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Autore: JSGilmore    09/10/2021    2 recensioni
Melinda e Daniel sono due fratelli, nati e cresciuti a Mason Street, una via degradata di Brixton. A causa del lavoro a tempo pieno dei genitori hanno dovuto guardarsi le spalle a vicenda da quando sono piccoli e hanno stretto, da subito, un legame molto profondo. Tutto è sempre filato a meraviglia, fino al quattordicesimo compleanno di Melinda, in cui la ragazza scopre di provare un attaccamento morboso per suo fratello maggiore. Un attaccamento che presto si trasformerà in una dolcissima ossessione. Lei non avrebbe dovuto innamorarsi di lui, e lui non avrebbe dovuto amarla a sua volta, ma nonostante i tentativi di allontanarsi alla fine non potranno fare a meno che cedere... E le conseguenze del loro amore non tarderanno ad arrivare....
La storia racconta della vita di due persone, dall'adolescenza fino all'età adulta e di come un amore proibito è in grado di segnare indelebilmente intere esistenze. La storia racconta di un incesto tra fratello e sorella, quindi se siete sensibili al tema vi sconsiglio caldamente la lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Chapter 4: Scintille



Una volta messo piede dentro casa, crollai in un pianto inconsulto. I miei genitori e Daniel erano seduti a tavola e non si mossero. Senza preoccuparmi di salutarli, corsi nella mia stanza e mi nascosi sotto le coperte.

Soffocai un grido denso di ira. Strinsi le mani a pugno finché le unghie non si conficcarono nella carne e diedi cazzotti al cuscino; ad ogni pugno mi sentivo sempre peggio. Eppure, avrei dovuto sentirmi come se Paris Hilton mi avesse appena dato una pacca sulla spalla. Avevo dato il mio primo bacio. Non solo, avevo dato il mio primo bacio ad Aaron Matis. Cosa c’era che non andava in me?

Forse il bacio con Aaron non mi aveva trasmesso niente perché ero rimasta scioccata dal film dell’orrore che mi aveva fatto vedere. Dai, ma chi volevo prendere in giro. La verità era che avevo trovato più emozionante parlare con mio fratello al cellulare anziché baciare Aaron Matis, (che, non guastava ricordarlo alla mia basculante autostima, era il ragazzo più ambito della scuola.)

La porta cigolò. «Posso, Mel?» chiese la voce melodiosa di Daniel, «ti ho portato la cena»

Mi asciugai le lacrime con i palmi e poi con gli avambracci; mi misi seduta sul letto e raccolsi il piatto che Daniel poggiò sul materasso, prima di accomodarsi sul bordo del letto. Pesce e patatine.

«Ti ha fatto qualcosa?», chiese dopo un po’ che masticavo. Nell’oscurità della mia cameretta, e dietro le tendine rosa del mio letto, non riuscivo a decifrare il suo sguardo ma sembrava profondamente turbato.

Sarebbe stato molto più facile spiegare che Aaron Matis mi avesse molestata. «No, non mi ha fatto niente»

«E allora perché ti sei disperata così?»

Non risposi. Daniel, diamine. Non c’era una volta che mi faceva la domanda sbagliata.

«Se è per via di quel DVD, ho già deciso che te lo ricomprerò»

«Davvero?»

«Ma certo», sorrise teneramente, «mi dispiace tantissimo avertelo rotto, sono stato uno stronzo.»

Tipici sensi di colpa da fratello maggiore. Masticai lentamente le patatine e lo analizzai nel disperato tentativo di trovargli qualcosa di brutto: nonostante lo sguardo stravolto da una stanchezza insolita, era più bello dell’ultima volta che lo avevo visto.

«Come va con Madison?» chiesi con la bocca piena di una poltiglia di pesce e patatine.

«Ci siamo lasciati», disse Daniel torvo, «non era il mio tipo»

«Ma era bionda!», la felicità mi invase le gambe, tutto il corpo, con una scossa inaspettata. Sapevo della passione di Daniel per le bionde dai tempi in cui guardavamo insieme Baywatch. «Cosa le hai detto per scaricarla?»

