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Autore: Antys    12/10/2021    2 recensioni
«Voglio davvero crescere dei lupacchiotti con te, Der».
[…]
«Ha i tuoi occhi» il mutaforma lo guardò interrogativo, non sapendo minimamente a cosa si riferisse e Stiles dovette prendere un profondo respiro. «Di quando ti ho incontrato la prima volta» non li aveva mai dimenticati, nei giorni, nei mesi e negli anni, li aveva sempre avuti impressi nella memoria, indelebili, come se nulla avesse potuto cancellarli. Con il trascorrere del tempo quegli occhi pieni di struggimento e profondo senso di abbandono si erano intensificati, insieme al continuo dolore che gli veniva costantemente iniettato direttamente nelle vene. Non c’era stata quasi più via di salvezza. Di redenzione. Nella loro vita insieme, nella loro lunga, disastrosa ed incantevole storia d’amore, Stiles pensava di avergliela finalmente fornita.
Fu il turno di Derek di precipitare in una bolla priva di suoni, ma le motivazioni che avevano spinto la foga irrefrenabile di Stiles gli furono immediatamente lampanti. «Non puoi salvare tutti».
[…]
«Stai attento a quello che dici, ragazzino» il buio nello sguardo del lupo completo si palesò in tutta la sua ampiezza. «Sei sempre stato subdolo» proferì con voce incolore, l’oscurità che catturava tutta la luce. «Ma mai scorrettamente crudele».
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Derek/Stiles, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2° Capitolo

 

«Dove mi stai portando?» Derek l’aveva prelevato dal palazzo appartenente all’FBI, trascinandoselo dietro senza dirgli niente, dentro la sua utilitaria super mega lussuosa ‒ le tanto beneamate auto sportive messe di lato ‒, acquistata alcuni mesi prima, proiettato verso il passo definitivo che li avrebbe visti protagonisti, si sperava entro il nuovo anno. A poco a poco si stavano muovendo in quella direzione, procedendo con discrezione e meticolosità, uno stravolgimento alla volta.

Derek non fiatò, non che la cosa lo sorprendesse, e lo invitò a scendere dall’automobile familiare, attendendo di vedere una sua reazione.

Stiles non capiva cosa si aspettasse da lui. «Cos’è, un altro dei tuoi investimenti?» guardò la costruzione maestosa con un punto chiaramente interrogativo sul viso, dall’angolazione in cui Derek l’aveva sistemato riusciva ad intravedere il prato che si estendeva fino all’ingresso principale falciato e perfettamente curato, l’edificio che si disponeva su due piani, il garage a due posti e il vialetto acciottolato privato. Forse intravvide perfino una dépendance sullo sfondo sull’enorme giardino che si stendeva dietro la casa, con molta fantasia.

«Forse» il mannaro era strettamente sulle spine, aspetto su cui non si era mai imbattuto prima di allora. «Se lo vorrai anche tu».

L’umano credeva di essersi perso un pezzo essenziale da qualche parte. «Da quando hai bisogno del mio giudizio per amministrare il tuo patrimonio?».

Derek ridacchiò con leggerezza e accadeva decisamente più di frequente da quando erano una coppia. «Da quando voglio investirlo per noi».

Noi, che suono poetico e definitivo. «Vuoi comprare questa casa per noi?».

«Acquisto beni immobiliari in continuazione, perché non dovrei farlo per noi?» Derek si era quasi specializzato in quello nel corso degli anni, era risultato davvero bravo nell’amministrare e trovare buoni affari, comprare appartamenti di ogni sorta ed affittarli, investire l’eredità che aveva ricevuto e farla crescere maggiormente per l’occhio acuto che aveva. Ormai il suo conto in banca era decisamente triplicato, se non quadruplicato.

«Quello è perché lo hai fatto diventare il tuo lavoro» con capo se stesso, un avvocato e un commercialista, con tanta infinita burocrazia. «E ricordo benissimo che anche il loft in cui viviamo adesso è di tua proprietà».

Il lupo completo scosse il capo, curvando le labbra liete e depositandogli uno schiocco su una tempia. «Il loft è per scapoli, non è mai stata la sistemazione definitiva».

A Stiles si aprì un mondo intero, uno incredibilmente rumoroso e ricco di ogni esperienza possibile. «E vuoi che sia questa quella definitiva?».

«Solo se sarai d’accordo» a lui e Stiles non erano mai serviti grandi spazi né privacy di alcun tipo, Derek l’aveva comprato dopo che il figlio dello sceriffo ebbe ottenuto il trasferimento per Washington senza informarlo davvero della cosa ‒ non aveva apprezzato, si era anche imbronciato e protestato, ma Derek non vedeva alcuna ragione per cui avrebbero dovuto vivere in affitto se comprava immobili in ogni dove ‒, sapendo che era soltanto qualcosa di provvisorio. Un monolocale non si sposava per nulla con l’idea che avevano di ampliare la famiglia quando Stiles avrebbe guadagnato un po’ di stabilita lavorativa. «È esattamente dove la volevi tu, nel quartiere di Forest Hills con il giardino che si affaccia su Rock Creek Park» Stiles aveva quell’idea romantica che a dei lupi servisse quanto più verde possibile dove perdersi e manifestare la loro vera natura, soprattutto nelle lunghe notti di luna piena. Un luogo dove essere se stessi senza ripercussioni possibili in quella grande capitale, un posto perfetto dove dei lupacchiotti potessero vivere in serenità. Derek l’aveva decisamente appoggiata.

«Oh, te la sei studiata per bene» la voce di Stiles suonava lieta e con una leggera nota di malizia, dedicandogli un sogghigno sopraffino. «Da quanto tempo la tenevi d’occhio?».

«Un paio d’anni» poterglielo finalmente comunicare dava tutto un altro corpo alla sua ricerca, al traguardo quasi raggiunto.

«Un paio d’anni?» l’umano lo ripeté incredulo, fissandolo con occhi giganti e sbigottivi. «Ma noi viviamo qui da due anni».

Derek si chinò a depositargli un bacio d’amore sulla bocca. «Stavo aspettando finissero di costruirla» aveva continuato di tanto in tanto a visitare il cantiere in quel lasso di tempo, contattato il proprietario, consultato la planimetria ed i progetti di costruzione, aveva abbozzato una prima offerta e lasciato la prima caparra l’anno precedente, con il timore che potessero portagliela via. «Ha uno studio che possiamo condividere e quattro camere da letto; una per noi, due per i marmocchi e una per gli ospiti, come lo sceriffo».

Quasi si arricciarono le dita dei piedi di Stiles quando sentì che Derek avesse messo sul conto due camere per dei bambini che ancora dovevano arrivare, nel loro bell’immaginario, non precludendo nessuna opzione. «Oh, hai pensato al vecchio Stilinski» ne era vivamente deliziato. «Oppure per Cora».

«Sì, Cora» acconsentì il mutaforma, accarezzandogli con il retro di un dito una guancia. «O chiunque altro».

Scott, Malia, Lydia, Liam e così a continuare. «Immagino che la dépendance abbia lo stesso scopo».

«Gli spazi non ci mancano» era la casa perfetta, Derek ne era sicuro.

«Sei proprio un uomo previdente, hai pensato a tutto» Stiles stentava quasi a crederci, rendersi conto che il suo lupo brontolone e solitario volesse circondarsi di rumori e figure di ogni tipo, senza escludere nulla. «Anche a come divideremo la spesa?».

«Non divideremo la spesa» per Derek era intransigente. «È un regalo per te, per noi».

Stiles poteva quasi sciogliersi a quelle parole talmente ricche di significato da stordirlo. «Ma voglio contribuire alla spesa. Non una metà uguale, ma quantomeno in proporzione» non poteva per niente competere con il portafoglio quasi illimitato del mannaro, non ci provava nemmeno né Derek glielo aveva mai fatto pesare in alcun modo. Tutto il contrario.

«Possiamo dividere le bollette, se ci tieni tanto» il licantropo non vedeva minimamente il problema, non gli era di alcun intralcio essere di sostentamento per Stiles, ma sapeva che su certi importi l’umano fosse irremovibile; fin troppo spesso gli aveva categoricamente vietato di aiutarlo finanziariamente.

«Non è la stessa cosa» le dividevano già, l’avevano sempre fatto da quando la decisione di vivere sotto il medesimo tetto era stata presa. «Questa dovrebbe essere la casa in cui vivremo per il resto della nostra vita, un bene comune, dovremmo contribuire entrambi».

Derek gli accerchiò il capo con entrambe le mani, immergendo le dita nei capelli sbarazzini ed accarezzandogli con i pollici gli zigomi, perdendosi in quel mare del nettare degli dei. «Non posso semplicemente regalarci una casa? Una in cui vivremo insieme alla famiglia numerosa che vogliamo costruire. Una promessa di quello che diverremo» Derek e Stiles l’avevano immaginata a lungo, nell’appartamento che quindici anni prima Laura aveva comprato per iniziare una nuova vita insieme a lui, una speranza di riuscita ed umano e lupo stavano tentando di mettercela tutta, di realizzare quel sogno anche per lei che non l’avrebbe mai concretizzarlo. «Questo è quello che desidero per noi».

Le gambe del figlio dello sceriffo quasi cedettero e se Derek non fosse stato lì, stabile come una roccia su un letto di fiume straripante, sarebbe stramazzato a terra in modo indecoroso. Tutti quegli anni insieme a lui e persisteva a rimanerne abbagliato. «Come posso dire di no ad una proposta così ben confezionata?».

La creatura della notte lo guardò con conoscenza, dalla posizione di privilegio in cui si trovava. «Non dovresti mai dirmi di no».

Stiles si diede una leggera spinta sulle punte dei piedi, catturando con furberia le labbra dell’uomo che nel giro di qualche mese avrebbe sposato, sogghignando da volpe suprema nella morsa. «Sapevo che un giorno mi avresti venduto qualcosa».

 

«Come ti è saltato in mente?» Derek inveì contro di lui con una rabbia che non incontrava da anni, fissandolo con giudizio negativo al centro del soggiorno di quella villa che il lupo aveva acquistato per loro.

«Mi dispiace, so di aver sbagliato, so di essere stato impulsivo e di non averci ragionato sopra» il ritorno a casa era stato terribile. Derek l’aveva condotto in malo modo fuori dalla Wolfgang Childhood il più in fretta possibile e il viaggio in auto era stato di un silenzio glaciale ed assordante, Stiles riusciva a sentire quanto Derek fosse adirato e sfiduciato nei suoi riguardi, che non ci fosse alcun verso che gli passasse in fretta. «Avrei dovuto discuterne con te prima».

«Mi fa piacere tu ne sia consapevole, ma non serve a niente» il sarcasmo puntente del consorte lo schiaffeggiò e Stiles sapeva di meritarselo. «Lo sai che cosa significa? Non puoi andare in giro ad illudere le persone, soprattutto dei bambini».

«Non voglio illudere nessuno» era qualcosa che proprio non gli passava per l’anticamera del cervello.

«Stiles» lo ammonì con un ringhio fermo, inchiodandolo al pavimento. «Quello che hai fatto, io… non so nemmeno come classificarlo».

Dannazione, non aveva mai visto Derek così deluso da lui. «Mi dispiace, davvero, ma quando li ho visti così soli, così distrutti e con la paura di essere separati, non sono riuscito a controllarmi».

