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Autore: Demy77    08/10/2021    3 recensioni
Cornovaglia, 1783. Dopo aver combattuto per l’esercito inglese durante la guerra di indipendenza americana Ross Poldark ritorna in patria e convola a giuste nozze con il suo grande amore, la bellissima Elizabeth Chynoweth, che lo ha atteso trepidante per tre lunghi anni.
Due giovani innamorati, una vita da costruire insieme, un sogno che sembra realizzarsi: ma basterà per trovare la felicità?
In questa ff voglio provare ad immaginare come sarebbe stata la saga di Poldark se le cose fossero andate dall’inizio secondo i piani di Ross.
Avvertimento: alcuni personaggi saranno OOC rispetto alla serie tv e ai libri.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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“Una bella notizia è proprio quello che ci voleva, dopo tanti giorni di amarezza”- esclamò Demelza stringendo in un abbraccio sincero Caroline, che le aveva appena comunicato di essere in attesa di un bambino. Le due amiche si rivedevano per la prima volta a distanza di tre mesi dalla morte di Hugh.
Dopo il tristissimo evento Demelza era tornata a Londra, aveva organizzato il funerale e disbrigato le pratiche burocratiche per la sepoltura del marito; aveva poi incontrato l’esecutore testamentario insieme allo zio di Hugh. Quest’ultimo, dato il generoso lascito assegnatogli dal nipote, non aveva avuto nulla da obiettare sul trattamento riservato alla piccola Julia; così, in breve tempo, tutte le questioni connesse all’eredità erano state risolte in maniera civile.
La servitù della dimora londinese dopo la morte del padrone si era stretta affettuosamente intorno alla vedova; Demelza aveva cercato di non apportare troppi cambiamenti per il personale, pur prendendo in mano le redini della gestione della casa. Con il trascorrere dei giorni la sensazione di smarrimento e solitudine aveva ceduto il posto alla consapevolezza del suo nuovo ruolo: era la vedova di un gentiluomo, la tutrice di una piccola ereditiera, la padrona di quel lussuoso palazzo. Anche il suo aspetto era, in un certo qual modo, cambiato. Gli abiti neri di foggia molto semplice che aveva scelto per il lutto, i capelli tenuti sempre raccolti, il trucco leggero conferivano a Demelza delle sembianze più mature, ed era maturata davvero dopo la scomparsa del tenente Armitage, più di quanto fosse mai accaduto prima. Non aveva perduto la sua innata semplicità e buona disposizione verso il prossimo, ma aveva acquistato sicurezza in se stessa e coscienza del suo valore.
Caroline era tornata a Londra per trascorrervi l’ultimo Natale all’insegna della mondanità, rivedendo i vecchi amici, prima che il pargolo Enys la distogliesse per lungo tempo dalla vita sociale. Quel viaggio però era anche un pretesto per riabbracciare la cara Demelza, con la quale aveva mantenuto un costante rapporto epistolare, condividendo pensieri e riflessioni sui dolorosi avvenimenti che, per un atroce scherzo del destino, pochi mesi prima avevano reso vedovi - quasi in contemporanea - sia lei che Ross.  Vedersi dal vivo era tuttavia ben diverso, e la giovane Penvenen sentiva il bisogno di confortare Demelza della perdita del marito, che prima di tutto era stato un suo carissimo amico di infanzia, di cui serbava nel cuore indelebili ricordi. 
Demelza era stata informata da Caroline tramite lettera anche della morte di Elizabeth. Ne era rimasta sconvolta, addolorata, con il cuore stretto dall’angoscia per Valentine e per Ross. Era accaduto così repentinamente, e proprio mentre lei stava affrontando tutte le difficoltà conseguenti alla dipartita di Hugh… non era riuscita a trovare né il tempo né la forza per un viaggio in Cornovaglia. Aveva scritto una lettera a Ross, cordiale, affettuosa, ma non eccessivamente intima. Gli aveva comunicato tutto il suo dispiacere per la terribile perdita; non aveva aggiunto nulla di più, nulla che desse a Ross speranza su una loro intimità più profonda, per la quale la giovane non si sentiva ancora pronta. Era giusto che ciascuno dei due facesse decantare il dolore nella propria anima prima di un riavvicinamento; anzi, in realtà le sembrava che il modo orribile in cui Elizabeth era morta fosse un segno di malaugurio che aleggiava sulla loro possibile unione.