«Che non è lei il problema, sono io, le solite cose così» Accidenti, era stato delicato quanto una tisana al finocchio. Bruce balzò sulle gambe e si appallottolò sul mio grembo come se ci fosse stata qualche possibilità che gli avrei rifilato qualche pezzetto di pesce. «Che brutta persona che sei, Dan.»

Daniel sfoderò un sorriso che si smarrì nella stanza. «Non riesco proprio a trovare quella giusta» Il fatto che la sua affermazione per me fosse rassicurante non mi stupì, anche se non osai chiedergli quale fosse il motivo di tanta difficoltà. Mio fratello, al liceo, era una specie di star e praticamente chiunque desiderava avere un appuntamento con lui. All’università le cose non era cambiate. Non mi aveva mai confidato di non riuscire a trovare quella giusta. I suoi problemi si erano sempre limitati al fatto che non volesse trovare quella giusta.

«Dopo un po’ che le frequento, le ragazze sono tutte così uguali. Sembrano fatte con lo stampino. Al College sono tutte ferocemente individualiste e utilizzano il termine “brechtiano” persino per riferirsi a un hot dog.»

Annuii con ignorante ragguardevolezza. «Immagino, immagino.»

Sospirò e mi analizzò. «Non sono mai riuscito a innamorarmi, nemmeno una volta. Eppure, non sono un tipo insensibile… Certo, non sono neanche un santo! Insomma, non per fare l’edonista della situazione, ma le ragazze mi piacciono e molto.»

«Sì, eh?»

«Be’ come a tutti i maschi della mia età…», stava cercando di convincere me oppure sé stesso? «Certi piaceri non sempre vanno di pari passo con l’innamoramento, perché…sì, insomma…»

«Sì?»

Sebbene la stanza fosse buia, riuscii a intravedere che stava diventando scarlatto. «Dai, Mel, sei troppo piccola per fare certi discorsi» tagliò corto, e un boccone un po’ troppo grande mi impedì di replicare, «Il fatto è che, semplicemente, so con certezza che mi piacciono le ragazze. Però, nello stesso tempo, c’è qualcosa che mi frena.»

Bruce balzò dalle mie gambe all’improvviso e Daniel le fissò con un’impercettibile e fugace occhiata. Quando tornò a guardarmi, abbassò lentamente la testa sul mio grembo. Il mio petto subì un’istantanea decompressione e mi mancò il respiro. La testa pesante di mio fratello, i suoi capelli lisci e il profilo squadrato della sua mascella aderirono al mio ventre con un lieve sussulto. Come se fossero reperti di un prestigiosissimo museo, iniziai ad accarezzargli i capelli e lui sembrò cominciare a rilassarsi. «Con Aaron Matis non è andata molto bene», confessai in un soffio, «mi ha baciata ma non ho…provato niente.»

Daniel rimase in silenzio e il suo respiro era regolare. «Credo di avere qualcosa che non va. Magari sono asessuale.»

«Ma che dici, Mel», mio fratello soffocò una risatina, «non sei asessuale, hai solo quattordici anni e la testa un po’ confusa.»

Feci dei cerchi con i polpastrelli sulla sua cute e i suoi capelli biondicci e setosi reagirono immediatamente al mio tocco. «Su un blog che ho letto qualche giorno fa, c’era scritto che se a quattordici anni non hai ancora avuto un orgasmo è probabile che tu lo possa essere, asessuale»

«Non hai mai avuto un orgasmo?» domandò mio fratello, nel tentativo di mantenere un tono di voce neutrale, ma tradì uno sgomento che mi accoltellò la pancia. Ecco, lo sapevo, che ero una ragazzina strana ed emotivamente disturbata.

«No, mai» sussurrai nel buio.

«Non è la fine del mondo, comunque. L’importante è che qualcosa si sia smosso lì sotto, dove non batte il sole» Cosa si sarebbe dovuto smuovere, lì sotto? Mi prese il panico. Daniel era immobile e cercai di decifrare la sua espressione pensosa. L’unico ragazzo la cui sola vista era riuscita a procurarmi una fitta nello stomaco era mio fratello. Ma non credevo che questo si potesse ritenere, in qualche modo, qualcosa di sessuale. Insomma, era mio fratello.

