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Autore: sab2fab4you    10/10/2021    1 recensioni
Abbiamo conosciuto Dan e Hana come i migliori amici di Ben e Lily, ma è arrivato il momento di raccontare la loro storia.
Dan è il classico genio ribelle, si sente incompreso e inadatto. Troppi demoni gli scavano dentro senza lasciargli via d'uscita, è intrappolato da sé stesso. Poi c'è Hana, che diventa uno spiraglio di luce nell'oscurità del ragazzo. Dietro la sua facciata da ragazza con la testa fra le nuvole si nasconde una persona che porta sulle spalle un peso molto più grande di lei. Saranno l'uno la salvezza dell'altro, perchè infondo sono due anime che stavano solo aspettando di incontrarsi.
***
ESTRATTO DAL CAPITOLO SETTE:
"Nessuno dei due disse una parola, continuarono a guardarsi e a capirsi. Erano diversi come il giorno e la notte, questo lo sapevano, eppure c’era qualcosa che li legava ed era proprio per questo che in un modo o nell’altro continuavano ad attrarsi."
***
AAA: NON E' NECESSARIO LEGGERE IL VOLUME 1
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 3
 
La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c'è fuori.”


Dan


C’erano poche cose nella mia vita di cui non avrei potuto fare a meno e una di queste era la musica.


Trovavo incredibile come delle melodie e delle parole messe insieme da uno sconosciuto potessero avere un effetto così potente e diverso su ogni singola persona. Ciò che era più straordinario era che qualsiasi fosse il tuo umore, c’era sempre una canzone che riusciva a mettere per iscritto ciò che pensavi non si potesse esprimere.


La musica ti rendeva libero, leggero.


In questo momento, nel monotono tragitto da casa mia alla scuola, ciò che mi dava sollievo era Migraine dei Twenty One Pilots.




I-I-I've got a migraine
And my pain will range from up down and sideways
Thank God it's Friday
'Cause Fridays will always be better than Sundays
'Cause Sunday's are my suicide days



Presi la rincorsa per poi lasciare cadere lo skate sull’asfalto del marciapiede e saltarci sopra, mi diedi qualche spinta per acquisire un po’ di velocità e iniziare a sfrecciare fra le strade di Bristol. Il vento mattutino mi colpì la faccia come un tagliente coltello ma era piuttosto piacevole, mi svegliò.


Come da copione, era ormai la quinta notte che passavo insonne. Non ci potevo fare nulla, per me era impossibile dormire da solo. Parlavo ogni sera a telefono con mamma ma non era la stessa cosa. Ogni volta che mi stendevo nel mio letto mi ritrovavo a fissare la luce dell’abat-jour posta sul mio comodino. Sì, dormivo con la luce accesa perché il buio che portava la notte era terrificante.


...And sometimes death seems better than the migraine in my head
Am I the only one I know?
Waging my wars behind my face and above my throat
Shadows will scream that I'm alone
But I know we've made it this far, kid



Feci pressione con il piede a terra per poter andare ancora più veloce quando notai una macchia rossa spuntare all’improvviso sul marciapiede.


Quando fui piuttosto vicino capii che quella macchia in realtà era una persona. Hana era a pochi metri di distanza da me.


Ho sempre vissuto qui ma non avevo mai realizzato che casa mia si trovasse sulla parallela di Rupert Street, e quindi vicino al ristorante dei suoi genitori.


Rallentai con lo skate fino a fermarmi e proseguire a piedi. La ragazza indossava un enorme e paffuto giubbotto rosso e sulle spalle portava uno zaino a forma di… maneki neko? Avete presente il gatto giapponese portafortuna? Ebbene, lo zaino aveva la solita forma ovale ma sulla parte superiore e sui lati spuntavano delle orecchie a punta e delle zampette.


Cercai di camminare il più silenziosamente possibile per non farmi notare, non avevo proprio voglia di iniziare male questa giornata. Dopo l’ultima conversazione che abbiamo avuto in mensa avevo cercato in tutti i modi di ignorarla.


Hana non si muoveva normalmente ma saltellava, un passo alla volta notai che cercava di fare centro nel quadrato di cemento che decorava la strada, stando bene attenta a non colpirne le linee.
Questa cosa andò avanti per circa dieci minuti e non so neanche io il motivo per cui sia rimasto dietro di lei a guardarla piuttosto che attraversare e andare dritto a scuola.