Ross, a sua volta, aveva appreso della morte di Hugh tramite Caroline. Nella lettera in risposta alle condoglianze di Demelza aveva grandemente elogiato la figura di Hugh, il suo coraggio e la sua dignità. Aveva concluso ribadendo la sua disponibilità per qualsiasi necessità lei e sua figlia dovessero manifestare.
Era naturale che, dopo aver condiviso la gioia per la notizia della gravidanza di Caroline, la conversazione delle due amiche fosse monopolizzata dai drammatici eventi che erano accaduti nei mesi precedenti.
Innanzitutto Demelza si informò sullo stato d’animo di Ross. Caroline rispose che era tanto provato da quel lutto, benché il suo non fosse stato un matrimonio felice. L’ultima volta che erano andati a fargli visita lei e Dwight lo avevano trovato inquieto, nervoso, completamente assorbito dal lavoro e dalle preoccupazioni per Valentine. Il bambino era molto legato ad Elizabeth e Ross sentiva come responsabilità primaria quella di stargli accanto, di fargli percepire meno quella inevitabile mancanza. Nonostante avessero cercato di non far trapelare troppi particolari sulla morte della madre, il bambino aveva capito che era stata colpa di un incendio ed aveva capito anche che la mamma non stava troppo bene dopo la morte della sua sorellina. La mente infantile di Valentine aveva colto i dati essenziali della vicenda, ma li elaborava a modo suo: la mamma era andata via per sempre, aveva raggiunto in cielo la sua sorellina, quindi non gli aveva voluto bene abbastanza da restare con lui; c’era il papà, è vero, ma anche lui lo lasciava solo ogni tanto, quando usciva per i suoi affari, e Prudie non era certo bella e profumata come la sua mamma. Capitava così che il bambino si nascondesse in qualche angolo della casa, con i suoi pupazzetti ad inventare storie; era spesso silenzioso con gli adulti ed a volte preferiva restarsene in completa solitudine, guardando malinconicamente fuori della finestra.
Caroline si domandava se la decisione di Demelza di restare a vivere a Londra fosse definitiva. Cercò di indagare se tra le sue prospettive ci fosse quella di un ritorno in Cornovaglia, anche facendo leva sui bisogni di quel povero orfano, che Demelza aveva accudito da piccolo ed ora avrebbe avuto tanto bisogno di un’affettuosa presenza femminile.
“Mi rendo conto che si tratta di un argomento delicato per te, Demelza, ma dovresti pensarci… Qui a Londra hai conosciuto molte persone, ma si tratta di rapporti di mera convenienza, in fondo sei sola… Lì potresti farmi compagnia, assistermi durante la gravidanza, darmi tanti consigli sulla maternità, essere presente al momento del parto… sai bene quanto mi trovi  impreparata in materia!” – esclamò la bionda ereditiera.
Demelza sorrise. Rispose che era molto combattuta: da un lato aveva desiderio di ritornare nella terra natia, dall’altro la spaventava dover affrontare certi fantasmi del passato. Si riferiva a suo padre, sicuramente, ma anche a Ross, pensò Caroline. Conoscendo Demelza, non era il tipo da entrare con prepotenza nella vita di lui soppiantando la defunta moglie come se mai fosse esistita….
“Sai, ho fatto un sogno strano la notte scorsa – confidò Demelza all’amica- mi trovavo in strada, nei pressi del Parlamento; ad un certo punto mi è apparso Hugh, era proprio di fronte a me. Mi è venuto incontro e mi ha chiesto quando mi sarei trasferita “a casa di Julia”. Io gli ho risposto che eravamo tornate da tempo a casa di Julia, cioè nella casa di Londra, e lui ha scosso la testa sorridendo. Io allora gli ho chiesto spiegazioni, e mi ha risposto: “intendo la vera casa di Julia , quella che è sua per nascita”. Poi mi ha sorriso ed è svanito davanti ai miei occhi; immediatamente dopo mi sono svegliata”.
“La casa che è sua per nascita… forse Trenwith?” – suggerì Caroline.
“Anch’io ho pensato questo – annuì Demelza – forse Hugh mi è apparso in sogno per farmi capire che dovrei trovare il modo di acquistare Trenwith, per Julia. Sappiamo bene che era la casa di suo padre, di suo nonno e dei suoi avi…. Per ragioni di sangue quella è casa sua. Potrei mettere in vendita questo palazzo, con il ricavato riuscirei sicuramente a reperire le risorse sufficienti. Solo che…”
“Solo che cosa?” – la incalzò Caroline.
