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Autore: settembre17    14/10/2021    15 recensioni
Se ne sono andati, si amano, vivono insieme.
Forse non c’è stato bisogno del ballo con lo svedese, forse lui ha ancora entrambi gli occhi, ma nulla di questo qui conta.
Un gigantesco what if, ma una storia piccola. Spero di aver mantenuto i personaggi abbastanza fedeli al loro carattere.
C’è un’idea semplice di felicità, c’è il destino che incombe, c’è sempre l’amore.
La struttura della storia ha una sua circolarità che non ho voluto spezzare.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi non sono miei, ma sono frutto della meravigliosa fantasia di Madame Ikeda.
 
Se ne sono andati, si amano, vivono insieme.
Forse non c’è stato bisogno del ballo con lo svedese, forse lui ha ancora entrambi gli occhi, ma nulla di questo qui conta.
Un gigantesco what if, ma una storia piccola. Spero di aver mantenuto i personaggi abbastanza fedeli al loro carattere.
C’è un’idea semplice di felicità, c’è il destino che incombe, c’è sempre l’amore.
La struttura della storia ha una sua circolarità che non ho voluto spezzare.


 
 
SPARIRE
 
Le rose che avevano piantato insieme pochi giorni dopo essere arrivati si arrampicavano ormai fino quasi a raggiungere la sommità della porta di una piccola abitazione di legno e pietre appena fuori dal paese, nella campagna sonnolenta della sera, dove gli ultimi contadini si incamminavano stanchi verso casa e i richiami delle mogli indaffarate si sentivano in lontananza e il vociare dei bambini che si rincorrevano moriva nei viottoli fino all’incrocio della strada principale che si allungava verso Parigi.
 
Erano venuti da quella strada quasi un anno prima e non erano tornati più indietro.
- E adesso? – Le aveva chiesto lui quando erano arrivati.
- E adesso viviamo, finalmente. - Aveva risposto lei sicura.
- Ti mancheranno troppe cose, qui. – Lo aveva detto piano, quasi sottovoce, misurando con lo sguardo quella piccola casa.
- Io non credo. Non sono una ragazzina, ho fatto una scelta, non una pazzia. E poi quella non era vita.
Lui aveva taciuto, ma dentro di sé sentiva che quel discorso non era chiuso. La amava così tanto che a volte, all’improvviso, gli si spezzava il respiro, ma ancora non si era abituato a considerare sé stesso oggetto del medesimo amore.
E allora lei lo aveva abbracciato e, da vicino, aveva puntato lo sguardo nel suo, poi un angolo della bocca si era alzato in un sorriso e lo aveva preso per mano. Erano entrati, avevano chiuso la porta alle loro spalle e avevano fatto diventare definitivamente loro quella casa.
 
Le settimane e le stagioni passavano piene di amore: lui aveva dimenticato ogni perplessità e insieme, finalmente davvero insieme, facevano esperienza di una vita libera e spontanea, in cui tra di loro i sentimenti non erano nascosti, i gesti erano chiari, gli sguardi limpidi, le parole oneste e vere, tenere le frasi sussurrate nel silenzio della notte.
 
Si presentavano ufficialmente come “madamigella” e “il suo attendente”, ma quasi nessuno, in realtà, aveva mai preteso una presentazione ufficiale e, da quando erano arrivati, tutti nel piccolo villaggio avevano visto con simpatia il rapporto di aperta confidenza che legava il Conte de Jarjayes a un uomo del popolo. Che poi tra quei due ci fosse altro, con l’andare del tempo, alcuni lo sospettavano, alcuni lo davano per scontato, a molti non interessava, a nessuno in ogni caso pareva poi così importante.
 