A un certo punto la morettina fece un salto molto più lungo e finì con l’atterrare in una pozzanghera con tutti e due piedi. Non le importò nulla del fatto che l’acqua sporca le fosse finita sul pantalone perché dopo due secondi saltò di nuovo. Questa volta però perse l’equilibrio e per poco non cadde.


Si fermò, così feci anch’io, e la sentii ridacchiare. Poi riprese a camminare, stavolta senza salti.


A cosa avevo appena assistito?




**




<< Andiamo, Joe! Passa quella palla! >> urlai al mio compagno di squadra.


Il ragazzo fece uno scatto per poi eseguire il mio ordine. Acchiappai la sfera, tastai la superficie ruvida della palla da basket per poi farla rimbalzare a terra e lanciarla dritta nel canestro. Io e Joe eravamo sotto di due punti contro Ben e Lily ma con il tiro che avevo appena centrato ormai avevamo raggiunto la parità.


<< Tempo scaduto, la partita è finita! >> urlò Angie che era seduta sulla gradinata posta di fronte al campetto.


<< Dai, cazzo! >> esultò Joseph.


Mi limitai ad un semplice e abbozzato sorriso, ero stanco e avrei voluto solo dormire, l’unico motivo per cui avevo accettato di uscire con i miei amici questa sera era perché così avrei esaurito le mie ultime energie rimaste e ritornare a casa con la speranza di crollare di botto sul divano.


<< Sto morendo di fame >> mi lamentai quando sentii il mio stomaco brontolare.


<< Non ti preoccupare, la nostra cena sta arrivando >> mi tranquillizzò Lily anche se non capii cosa intendesse.


Presi posto su uno dei tanti gradoni per poter riprendere fiato. Infilai la mano nel mio zaino e fra una bomboletta di vernice a spray e l’altra recuperai il mio cellulare, cercai di coprire il rumore metallico degli oggetti tossendo dato che non volevo che gli altri scoprissero cosa avevo in mente di fare più tardi.






Iniziai a perdere tempo su Instagram fino a quando non mi comparve una foto che aveva postato Lily qualche ora prima. L’immagine ritraeva il vassoio della mensa scolastica e nell’angolino c’era una scritta che diceva “quanto può fare schifo da 1 a 10?” e taggato vicino un profilo a me sconosciuto.


Cliccai sopra il nome di “lovelydaisy” e con mia grande sorpresa apparve l’account di Hana. L’ultima foto che aveva postato era di cinque minuti fa: lei di profilo appoggiata sul bancone del ristorante. La didascalia diceva “aspettando di poter prendere le consegne”.


Nella foto aveva le guance arrossate e gli occhi lucidi, probabilmente dovuti dal freddo. Sembrava un gattino che era rimasto chiuso fuori la porta per sbaglio. Era… dolce.


Ripensai a questa mattina e a come Hana passeggiava spensieratamente, guardarla fare la stramba mi aveva distratto dai miei soliti pensieri cupi.


<< Sei più taciturno del solito, va tutto bene? >> mi domandò Ben. Bloccai il telefono di colpo con il timore che qualcuno avesse visto che stavo spiando il profilo di Hana.


<< Non ti preoccupare >> risposi cercando di risultare convincente.


Il mio migliore amico mi guardò dritto negli occhi, sapeva che c’era qualcosa che non andava. Ero pessimo a mentire ma non volevo farlo allarmare perché con quello che gli avevo fatto passare si meritava un po’ di serenità, di stare lontano dai miei problemi.


<< Qualcuno ha ordinato coreano? >> pronunciò una voce melodiosa e a me familiare.


<< Noi! >> urlò contenta Lily.


Hana si era fermata ai piedi della gradinata con la sua bicicletta. Sorridente, ci raggiunse con in mano delle buste contenenti quello che immaginavo fosse la nostra cena, ora capivo cosa voleva dire Lily.


<< Ahh bambolina, sai che il rosso ti fa risaltare le labbra? >> pronunciò Joseph facendo riferimento al giubbotto della ragazza.


La osservai, Joe aveva fatto un commento inappropriato ma aveva ragione, la giacca riprendeva il colore roseo delle labbra facendole spiccare e rendendo netto il contrasto con la sua pelle chiara.