“Da un lato quella casa mi evoca tristi ricordi, non so se riuscirei a viverci, dopo tutto… e poi non vorrei urtare la suscettibilità di Ross. In fondo è stata casa della sua famiglia, io ci ho lavorato da cameriera e ci ritornerei da padrona…”
“Ross non è così meschino. Su questo punto non credo ti ostacolerebbe. Piuttosto, sareste vicini di casa… ci hai pensato? Intendo dire, che tipo di relazione vorresti avere con lui? Se i vostri sentimenti sono immutati, sta’ pur certa che lui non si accontenterà di essere solo un tuo confinante…”
Demelza ribadì a Caroline quello che era il suo pensiero. Aveva amato molto Ross, ma anche Hugh le aveva toccato il cuore. Era ancora troppo scossa dagli ultimi avvenimenti per pensare con serenità ad una nuova relazione. Lo stesso, probabilmente, doveva dirsi per Ross, la cui priorità in quel momento era il bene del figlioletto, che sarebbe stato turbato dall’ingresso repentino di una nuova donna nella vita del padre.
Caroline le fece notare che non poteva interpretare i desideri di Ross senza avere un colloquio con lui e che dopo tutto quello che c’era stato tra di loro sarebbe stato un bene affrontare l’argomento. Demelza replicò che sapeva bene che quel confronto, presto o tardi, ci sarebbe stato, ma al momento non se la sentiva di costruire il proprio futuro sulle macerie del matrimonio di Ross, conclusosi in maniera così tragica.
“In ogni caso, per l’acquisto di Trenwith bisogna prima parlarne con George Warleggan. In passato era intenzionato a  vendere, ma bisogna conoscere quali sono le sue condizioni. Ammesso che l’affare possa andare in porto, prima di concluderlo vorrei chiedere a Ross come regolarmi, anche con sua cugina Verity – disse la rossa – se riscatto l’intera proprietà, dovrei rimborsare la quota che era della signora Verity…“
Caroline replicò che probabilmente la cugina di Ross non aveva alcuna pretesa su Trenwith, essendosi trasferita da molti anni altrove; inoltre la casa era stata perduta per effetto della dissennata gestione del fratello, che aveva travolto anche la sua parte di eredità. Aggiunse poi : “Non credo che dovrai parlare della questione con George Warleggan, ma con suo zio Cary. Vedi, non ti ho raccontato proprio tutto riguardo alla fine di Elizabeth…”
Ciò che Demelza ancora non sapeva, e che Caroline provvide a raccontarle, è che George aveva patito serie conseguenze dopo la morte di Elizabeth.
Sulle prime sembrava non aver accusato il colpo. Era fuggito da codardo insieme al reverendo Odgers, rifugiandosi in carrozza e correndo all’impazzata verso Killewarren, aveva interrotto la cena di Dwight pregandolo di recarsi di corsa a Nampara, poi aveva fatto ritorno a Trenwith, senza sincerarsi delle condizioni della donna che si era gettata nel fuoco a causa sua. Si era chiuso in camera, aveva chiuso la porta a chiave ed era crollato sui guanciali, scoppiando a piangere disperatamente.
Non riusciva a togliersi dalla testa il momento immediatamente precedente la corsa di Elizabeth tra le fiamme: quello sguardo così triste, così disperato, ma anche così rassegnato che gli aveva rivolto… allora la donna non fingeva, era davvero impazzita! Lui si era preso gioco di lei, le aveva sottratto in una maniera insensibile e crudele l’unico scopo che la teneva in vita, dandole il colpo di grazia! Le sue intenzioni non erano cattive, George solo cercava delle risposte che potessero lenire il dolore che gli straziava il petto: la bambina che era morta era anche figlia sua. George, a dispetto di tutto, aveva amato intensamente Elizabeth; ma l’amore non ricambiato e la delusione a volte inducono a compiere gesti estremi…Non voleva farle del male, solo far sì che la donna si assumesse le sue responsabilità per l’accaduto. Invece Elizabeth era morta a causa sua, ed in che maniera orribile! Arsa viva come una strega sul rogo, senza che né lui né Ross potessero tenderle una mano di aiuto.