«Non mi si è mai smosso niente» dichiarai cupa e Daniel sollevò la testa per fissarmi. Poi scoppiò in una risatina.

«Mi prendi in giro» proruppe. Scossi sensibilmente la testa e trattenni un respiro angosciante. Aggrottò la fronte e i suoi occhi verdi si addolcirono. «Per questo motivo sei a disagio con Aaron?» Alzai le spalle, mentre qualcosa iniziò a morirmi dentro. Non ero a disagio con Aaron. Il punto era che non mi piaceva e basta.

Daniel mise di nuovo giù la testa e lasciò che continuassi a giocare cautamente con i suoi capelli. «Comunque sono contento, che sei a disagio con quel tipo» disse in un rigurgito di irriverenza nei miei confronti, «non dovresti frequentarti con i ragazzi, alla tua età.»

Il suo viso, ora rivolto al soffitto, era di una bellezza ruvida e il mio cuore non entrò più nella cassa toracica, per quanto lo sentivo gonfiarsi. I suoi lineamenti erano di una bellezza pazzesca. Iniziai a piangere senza controllo, sentendomi una scema completa. Daniel se ne accorse e sollevò la testa dalle mie gambe. «Mel, che succede?», domandò preoccupato, ma ancora indeciso se fosse il caso di stringermi in un abbraccio come faceva quando ero più piccola.

Avevo la voce rotta dai singhiozzi, ma tentai di spiegarmi. «Mi sento un’idiota!»

«Ancora per quel tizio?», grugnì con rabbia, «Dovresti lasciar perdere, se ti fa stare così» Aveva ragione: dovevo assolutamente lasciar perdere.

«Domani se ti va ti porto con me in un posto» continuò, scrutandomi nel buio, «Per farmi perdonare per quella faccenda del tuo DVD, però dovresti promettermi una cosa.»

«Cosa?»

«Smettila di stare male per chi non ti merita. Non voglio vedere la mia sorellina ridotta così per il primo teppista che passa. Ci siamo intesi?»

Mi tuffai tra le sue braccia, lo stritolai come se fosse stato un peluche e gli strappai una risata affettuosa. Fece passare la mano tra i miei capelli e me li pettinò. I suoi immensi occhi verdi mi fissavano, e io avvertivo il pallido riflesso di quello che sarebbe stato un suo bacio. Bocca contro bocca. Una sensazione talmente deliziosa e lancinante da procurarmi una voragine nel petto. Il tepore vivo di quell’abbraccio. L’impenetrabile mistero del suo sorriso enigmatico e sfuggente. Nell’ambiguità di quella situazione, mi sentivo troppo coinvolta e attratta per evitare di pensare ai nostri corpi vicini, sul letto il cui contatto, certo, sarebbe stato attutito dagli strati dei vestiti ma sarebbe stato comunque potente.

«Che ne dici, Dan, se rimani a dormire qui, per questa volta?»

Lo vidi sbiancare, nonostante il buio ci circondasse. «A dormire?»

«Sì, come qualche tempo fa»

«Cioè, quando avevi otto anni?»

«Eddai», dissi facendogli gli occhi dolci, «solo per questa volta»

«Hai ancora paura dei mostri sotto il letto?» ridacchiò, si alzò di scatto e si diresse verso la porta. «Notte, Mel. Ci vediamo domani!»

Il giorno seguente, nel pomeriggio, Daniel mi portò in biblioteca, il suo luogo sicuro, in cui spesso sostava ore e ore a studiare, specialmente sotto esami. Ci arrivammo in auto, e sedere accanto a mio fratello fu un privilegio: non succedeva da prima della storia del mio compleanno di ritrovarmi in macchina con lui. La bibliotecaria fu sorpresa di vedermi e mi salutò come se mi conoscesse da sempre, spendendo per mio fratello parole di enorme affetto, di cui “ragazzo d’oro con enorme talento” furono solo alcune delle più ricorrenti.

«Posso sapere perché siamo qui, con esattezza?» gli domandai, mentre superavamo i reparti dedicati alla saggistica.