«Non è una giustificazione» il mannaro proprio non ci stava, non gliel’avrebbe fatta passare liscia, come se nulla fosse. «Non sono bambini comuni questi, hanno un lutto alle spalle che non so nemmeno se supereranno mai» era la propria personale esperienza a parlare? «Probabilmente verranno continuamente rifiutati dalle famiglie a cui vengono presentati e tu te ne sei uscito fuori con questa bella fiaba, una che non esiste» Stiles ne aveva sempre combinate di tutti i colori, un disastro dopo l’altro, ma non aveva mai spezzato il cuore a nessuno.

«Non è una fiaba» dissentì l’umano, prendendo il controllo e non volendo rimanere a subire il rimprovero, se pur ragionevole, di Derek. «Voglio farlo davvero».

La creatura della notte rimase in totale silenzio, completamente frastornato da quella dichiarazione di pazzia. «Nel tuo grande progetto sono incluso anch’io?» cominciava seriamente a dubitarne.

«Certo che sì» l’ovvietà nel suo tono vocale gli arrivò dritto e chiaro.

«Tre bambini, Stiles!» la voce si alzò, rimbombando nella grande villa, con incredulità e furibonda. «Tre lupi mannari e tu li vuoi tutti in una volta dentro questa casa, senza nemmeno sapere se sapremmo gestirne anche soltanto uno?» Stiles era sempre stato folle, ma non aveva mai capito fino a che punto.

«Abbiamo gestito adolescenti per secoli» Stiles se lo ricorda bene, come se fosse soltanto il giorno prima, il costante equilibrio fallace che tentavano di tenere stabile. «Ormoni, frenesia, cambiamenti d’umore, rabbia, vendetta, suscettibilità. Abbiamo affrontato di tutto».

«Tu non sai com’è» lo rabbonì il licantropo, presentandogli un aspetto che non aveva mai incontrato, che disconosceva completamente. «Non sai come reagisce un bambino nel momento in cui la sua natura mannara si manifesta, si risveglia; cosa comporta, come ci si relaziona, come istruirlo e vigilare costantemente. Non lo so nemmeno io, non sono mai stato d’altra parte».

«Questo… questo l’avevamo messo in conto, non ne siamo spaventati» Stiles era sicuro di non esserlo e lo era anche per Derek, ne avevano parlato talmente tanto negli anni passati, che non poteva credere che lo stesse tirando fuori proprio in quel momento, presentandoglielo come un problema. «E non accadrà in contemporanea».

Derek scosse la testa in diniego, un unico singolo movimento. «Erick ha nove anni, ha l’età giusta e La-… l’altra bambina ne ha già sette, è troppo sottile come distacco» la voce ebbe un sussulto quando provò a dare fiato al nome della pargoletta di mezzo, incrinata e con quel bagliore leggero di turbamento che Stiles percepì; il suo cuore si strinse in una stretta di empatia. «Devi esserne cosciente».

«Pensavo… pensavo fossimo pronti» Stiles non poteva nascondere la testa sotto la sabbia, sapeva che Derek avesse la ragione dalla sua parte, tutta, ma avrebbe dovuto ignorare il resto? «Non vuoi più farlo?».

Le crepe che si formarono nell’organo cardiaco dell’umano Derek le sentì ad una ad una. «Certo che voglio» creare, allargare la famiglia con Stiles era tutto quello che desiderava. «Ma con un bambino alla volta, non tre insieme».

Stiles rimase in silenzio, galleggiando nell’aria, perché quello che provava non riusciva nemmeno a quantificarlo. «Ha i tuoi occhi» il mutaforma lo guardò interrogativo, non sapendo minimamente a cosa si riferisse e Stiles dovette prendere un profondo respiro. «Erick ha i tuoi occhi, di quando ti ho incontrato la prima volta» non li aveva mai dimenticati, nei giorni, nei mesi e negli anni, Stiles li aveva sempre avuti impressi nella memoria, indelebili, come se nulla avesse potuto cancellarli e così era stato. Con il trascorrere del tempo quegli occhi pieni di struggimento e profondo senso di abbandono si erano intensificati, il deserto era cresciuto prosciugando quella vaga illusione di speranza nel trovare finalmente conforto nella compagnia, insieme al continuo dolore che gli veniva costantemente iniettato direttamente nelle vene, perdita dopo perdita, tradimento dopo tradimento, fallimento dopo fallimento, finché di lui non era rimasto quasi più nulla, nemmeno la profonda rabbia tormentata, distruttiva e lacerante che l’aveva sempre caratterizzato. Aveva provato a rinascere innumerevoli volte e ognuna di esse gli era stata strappata da mani perfide, annientandolo, sottraendogli ogni cosa e non c’era stata quasi più via di salvezza. Di redenzione. Nella loro vita insieme, nella loro lunga, disastrosa ed incantevole storia d’amore, Stiles pensava di avergliela finalmente fornita. Alla visa di Erick non era riuscito a resistere, a contenersi, il fervore e la necessità erano stati troppo forti, essenziali e scalpitanti, non vi era stata alcuna ragione e sensatezza a placarlo.

Fu il turno di Derek di precipitare in una bolla priva di suoni, completamente asciutto di parole, ma le motivazioni che avevano spinto la foga irrefrenabile di Stiles gli furono immediatamente lampanti. «Non puoi salvare tutti».

Che spietata realtà, nella sua vita era costantemente stato circondato da persone e situazioni senza alcuna possibilità di incolumità e risoluzione; l’aveva incontrata nel suo privato, nella crescita e nel suo stesso spietato lavoro. «No» ammise, perché non era una verità che poteva essere negata. «Ma potremmo salvare loro» Derek non demorse e Stiles sapeva di stare per commettere un altro passo falso. «Come sarebbe stata la tua vita se Laura non avesse potuto prenderti con sé?» uno terrificante, Derek si mostrò piccato immediatamente. «Se non fosse stata maggiorenne? Se non le avessero riconosciuto le competenze e qualità per crescerti? Se non si fosse sentita in grado?» Laura l’aveva portato via dalla desolazione e distruzione subito dopo che avevano perduto ogni cosa; aveva dovuto farsi forza, stringere i denti, ereditare quegli occhi rossi del comando comparsele troppo anticipatamente, prendere in mano la situazione, scrollarsi la disperazione ed il cordoglio che l’affliggeva per divenire il punto di riferimento e di appoggio per un Derek allora quindicenne, con la morte nel cuore e un senso di colpa estremo che non le avrebbe mai confidato, di cui lei non sarebbe mai entrata a conoscenza, eppure l’aveva percepito interamente. «Se tutto quello che era in suo potere non fosse valso a niente e vi avessero separato? Anche soltanto per un anno. Sei stato così fortunato sotto questo punto di vista, Derek e non te ne rendi neanche conto».

«Stai attento a quello che dici, ragazzino» il buio nello sguardo del lupo completo si palesò in tutta la sua ampiezza. «Sei sempre stato subdolo» proferì con voce incolore, l’oscurità che catturava tutta la luce. «Ma mai scorrettamente crudele».

Stiles si pentì immediatamente della sua aringa infame, del profondo male che gli aveva appena scaturito, della ferita mai guarita su cui aveva abominevolmente infierito; avrebbe voluto prostrarsi ai suoi piedi ed implorarlo di perdonarlo, ma Derek lo freddò sul posto, trapassandolo di netto, senza dargli alcuna occasione di ritrattare e scusarsi. «Credi di saperne sempre più degli altri, Stiles, ma così non è».

 

Successe tre settimane dopo il loro primo incontro non tanto casuale, Derek in un silenzio perentorio passò dal campus in attesa che finisse le lezioni di quel giorno e cominciò a camminare senza meta, o quanto meno era quello che Stiles credette. Non gli disse nulla, non proferì parola o mormorii di indicazioni, camminò e basta per quasi mezzora e l’umano rispettò il suo stato d’animo, zitto nel seguirlo ovunque volesse andare.

Lo condusse dentro un edificio in ottime condizioni e in una posizione perfetta, la materia di ottima fattura scintillava all’interno dell’atrio principale, fin dentro l’ascensore e la trovò nel pianerottolo dove si fermarono, davanti a un campanello che riportava una singola parola: Hale; Stiles ebbe la conferma ultima.

Il lupo fece scattare la serratura, disinserì l’allarme e rimase fermo come uno stoccafisso sull’uscio, senza minimamente attraversarlo e non accadde altro.

Stiles si chiese sinceramente perché fossero lì. «Vuoi che provi ad entrare io per primo?» ma era giusto farlo? Togliergli quell’esperienza?

Derek posò per la prima volta in quella giornata gli occhi su di lui, come se non l’avesse mai individuato in vita sua e prendesse coscienza solo in quel momento. Ma l’impressione fu un frammento di secondo e poi fu inghiottita via, perché Derek sapeva perfettamente chi fosse il ragazzo che si trovava dinnanzi.

Tutto quello che fece in risposta fu un impercettibile cenno di consenso con il capo.

Okay, il figlio dello sceriffo si armò di coraggio e oltrepassò la porta aperta.

Non era per niente come il loft che Derek teneva a Beacon Hills; intanto non era un monolocale, ma un bilocale, le mura erano visibili da una stanza all’altra, l’enorme open space che racchiudeva la cucina moderna e il soggiorno, con tanto di tavola da pranzo, e riusciva ad individuare un piccolo corridoio che si biforcava in due, conducendo a quelle che immaginava fossero le camere dei due fratelli.

C’era luce dappertutto, i colori brillavano ed era accogliente, gridava benvenuto a casa e Stiles si rese conto quanto quella figura femminile che non aveva mai conosciuto avesse fatto in suo potere per tirare il meglio di entrambi. La stretta al petto si manifestò quando intravide le poche stoviglie mattutine lavate al lato del lavabo con quasi più di tre anni di polvere, quelle che suppose Derek avesse usato prima di uscire dall’appartamento e sistemato velocemente. Gli oggetti di uso comune e quotidiano, per quanto fossero in totale ordine, erano esposti, in bella vista, come se ci si aspettasse che da un momento all’altro sarebbero stati usati. Ambedue avrebbero dovuto allontanarsi per qualche giorno, ma nessuno di loro fece più ritorno.

Ma Derek infine era davvero ritornato e la casa lo richiamava a sé, chiedendogli bisbigliando dove fosse finita la loro padroncina. Stiles capiva perché entrarvi gli costasse dolore fisico. «Un tubo dell’acqua perde».

«Cosa?» Derek saltò in aria e si risvegliò tutto insieme, precipitandosi all’interno dell’appartamento allarmato e in soccorso, trovandolo perfetto. Trovò anche un ghignetto vittorioso e machiavellico sulle labbra viziose del peggior essere con cui avesse avuto a che fare. «Stiles» non aveva nemmeno supposto di dover usare i suoi super sensi per controllare l’effettiva esistenza della perdita o immaginato che quel vile potesse mentire in quel momento, con gli anni aveva temprato la sua capacità di fregare le creature dotate di super udito, vere ed autentiche macchine della verità.

Il ringhio basso tra i denti l’umano lo percepì tutto, insieme alla voglia matta che aveva di divorarlo vivo. Stiles semplicemente gli regalò il suo sorriso migliore di manipolatore. «Bentornato, Sourwolf».