La sera andavano spesso a cena in una locanda nella piazza centrale del villaggio; lei continuava a indossare abiti maschili, ma con una femminilità ormai talmente evidente che non poteva davvero essere scambiata per un uomo. Persino Sybille, la cameriera più procace e civettuola dei dintorni, dopo qualche settimana che loro due andavano a mangiare lì, aveva puntato i piedi con l’oste, Monsieur Armand:
- Voglio mettere anch’io sopra la gonna la camicia à la mademoiselle Oscar!
Il povero Monsieur Armand aveva provato a dire di no, che queste stranezze vanno bene per i clienti ma che alla sua locanda, insomma, le cameriere si vestono da cameriere, santo cielo!, e che tutta quella stoffa era costosa e che con le equivalenti aune di cotone le avrebbe fatto confezionare almeno tre fichu e poi, perdinci, che se ne faceva delle maniche e dei polsini, le braccia libere devono avere le cameriere! e poi ai clienti piace vedere, insomma, diciamolo, un po’ di carne, ecco, e lei che cosa voleva fare, coprirsi come un uomo!
Sybille lo aveva lasciato parlare ma tenendo i pugni sui fianchi con un’aria minacciosa di tempesta, e poi se ne era uscita tutta d’un fiato:
- Badate bene, Monsieur Armand, io non vi sto chiedendo il permesso, io vi sto informando che da domani metterò la camicia à la mademoiselle Oscar sopra la mia gonna, perché, non so se l’avete notato, ma la camicia da uomo la fa sembrare ancora più donna, madamigella, e io, se permettete, ho un personalino che saprei ben valorizzare, magari con un bottone slacciato in più, perché, insomma, vedete anche voi, che io ho un balcon, come dire, più… in fiore, ecco, ma mi guardate in faccia quando vi parlo monsieur? Vi sono caduti gli occhi, eh!, e comunque, badate bene che non vi ho chiesto di portare le culottes à la mademoiselle Oscar, no, quelle no, perché lo capisco che quello è troppo e che madamigella con le culottes non perde l’eleganza mentre io, insomma, non credete che mi tirerebbero un po’?, sarebbe disdicevole, insomma per una che ha una vita stretta come la mia ma poi i fianchi così generos…, ma insomma guardatemi in faccia mentre vi parlo, dove state guardando?, dicevo, sarebbe disdicevole non trovate, indossare le culottes, anche un po’ sfacciato direi, invece la chemise, ah, la chemise! Domani vedrete monsieur, e sarete soddisfatto perché avrò, come madamigella, quel certo je ne sais quoi che farà arrivare qui clienti a mucchi, ve lo dico io, e andrà a finire che poi mi ringrazierete, sissignore e ora, se permettete, vado a casa che tanto qui se ne sono andati tutti, au revoir.
E così, dal giorno dopo la giovane Sybille aveva orgogliosamente indossato la sua chemise e la sera aveva fatto l’occhiolino a madamigella e aveva piroettato davanti ad André cinguettando:
- E voi che dite, André?
- Oh, io ho sempre adorato le donne in camic… ahia! mi hai fatto male, Oscar!
- André voleva dirti che stai molto bene, Sybille, ci porti il solito ora?
Poi erano scoppiati a ridere tutti e tre ed era nata così una piccola amicizia. Oscar le aveva regalato una delle sue camicie e con riconoscenza Sybille faceva trovare ogni sera al centro del loro tavolo un boccale d’acqua con dei fiori di campo.
Di solito, quando avevano finito di mangiare, stavano seduti ancora un po’ a chiacchierare fitto fitto, oppure lui, sotto il tavolo, le prendeva una mano e le accarezzava il dorso e il polso facendo scorrere le dita al di sotto della stoffa della manica mentre tutti e due fissavano in silenzio ma sorridenti il passaggio della gente nella piazza. Poi, dopo aver pagato e salutato, si incamminavano verso casa, uno di fianco all’altro e, appena uscivano dalle vie centrali e le strade si facevano più scure nella sera, lui le cingeva le spalle fino a farla ruotare leggermente contro di lui e lei con la mano libera si aggrappava al suo avambraccio e a volte baciava ridendo quell’avambraccio o la mano di lui che intrecciava alla sua e così andavano a casa, mentre proiettavano per terra l’ombra strana di un essere con un corpo solo e quattro gambe.
 
Pur nella loro discrezione e riservatezza, avevano messo a disposizione del piccolo villaggio le loro qualità e così un giorno d’autunno il parroco, un giovane con gli occhi scuri e il sorriso buono, aveva timidamente chiesto a Monsieur Grandier se per caso… madamigella sapeva suonare l’organo, oh un organo modesto davvero, e se… ecco… a madamigella sarebbe piaciuto, qualche volta, magari nel pomeriggio… un’oretta, si capisce, per non disturbare… accompagnare il coro… ma solo per le prove, eh, che in chiesa di domenica c’è Philippe e all’organo ci pensa lui, ma durante la settimana… sapete com’è, Monsieur Grandier, abbiamo tutti da fare e…, insomma…
E così lei, che mai aveva suonato l’organo, aveva imparato a manovrare quello strumento dal suono così solenne e austero modulando le note sulle voci un po’ stentate ma volenterose dei bambini e anche degli uomini del villaggio. Amava ogni imperfezione di quei momenti: le sue incertezze sui tasti e sui pedali, le stonature, i ritardi e le accelerazioni improvvise delle voci e il fatto che lei dovesse aspettarle o rincorrerle, tutto le metteva allegria.
- Sai come mi sento quando sono lì dentro? – aveva detto una buia sera di dicembre a lui che quando poteva la veniva a prendere – Mi sento al riparo dalla perfezione, nessuno qui vuole da me la perfezione, André.
- Credo di non averti mai considerata perfetta… - le aveva detto lui ridendo.
Ma lei, seria, aveva fermato i suoi passi e guardando avanti a sé aveva mormorato:
- Il figlio perfetto per mio padre, una perfetta madamigella per tua nonna, un comandante perfetto per Girodelle e per chiunque io abbia comandato, una confidente perfetta per la regina, un amico perfetto per Fersen. Tutti, per quanto mi abbiano amato, hanno voluto da me un pezzo di perfezione.
- Non ti hanno amato perché eri perfetta…
- Ma a volte a me sembrava così. Che senza quella perfezione li avrei persi.
- Li hai persi comunque, no? Siamo spariti qui. Laggiù la vita va avanti, anche senza di noi. - Le aveva stretto la mano e si era messo di fronte a lei.
- Spariti…
- A volte mi chiedo fino a quando tutto questo ti basterà. – Aveva sussurrato lui appoggiando la sua fronte contro quella di lei.
Ma lei si era staccata ed aveva indietreggiato un poco continuando a tenere lo sguardo in quello di lui.
- Noi non siamo spariti! Ce ne siamo andati! E lo sanno dove trovarci, se vogliono! E nessuno, nessuno!, ha ritenuto necessario o opportuno farci domande! E sai perché? Perché nessuno voleva sentire le risposte!
- Forse è stato un atto d’amore, non pensi? Le risposte avrebbero comportato reazioni, prese di posizione. Non si può sbattere in faccia la verità agli altri, magari gli altri non hanno ancora la forza di reggerla quella verità e vogliono solo accettarla, non discuterla.
L’aveva abbracciata tirandola con dolcezza contro di sé e allora lei, vicino al suo orecchio e tra il nero dei suoi capelli aveva sussurrato piano:
- Non voglio che pensino che siamo… spariti.
- E perché è così importante per te? – Aveva chiesto lui continuando a tenerla stretta e parlando con le labbra sui suoi capelli.
- Tu hai detto che laggiù la vita va avanti, come se stessi parlando di due vite diverse, come se questa non fosse vita.
- No, ti sbagli, non è questo. Ma a volte ho paura della scelta che abbiamo fatto, ho paura che stiamo vivendo una realtà che non può durare, che ci siamo messi al riparo dalla storia ma che poi la storia ci verrà a prendere. – L’aveva stretta un po’ di più.
- Lo sai che solo quando siamo insieme, per me è vita, André.
- Anche per me è così, ma promettimi che se un giorno dovremo fare altre scelte le faremo insieme.
- Te lo prometto.
Si erano baciati come se non l’avessero mai fatto prima e tra le ciglia, ad entrambi, era brillata una lacrima. Poi erano tornati a casa con il passo affrettato.
 