«Fa’ silenzio», mi rimproverò sorridendo, «O prima o poi ci guarderanno male tutti»

«Non vedo molta gente»

Gli scaffali erano stipati di libri di tutti i tipi, forme, colori e condizioni. Quando arrivammo alla sezione narrativa, Daniel sfilò quattro cinque libri e prese posto a terra. Io mi appollaiai di fronte a lui e afferrai i titoli che mi passava: Moby Dick, i Viaggi di Gulliver, L'isola del tesoro, Il Grande Gigante Gentile…

«Daniel!», protestai sfogliandone le pagine, «Ma questi sono libri per…?»

«Fa’ silenzio!» rinnovò l’ordine, portandosi l’indice alle labbra.

Avevo portato con me la cartella di scuola, così estrassi un quaderno e strappai un foglio di carta, presi una penna e lanciai un’occhiata minacciosa a mio fratello. Iniziai a scrivere: Daniel, questi sono libri per bambini! Devo ricordartelo che io non sono più una bambina, ormai?

Gli passai il bigliettino, che lesse con molta attenzione. Poi mi osservò assorto e dopo qualche secondo mi rispose. Mi restituì il bigliettino con un certo moto di orgoglio nello sguardo.

I grandi classici sono libri per tutti, Mel.

Okay d’accordo, però questi libri io già li ho letti…

Bugia. Quando lesse la mia risposta alzò un sopracciglio e bisbigliò: «Davvero?» Annuii con enorme soddisfazione, così tornò a scrivere. Mi passò il bigliettino e la copia di un libro, questa volta chiaramente per adulti.

La morte dei caprioli belli, di Ota Pavel, capolavoro contemporaneo della letteratura ceca. Dovresti leggerlo assolutamente.

Non andai mai oltre la prefazione. Lo sbirciavo da sopra le pagine di carta, mentre era concentrato nelle sue letture. Il modo in cui mordicchiava la matita, incastrandola tra le labbra, mi procurava un formicolio intenso sulla pelle. Poi, d’un tratto, anche lui alzò lo sguardo e quando incontrò i miei occhi sussultò: non si aspettava di essere osservato.

Ci guardammo per secondi eterni, lui aveva gli occhi lucidi e brillanti come la resina. Un pizzicore improvviso all’indice: mi ero appena tagliata con la carta.

Trattenni una smorfia di dolore. Il sangue cominciò a colare caldo dalla fessura microscopica sul polpastrello. Daniel si avvicinò a me d’istinto, e mi prese la mano. «Ti fa male?»

Annuii, anche se l’unica cosa che mi faceva male, a stargli così tanto vicino, era il cuore. «Dovresti metterci un po’ di saliva» suggerì e il mio cuore collassò. I suoi occhi verdi mi imbambolarono: un raggio di sole proveniente da una finestra in alto gli illuminava il volto che, maculato dalla luce, aveva qualcosa di fiero, in mezzo a tutta quella spossatezza da studio. Il desiderio di lui, in quel piccolo brandello di tempo, si condensò dentro di me al punto da farmi agire. Buttai il libro sul pavimento e avvicinai il mio viso al suo.

Lui era immobile, evidentemente confuso e sotto shock.

Avvicinai con uno scatto rapido le mie labbra alle sue e chiusi gli occhi. Mi arrivò una scossa elettrica potentissima. Il contatto durò qualche frazione in meno di un secondo, però percepii un calore violento diffondersi in tutto lo stomaco. Mi staccai da lui con un balzo. Avevo il cuore in gola. Mi resi conto di quello che avevo fatto solo quando cercai gli occhi di Daniel. Non era né arrabbiato, né incredulo. Semplicemente, era curioso. E fu probabilmente questa sua reazione insolita a spaventarmi.

«Perché lo hai fatto?» mi chiese gentilmente, a bassa voce. Mi rifugiai contro il legno duro dello scaffale alle mie spalle, per allontanarmi da lui il più possibile, per poi scoprire che non c’era tutto quello spazio. Ero in fiamme. La vergogna era troppa per continuare a sostenere il suo sguardo. Ero malata, ecco cos’ero, altro che asessuale!

«Per favore, non dire niente», dissi implorante. Daniel tentò di avvicinarsi a me, gattonando tra i libri. «Dai, ti prego, Mel, parliamone», ma io scappai e raggiunsi velocemente l’uscita.