La luminosità all’interno del soggiorno esplose tutta in una volta, la piega sulla bocca da volpe doppiogiochista si distese in una piena di affetto e calore, una dedicata esclusivamente a suo uso e consumo; Derek fu certo che non se la sarebbe mai tolto dalla testa.

In quell’istante si rese conto che non aveva più motivo di fuggire, che era all’interno del luogo da cui stava scappando; si costrinse a guardarlo davvero, scrutare ogni centimetro della casa in cui aveva vissuto per sei anni, trovandola esattamente e perfettamente come l’aveva abbandonata quando era corso alla ricerca della sorella di cui aveva perso le tracce. La polvere dilagava ovunque, gli odori erano quasi del tutto spariti, ma era ancora casa sua.

Stiles si trovava esattamente davanti l’ingresso del corridoio, rimanendo in bilico e quasi aspettandolo, non si sarebbe mosso di un passo se non gli avesse dato un ulteriore consenso.

Derek lo affiancò e proseguì al suo interno, vi erano tre porte, una chiusa che conteneva il bagno principale, mentre le restanti due erano una di fronte all’altra, lasciate aperte a mostrare cosa vi era conservato. Tutti gli averi erano al loro posto, perfettamente sistemati, le camere da letto che parlavano da sé, indicando perfettamente a chi appartenesse quale; il mannaro non degnò di alcuna occhiata la propria e si concentrò su quella che gli si parava dinnanzi, il respiro trattenuto, le spalle rigide e le pupille degli occhi ridotte a punte di spilli. Poggiò una mano sul telaio della porta e rimase impietrito, il nodo in fondo alla gola che non voleva più togliere le valigie.

Stiles sentiva tutta la sofferenza che il mutaforma stava esprimendo nella totalità del suo silenzio, il dolore che lo attraversava completamente, quasi fosse l’ossigeno che lo teneva in vita e l’umano riusciva a capirlo perfettamente.

Un piede scivolò oltre il corridoio, insidiandosi dentro quelle mura che contenevano il ricordo di una persona che non esisteva più, tutta l’essenza che era evaporata via, e si piantò proprio al centro, i raggi dell’astro del cielo che annunciavano un tramonto imminente che penetravano dalla finestra, illuminando l’enorme libreria e il letto ad una piazza e mezza. C’erano quadri appesi nelle grandi pareti, riproduzioni di opere famose, ma non vi era alcuna foto, come non ve n’erano per tutto l’appartamento, ma ne individuò una soltanto sul comodino, protetta sotto una cornice d’argento dal taglio moderno; la curiosità di scoprire cosa vi fosse ritratto era incontenibile, ma tentò di scacciarla via.

«Ho sofferto di attacchi di panico, dopo la morte di mia madre» proferì Stiles alla figura che statuava sull’uscio, impossibilitato ad entrare. «Nemmeno io riuscivo ad entrare nella sua camera da letto, sapevo che non l’avrei trovata» non vi soggiornava più dall’anno precedente. «In realtà, era già andata via da tempo» la malattia l’aveva ghermita divorandola, lasciando di lei solo affanni, terrore e un’avversione verso la propria stessa progenie, indotta da allucinazioni che le davano il tormento. «Non so cosa mi aspettassi, ero consapevole che non sarebbe mai tornata».

«Sempre troppo intelligente» il mannaro non lo disse come un’accusa, ma come un dato di fatto.

Stiles si stupì a guardarlo, probabilmente perché Derek non l’aveva mai esternato a voce, ma l’avesse sempre dato per scontato. In effetti, era stato così. «A volte è una condanna».

Derek non proferì parole aggiunte, forse perché stavano pensando alla stessa identica cosa. «Ho continuato a soffrine per anni, nel cuore della notte, poi ho imparato a gestirli e sono spariti, finché…» qualcosa di più forte di lui era tornando a maledirlo.

All’improvviso era davanti al lupo completo, le mani che protendevano verso di lui e che cercavano quelle dell’altro, afferrandole e conducendolo verso l’interno della camera; non si oppose minimamente. Aveva notato spesso come Derek si lasciasse toccare e guidare da lui, un fattore del tutto estraneo per qualcuno che detestava il contatto fisico, l’invasione dello spazio personale, ma che avvallava quando era lui stesso a farlo con gli altri, più che altro per intimidazione; odiava che gli altri provassero anche soltanto a sfiorarlo. Quell’aspetto scostante l’aveva indirizzato a Stiles solo una volta, poi non aveva mai più mostrato reticenze.

«Mi stai distraendo, non è vero?» lo colse in fallo la creatura della notte, rifilandogli un’occhiata lunga e conoscitrice.

Le labbra di Stiles si aprirono in una piega sagace ed astuta, ma dentro di lui c’era qualcosa che non poteva proprio esternare. «Ti sei fidato di me» non credeva veramente di riuscire a far entrare Derek dentro la stanza di Laura, soprattutto non con quella facilità.

«Ho imparato a farlo» rivelò il licantropo in un’esternazione profonda che colpì a pieno petto il figlio dello sceriffo. «E questo è un problema».

Stiles gli regalò un sorriso affabile e malizioso, ma il suo cuore stava scoppiando. «Sei al centro del mondo» spalancò le braccia ancora legate alla presa di Derek, volendo alludere all’esatto luogo in cui si trovavano in quel preciso momento, catturati dentro i muri che avevano accolto Laura prima che tutto finisse.

Ma Derek non stava guardando la camera né sembrava intenzionato a sciogliere la stretta delle loro mani. «Il Nogitsune ti ha fatto credere di essere affetto dalla stessa malattia di tua madre» se lo ricordava bene, non aveva mai visto Stiles così a pezzi, rotto. Cambiamenti di personalità e di comportamento, iperattività, disturbi dell’umore e paranoia, allucinazioni ed insogna, quelli erano solo alcuni dei sintomi della Demenza Frontotemporale e Stiles li aveva manifestati tutti.

«Uhm, sì» lo sbigottimento nella matricola era evidente, insieme al disorientamento. «Voleva il controllo su di me».

«Come se si potesse averlo» le dita di una mano si slegarono dalla trama istaurata da Stiles e volò sul viso, a sistemargli una ciocca ribelle che sfuggiva al caos della sua chioma scarmigliata studiata. «Sei sempre stato una volpe subdola e doppiogiochista, da quando ti conosco, non ha nulla a che fare con quello che è venuto dopo».

L’organo involontario di Stiles ebbe un crescendo di palpitazioni esagerate e sapeva con tutto se stesso che non poteva controllarle, che Derek era perfettamente in grado di udirle e riempirsi le orecchie. «Non capisco se è un complimento o un insulto».

«Sei soltanto tu, Stiles» il tono univoco del padrone di casa fu tassativo, imperiale e Stiles si chiese come un’operazione di soccorso verso Derek si fosse spostata su di sé. Riusciva a sentire quanto fosse rotto, esattamente come lui faceva con il lupo?

L’umano sciolse la presa dal mannaro ed andò a prendere la cornice che si trovava sul comodino, guardandola bene per qualche istante e tornando indietro, porgendogliela tra le dita ferree che in quel momento tremarono appena, rivolgendo l’immagine verso di lui. «Questa è casa tua, Derek» due figure erano state catturate dalla pellicola, una femminile ed una maschile, sorella e fratello, Alpha e Beta, con Laura divertita che obbligava un accigliato giovane Derek a posare, impedendogli di scappare, sullo sfondo il divano arancione pastello che sostava nel soggiorno. «Non ha soltanto ricordi infelici».

Derek fissò il suo interlocutore per lungo tempo, spostando poi l’attenzione sulla fotografia, osservandola come se gli fosse completamente estranea e cercasse di decifrare il significato nascosto che Stiles aveva risolto con una sola occhiata.

«Potresti fartene dei nuovi» concluse il figlio dello sceriffo con quello che Derek catalogò come il sorriso di una volpe ammaliante.

Si poteva sfuggire ad una magia tanto fatale? «Resta a dormire qui».

Stiles si trasformò in una statua di sale al suono di quella proposta bisognosa, sottoposta ad ordine, che lo investì in pieno, lasciandolo incapace di riprodurre qualsiasi rantolo vocale. 

 

«Stavo pensando ad una cosa e sei pregato di non fare battute» fermò Derek ancor prima che potesse beffeggiarlo con arte.

Stiles sì, si era fermato quella notte a dormire sul divano del lupo, la necessità di averlo lì a frapporsi tra i fantasmi, a vietargli di pensare che quella camera non sarebbe mai più stata abitata, serrata dietro una porta chiusa, l’aveva percepita tutta nella sua richiesta brutale e diretta, rendendogli impossibile abbandonarlo, soprattutto perché in un tempo remoto Derek non si sarebbe mai abbassato a tanto. Eppure la persona che più di tutte l’aveva visto nei suoi momenti di vulnerabilità in verità era sempre stato lui; a volte si domandava se fosse tra le persone di cui il mutaforma si fidasse di più, senza interrogarsi se potesse farlo veramente.

Quella sera non era stata l’unica occasione in cui lo studente universitario si era stabilito sul sofà piuttosto comodo dell’essere più burrascoso che conoscesse, ne erano seguite altre, correndo a perdifiato la mattina per non tardare alle lezioni, con le coperte che Derek gli faceva sempre trovare perfettamente piegate e il magone che nell’umano che cresceva.

Avevano anche pulito l’intero appartamento da cima a fondo, spolverato, spazzato, stracci da ogni parte, lavatrici e oh, perfino una piccola lavapiatti perfetta da riempire con i pochi utensili che utilizzavano; avevano persino trovato l’asciugatrice ancora piena con gli abiti che Derek aveva lasciato lì tre anni prima nella fretta, perfettamente puliti ed asciutti. Vuoi ripulirli o gli facciamo prendere aria? gli aveva chiesto quando li avevano visti attoniti, chinati sull’elettrodomestico per un paio di minuti. Derek li aveva presi tutti in una presa e li aveva infilati dentro al nuovo giro di lavate; sospettava ci fossero indumenti anche di Laura nella mischia.

Ma non si erano mai avvicinati alla camera della ragazza, Derek l’aveva sigillata e Stiles non aveva insistito; a prima vista non era valso a nulla l’azione titanica che aveva compiuto per riportare il grande lupo cattivo in sintonia con gli averi di Laura, con le sue memorie, eppure Derek era tornato a vivere dentro quella casa, abbandonando la camera d’hotel e riempiendo le mura dei momenti che condivideva con Stiles quando era libero dalle lezioni. Era una vittoria che la matricola non poteva disdegnare.

«Sentiamo» Derek arcuò le sopracciglia con scetticismo e quel commento sarcastico che avrebbe tanto voluto fare.

«Perché non chiedi a Cora se è interessata ad avere gli oggetti personali di Laura?» ci aveva pensato a lungo disteso su quel divano, il mannaro a due metri di distanza, chiuso nella stanza a cui avevano cambiato le lenzuola. Gli era parsa la soluzione migliore, la più ragionevole, quella che forse gli avrebbe permesso di respirare dentro la sua stessa proprietà.

Derek si paralizzò con il suo panino all’hamburger in mano ancora intonso ‒ cena che avevano ordinato d’asporto ‒, perché preferiva iniziare dalle patatine fritte, una cosa del tutto sconosciuta e barbara per lui; lo sguardo così bruciante che Stiles si pentì di aver parlato.