Dopo aver trascorso una notte insonne, il mattino seguente George aveva inviato Tom Harris in giro a prendere informazioni e così avuto la conferma di ciò che già sospettava: Elizabeth non era sopravvissuta. Era stato per giorni e giorni chiuso in camera, senza mangiare, senza dormire, rifiutando qualsiasi contatto umano; suo zio, preoccupatissimo, aveva mandato a chiamare il dottor Enys, ma George lo aveva mandato via urlando a gran voce che non aveva bisogno di nessun medico perché non era malato.
Il peggio è che Ross aveva lasciato correre, non aveva voluto indagare sul suo ruolo nella vicenda, non gli aveva chiesto né per quale motivo si trovasse a Nampara né cosa avesse detto ad Elizabeth e per quale motivo ella fosse finita tra le fiamme. Non sapeva se si trattava di una decisione definitiva o semplicemente Ross fosse preso da altri pensieri in quel momento; eppure lo tormentava il pensiero che in fondo Poldark aveva avuto ragione, a differenza sua, sulla pazzia di Elizabeth. Il suo antico rivale gli era sempre stato davanti in tutto, a scuola come nella vita: per censo, per brillantezza di spirito, nella considerazione dei più. Il fatto stesso che Ross non cercasse vendetta, comprendendo che in quella vicenda non c’erano vincitori ma soltanto vinti, era un ulteriore segno della sua superiorità; tanta generosità e sensibilità, doti in cui Warleggan era carente, non potevano che fargli ribollire il sangue. Forse avrebbe preferito che Ross lo sfidasse a duello e lo uccidesse, una buona volta, per smettere di soffrire in quel modo.
Qualche giorno dopo lo trovarono in una vasca da bagno colma d’acqua, con i polsi tagliati: George aveva tentato il suicidio. Riuscirono a salvarlo in tempo, ma Enys disse che per la sua incolumità doveva essere ricoverato per qualche tempo in una casa di cura per malati mentali.
Fu così che Demelza, per parlare di Trenwith, dovette scrivere una missiva a Cary Warleggan, che si occupava degli affari del nipote nelle more della sua guarigione. Quella casa si era rivelata maledetta, non erano riusciti a trovare nessun acquirente in quei due anni, così Cary pensò che non era il caso di fare troppo gli schizzinosi; benchè considerasse con estremo snobismo la vedova di Armitage,  una semplice sguattera di paese, quando Demelza, ad anno nuovo, si presentò in banca a Truro e gli offrì il doppio del prezzo che all’epoca era stato versato per acquistarla all’asta, lo zio di George non ci pensò su due volte. Fu così che Julia Carne diventò unica proprietaria della storica dimora dei Poldark. 
Trovandosi a Truro per la stipula, Demelza aveva deciso di alloggiare per una notte in una locanda. Non aveva condotto Julia con sé, affidandola per qualche giorno alle cure della bambinaia a Londra. Il giorno successivo voleva recarsi a Trenwith e dare disposizioni alla servitù in vista del suo trasloco, che intendeva attuare il mese successivo; probabilmente avrebbe dovuto incontrare anche Ross, e questo la metteva in grande agitazione. In ogni caso, pensò la rossa, la decisione di tornare in Cornovaglia era presa e non si poteva mutare idea; c’era però ancora una questione da risolvere: suo padre.
Era andata via dalla Cornovaglia a causa sua, e nonostante lui aveva deciso di tornare. Sentiva che, se voleva che la permanenza sua e di sua figlia a Trenwith fosse serena, vi erano alcuni aspetti da mettere in chiaro con il predicatore Carne.
Così Demelza si recò a Illugan. Superò l’imbarazzo nel sentirsi osservata dai suoi vecchi compaesani mentre scendeva dalla carrozza nel suo lungo ed elegante abito scuro e bussò alla porta della casa di suo padre.
L’uomo, trovandosela inaspettatamente dinanzi, restò a bocca aperta, ma poi dovette cedere alla richiesta della giovane di farla entrare. Vi erano tre dei suoi fratelli più piccoli in casa, e la bambina che Tom Carne aveva generato con la seconda moglie. Quest’ultima prese la piccola in braccio ed invitò anche i tre figliastri a lasciare padre e figlia soli, comprendendo l’importanza del dialogo che stavano per avere. Lanciò uno sguardo poco confortante a Demelza, che tuttavia non si lasciò intimidire. Suo padre era cocciuto ed irragionevole, ma questa volta avrebbe dovuto ascoltarla.

 
  
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