Nei giorni seguenti non feci altro che pensarci. Il ricordo di quel contatto quasi inesistente e del brivido inaspettato che mi aveva provocato veniva piano piano deformato dalla mia mente perversa, tanto che, a un certo punto, credetti che il nostro fosse stato quasi un bacio da film, con le lingue e le mani smaniose sul viso, ma la verità era che a stento ci eravamo sfiorati le labbra.

Nella mia testa coesistevano diverse personalità: credo fosse una sorta di disturbo psichiatrico.

“In fin dei conti, lo hai baciato perché gli vuoi tanto bene, è normale a quattordici anni essere un po’ più esuberante del normale, ti passerà quando andrai al College.”

“Tu sei innamorata persa di quel ragazzo, sorella, lo vuoi un consiglio da amica? Ucciditi, o scappa di casa. Sparendo faresti un favore a tutti, dammi retta.”

Ovviamente evitavo Daniel come se fosse un untore. Concedergli di parlarmi e quindi di ridimensionare il nostro bacio significava ammettere che fosse sbagliato. E io non volevo. Non potevo. Mi sarei sentita ancora più mostruosa di quanto già non fossi.

«Tesoro» mi apostrofò una sera la mamma, mentre Daniel era sul divano a guardare la tivù con papà, «va tutto bene con tuo fratello?» Stavamo sparecchiando e ci guardavamo attentamente da un po’.

«Ma certo» dissi brevemente impilando i piatti sporchi dentro il lavandino.

«Ultimamente, è come se non andaste più tanto d’accordo» disse, indugiando un po’ troppo sulla mia maglietta con il logo dei Beatles, «prima ti ha fatto una domanda e nemmeno gli hai risposto. Che succede? Sei ancora arrabbiata per quello che è successo al tuo compleanno?».

Mia madre, bisognava ammetterlo, era sempre stata una donna molto perspicace e, a differenza di mio padre e mio fratello, sembrava intuire perfettamente cosa stessi passando. Per esempio, sapeva che il doppio buco all’orecchio lo avevo fatto a sua insaputa e che durante la settimana avevo preso una F in letteratura.

«Anche Giselle ha un fratello, e non fanno altro che picchiarsi», dissi. Mia madre sbatté le palpebre per secondi eterni e poi tornò a lavare i piatti, sbuffando.

«Vabbè, vai, ci penso io qui» e, per la prima volta dopo settimane, obbedii. Andai in salone e tenni lo sguardo sul tappeto, sperando di raggiungere le scale il prima possibile, ma Daniel mi afferrò per un braccio. Mentre alzavo gli occhi verso di lui, il cuore mi risalì in gola e attesi, sperando che non avesse l’abilità di leggermi nella mente.

«Mel» disse piano mio fratello, «ho una sorpresa per te» Si diresse verso un pacchetto imballato sul tavolino del salone e lo seguii. Poi scartai il regalo, sempre più convinta che fosse il mio documentario e avevo ragione. E non solo, c’erano anche due biglietti per il concerto dei Keane che si sarebbe tenuto a Londra, sei mesi dopo!

«Sono due biglietti» mi spiegò Daniel, «così possiamo andarci insieme. Che ne dici, ti piace l’idea?»

«Grazie», trattenni le lacrime, «senti, per quella cosa che è successa in biblioteca…»

Lui mi fece un occhiolino. «Tutto a posto, stai tranquilla»

Tornando in camera, rimuginai su quanto mio fratello si stava dimostrando normale nei miei confronti. Anzi, più che normale: era un fratello maggiore adorabile. Non sapevo dire se questo fosse un fattore positivo. Ma di una cosa ero certa: dovevo soffocare ciò che provavo per lui, prima che questo mio malsano sentimento intaccasse il rapporto con mio fratello, il rapporto con i miei genitori, il rapporto con me stessa. Perciò, chiedere ad Aaron Matis un secondo appuntamento sarebbe stata la scelta migliore.



Note

Carissimi Lettori, le cose si sono cominciate ad impicciare tra Daniel e Melinda. Cosa ne pensate del gesto di Mel e della reazione di Dan?
Ci vediamo al prossimo capitolo,
con tantissimo affetto,
JSGilmore.
   
 
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