«Lei non conosce nulla della ragazza che ha vissuto con te, penso che potrebbe piacerle, permetterle di conoscerla almeno un pochino» se a Stiles fosse stata offerta l’occasione di conoscere in qualche modo un membro della famiglia che non vi era più, avrebbe colto la palla al balzo.

La luce nelle iridi boscose cambiò, ma la durezza dei suoi tratti rimase invariata. «Ci penserò».

Almeno non l’aveva divorato in un sol boccone.

«Rimani anche stanotte?» domandò invece la creatura della notte, a smentire quanto volesse attentare alla sua vita.

«Se mi vuoi qui, sì» ancora si stupiva di quanto Derek gli permettesse di ronzargli intorno, era attraversato ad ogni ripetuto invito da una scossa che gli attraversava tutta la colonna vertebrale.

«Ti voglio» la risposta arrivò chiara e asciutta, senza fraintendimenti di alcuna sorta.

Stiles gli fece regalo di una curva incantatrice e gioiosa sulla bocca peccaminosa. «Il grande capo branco ha parlato» proferì con superbia divertita la volpe giocherellona, rubandogli per dispetto voluto una delle poche patatine che gli erano rimaste sul piatto.

Derek soffiò fintamente scocciato, nascondendo nel primo morso un minuscolo sorriso di compiacenza.

 

«Ho parlato con Cora» proferì Derek dall’autoparlante, mentre Stiles era in pausa caffè nella caffetteria del college e teneva stretto il cellulare dalla presa libera. «È interessata».

Nel gergo degli Hale voleva dire che ne era entusiasta, Stiles non aveva sperato in niente di meglio. «Sono contento, sono sicuro che saprà prendersene cura».

Derek tacque per qualche momento e tutto quello che all’umano era permesso udire era soltanto il suo respiro calmo. «Hai avuto una buona idea, per una volta».

«Ahi, picchi duro, Sourwolf» ma Stiles stava sorridendo attraverso il bicchiere caldo e pieno di caffeina zuccherata.

«Riesci a passare oggi?» cambiò completamente argomento il lupo mannaro, ignorandolo, modulando la voce e contenendo quanto fosse in aspettativa di una risposta definitiva.

«Eh, no» la matricola fissò l’orario al polso che gli scandagliava il tempo, segnava le cinque del pomeriggio e l’ultima lezione si sarebbe conclusa verso le otto di sera, non avrebbe minimamente avuto le forze di camminare fino all’appartamento di Derek e tenergli perfino compagnia. «Per stavolta mi toccherà disertare, finirò tardi» e magari avrebbe dovuto cominciare a farsi vedere dal suo compagno di stanza.

«Va bene» il tono impeccabile di Derek non lasciava alcun fraintendimento che la faccenda lo turbasse, ma Stiles riconosceva la lieve inclinazione soppressa che gli comunicava involontariamente quanto ne fosse scontento. «Domani».

«Domani, sì» il figlio della massima autorità di Beacon Hills era così in visibilio che non riusciva a contenersi, ma ad un certo punto avrebbe dovuto cominciare a rimettere i piedi per terra, quantomeno per una sorta di amor proprio. «Prevedo una giornata impegnativa, prendi delle scatole di cartone e del nastro adesivo, spesso. Magari anche un pennarello».

«Penso di sapermi organizzare senza le tue direttive, Stiles» lo ribeccò esasperato e c’era sempre una nota di rimprovero quando dava fiato al suo nome, che Stiles trovava nettamente divertente. 

«Un’indicazione in più non può far male nel caos» a Stiles piaceva indispettirlo e quello lo sapevano entrambi. «Passa una buona giornata».

«Anche tu» la chiamata rimase in sospeso per qualche attimo, come se non volesse essere interrotta e poi all’ultimo respiro profondo del licantropo la linea cadde.

Il giorno dopo si videro davvero, la casa era piena di scatoloni da riempire, forse ce n’erano perfino troppi di quelli che erano necessari, ma Stiles non glielo fece notare, però si impossessò del pennarello indelebile senza apparente motivo.

Entrarono nella camera appartenuta a Laura e Derek prese un pesante respiro prima di esserne assorbito e lo rilasciò soltanto una volta all’interno, le prime scatole che subentrarono con lui e che posò sul pavimento; Stiles provava senso di fierezza nei suoi confronti. In realtà non si era aspettato che il mutaforma avesse preso seriamente la sua proposta di spedire tutto a Cora, che vi avesse perfino rimuginato su e che si fosse mosso per premere il numero della sorella minore tra le chiamate rapide; aveva il sentore che Derek non avesse alcuna idea di che cosa avrebbe dovuto fare, che per quanto strazio provasse verso la presenza di quegli oggetti personali, non riuscisse nemmeno a separarsene.

«Uao, tua sorella era una vera rocker» dichiarò l’umano con ammirazione e meraviglia, la collezione invidiabile di vienili tutta bella esposta su una mensola dedicata sopra il letto ed un’altra accanto alla porta, il giradischi su un mobile esterno, dove sembrava che l’acustica fosse migliore e uao ‒ di nuovo ‒ non aveva mai immaginato e calcolato che i lupi mannari bisognassero di buona acustica con i sensi amplificati che si ritrovavano. La collezione che sfogliava tra le mani, scrutando titolo per titolo, conteneva quasi tutto il panorama del rock, da quello classico a quello sperimentale. Ne era decisamente incantato e stupefatto.

«Mh, sì» Derek non li notava nemmeno, del tutto disinteressano a quel panorama musicale, imperterrito a infilare quante più cose nei pacchi da spedire.

Stiles ridacchiò dilettato, non perché pensasse che creasse degli scompensi nel licantropo, ma perché dava per scontato che non fosse minimamente il suo genere ‒ ne aveva uno? Ne prese una manciata e la impilò con cura dentro un contenitore di cellulosa. «Una purista, come te».

Derek si fermò e lo fissò con un sopracciglio arcuato, giudicandolo apertamente. «Soltanto perché preferisco un libro vero?».

Stiles avrebbe tanto voluto sottolineare quel vero, borioso ed inflessibile, come se tutto il resto che non fosse rilegato in pagine tattili fosse automaticamente immondizia. «Diciamo che la tecnologia non è una tua buona amica, nemmeno una lontanissima vicina di casa».

«Prediligo la carta» lo liquidò la creatura della notte, senza che ci fosse nient’altro da aggiungere.

Stiles non riuscì proprio a trattenere la risata di cuore che gli scappò dal fondo della trachea. «Purista» consolidò, impossibilitato ad essere smosso da quella verità palese. Di certo si sposava perfettamente con la sua aria da autentico letterato.

Derek sbuffò scocciato e disinteressato e Stiles gli rifilò un sogghigno vittorioso.

Successivamente a quello scambio proseguirono indisturbati, riempiendo e riempiendo, spostando e risistemando, stavano perfino spolverando ogni oggetto ‒ di certo non era troppo galante inviare a Cora anche degli acari in eccesso ‒ e la matricola punzecchiava il suo compagno d’avventura di tanto in tanto.

«Anche le sue letture sono interessanti» Stiles stava perdendo notevole tempo a gingillarsi in quella conoscenza, invadendo spazi non propri, imprimendosi titoli ed autori, gli spessori dei volumi e la cura quasi maniacale con cui erano stati trattati. Si fermava perfino a leggere la sinossi e di alcuni anche la prima pagina del capitolo d’apertura.

«Vuoi tenerle tu?» chiese Derek a quell’osservazione, avendo assistito per l’intero arco temporale alla sua ispezione meticolosa e alle pieghe allietate che si dipingevano sul viso niveo.

Quasi i libri gli caddero dalle mani e le perle d’ambrosia si posarono sgomente ed interdette su quelle di giada. «Come dici?».

«Se ti interessa qualcosa, prendila tu» semplice e lineare, non c’era nulla di più chiaro.

«Ma…» Stiles si era improvvisamente smarrito. «Sono oggetti che vi appartengono, è giusto li abbia Cora».

«Tra te e Cora non c’è differenza» dichiarò onestamente, prendendo una scatola vuota che sostava all’entrata del corridoio, afferrando il pennarello nero abbandonato sulle piastrelle e scrivendo Stiles con grafia elegante ed impeccabile su un lato. «Riempila come ti pare» gli disse in conclusione, tagliando qualsiasi protesta potesse fare e passandogliela.

Stiles se la ritrovò tra le mani, leggera, priva di qualsiasi peso, tuttavia era la cosa più pesante che avesse mai tenuto tra le dita. Avrebbe voluto obiettare che la differenza tra lui e Cora esisteva eccome, che quelli erano beni patrimoniali della famiglia e che Cora ne era interamente parte, un suo diritto di nascita, ma Stiles cos’era? Un individuo del tutto estraneo a quella cerchia privata, eppure Derek l’aveva comunque incluso. Era sicuro che il suo cuore non avrebbe retto a lungo se avessero continuato così. «Grazie, Der».

Derek lo silurò con uno scrollamento delle spalle, come se quel gesto non avesse nessun significato di qualche tipo e non gli costasse particolare impegno. Forse era vero, ma per Stiles era importante quanta fiducia riponesse in lui.

La riempì quasi del tutto in un baleno, ignorando volutamente che lo spazio nel dormitorio fosse carente, ritornando a destreggiarsi nel suo compito e fermandosi di tanto in tanto per inserire qualcosa di nuovo nel proprio scatolone. «Che intenzioni hai con i mobili?» gli chiese poco dopo, vedendo i vari scaffali svuotarsi e le mura perdere la loro personalità.

«Resteranno qui, l’appartamento era già ammobiliato quando l’abbiamo comprato» il licantropo non si era nemmeno posto il problema, li avrebbe ignorati e basta.

«Oh» aveva senso, dopo l’incendio e l’essere rimasti orfani, non gli era rimasto più nulla di solido, tutto dissolto in polvere e cenere, nero e grigio, non avrebbero potuto portarsi nulla dietro a prescindere da quanto avrebbero voluto salvare qualsiasi cosa. «Questo spiega il divano».

Derek lo scrutò con perizia, perforandolo da parte a parte. «Non ti piace il divano?».

«Oh, lo adoro» le labbra si accesero di divertimento giocoso, la piega di giubilo che si espanse in tutta l’aria circostante. «Ne vorrò uno identico nella mia futura dimora».

Derek gli tirò addosso per dispetto uno dei cuscini che riposavano sul letto, ammonendo quella volpe infame che provava godimento satirico a suo discapito.

La risata vivace ed autentica di Stiles lo invase in ogni parte.

«Perché non provi a terminare gli studi?» gli domandò invece la matricola poco dopo, quando tutto il divertimento era evaporato via e l’impegno era richiesto. Il camion dei traslochi sarebbe stato lì soltanto due giorni dopo e non avevano tempo di trastullarsi sul nulla.

«Non ho più la mentalità dello studente» Derek si era espettato quella domanda molto tempo prima, quando gli aveva rivelato che fosse stato uno studente del college ed a quale laurea puntasse.

«Sarebbe un vero peccato» proferì Stiles, mentre ripiegava una delle maglie che aveva estratto dall’armadio stracolmo, sistemandola con cura nel recipiente da spedire. Si chiese se Cora avrebbe tenuto tutti quegli indumenti per se stessa o se avesse avuto più forza di Derek, dandola in beneficienza. Era un argomento che preferiva non prendere con lui. «Sono soltanto due anni» tutti gli sforzi fatti prima di quella fase disastrosa della sua vita sarebbero andati in fumo per niente? Avrebbe anche voluto chiedergli perché sei ancora qui? Come passi il tempo? Che cosa ti trattiene? Era passato un mese e mezzo dal suo arrivo, ma Derek non dava segno di voler levare le tende.

