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Autore: crazyfred    08/10/2021    9 recensioni
Alessandro, 45 anni, direttore di una rivista di lifestyle. Maya, 30 anni, sua assistente personale. Borgataro lui, pariolina lei. Self made man lui, principessina viziata ma senza un soldo lei. Lavorano insieme da anni, ma un giorno, la vita di entrambi cambierà radicalmente ... ed inizieranno a guardarsi con occhi diversi. Sullo sfondo: Roma.
(dal Prologo) "Quando Alessandro l'aveva assunta, oltre al suo aspetto patinato, aveva notato la sua classe e il suo buon gusto, oltre ad una sensibilità ed intelligenza nascoste, ma scalpitanti e volenterose di venire fuori. Forse nemmeno Maya si rendeva conto, all'epoca, che razza di diamante grezzo fosse. Alex però, che nello scoprire talenti era un segugio infallibile, non se l'era fatta sfuggire."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 11


Un'altra persona non avrebbe dovuto inventarsi una scusa per entrare nella casa dove era cresciuto, ma le altre persone non avevano una sorella come la sua.
Tra fratelli è normale litigare, fare pace, poi litigare di nuovo e continuare la propria vita senza neanche tenersi il broncio o ricordare perché si litiga. Fa parte dell'ordine naturale delle cose. Meno naturale è riversare le frustrazioni della propria vita difficile su chi è stato più fortunato di te.
Anna, che non era mai stata una cima a scuola a differenza di suo fratello, aveva un solo sogno da ragazza: aprire un suo salone di bellezza. Niente di troppo chic o complicato, ma un posto dove le signore del quartiere potessero ritrovarsi e uscire un po' più serene e piacendosi un po' di più. Finita la scuola dell'obbligo si era iscritta ad una scuola di parrucchieri e tutto procedeva secondo i piani. Avrebbe fatto la gavetta e, un poco alla volta, avrebbe messo da parte i soldi per il suo progetto.
Ma a vent'anni i progetti si scontrano con le passioni e il cuore fa a pugni con la testa, anche quando questa ha ragione.
Alla fine dell'estate si era scoperta incinta di un ragazzo che lavorava come stagionale al mare, ad Ostia, che era sparito e non aveva mai più saputo niente di lui. Al bambino non aveva saputo rinunciare: era l'unica cosa che le restava di quella storia romantica e un po' selvaggia da romanzo della beat generation. Dopo due anni, ancora: la promessa di un amore, la passione e l'abbandono. Di nuovo in attesa.
Mentre la sua vita andava a rotoli, suo fratello raccoglieva i frutti della sua brillante carriera universitaria, trasferendosi ad Oslo e iniziando a pensare di mettere su casa con la sua ragazza di ottima famiglia. Lui l'orgoglio dei genitori, lei i loro sospiri.
 
Ad Alex piaceva la Garbatella. Sembrava di essere in un vecchio paesello di provincia con Roma a portata di metro. Era lì che ora viveva Anna assieme ai suoi, Cesare e Maria, che le erano rimasti accanto per aiutarla con i ragazzini e con le spese. Per un po' avevano vissuto nella casa a Testaccio, in cinque in una casa che a malapena andava bene per 4, ma con i figli che si facevano grandi e avevano le loro esigenze non era più la casa giusta.
Ora avevano un ex casetta popolare nel lotto 24, un villino modello anni '30 a due piani con un piccolo giardinetto comune alle altre villette intorno; Alex non aveva mai avuto niente da dire sulla loro decisione: lo avevano sostenuto durante gli studi e quello che stavano facendo con Anna non era né più, né meno quello che avevano fatto con lui. Era sicuro che avrebbero aiutato lui allo stesso modo se ce ne fosse stato bisogno. Aveva avuto solo una richiesta: non vendere la casa di Testaccio. Affittandola, avrebbero avuto un'ulteriore entrata, oltre alla pensione del padre e allo stipendiuccio di parrucchiera dipendente di Anna. E lui avrebbe mantenuto il suo legame con quel posto che, sebbene non fosse più parte della sua vita, considerava ancora come la sua tana.
 
"Ciao zi'!"
"Ciao Vale'!"
