dalla ferita, Nere si accoccolò ad Azraq, sulla sua spalla.

Chiuse gli occhi e attese di andare dall’altra parte, di raggiungere Azraq. 

Quando avrebbero trovato i loro corpi li avrebbero trovati abbracciati, in eterno.

 
   
 
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