«In un anno cambiano tante cose, immagina in due» Derek quella conoscenza l’aveva vissuta a caro prezzo.

«Posso prestarti un po’ delle mie energie» propose il figlio dello sceriffo con disinvoltura, davvero propenso a mettercela tutta. «Sono multitasking, non mi fermo mai».

Derek abbozzò un sorriso che Stiles colse in tutta la sua interezza, rimanendone folgorato. «Perché sei sempre proiettato verso il futuro».

«Posso condividere anche quello con te» accidenti, perché non imparava mai a controllare il suo cervello e ad impedire di dare voce a ogni pensiero che l’attraversava? Come il non rassegnarsi a lasciar perdere l’uomo che amava e che non mostrava alcun interesse verso di lui. 

Le iridi verdi del mannaro lo inchiodarono sul posto e la consapevolezza composta ne era padrona. Stiles sentì il vuoto e il pentimento gremirlo.

«Non è una decisione che devi prendere nell’immediato» si giustificò l’umano di conseguenza, cercando di salvarsi in fallo.

Derek prese una delle scatole strapiene, alzandosi in piedi ed immettendosi con il corpo verso la via d’uscita, rifilandogli un’ultima lunga occhiata perforatrice. «Decisamente no».

Stiles, con un groppo nella gola asciutta, si chiese se stessero ancora parlando del medesimo proposito.

 

La matricola dormì poco e male, rigirandosi invano tra le coperte sul divano arancione pastello e fissando il soffitto immerso nella penombra.

Lui e Derek erano andati avanti con il pilota automatico per il resto della giornata, avevano continuato a comportarsi come sempre, a parlare attraverso mezze frasi ed a riempire scatoloni su scatoloni, ma il magone che aveva nello stomaco non era riuscito a scacciarlo, quasi conscio che si fosse rotto qualcosa tra loro, che Stiles avesse osato troppo e si fosse sospinto dove non avrebbe dovuto.

Non voleva perdere la poca stabilità che aveva trovato con Derek, ma aveva sempre saputo che non sarebbe potuta durare molto a lungo.

Poco dopo l’alba si alzò, il turbamento che sentiva dentro lo condusse senza una vera ragione verso la camera che era appartenuta a Laura Hale, adocchiando la porta chiusa di quella di Derek. Stava tergiversando anche lui con la sonnolenza? Dormiva? Sperava di sì.

Si sedette sul pavimento, la schiena poggiata sulla sponda del materasso e le gambe tirate verso di sé. Nel chiarore rosato del sorgere del sole la stanza appariva per quasi più della metà svuotata, un senso di disagio che prendeva il sopravvento, insieme alla consapevolezza del vuoto che essa rappresentava, di una storia che tentava di essere raccontata, ma che non avrebbe mai avuto una prosecuzione. Spogliandola del tutto che cosa sarebbe rimasto? Era anche l’unica terapia che avrebbero mai potuto adottare.

Gli oggetti della ragazza che aveva guidato Derek sia come sorella maggiore, capo famiglia e Alpha gli davano frammenti della persona che sarebbe potuta essere, un aspetto effimero della sua personalità, un abbozzo della sua essenza. Che cosa avrebbe detto, che cosa avrebbe fatto per far star meglio l’uomo che il lupo era diventato? Ci sarebbe riuscita? Di certo un frammento del cuore distrutto di Derek sarebbe stato ancora intero, l’unico amore incondizionato che aveva conosciuto per sei anni e che poi gli era stato negato per l’eternità. Per quanto ritrovare Cora gli avesse riacceso la scintilla, non sarebbe mai potuta bastare. Erano persone diverse, avevano bisogni differenti ed avevano imparato a vivere l’uno a meno dell’altra.

Ma forse il grande quesito era proprio quello: Derek sarebbe riuscito a vivere, ritrovandosi ancora una volta con polvere di stelle tra le dita? Ogni scopo che aveva perseguito era diventato labile, finché era rimasto l’unico giocatore, come tutte le volte precedenti.

«Hai un suggerimento per me?» interrogò le mura senza anima in un sussurro, la melanconia che primeggiava nel petto, opprimendoglielo, in attesa di un oracolo che sapeva non sarebbe giunto.

Le mani andarono ad afferrare con portamento la cornice d’argento che persisteva a rimanere ben piazzata sul comodino, ritrovandosi a riflettersi su quelle due figure in uno spaccato di vita così giovani e così dannate, condannate. Non si stupiva nemmeno di non intravedere alcun bagliore dagli occhi dei due lupi, che avrebbero potuto compromettere la foto e renderla inutilizzabile, aveva capito con gli anni che quando volevano, potevano controllare quella caratteristica come meglio volevano e solo quando lo ritenevano necessario, come quando Derek aveva alterato volutamente le foto segnaletiche ‒ che Stiles non avrebbe certo mai ammesso sotto tortura che le conservava ancora da qualche parte.

Nel caso specifico che teneva in mano, anche se Derek non appariva particolarmente entusiasta di essere immortalato sulla pellicola, l’affetto per la sorella doveva essere stato più grande del suo malessere imbronciato. Stiles non poteva ignorare il calore che sentiva espandersi nell’organismo. «Tenterò del mio meglio per tenere intero il nostro lupo scorbutico preferito» promise alla figura che sorrideva all’obbiettivo, ignara e felice, artefice di uno dei rarissimi momenti di quotidianità semplice di Derek. «Lo amo profondamente» confessò infine, come se le dovesse almeno quel segreto celato che celato non era, comunicandole quanto l’impegno preso fosse di vitale importanza per lui e che non era fiato gettato al vento.

Sperò che avesse compreso, perché era l’unica cosa che potessero fare entrambi, limitarsi ad amare l’uomo chiuso nel suo dolore della perdita, per se stesso e per chiunque fosse entrato in contatto con lui.

Non poteva credere che si fosse addormentato, lì, nella camera della sorella tanto amata dal mannaro, sulle mattonelle fredde e abbandonato contro il letto di una padrona che non avrebbe mai fatto ritorno, con le braccia che stringevano la foto contro il ventre; quindi probabilmente avrà semplicemente sonnecchiato nell’incoscienza, ma quando aprì le palpebre e mise a fuoco cosa avesse davanti, senza capire dove fosse, incontrò la statura da adone greco che sostava accanto al telaio della porta lasciata aperta, con indosso soltanto i pantaloni di una tuta comoda, a scrutarlo nella sua immobilità. Grandioso.

«Deduco necessiti di una colazione» diede per scontato il mutaforma, la voce priva di inflessione ed impeccabile, eppure Stiles sentiva che c’era un sottotono nascosto e diverso, una cadenza che vi era eccome.

Stiles mugugnò frustrato in assenso, irrigidito e con i muscoli che si lamentavano per la pessima postura assunta per un discreto numero di ore. «Buongiorno, Sourwolf».

Derek non ricambiò il saluto, non che se l’aspettasse, e gli concesse soltanto un’ultima occhiata senza alcuna direzione specifica, se non quella generica su tutta la sua interezza ‒ chissà se l’avesse osservato indisturbato e giudicandolo amaramente mentre era stato rapito dal regno di Morfeo ‒, per poi sparire un secondo dopo nel corridoio, da cui attimi dopo Stiles sentì provenire il rumore di utensili da cucina e tazze di portellana. 

Il figlio dello sceriffo imprecò dentro di sé e si diete una spinta per rimettersi in piedi, accarezzando la cornice argentata con benevolenza, soffermandosi per un attimo di troppo e riponendola al proprio posto.

«Pensavo di averli sistemati» disse Stiles dopo che ebbe fatto ritorno dalla sua giornata universitaria, scappato quella medesima mattina dopo un’abbondante colazione, soprattutto a base di caffè per ridestarsi e riattivare le sinapsi. Una colazione piuttosto tranquilla per il misfatto di cui si era macchiato.

I vienili erano stati riposti nel loro vecchio posto e la camera sembrava di nuovo piena dei suoi colori originali; era sicurissimo di averli conservati dentro diverse scatole di cartone e di averli anche circondati di protezione scoppiettante.

«Ho avuto la sensazione che fossi interessato» proferì Derek imperturbabile, intendo a svuotare la seconda libreria.

«È un bell’assortimento, ma non avrei dove tenerli» si era limitato a riempire un solo scatolone, facendo una cernita precisa dei libri che sarebbero potuti rientrare tra i suoi interessi, delle nozioni di cui Laura sembrava essersi arricchita. Di tanto in tanto aveva adocchiato anche la collezione di dischi che aveva spostato nel soggiorno, ma era consapevole di non poterne tenere nemmeno uno per mancanza di uno spazio proprio né di possedere un giradischi da qualche parte.

«Allora li lasceremo qui» dichiarò la creatura leggendaria come unica soluzione praticabile, con tutta la nonchalance del mondo.

Stiles era notevolmente confuso, oltre al tempo che avevano perso il giorno precedente, Derek ne aveva sicuramente investito di più per risistemare tutto com’era prima che ci mettessero mano, quasi ignorasse che avessero le ore contate per preparare tutto quello che avrebbero dovuto spedire in Sud America. «Dovrei monopolizzarti l’appartamento per poterli ascoltare» ma glielo avrebbe mai permesso?

«Oppure prenderteli quando avrai un tuo di appartamento nel mondo» semplificò il lupo mannaro, la giustificazione che appariva essere pronta per essere esternata. «E sì, puoi usarli in qualsiasi momento».

E quello cosa voleva dire? Che sarebbe rimasto? O che sarebbe andato via e che la sua futura presenza non gli avrebbe accusato alcun fastidio? Sarebbe dovuto tornare in quella residenza da solo? «Se ti fa piacere così, va bene».

Il licantropo rallentò fino a bloccarsi completamente, con l’apparenza che volesse ribattere qualcosa, ma che il suo grillo parlante l’avesse messo davanti a fatti compiuti se avesse proseguito. Si rimmerse nel suo sbarazzare.

Non è che Stiles non apprezzasse il gesto, che perfino non avesse restrizioni temporali, soltanto non riusciva a inquadrarlo in nessuna maniera.

Quando la stanza fu quasi del tutto svuotata e le energie scarseggiarono, ciò che attirò l’attenzione dell’umano fu la cornice d’argento che ancora sostava sul comodino, senza che Derek l’avesse più guardata o sfiorata. Gli facevano male le ossa a razionalizzare che quella era una delle poche, se non l’unica, testimonianza dell’esistenza di Laura; tutto ciò che era esistito in formato pellicola o digitale in villa Hale a Beacon Hills si era sciolto al calore delle fiamme. Derek stava rinnegando anche quella briciola. «Posso tenere anche questa?».

Il lupo mannaro incrociò interrogativo le mani di Stiles che tenevano come un tesoro prezioso la foto che ritraeva lui e sua sorella maggiore. «Perché?» cosa te ne fai? era la domanda corretta che il licantropo mordeva con i denti serrati.