Gli aprì la porta un ragazzotto di 19 anni, robusto e spilungone, dai capelli biondi lasciati crescere un po' come veniva. Un giovane vichingo, in pratica. E dire che sua madre era pure parrucchiera. Se non fosse stato per il felpone e i pantaloncini da basket che indossava anche a dicembre e per qualche centimetro in più, sarebbe stato la fotocopia di suo figlio.
"C'è mamma?" gli domandò, mentre lasciava la giacca sull'attaccapanni del piccolo ingressino.
"A lavoro, torna a momenti"
Alla fine lavorava davvero in un piccolo salone di parrucchiera, niente di pretenzioso, come lo voleva lei: un negozietto con due poltrone e una shampista che dava una mano. C'era solo un problema: era lei la shampista e, chiusa là dentro dalle 9 fino alle 7 di sera, era un'impresa fare la mamma come lei avrebbe voluto e i ragazzi meritato.
Il ragazzo tornò in poltrona dove, assieme a suo fratello, stava giocando alla Playstation.
"Possibile non abbiate di meglio da fare?" domandò ai ragazzi, incollati con le mani al joystick e le facce fisse alla tv.
"Se non ce la regalavi te, non ci giocavamo mica?!" lo provocò il minore.
Daniele, diciassette anni ma ancora un bambinone. Lo stesso carattere gioviale e caciarone del fratello, fisicamente erano agli opposti: leggermente più basso e dai carattere più marcatamente mediterranei, portava i capelli castani corti, a spazzola. Dei Bonelli entrambi avevano ereditato gli occhi verdi. Avrebbe voluto che Edoardo, molto più introverso e scorbutico passasse più tempo con loro, ma gravitavano attorno a mondi così diversi che era difficile farli anche solo incontrare.
Sua sorella non era in casa ma sua madre sì.
"Alessa'!"
Se non lo avesse chiamato, Alex lo avrebbe capito dall'inconfondibile odore di pollo con i peperoni - ricetta di nonna.
"Ciao ma'! Ciao pa'!" salutò, entrando in cucina.
Alex si stupiva ogni volta di come a casa sua, pur nel lusso e nei comfort della tecnologia, lui si sognasse quel calore che una villetta popolare riusciva creare, pur stando stretti stretti. La tv accesa sul quiz preserale, sua madre che apparecchiava e suo padre che, occhiali da lettura inforcati quasi sulla punta del nasone, leggeva Il Romanista. Un'immagine non troppo diversa da quella che lo accoglieva la sera da ragazzo, quando rientrava dalle scorribande in motorino con gli amici.
"Com'è che ce sei venuto a trova'?" domandò sua madre "te vuoi mangia' na cosarella con noi? Ho fatto il pollo alla romana"
"Si sente …"
"Tanto co tu madre poi sta tranquillo che il cibo non manca mai. Uno non può neanche più decidere liberamente di stare leggero a cena …"
Era il tipico litigio dei suoi: il padre, ipocondriaco dal quale aveva ereditato tutte le sue manie salutiste, che si lamentava della cucina della madre e lei che rispondeva sempre con la solita frase "Ma è tutta roba genuina, possono mangiarlo pure i bambini! Io mi ammazzo di lavoro in cucina e lui neanche mi dà la soddisfazione di dire che è buono "
Li amava da morire. Perché si punzecchiavano ma bastava un occhiolino al momento giusto per capire che, dopo quasi 50 anni insieme, era solo un gioco, se possibile un modo tutto loro di corteggiarsi.
"Allora, apparecchio pure per te?"
"No, ma', vado di fretta. Sono venuto a prendere le chiavi dell'altra casa"
La stanza si ammutolì. Si sentiva solo la voce del presentatore che scandiva le domande e il soffio leggero del fuoco lento sotto alla padella del pollo. Suo padre aveva tolto gli occhiali e chiuso il giornale, sua madre si era seduta accanto a lui a tavola.
"Te ne vai quindi? Proprio non si può fare niente?"
Maria non andava molto d'accordo con sua nuora, ma era ormai si era rassegnata che tra nuora e suocera dovesse andare così e dopo quasi sedici anni le si era affezionata. Cesare, invece, era più fatalista. In più era sempre stato dell'idea che quel matrimonio non si dovesse fare, che se una coppia arriva ad un bivio in cui le opzioni sono matrimonio e rottura, allora è meglio chiuderla prima di fare danno. Ma aveva sempre rispettato le scelte e gli errori dei propri figli, non li aveva mai ostacolati. E così si limitava ad osservare, apparentemente freddo e distaccato.