<< Ugh, ma la vuoi finire? >> disse Angie infastidita.


<< Grazie… >> rispose la povera vittima di Joseph, indugiò su di me per qualche secondo per poi distogliere lo sguardo.


<< Quanto ti devo? >> chiese Ben.


La ragazza si strinse nel suo giubbotto cercando di prendere calore


<< Sono trenta sterline senza contare la consegna, è gratis per voi >>.


Guardai le nuvolette di condensa che cacciava mentre parlava.


Fui molto veloce, presi la prima banconota che trovai nel portafogli per poi inseguirla mentre scendeva le scale.


<< Aspetta, tieni >> le porsi i soldi ma lei invece di prenderli mi guardò confusa.


<< La consegna è gratis >> ribadì lei.


<< Non m’importa, prendili >> incalzai abbastanza spazientito.


<< Ma sono dieci sterline, è troppo >> ribatté.


Al che presi la sua mano, tra l’altro gelida, e le misi il contante sul palmo.


Cercai di non guardarla negli occhi dato che avevo constatato che mi mettevano in soggezione, << non voglio sentire altro >> e le diedi le spalle.


**


Erano circa le undici di sera e mi stavo districando fra i copiosi vicoletti di Stokes Croft per non attirare l’attenzione. L’avevo fatto e ora non potevo più tornare indietro anche se ad ogni falcata mi saliva il senso di colpa.


Avevo promesso alla mamma che mi sarei tenuto lontano dai guai eppure, preso dalla rabbia, avevo appena imbrattato le vetrine del negozio di parrucchieri della signora Mulligan.


C’era un motivo dietro questo mio gesto folle: mia madre ci lavorava in quel negozio, poi quando la Mulligan ha scoperto che il marito faceva il cretino con lei ha ben pensato di licenziarla. Se non fosse stato per quella vecchia stronza ora mia mamma non vivrebbe nel Gloucestershire ma starebbe con me, com’è sempre stato.


Svoltai l’angolo e mi ritrovai in compagnia di una persona che nella giornata di oggi non aveva fatto altro che comparirmi davanti agli occhi.


Hana era appena uscita da una grossa porta di ferro con una busta della spazzatura più grande di lei. Indossava un grembiule attorno alla vita per cui immaginai che ora stesse lavorando e che quella porta non era altro che il retro del ristorante.


Trascinò l’immondizia vicino ai bidoni per poi fermarsi e tamponare gli occhi con le maniche della maglia, stava piangendo.


<< Va tutto bene? >> mi palesai dalla penombra per raggiungerla.


<< Oh ciao.. va tutto alla grande, a te? >> rispose con la voce rotta.


Rimasi in silenzio, non sapevo cosa fare ed ero molto a disagio. Mi resi conto che la ragazza indossava una semplice maglietta a manica lunga, perfetta per l’interno del locale riscaldato ma assolutamente leggera per i gradi che continuavano a scendere qua fuori.


Mi sfilai la giacca e la poggiai sulle sue spalle, << P-perché piangi? >>.


Hana tirò su col naso prima di scoppiare in lacrime, << Mi sono anticipata tutte le consegne di questa sera e ho dato anche una mano in sala nonostante non dovessi lavorare. Ho s-sbagliato solo un ordine e mia madre mi ha sgridato c-come se avessi fatto fallire il ristorante >>.


<< E guarda qua >> si puntò il ginocchio facendomi notare che il pantalone si fosse rotto, << sono pure caduta dalla bicicletta e si è bucato il jeans! >> non smetteva di singhiozzare.


Io ero preso da un attacco di mutismo improvviso, << come.. >> non riuscii neanche a finire la frase.


<< Se non ti dispiace piangerò per altri due minuti, poi ritorno dentro >> sentenziò come se piangere in quel modo fosse normale.


Dopodiché, feci qualcosa di totalmente impulsivo. Un po’ perché mi dispiaceva vederla in quello stato e un po’ perché i suoi occhioni limpidi mi stavano scavando nel profondo.


<< Hana, credo che accetterò il lavoro >>.




**


Ciao!!


Volevo solo informarvi che cercherò di aggiornare
la storia sempre nel weekend dato che in settimana
sono impegnata con l’università!


Un bacio









 
   
 
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