Gli occhi ambrati accarezzarono con dolcezza affranta l’immagine che teneva tra le dita, i polpastrelli che blandivano il bordo argentato e quella dedica per qualcuno che non c’era più. Nemmeno quel giovane ragazzo spezzato era più esistente, già con un suo tormento ed un cordoglio senza fine, ma che non poteva essere paragonato a quello che l’avrebbe atteso nel futuro molesto ed infame. «Perché un giorno la rivorrai indietro e quando accadrà, dovrà ritornare da te il più rapidamente possibile».

L’intensità con cui Derek lo guardò lo atterrò e lo lasciò privo di fiato, sentì il terreno mancargli sotto i piedi e galleggiare nel nulla assoluto. «Fa come credi».

Non era un vero lasciapassare, ma era più di quanto si aspettasse. Si prodigò ad abbozzare un sorriso sincero, arraffando un foglio del pluriball già tagliato delle dimensioni che gli sembravano più opportune, avvolgendo la cornice con perizia e precipitandosi verso un piccolo cantuccio del soggiorno appartato, dov’era stata riposta la sua scatola personale per differenziarla da tutte le altre, cacciando nelle retrovie la cognizione degli occhi di Derek che non l’avevano abbandonato un secondo.

Si chiese esattamente dove sarebbero stati quando quel fatidico momento sarebbe arrivato, se si sarebbero trovati nello stesso luogo, se mai si sarebbero incrociati ancora; avrebbe continuato a custodirla, in attesa.

Con quei pensieri non troppo fausti si dedicò a sigillare gli scatoloni con il nastro adesivo ‒ spesso ‒, seduto sul pavimento piastrellato, scrivendo su ognuno l’indirizzo di Cora per sicurezza e maniacalità.

Il mutaforma lo raggiunse silenziosamente qualche minuto dopo, passo felpato e l’invisibilità che l’aveva costantemente caratterizzato, l’ultimo pacco in mano e bisognoso di essere chiuso, per essere spedito in massa insieme ai fratelli, di fatti Derek lo imitò e si accomodò al suo fianco, mentre Stiles glielo prendeva dalla presa e staccava uno, due nuovi pezzi del nastro adesivo che adagiò sulla cellulosa compatta marrone. «Dobbiamo solo caricare tutto» proclamò la matricola con una piega sfinita ma contenta sulle labbra, la certezza di essere riusciti a far tutto prima che il giorno seguente il camion si presentasse sullo spiazzale del palazzo.

Avvertì l’assenza di suoni tutta intorno a loro, l’aria che si faceva più satura, la mano di Derek che si stringeva sul suo polso delicata e possente insieme, tirandolo appena verso di sé, congiungendo la bocca alla compagna che trovò immediatamente, carezzandola e vezzeggiandola con il calore perpetuo che gli infuse nell’intero organismo, razziandolo completamente, gli angoli appunti e spietati dei pacchi chiusi conficcati nella carne e nella schiena dell’umano. «Se fossi io ad inseguirti?».

L’ossigeno dai polmoni scomparve completamente, le sinapsi si arrestarono e probabilmente qualche neurone l’aveva salutato; credette di essere appena passato a miglior vita, di essere precipitato in qualche varco pericoloso che non aveva notato per la sua sbadataggine, un piede messo in modo scorretto, una scivolata improvvisa da imbranato qual era, la testa che si abbatteva su uno spigolo e si fracassava; estinto, defunto, deceduto. «Che… Cosa…» le iridi attonite di Stiles primeggiavano su tutto, talmente esterrefatte da non percepirlo nemmeno attraverso la visione periferica. «Mi sono perso».

Derek soffiò uno sbuffò a metà tra il divertito e il compiaciuto, lambendogli le labbra con il respiro caldo. «L’ho notato».

Stiles lo guardò stralunato e ubriaco, la ragione che sembrava aver preso i bagagli per filarsela via e gli occhi vitrei, trasparenti. Quel lupo infame se la rideva persino. «Delucidazione: è reale?».

La bocca di Derek si curvò in qualcosa che assomigliava spaventosamente ad un sorriso, un lontanissimo parente, un antenato, sfiorandogli il ponte nasale con il suo e ispirando pienamente il suo odore, rilasciandolo soltanto attimi dopo, assaporandolo con dovizia. Stiles rabbrividì in ogni parte e si chiese se avesse necessariamente bisogno di porre quella domanda davanti ad una risposta tanto plateale. «Ho cercato in ogni modo di rifuggire da te, ma ogni volta ritorno indietro» gli percorse lentamente tutto il setto nasale con la punta del suo, schioccandogli un bacio bagnato al centro della fronte. «Passo dopo passo, decisione dopo decisione, le metto in discussione e ripercorro il sentiero lasciatomi dietro, ritrovandomi immancabilmente al punto di partenza, ma nettamente più coinvolto».

Stiles non riusciva a distogliere lo sguardo da quella confessione inaspettata, insperata e bruciante, distorta. «Perché?».

«Non voglio legarti ad una persona maledetta» proferì il mannaro con tormento e demolizione, unicità di verità.

«Maledetta» ripeté il figlio dello sceriffo con sgomento, la ramificazione dell’angoscia che divampava in un fuoco nello sterno. «Ho dimostrato di essere maledetto anch’io» da quanto tempo Derek si crucciava su una fatalità così erronea? «E non siamo maledetti, siamo sfortunati, disgraziati, bombardati dalle avversità, dalla crudeltà del mondo che non ha nessun riguardo verso di noi e facciamo del nostro meglio per tenerla sotto scacco».

Le dita libere del lupo si incastrarono tra i capelli sfuggenti di Stiles, la vicinanza tra loro che diveniva assottigliata ad ogni emissione di anidride carbonica. «C’è una grossa differenza tra me e te; i miei mali accadono per l’ingenuità, i tuoi perché attiri falene per l’intelligenza e perspicacia, l’astuzia che ti fanno brillare incontrastato» e Derek ne era rimasto talmente abbagliato e annichilito da non riuscire a scorgere nient’altro. «Peter, il Nogitsune e Theo erano stregati dal tuo potenziale, da te» il polpastrello del pollice gli sedusse l’interno del polso, le pulsazioni frenetiche che battevano incessanti sotto il suo tocco. «Gerald ed i Ghost Riders ti temevano».

«Avrei da obbiettare in proposito» doveva davvero stupirsi se Derek ci avesse rimuginato così tanto, fino a perdersi? «Da due mali, nasce del bene».

Uno scintillio attraversò le iridi di giada, ma fu subito risucchiato dalla severità del suo animo. «Non funziona così».

Il buco in cui Derek si era andato a rintanare Stiles lo vide chiaro, palpabile, talmente reale per quella mente provata, sconsolata. Gli fece male, sentiva il suo supplizio autoimposto e non voleva che lo liberasse. «Io ti amo».

La presa sul capo dell’umano si accentuò, forte, autoritaria e devastata, come il suo padrone. «Sì».

«E sei l’unica persona con cui voglia stare» i suoi segreti furono rivelati per la prima volta a voce alta.

«Lo so» disse il lupo mannaro con consapevolezza grave, la conoscenza che la faceva padrone.

C’era qualcuno su quel pianeta che non ne sapesse niente? «Mi sto scontrando con un muro» esasperante e frustante, con Derek era sempre così, per qualsiasi cosa. «Non capisco cosa vuoi, Derek» probabilmente non lo sapeva nemmeno lui.

I tratti mutarono in tristi e sofferenti, come se dovesse attingere a tutte le energie che aveva in corpo, avere il coraggio di dare un volto alle parole che erano radicate nel cervello. «Il meglio per te».

Fu talmente scioccato che ebbe l’impressione che il flusso del sangue si fosse arrestato. «E non puoi farne parte?» a che autopunizione si stava esattamente sottoponendo? «Essere parte dell’insieme».

Derek dinegò con un singolo e netto cenno della testa, il responso definitivo. «Non sei l’unico tra i due ad amare l’altro».

Stiles quella volta era sicuro, se non era deceduto precedentemente, sicuramente lo era in quel momento; era fatta: infine aveva raggiunto il Creatore.

Non poteva credere alle proprie orecchie, alle proprie stesse reazioni, al modo in cui il suo cuore batteva irrefrenabile, ai globuli rossi che correvano irrefrenabili per tutti i vasi sanguigni, a quella dichiarazione così intricata e precisa, sibillina, ma che urlava a squarcia gola. «Questo che significa?» riprendere l’autocontrollo ed emettere suoni vocali gli costò il pedaggio di qualche neurone di troppo e anche di nervi, ma sapeva che le parole che Derek gli aveva appena sbattuto in faccia con tanta prepotenza e spietatezza non avevano il significato classico, la meta finale, il risultato che avrebbero dovuto raggiungere una volta verificato l’interesse reciproco dei soggetti protagonisti. Per il lupo era la battuta d’arresto.

«Conosci quanto me le mie passate relazioni, Stiles» disastrose, terribili e deleterie, devastanti, da radere al suolo tutto quello che incontravano e l’avevano ben fatto, metaforicamente e fisicamente, distruggendo, spargendo sangue, fiamme che si accendevano, il fuoco che divampava, la cenere che si depositava, cuori strappati da petti grondanti di liquido vermiglio, altari, sacrifici, annullamento, raggiro, manipolazione e spietatezza, crudeltà, malvagità, sadismo e odio, autocelebrazione; erano state fiere dell’orrore e non ne aveva mai capito niente, se non quando era troppo tardi, spalle al muro, morte dappertutto e la sua totale incapacità di riprendersi la sua vita, di ricominciare, di espiare, di non lasciarsi coglierne nuovamente impreparato e di essere molto più scrupoloso, attento e meticoloso, diffidente, intrattabile ed irascibile, qualcuno che non doveva avvicinarsi né fare avvicinare; un autentico lupo solitario, ma non era servito a nulla, continuava a farsi raggirare, ingannare e soggiogare. Tutte quelle energie sprecate le aveva ripetutamente riservate alla persona sbagliata, incaponendosi, ma quella bella e perfetta volpe rossa, acuta, intraprendente, sfrontata e saputella, audace e diabolica, astuta, smaliziata e del tutto incurante del pericolo, si era insinuata dentro di lui anche davanti alle sue qualità peggiori e non aveva desistito, affrontandolo a viso aperto, mostrando il suo ghigno da predatrice scaltra. Non poteva permetterle di prendere una altra parte di sé, perché stava già vincendo. «Non sono finite bene».

Eufemismo del secolo, forse solo Braeden aveva rappresentato una vera ventata d’aria fresca, una simil relazione, nata in uno dei momenti più vulnerabili di Derek, ma che si basava tutto su un rapporto di mentore ed allievo, un lupo che non era più tale, sottratto di ogni parte della sua natura sovrannaturale, indirizzato a dover rivedere tutto se stesso, ricominciare a vivere da zero, umano, inerme e sguarnito. Niente più luna, nessuna rigenerazione istantanea.

La loro relazione sessuale si era evoluta in qualcosa, ma lo aveva fatto anche Derek, riappropriandosi della sua eredità genetica, la forma del lupo completo che si era manifestata nella sua interezza. Licantropo e mercenaria presero il largo da Beacon Hills come coppia, ma ne ritornarono separati da comune accordo e pacifica decisione. O almeno era quello che Stiles aveva captato, si erano lasciati per le fisime di Derek? Le stesse che propinava a lui? «Temi che possa riaccadere?».