"No, no … non è per me. Forse ho trovato un'affittuaria, domani viene a visitare casa"
Senti il sospiro di sollievo di sua madre; suo padre, invece, non riusciva a decifrarlo: prese il telecomando e girò ad un canale di sole notizie, concentrandosi; forse era deluso dal figlio, forse non gli interessava più di tanto cosa facesse.
"Comunque non è cambiato niente" disse. Sua madre non doveva illudersi. "Sto facendo preparare la lettera di separazione dall'avvocato. Rimango a casa solo per Giulia ed Edoardo fino a che mi sarà possibile"
Dopo aver preso le chiavi, lasciò la casa per tornare nella sua. Avrebbe volentieri cenato con la sua famiglia, ma non gli sembrava giusto nei confronti di Edoardo e Giulia: erano l'unica cosa che veramente importava. Qualunque cosa fosse successa con Claudia, loro non ne avrebbero pagato le conseguenze: lui voleva esserci per loro, quella era l'unica battaglia che, se necessario, era intenzionato a fare in tribunale.
Sul viale, mentre si sistemava in moto, intravide sua sorella che avvicinarsi.
"Anna!"
"Ohi … scusami, con il casco e al buio non ti avevo riconosciuto"
"No … eri concentrata sul cellulare" le disse, togliendo il casco.
"Touché!"
Si scambiarono un bacio sulla guancia veloce, ma Alex avvertì tensione da parte di sua sorella, per niente espansiva.
"Arrivi o te ne vai?" gli domandò.
"Me ne vado. Ho qualcuno interessato a casa a Testaccio ed sono venuto a prendere le chiavi"
"Anche agente immobiliare, ora? Devi aggiungerlo al curriculum" rispose lei, con malevole ironia.
"Che hai? Perché sei sempre così acida?"
"Ho parlato con Claudia" disse lei, senza mezzi termini, guardandolo severamente.
"Ah. Quindi mia sorella si è alleata con mia moglie anziché con me? Ora sì che le ho viste proprio tutte …"
Quando aveva raccontato ai suoi di quello che era successo con Claudia, perché era stata via tutto quel tempo, lei in casa non c'era, né si era fatta sentire dopo. Alex aveva immaginato che quella notizia potesse aver riportato a galla ricordi non belli, ma non si aspettava neanche lontanamente questo ribaltamento della situazione.
"Certo che sì, se mio fratello decide di buttare via 16 anni di matrimonio"
Anna era una sognatrice e lui glielo aveva sempre rimproverato: nonostante le due grosse delusioni d'amore che l'avevano lasciata senza soldi e con due figli da crescere da sola, continuava ad essere innamorata dell'idea dell'amore e, probabilmente, aveva riversato le sue fantasie su di lui e sua moglie.
"Te l'ha detto tua cognata cosa ha fatto?" le chiese, brusco.
Lei sulle prime tacque, segno che sì, nemmeno lei aveva approvato quell'uscita di scena.
"Ma è tornata" la difese lei "e adesso vuole riprovarci. Tu invece vuoi chiudere tutto senza neanche pensarci."
"Senza pensarci? Anna! Claudia stata via sette settimane. Sette! Direi che ho avuto abbastanza tempo per pensarci!"
Alex, infastidito, mise il casco ed sfrecciò via in fretta e furia, senza neanche salutare. Non poteva credere che sua sorella, che tra tutte le persone che gli gravitavano attorno era quella che meglio di tutti poveva sapere cosa si provava, aveva avuto il fegato di dare ragione a Claudia e non a lui. Come se in quelle settimane che aveva fatto passare dal suo ritorno non avesse dato a sua moglie la possibilità di provargli che era veramente dispiaciuta. Ma lei non era neanche in grado di capire perché lui ce l'aveva con lei ed era riuscita persino ad accusarlo di tradimento. Bel modo di metterci una pietra sopra e ricominciare.
Se non altro Anna non sembrava sapere nulla dell'argomento principale della sfuriata mattutina. Evidentemente si era fatta un esame di coscienza ed aveva capito di aver fatto un grosso buco nell'acqua con Maya. O almeno, Alex lo sperava.
 
Se non fosse stato per lo scheletro del gazometro di Ostiense in lontananza, difficilmente Maya avrebbe riconosciuto Roma tra quelle strade che stava percorrendo. Si sentiva una stupida, ma era così: era straniera nella sua stessa città.
Era stata a Testaccio una volta sola, a sua memoria, trascinata dalla madre ad una mostra fotografica al Mattatoio, in una delle sue rare incursioni romane da quando suo padre non c'era più. Forse di passaggio l'aveva anche attraversata, come attraversava molte strade di Roma ogni giorno per andare a lavoro o tornare a casa: distrattamente, tenendo gli occhi sulla strada più che guardandosi intorno.
Alex l'aveva convinta ad andare a vedere la casa in pausa pranzo e le sembrava che fosse più eccitato lui al prospetto di andarci che lei. Questa sensazione non sapeva come prenderla: era stato gentile a prodigarsi per lei, ma tutte quelle attenzioni, così repentine e in un momento così complicato nella vita di lui, pur facendole piacere la spaventavano. Ne aveva conosciute di persone che si gettavano a capofitto in qualsiasi cosa - sport, lavoro, studio, una nuova storia - per dimenticare un ex. E temeva di essere diventata la sua idée fixe. Qualcosa come: non era riuscito a salvare il suo matrimonio e ora voleva aiutare lei.
Ma in quel momento, sfrecciando di fianco al Tevere tra Portuense e Trastevere sulla moto di Alex, allacciata alla sua giacca in pelle, quel pensiero non la sfiorava neanche di striscio.
Le era preso un colpo quando le aveva detto di lasciare la sua macchina nel parcheggio della redazione e di andare con lui, ma l'aveva facilmente corrotta: lei non conosceva la zona e a quell'ora sarebbe stato pressoché impossibile trovare parcheggio.
"Benvenuta a Testaccio" le disse, urlando sotto il casco, mentre attraversavano il ponte che prendeva il nome dal quartiere "il quartiere più romano di Roma"
"Ma quello non era Trastevere?"
Maya aveva sentito parlare della rivalità tra trasteverini e testaccini e aveva voluto fare una piccola prova.  Non era rimasta delusa: pezzo dopo pezzo, l'uomo di ferro per cui lavorava stava lasciando il posto ad un tenerone sentimentale che sentiva forte il richiamo delle sue radici.
"Adesso accosto e ti faccio scendere" la minacciò, mentre però dava gas più energicamente, di proposito, per vendicarsi della battuta di cattivo gusto facendola spaventare.
Maya rise di gusto, stringendosi più forte all'uomo. Quella che era stata fino a quel momento una presa leggera ed innocente, si trasformò in un vero e proprio abbraccio. Fu un movimento istintivo, di protezione, ma Maya si sentì avvampare. La giacca di pelle, dal taglio un po' vintage, era ruvida al tatto. Era di quei modelli invecchiati ad hoc e questo la rendeva anche più aderente al corpo dell'uomo. Sapeva benissimo come era vestito, lo aveva visto entrare in ufficio: giacca di maglia e t-shirt bianca, come sempre quando andava a lavoro in moto, ma era come se potesse toccare i suoi fianchi direttamente, senza che ci fossero i vestiti a separare la sua pelle dalle mani di lei.
Lui, alla guida, sembrava non fare una piega.
In realtà, di spalle e con il casco addosso, con tanto di visiera scura, ringraziava tutti i santi del paradiso che lei non potesse vederlo. Quando gli aveva messo le mani attorno alla vita, aveva avvertito quel vuoto d'aria piacevole che aveva avvertito quando l'aveva vista per la prima volta nel suo abito blu la sera della festa. Come sulle montagne russe, ma con i piedi ben ancorati a terra.
Usa la testa, Alex, usa la testa, si ripeteva e la sua testa gli diceva che erano solo reazioni chimiche, una questione di ormoni che poteva accadere tra un uomo e una donna mediamente attraenti che si ritrovano a poca distanza l'uno dall'altra. E poi c'era tutta la questione di Claudia, e poi la serata che avevano trascorso insieme. Il suo corpo gli giocava brutti scherzi. Aveva bisogno di una bella doccia fredda. Sì, anche ad Ottobre.
"A Roma Nord non vi fate guerra tra i quartieri?" le domandò, per distrarsi.