Derek non rispose direttamente, ma l’espressione significativa e tirata che gli diede valle come monito. «Puoi anche depennarmi dalla lista di possibili catastrofi, ho già passato la mia fase ribelle da pluriomicida».

«Stiles» lo riprese il mutaforma a bocca serrata, inammissibile, inaccettabile, non avrebbe acconsentito al suo essere indisponente su quell’argomento.

Beh, non avrebbero potuto ignorare e soprassedere su quel piccolo dettaglio che lo vedeva posseduto da uno spirito oscuro millenario, che lo controllava e gli faceva commettere i peggiori crimini dell’umanità per nutrirsi di dolore e alimentare il suo divertimento sadico. «Sei un bell’ipocrita» lo additò, per nulla impressionato. «Non vuoi mai che mi colpevolizzi su quello che mi è accaduto, ma lo fai con te stesso» Derek provò a protestare, ad argomentare le sue ragioni, ma Stiles lo bloccò prima che potesse emettere qualsiasi fiato. «E non rifilarmi la solita manfrina».

Rimasero in un silenzio attanagliante, come se le parole avessero preso il volo e non ci fosse niente da dire o ce ne fosse troppo, la necessità di dare una fine a quello stallo.

Stiles sospirò internamente, prendendo tutte le sue buoni intenzioni per non commettere azioni avventate. «I miei desideri non contano?».

Lo sguardo di Derek fu nuovamente catturato dalla presenza che gli stava dinnanzi, la sensazione di essere fragili, al limite di un dirupo. «Sì, contano».

«E valgono qualcosa?» chiese con un nodo alla gola, un responso negativo che proprio non era pronto a ricevere.

Le labbra del lupo si socchiusero, serrate, le emozioni disparate di Stiles che lo travolgevano tutte in una volta. «Sì».

Stiles fu investito da un’intuizione, il cielo nuvoloso che improvvisamente si dissipava. Derek era lì perché l’aveva seguito, raggiungendolo in una città che conservava una parte di lui che non esisteva più, affrontando dei fantasmi che albergavano nella casa che aveva abbandonato tre anni prima, ritornando al suo interno e rimanendoci, senza che mostrasse l’intenzione di volersi allontanare; l’appartamento si era presentato come un pretesto e poi una motivazione per poter rimanere, per poter vedere cosa sarebbe successo; forse si era accorto di non voler sottrarsi a nessuno delle due possibilità. Qualcosa l’aveva perfino fatto scattare, facendo scomparire tutti quei paletti che si era imposto, le ritrosie che volevano la meglio su tutto il resto e gli era saltato addosso, reclamandolo, esigendolo, comunicandogli sono esattamente dove mi vuoi, tuttavia il purgatorio a cui si era soggetto non mollava la presa. Cos’è che voleva esattamente da lui? Aveva frainteso ed invece voleva che gli venisse donata la libertà? Che avesse la meglio sulla sua testardaggine? Che gli facesse abbassare tutte le difese? Sono pronto a prendere tutto, ma non glielo aveva già dimostrato in passato? In quel medesimo attimo?

Il suo istinto prese il sopravvento, le azioni azzardate che voleva controllare che acquistavano il dominio, le mani che corsero ad afferrare il capo del lupo completo, le iridi dorate nefaste nel mare in tumulto di giada. «Ti amo, Derek» proferì chiaramente, innegabilmente, scadendo sillaba per sillaba, lasciandole scivolare sulla lingua e riempiendo la bocca. «Non cambierà, era evidente prima e lo sarà nel futuro».

«L’amore non basta» obiettò la creatura della notte, ben conoscitore di quella penosa verità.

No, non bastava, serviva impegno, perseveranza, pazienza ed investire ogni grammo di energia per tenere tutto in equilibrio e non sprofondare. «Ma è una buonissima base di partenza, anzi ottima».

Derek soffocò uno sbuffo di risa un po’ amara e un po’ completamente conquistato dallo tsunami che lo teneva fermo. «Non ti arrendi mai, ragazzino?».

«Mi conosci così bene, Der» proferì ad un respiro da lui, la smorfia diabolica e compiaciuta che gli ridisegnava i tratti del viso. «Non possiamo semplicemente provarci? Vedere come va a finire? Se non dovesse funzionare, so dov’è la porta» lo voleva così tanto e aveva la certezza che lo ricambiasse anche lui in egual modo, che Derek avesse soltanto bisogno che gli offrisse un braccio per tirarselo dietro, la mano che l’avrebbe fatto desistere, senza più guardarsi indietro.

Derek restò di sasso, meditativo, investito e un po’ guardingo, la diffidenza che si mostrava a chiare lettere, ma verso di chi? «Se non volessi che l’oltrepassassi?».

Il muscolo cardiaco involontario si esibì in una giravolta molto pericolosa e Stiles era ad un passo dall’avere un infarto da un momento all’altro. Lo baciò per la prima volta di sua iniziativa, l’epidermide che entrava in contatto con l’altra, a fare conoscenza, lo strato di barba curata, attenta che graffiava morbida, le labbra che accoglievano ogni sua decisione, intenzione e movimento, la bocca della bella volpe ammaliatrice che si curvava lieta su quella del lupo catturato. «Allora non farmi uscire».

 

Derek dopo la loro discussione si allontanò da lui, quasi non riuscisse a sopportarne la vista e le successive due notti le trascorse nella dependance; per Stiles fu un duro colpo, risvegliarsi accanto ad un letto vuoto e congelato dopo anni che lo condividevano, nove lunghissimi anni di convivenza che avevano costantemente passato insieme. Erano poche le occasioni in cui rimanevano separati, le volte in cui Stiles raggiungeva Quantico per missioni particolari o rapporti importanti e quando Derek viaggiava per controllare i suoi immobili.

Prima che lo Stiles prossimo ai vent’anni, con il secondo anno di college dietro l’angolo, rinnovasse la domanda per il dormitorio, Derek gli chiese di andare a vivere insieme nell’appartamento a meno di mezzora dal campus, la casa che aveva condiviso con Laura; in risposta la non più matricola aveva stracciato il contratto. Non poteva immaginare che il mannaro fosse talmente deluso da lui da sentire il bisogno di stargli alla larga, di mettere quanta più distanza tra loro quando in quell’arco narrativo della loro vita aveva costantemente dimostrato il contrario. Si era immerso totalmente nel lavoro per evitare di pensare alle ripercussioni, fallimento assicurato per una mente iperattiva come la sua.

Quando sentì il portone principale aprirsi e richiudersi subito dopo, spense i fornelli che avrebbero dovuto cucinare la cena ‒ accuratezza necessaria, si era imposto di stare attento ad ogni scintilla sfuggente, che mai nelle proprietà nelle vicinanze del lupo scoppiasse anche il più piccolo fuocherello ‒, lasciando la cucina e fiondandosi in salone. «Derek».

La creatura della notte si palesò nella grande stanza, serio, impeccabile nella sua aura imponente. «Stiles».

«Sei-» tornato, avrebbe voluto concludere con l’ovvio, ma non lo era se aveva sentito il bisogno di non condividere lo stesso letto per due notti di fila. Non lo era davanti ad una cartelletta contenente dei fogli che il mannaro teneva in mano, con una missione ben predisposta nelle iridi verdi; gli si spezzò completamente il cuore che avevano rimesso insieme in sesto. «S-sono le carte del divorzio?».

L’espressione di Derek si increspò, guardandolo allucinato per una manciata di secondi, spostandolo su quel blocchetto di documenti che le dita tenevano insieme. «Le carte del divorzio, seriamente, Stiles?».

Era un’interrogazione retorica, con inclinazione beffarda, non sapeva se potesse rilasciare il respiro che gli ostruiva la carotide. «Avresti le tue buonissime ragioni».

Il licantropo lo guardò giudicandolo apertamente e Stiles sapeva di meritarselo. «Le disconosco, ma forse vuoi illustrarmele tu, così provvederò a farle preparare».

Il suo lupo picchiava ancora duro, non era cambiato niente. «Sono stato ingiusto con te» lo era anche in quel momento con quell’uscita decisamente infelice.

«Sono abituato alle tue scorrettezze» in genere era anche bravo a saperle gestire o ad incassare il colpo, fin dal loro primissimo incontro le loro interazioni si era basate su quello scambio, invece in quell’occasione era rimasto completamente devastato. «Non ti lascerei per qualcosa di così effimero» non lo lascerebbe proprio e basta, era fuori discussione.

Effimero? Adorava quando Derek parlava come un libro stampato, manifestata tutta la sua propensione letteraria. «Forse ho avuto una reazione esagerata».

«Dici?» il mutaforma arcuò un sopracciglio con scetticismo, a sottolineare l’evidenza. «Ho sentito un principio di attacco di panico dietro l’angolo».

Stiles soffiò esausto, la stanchezza che gli ricadeva tutta sulle spalle, la testa che gli doleva per l’accumulo della tensione. «Mi dispiace, questa storia sta tirando fuori la parte peggiore di me».

«Stiles» la cartella fu abbandonata sul tavolo posto alla sua sinistra e le mani possenti si poggiarono sulle braccia del figlio dello sceriffo, confrontandosi a viso aperto. «Credi che non sappia chi abbia sposato? Con chi abbia passato gli ultimi dieci anni della mia vita» le dita presero a scendere e salire, in movimenti rigeneranti e rilassanti. «Il ragazzino che tredici anni fa mi dava il tormento e che non demordeva mai?».

«Lusinghiero» proferì Stiles con un’inclinazione sarcastica, arricciando il naso.

Derek gli sollevò maggiormente il viso, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi. «Conosco i tuoi stratagemmi, conosco la tua indole incontrollata ed impulsiva, le progettazioni, il modo in cui ti muovi per attaccare prima di divenire un bersaglio, per avere sempre la meglio e lasciare tutti gli altri nel torto, le tue migliori qualità e le peggiori, la parte più bella e la più malvagia; non credere che non le abbia messe in conto davanti alla prospettiva di condividere per sempre la mia vita con te» il tono era solenne, imperioso, irremovibile e del tutto devoto a lui. «Che sia per un attestato dello stato o meno, sceglierò sempre di stare con te finché saremo vivi. Non ti ho sposato perché dovevamo, ma perché lo volevo».

Stiles tremò in ogni parte, le sinapsi impazzite, le vibrazioni che pizzicavano vertebra dopo vertebra senza dargli pace. «Beh, sai che ti perseguiterei anche nella morte».

Derek gli sorrise trascinato prima di depositargli un bacio aperto e carico di sentimento sulla bocca. «Non avevo dubbi».

Dio, si poteva morire di troppo amore? Quello sarebbe stato il momento adatto. Nascose il viso nel suo e se lo strinse forte al torace.

«Che ne dici di apporre la tua firma lì» gli propose il lupo mannaro, indicando la pila di fogli nascosti.

Stiles si mosse con un attimo di ritardo, il significato che faticò a comporre nella mente in continua corsa, scostandosi lievemente da lui e guardandolo dal basso con un interrogativo ben stampato nei tratti non più fanciulleschi, avvicinandosi incoraggiato dalla tempra del marito. «Che cosa sono?» disse con titubanza e morbosa curiosità, scostando ed alzando la copertina leggermente spessa che proteggeva l’involucro, lasciandola cadere di getto, scottato dalle parole che vide scritte in grassetto e dalla dimensione del carattere piuttosto elevata, certificato di adozione, insieme a tre nomi incolonnati uno sotto l’altro: Erick, Laura e Corine Lefèvre. «Che sta succedendo? Hai cambiato idea?».