"Non che io sappia …" Maya era senz'altro legata ai Parioli, erano casa sua, ma più per l'espressione di uno status quo che per l'affetto per luoghi e persone "e comunque tu abiti a Prati, sei uno di noi ora!"
"Giammai!"
Alex fermò la moto davanti ad un'inferriata grigia, coperta a metà da una siepe che probabilmente nessuno teneva a bada e che nascondeva un giardinetto comune abbandonato a sé stesso. La strada, piena di buche che non mancavano nemmeno nei quartieri più signorili, era sporca: il fogliame dei pochi alberi si mischiava a cartacce e cicche, e quel che rimaneva delle aiuole dove un tempo c'erano degli alberi era solo l'ennesima buca del marciapiedi, un mix di sterpaglie ed escrementi di cani. Maya alzò lo sguardo da terra, una volta tolto il casco, e si domandò cosa ci stesse facendo lì, in quel momento.
Alex aveva visto dove viveva, non poteva veramente credere che potesse farsi andare bene quella catapecchia.
Il palazzo, dei primi del Novecento, era di un colore indefinito. Si intravedeva un giallognolo oltre alla patina di grigio dello smog e della decolorazione dovuta al tempo. A livello della strada, i murales sporcavano - se così si poteva dire di una casa già malandata - le mura del palazzo e del cancello. Anche ai Parioli si vedevano delle scritte di tanto in tanto, ma principalmente nelle serrande e in traverse poco trafficate; certo non sotto le finestre di un appartamento. Chissà se Alex aveva mai visto quelle palazzine in uno stato diverso da quello che stava vedendo lei. Ne dubitava.
Ai balconi erano appesi in quantità industriale i motori dei condizionatori; in alternativa, dagli stendini a corda pendevano lenzuola e altri vestiti. Solo l'idea che i suoi vestiti potessero toccare quelle pareti le metteva prurito addosso.
"Lo so che stai pensando" disse Alex, aprendo il cancello "ma ti prego di mettere da parte ogni pregiudizio"
Era bravissima a giocare a carte, la nonna le aveva insegnato tutti trucchi per non tradire alcuna emozione, ma con Alex diventava sempre clamorosamente un libro aperto. E questo la infastidiva e la affascinava al tempo stesso. Alzò le mani, in segno di resa.
 
Non poteva essere vero, doveva essere passata in un portale o qualche marchingegno fantascientifico perché una casa del genere non poteva stare dentro quel condominio. All'ultimo piano, si apriva un open space ampio e luminoso, esattamente l'ultima cosa che si aspettava di trovare mentre salivano con l'ascensore preistorico in dotazione e Maya pregava di arrivare sana e salva.
Le pareti, di un bianco immacolato, risaltavano ancora di più la luce che, anche in autunno, a Roma non manca mai e ben contrastavano il pavimento multicolore in cementine originale. Solo la cucina e il bagno erano ammobiliati, per il resto era una tela bianca, da far diventare esattamente come avrebbe voluto lei se avesse deciso di abitarla.
La cucina, a cui mancava il frigo, addossata alla parete sul fondo, era in stile anni '60 ma era tutto così ben assemblato e tenuto che non sapeva dire se fosse lì da prima che  Alex nascesse o se erano parte un arredamento in stile vintage.
"Il tuo frigo ci starà benissimo qui" commentò lui "sempre se puoi portarlo via"
Maya sorrise timidamente, annuendo, mentre ammirava la credenza d'antiquariato che era sopra al lavabo della cucina. Erano passati solo un paio di giorni, ma non poteva non apprezzare che ricordasse un dettaglio così insignificante.
"È una casa incredibile Alex, davvero" esclamò, onesta.
Chiunque altro non avrebbe avuto molto da dire, ma lei riusciva a vedere oltre al bianco delle pareti e al vuoto intorno.
"Tutto merito del vecchio inquilino" rispose lui, orgoglioso "un professore ad Architettura a Roma Tre, ci ha aiutati a ristrutturare"
Le spiegò che originariamente la zona giorno era composta da una cucina piccola e stretta e da un tinello che loro usavano praticamente per tutto e così, per ampliare la zona living avevano unito le due stanze e rosicchiato un po' di spazio ad una delle camere da letto.
"Questa era la camera dei tuoi genitori?" domandò, ispezionando una camera che le sembrava enorme, ma forse lo era solo perché completamente vuota.
"No, era la mia. La dividevo con mia sorella e i miei ci avevano ceduto la più grande"
"Deve essere stata un'impresa … io non riuscirei neanche ad immaginare di condividere la mia stanza con mio fratello … a dire il vero probabilmente neanche con mia sorella"
Visitare quella casa le stava dando l'opportunità di capire Alex meglio. L'importanza che dava al fare gruppo a lavoro, la sua constante informalità, quell'essere perfettamente alla mano e a suo agio con la receptionist e il top manager, indistintamente.
Quel posto era un po' come lui: ruvido e inospitale all'apparenza, speciale conoscendolo a fondo.
"Mi dispiace solo che non sia tutta ammobiliata" si scusò lui, dispiaciuto "io l'avrei arredata tutta ma non dipende solo da me"
"Come scusa?"
"La casa è dei miei genitori e l'affitto copre le spese della casa che dividono con mia sorella e i miei nipoti."
Era il modo più conciso per spiegarle la situazione, senza entrare troppo nel dettaglio di cose che, con molta probabilità, a Maya non interessavano minimamente.
"Ogni casa ha una tegola rotta, diceva mia nonna" ironizzò malinconicamente.
"Anche più di una" concordò Maya.
Nel suo caso, pensò la ragazza, era l'intero tetto piuttosto che qualche tegola, ma il detto rendeva perfettamente l'idea.
"Comunque non ti preoccupare per i mobili. Potrei sempre vendere i quadri" considerò lei "non ce li vedo molto qui dentro…"
"Allora ti piace?"
"La sto … considerando" rispose, vaga "il che è molto di più di quanto abbia fatto con le case che ho visto finora."
"Beh lo considero un successo" gongolò Alex, facendole un occhiolino.
Non c'era molto che potesse fare, oltre che starsene fermo, le mani in tasca, a guardare la giovane girare per casa sua. Per quel poco che aveva imparato a conoscerla, avrebbe giurato che fosse scattato il colpo di fulmine. Riconosceva nei suoi occhi quella luce d'entusiasmo che le si accendeva quando aveva qualche idea o quando qualcosa la intrigava.
"E quella?" domandò Maya, indicando una scala alle spalle di Alex. L'uomo si voltò.
"Ah dimenticavo … c'è un terrazzino qua sopra. È molto bello. Mia madre ci andava a stendere i panni"
Quest'ultima informazione era perfettamente inutile, Maya era più da asciugatrice che da panni stesi - quando non andava direttamente in tintoria - ma la disse con un tono così nostalgico e compassato che Maya poté benissimo figurarsi la scena e trovarla un'immagine bellissima.
"Posso vederlo?" domandò lei.
"Non te lo consiglio. La casa è rimasta chiusa da luglio. Non ho idea di che condizioni ci siano lassù con i gabbiani del Tevere"
"Oddio" Maya rabbrividì, disgustata. Avesse preso la casa, minimo lui avrebbe dovuto pagare una disinfestazione approfondita.
Mentre stavano lì a discutere dell'eventuale affitto il telefono di Maya squillò.
"Sono arrivata. Dove suono?"
"Aspetta che ti apro … è mia sorella" chiarì la giovane mentre Alex la guardava interdetto "le ho detto della casa e mi ha chiesto di venire a vederla." "Non c'è problema, falla salire"
Quello che nemmeno Maya aveva capito, era che Lavinia non era particolarmente interessata alla casa, ma non si sarebbe persa per nulla al mondo la faccia di sua sorella mentre perlustrava un quartiere popolare come Testaccio. E a questa specie di esperimento sociale, non avrebbe assistito da sola.
"E tu che ci fai qui?" mentre aspettava la sorella sulla porta dell'appartamento, vide uscire dall'ascensore anche Olivia.