«Succede che hai ragione anche quando sei completamente in errore» in realtà, capitava continuamente, si chiedeva come potesse stupirsene ogni singola volta.

«Davvero?» non che avesse ragione, quello era indiscutibile, era soltanto sorpreso che Derek volesse farlo seriamente.

«Sì» convenne il licantropo con convinzione, avvicinandosi di un passo alla lastra di legno lavorato che sosteneva in bella vista la documentazione necessaria per autentificare la prossima fase. «La famiglia non va divisa, soprattutto i fratelli».

A Stiles scoppiò il cuore, era così importante da romperlo, a quell’insieme vide la personale esperienza di Derek, come sarebbe stata la sua vita se Cora fosse cresciuta con lui? «Sei convinto davvero?» tuttavia individuava ancora della titubanza dalla sua parte, non che non la capisse.

«Sono solo sorpreso che tu voglia farlo» ragionò con se stesso il nato lupo, osservando l’atto su cui era già stata depositata la sua firma. «Pensavo volessi prendere una nuova specialistica, era già impraticabile con un bambino in giro, ma con tre sarà impossibile» per quanto avessero potuto giostrarsi bene e dividersi i compiti perfettamente, Derek non vedeva proprio come avrebbero potuto fare funzionare le cose per permettergli di acquistare un nuovo titolo per aumentare le sue credenziali.

«È questo che ti preoccupa?» Stiles fu folgorato nell’immediato, completamente allibito e commosso. «Negli ultimi dieci anni ci siamo concentrati soltanto sulla mia carriera, il college, le specialistiche, l’accademia, i periodi di prova, gli anni d’esperienza nelle forze dell’ordine prima del passaggio definitivo e tu mi hai sostenuto sempre. Posso rallentare, posso prendermi una pausa dalla mia convulsione a pianificare, posso dedicarmi interamente a questa famiglia, lo devo a me, lo devo a te e noi tutti».

«Non mi devi niente» obiettò Derek, riprendendolo fermamente e con determinatezza. «Non devi sacrificare le tue ambizioni per questo progetto, non devi fermarti».

«Non le sacrificherò, ma è arrivato il momento di dare la priorità a qualcos’altro, a noi» Stiles era sempre stato convinto di quello, da quando ne avevano parlato la prima volta. Si erano mossi lentamente, con calma verso quella direzione, prendendosi tutto il tempo di cui necessitavano e studiando passo dopo passo, arrivando al periodo che ritenevano ideale per aprire le danze. «Se dovessi fermarmi, sei autorizzato a riprendermi».

Derek lo guardò attentamente, scrutando ogni centimetro della sua epidermide e sondando la veridicità delle sue parole. «Va bene».

Stiles si esibì in una piega sincera ed amabile sulla bocca, sfiorando con i polpastrelli i fogli su cui figurava già la firma del lupo completo, sempre previdente. «Come fai ad avere già le carte?».

«Sono due giorni che ne discuto con la Wilkinson» rivelò atono il mutaforma, ripensando alle enormi discussioni che aveva tenuto con lei. «Le ho appena ritirate».

Ed era corso subito da lui. «Tu cosa?» Stiles per due notti e tre giorni aveva pensato che Derek necessitasse di una pausa dalle sue malefatte, dalle continue situazioni disastrose in cui lo metteva, mentre in realtà si era già mosso per realizzare la sua blanda ed avventata proposta. Quanto tempo gli era servito per poterla accettare, soppesare i pro e i contro, poter tirare le somme e decretare che fosse la strada giusta? Che potesse essere fattibile. Sicuramente una distanza da lui che gli assordava i pensieri gli era stata necessaria.

«Non era per niente entusiasta della tua prodezza» disse la creatura della notte, rifilandogli un’occhiata tagliente e significativa.

«Ma io era serio» esclamò con impeto, l’irrefrenabile impulso di battere i piedi e dimostrare quanto lo fosse.

«Lei non ti conosce, non sa quanto testardo e molesto puoi essere» Derek, purtroppo, ne era fin troppo consapevole e spesso vittima. «Hai buone intenzioni, ma agisci nel modo sbagliato».

Stiles strinse i pugni perché sapeva di dover incassare il colpo, l’autenticità nella voce del marito e il suo rimprovero continuo non tanto velato; era dura fare l’uomo adulto. «Mi scuserò anche con lei» benché non gli andasse affatto.

Le falangi del mannaro si inoltrano tra le ciocche castane, avvicinandolo maggiormente a lui e depositandogli un bacio pieno sulle labbra. «Che ne dici di terminare la trattativa, Mieczysław Stilinski?».

Stiles rabbrividì di scontento e raccapriccio, increspando la fronte e arricciando il naso come se avesse appena ingurgitato un limone intero. «Non chiamarmi così» chissà com’era possibile che tutti azzeccassero la pronuncia del suo nome di battesimo ed a lui continuasse ad essere ostica. Probabilmente aveva un rifiuto colossale.

Derek non riuscì per nulla a trattenere la risata che gli sfuggì da dentro la gola, conoscitore di quanto l’umano disprezzasse quell’insieme di suoni. «Eppure è questa la firma riportata sui documenti» dal contratto d’acquisto della villa al certificato del matrimonio, come tutta la sua posta.

Il figlio dello sceriffo lo fulminò con gli occhi, ben vedendo quando il suo disgraziato consorte si stesse divertendo. «Giuro che un giorno lo cambierò».

«Odi la burocrazia» era uno dei tanti motivi per cui se ne occupasse sempre lui, cosa che non poteva accadere con le scartoffie dell’FBI, di cui Stiles si lamentava in continuazione.

Stiles sospirò scontento e Derek gli scioccò un bacio ad un angolo della bocca a ricompensarlo e tirarlo su di morale. «Avanti» lo invogliò, andando a prendere una penna a sfera dallo scrittoio d’esposizione che si trovava poco lontano, rifornito di ogni taccuino, agenda e fogli prendi-appunti, biro e matite.

Stiles se la ritrovò in mano quando il mannaro gliela porse, invitandolo a rendere concreta la loro ultima decisione. La fissò come se non capisse a cosa servisse, le sensazioni erano innumerevoli e una più ridondante dell’altra, mandandolo in confusione, ma mai così certo come lo era in quel momento di svolta, tuttavia qualcosa gli impedita di dare un taglio netto e rendere concreto il passo successivo. «E tu, Derek?» tutto quello che ricevette dal lupo fu uno sguardo stralunato e con un’espressione d’incognita ben stampata. Quanto avrebbe potuto essere esplicito per non ferirlo? «Con la bambina, Laura».

Il dolore attraversò le iridi di giada, il fiato sul collo del fantasma che gravava sospeso su di lui. «È soltanto un nome».

«Quello della tua Alpha, di tua sorella» Stiles capiva bene quanto Derek soffrisse per quell’omonimia, l’aveva visto sin dal primo momento che quell’insieme di sillabe fu rivelato con pudore e dolcezza, in una presentazione sopraffina, la smorfietta allegra sul visino tutta dedita a loro; si era sentito conquistato in un istante, era sicuro che era valso anche per il licantropo, ma poi gli artigli beffardi del fato l’avevano annientato. Non poteva semplicemente soprassedere, Stiles aveva impiegato molto tempo ed energie per rendere le memorie di Laura un porto sicuro per Derek, qualcosa da non rinnegare, ma di cui parlare con fierezza, ricordandola. Soltanto due anni dopo che gli affidò la fotografia incorniciata sotto un bordo d’argento lavorato, che ritraeva impeccabilmente sorella e fratello, Derek l’aveva richiesta indietro ed era ancora lì, sul suo comodino nella loro camera da letto. Non era soltanto un nome.

«Sono sceso a patti con me stesso» rivelò la creatura leggendaria, il tono moderato e rassegnato, il leggero sottotono dell’affanno ed afflizione. «Non voglio dire che sarà facile, ma non è una ragione per rinunciare».

Gli arrecava del male fisico non essere stato al suo fianco quando era giunto a quella illuminazione, a quel compromesso, l’esserne stato completamente tagliato fuori, senza soppesare insieme la situazione; a quel punto della storia si chiese se in realtà quei tre giorni di distanza tra loro non fossero necessari a Derek per vedersela con se stesso, oltre alla mal indulgenza che provava nei suoi confronti dopo quell’errore di troppo.

«Sono tanto fiero di te, Sourwolf» proferì univoco e orgoglioso il detective, la voce che si amplificava in tutto l’ambiente casalingo, l’amore profondo che provava per quell’uomo completamente a pezzi che era riuscito a rimettere tessera dopo tessera nel posto corretto.

Derek amplificò la stretta sul cuoio cappelluto e Stiles si sporse per legarlo ad una morsa che gli trasmettesse esattamente quel sentimento di fierezza, l’autentico valore che gli riponeva.

L’umano si rigirò la stilo tra le dita, concentrandosi sui documenti che aveva davanti a sé e dividendosi dal contatto con il mutaforma, depositando una sfilza di Mieczysław Stilinski su ogni incarto di cellulosa che lo richiedesse, di fianco a quelle di Derek Hale, riempiendo con meticolosità anche le due copie allegate.

Posò la biro sulla tavola da pranzo, sentendosi esausto ed al colmo di una felicità mai sperimentata in precedenza. «Avremo davvero i nostri lupacchiotti».

La commozione ed il tremito d’affetto furono così devastanti per i sensi amplificati di Derek da esserne schiacciato, trangugiato, avvolgendo il marito tra le braccia e tenendoselo ben stretto al torace, immergendogli il naso nell’incavo del collo. «Lo sceriffo dovrà rinunciare alla camera degli ospiti tra qualche anno».

Stiles rise con autenticità sulla sua pelle, accentuando l’intreccio dei loro arti superiori. «È un bene che tu sia un uomo previdente, adorerà la dépendance».

«Non fare mai più una bravata come questa, Stiles» lo ammonì Derek con inclemenza accondiscendente, sudando freddo per tutto quello che li attendeva dietro l’angolo, nel momento in cui avrebbero consegnato i documenti siglati all’orfanatrofio.

Stiles ridacchiò spudorato e senza alcuna vergogna, non rassicurandolo affatto di mantenere nulle le sue birichinate. «Adottiamo anche un cane? Ne ho sempre desiderato uno» perché quattro lupi sotto il medesimo tetto non gli bastavano minimamente.

Forse era finalmente giunto il giorno in cui Derek gli avrebbe strappato la gola con i propri denti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci siamo totalmente tuffati in loro in questo capitolo, così tanti aspetti del passato che si collegano al presente che hanno costruito insieme, passo dopo passo, lentamente e con i loro tempi, peccato che Stiles abbia delle brutte abitudini che però Derek, in qualche modo, sa gestire, anche se necessita dei suoi spazi per metabolizzarle. Quanta pazienza deve avere quest’uomo con quell’uragano volposo.

Sì, i nostri ragazzi preferiti si stanno per immergere in qualcosa di eccessivamente grande perfino per loro che hanno affrontato di tutto, tre marmocchi luposi non sono proprio di facile gestione e non ci resta che osservare i tentativi che li vedranno protagonisti.

A martedì prossimo,

Antys.

   
 
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