"Niente, tua sorella aveva bisogno di un passaggio ed ero libera" "Il giorno che smetterai di sfruttare la carbon print degli altri sarà un grande giorno per la lotta al surriscaldamento globale"
Maya non era particolarmente attenta alle tematiche ambientali, faceva il minimo indispensabile, ma non sapeva rinunciare alle comodità e prendeva in giro sua sorella per questa piccola ipocrisia, magari totalmente inconsapevole. Lavinia incassò il colpo silenziosamente, non poteva dirle che era andata in metro e che Olivia si era precipitata in maniera del tutto indipendente solo per conoscere Alex di persona. Andrea meglio noto come Chuck Bass aveva inviato a Max, il suo ragazzo - e probabilmente a mezza piazza Euclide - le foto di Maya ed Alex che giravano sul web ed aveva bisogno di verificare in prima persona se i pettegolezzi che giravano erano veri o era il solito polverone montato ad arte dalla stampa e ingigantito dalla gente. Ma quella era la scusa più plausibile che le due erano riuscite a mettere in piedi.
"Alex queste sono mia sorella, Lavinia, e Olivia, una mia amica"
Quando vide Lavinia, Alex comprese che la bellezza era una questione genetica in casa Alberici. Maya castana, Lavinia bionda; Lavinia con un viso più morbido e dolce, Maya dei tratti più spigolosi e provocanti. Pur non somigliando in maniera evidente, le due sorelle condividevano quei dettagli anche minimi ma sufficienti a determinare chiaramente la parentela, oltre al fascino e all'eleganza innate che avevano colpito Alex quando aveva conosciuto la sua assistente. La stessa carnagione lattea, le stesse pagliuzze gialle negli occhi nocciola che con il sole tendono al verde.
"Molto piacere, signor Bonelli" Lavinia gli strinse la mano educatamente.
"Vi prego, chiamatemi Alessandro o Alex" chiarì immediatamente "odio certe formalità …"
Sarebbe rimasto volentieri a scoprire se le differenze e le somiglianze si estendevano anche ai loro caratteri, ma una telefonata dell'avvocato a cui aveva affidato la separazione lo richiamò in centro città.
"Scusate ma devo scappare, ho un'emergenza"
"Oddio! Niente di grave spero …"
Alla parola emergenza, Lavinia scattava sempre in modalità E.R.; anche se fosse stato un problema con un elettrodomestico, lei era pronta a dispensare diagnosi e prognosi.
"No, no, tranquilla, è solo che non posso restare"
"Non ti preoccupare Alex, veramente, hai fatto già tanto!" esclamò Maya, riconoscente.
Alex prese le chiavi dell'appartamento dal piano della cucina e le porse alla ragazza.
"Chiudi tu, me le restituisci più tardi a lavoro. Solo che … per andare via …?"
"Tranquillo, ci sono io, sono di strada" lo rassicurò Olivia, i cui muscoli facciali erano in evidente sforzo per mantenere il volto serio e senza alcuna espressione particolare. Non era vero neanche un po' che era di strada, ovviamente, ma era grata che Olivia  stesse al gioco.
"Meglio così. È stato un piacere conoscervi, ragazze"
"Anche per noi"
"Ciao"
Mentre si avviava lungo il corridoio dell'ingresso, infilando la giacca di pelle che, stretta, aveva tolto per aprire le persiane, le due partner in crime di Maya squadravano l'uomo dal basso verso l'alto, indugiando sul fondoschiena. Maya, immobile dal soggiorno, le guardava, esterrefatta.
"Bel culo" decretò Olivia, mordendosi le labbra, appena l'uomo ebbe chiuso la porta alle sue spalle.
"Un armadio al posto delle spalle …" rincarò la dose Lavinia "… mani grandi …"
"Come si dice: mani grandi …"
"SMETTETELA SUBITO!" esclamò Maya, indignata, mentre le due ragazze si lanciavano sguardi complici come di chi aveva già un piano d'azione "è il mio capo, siete indecenti!"
"Dai Maya, non dirmi che in 5 anni di lavoro fianco a fianco a lui non hai mai fatto un pensierino su quelle mani che ti prendono … che ti stri-"
"Va bene. Va bene, va bene. Sì, lo ammetto" si arrese "passeggero però. Torbido, ma passeggero."
La  prima volta che lo aveva visto, dopo che dalle risorse umane l'avevano richiamata per un secondo colloquio direttamente con lui, per poco non ci era rimasta secca. Era solo grazie alla miriade di complessi e difetti che quel bell'involucro era passato in secondo piano. Ma le sue mani e gli occhioni verdi da cerbiatto erano rimasti comunque un grosso ostacolo su cui lavorare quotidianamente.
"Lo vedi?" infierì Olivia "D'altronde, solo un cieco riuscirebbe a rimanere indifferente …"
"Per quanto" precisò Lavinia "un cieco ha gli altri sensi mooolto sviluppati. Il tatto ad esempio … e l'olfatto"
Lavinia non aveva neanche idea di quanto anche il suo tatto e il suo olfatto si fossero affinati di recente.
"Finiscila, dai! Concentrati sulla casa"
"Cosa voi che ti dica Maya?! Mi sembra bella anche se non c'è quasi niente da vedere. Quanto hai detto che te la farebbe pagare?"
"700 mensili"
"Prezzo di favore, naturalmente" disse Olivia. Non era un agente immobiliare, ma per andare a convivere con il suo Max avevano visionato più case loro che i gemelli Scott in tv.
"Lui dice di no"
"Impossibile. Oggi a Testaccio con 700 Euro è già tanto se ti danno un monolocale a pianterreno."
"Lo so … ma non sono convinta. Ai Parioli sui campanelli leggevo avvocato, dottore … e mi sentivo tranquilla. Chi ci abita qui?"
"Bah .. salendo ho sentito odore di carbonara" sentenziò Olivia, muovendosi nel corridoio tra una porta e l'altra, ispezionando gli infissi, i pavimenti e i termosifoni.
Qualunque cosa stesse facendo, a Maya sembrava che sapesse il fatto suo.
"Ma te pensi sempre a mangiare?"
"Oh senti, non è colpa mia se te visiti le case ad ora di pranzo e non mangio da stamattina alle 10"
Maya avrebbe voluto replicare, ma sua sorella la fulminò con lo sguardo.
"Comunque" riprese Olivia "ho sentito odore di carbonara. Non puoi essere una cattiva persona quando mangi la carbonara"
"La carbonara non risolve tutti i problemi del mondo, Olivia"
"Magari no, ma sicuramente li rende più sopportabili"
"Lavi, almeno tu, dimmi qualcosa. Voglio dire … hai visto fuori cos'è? E la strada …"
"Maya sei a Testaccio, non all'Esquilino o a TorPigna"
"Tua sorella ha ragione. E comunque ultimamente ci sono più radical chic qui che a via Cola de Rienzo. Fanno tanto gli snob e poi tutti al Velavevodetto stanno."
Sì, su Roma Glam gli articoli sulle nuove aperture di locali o eventi culturali e le recensioni di ristoranti di nuovi ristoranti bio si sprecavano, ma pensava fosse solo perché Alex aveva un occhio di riguardo per il quartiere.
"A me sembra che tu sia abbastanza decisa e stai facendo storie per niente…"
Lavinia era la voce della verità: quella casa aveva più pregi che difetti. Dall'Eur erano solo 15 minuti, la metà rispetto al tempo che impiegava normalmente per andare a lavoro. Superata la sua misofobia, avrebbe potuto anche lasciare a casa l'auto e prendere la metro … ora non esageriamo. Poi era grande e luminosa, all'ultimo piano con terrazzo privato e per quella cifra era un mezzo miracolo. Avrebbe dovuto arredarla, ma poco per volta e con il metodo Parioli, sarebbe riuscita a mettere su qualcosa di carino.
"È che non so se ci riesco a lasciare i Parioli.."
Lavinia, piena di quei discorsi senza senso, prese la sorella per la manica del blazer e la trascinò fuori dalla zona giorno, rintanandosi nel bagno.
"Scusaci Olivia. Piccola riunione di famiglia."


 

Eccoci, siamo arrivati alla fine di un nuovo capitolo. In questo facciamo la conoscenza di un'altra parte del privato di Alex, forse la più intima per lui. E capiamo, credo, tante cose di lui. Di Maya invece iniziamo, secondo me, ad apprezzare qualche margine di cambiamento. Chissà se riuscirà a venire a capo delle sue tare mentali.
Per quanto riguarda il quartiere Testaccio, diciamo che mi sto prendendo alcune libertà narrative. Non essendo di Roma ho cercato un quartiere che fosse popolare (ma non malfamato) quando Alex era un bambino e ne abbia conservato oggi le sembianze rimanendo nel cuore di Roma. Abbiate pazienza se magari non corrisponde alla realtà.
Vi ringrazio tutti per i commenti che mi lasciate qui e là ogni settimana e ci aspetto venerdì prossimo!!!
Fred ^_^
   
 
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