Tutte le mattine, con qualunque tempo, si dedicavano con rigore e con passione a mantenersi in allenamento: duellavano all’aperto, nel prato sul retro della loro casa, oppure in qualche radura del bosco vicino, o sull’argine del canale che correva a sud del villaggio o ancora in equilibrio su stretti ponti di legno, su muretti a secco o su passerelle improvvisate in mezzo ai campi allagati dalla pioggia.
Nonostante non ci fosse l’urgenza dell’azione, nonostante non fossero sotto lo sguardo di nessuno, vivevano quegli esercizi con straordinaria serietà, erano capaci di ripetere una mossa più e più volte, finché non dava l’esito voluto; provavano e riprovavano non per ottenere la perfezione del gesto, ma l’efficacia del colpo, la parata più sicura, l’affondo più letale.
Poi cavalcavano a lungo, stancando i cavalli per saggiarne la resistenza, imponendo loro improvvisi cambi di velocità e di direzione per verificarne la docilità e la prontezza, finché all’ora di pranzo rincasavano a un leggero trotto.
 
Un giorno, era forse la fine di marzo, mentre mangiavano pane e formaggio al piccolo tavolo di fronte alla finestra aperta del salottino e una gentile brezza di primavera gonfiava la tenda, lui pensieroso le chiese:
- Hai notato che per vivere qui il denaro quasi non serve?
- Che cosa vuoi dire? –lei stava versando in entrambi i bicchieri un po’ d’acqua.
- Che a parte la cena alla locanda, noi qui non paghiamo praticamente nulla in denaro. Le piccole cose che facciamo per la gente del villaggio ci vengono ripagate in cibo, vino, in una strigliata ai cavalli, in un lavoretto in casa e così abbiamo tutto quello che ci serve; e al piccolo mercato del martedì noi due siamo gli unici con il portamonete, la gente di qui non va a comprare ma a scambiare, hai notato anche tu?
- Il baratto, insomma…
- Già… non ti pare una cosa… arretrata? Io ricordo che da ragazzi, ad Arras, la frutta si pagava, anche le uova…
- Alla locanda vogliono sempre essere pagati in tagli piccoli, hai notato? Le nostre monete d’oro servono a poco qui…
- Sì, ma se poi qualcuno si ammala come fa? Ed è facile ammalarsi quando si vive così… I dottori sono in città e vogliono denaro, non farina e uova… Vuoi una mela?
- Sì, grazie. Ti ricordi i Sugan?
- Certo… Tieni. L’hai pagato tu quel dottore, Oscar. E non siamo più ai tempi della nonna di mia nonna quando si pagavano gli avvocati con i capponi: oggi un medico, un avvocato… vogliono denaro. E questa gente non ne ha… E poi, Oscar, nessuno può permettersi di comprare un libro, anche piccolo. In quante di queste case ci sarà un libro?
- Noi siamo cresciuti in mezzo ai libri…
- Sabato scorso ho insegnato a leggere a un ragazzo di quattordici anni, quattordici anni! Le condizioni di questa gente mi impressionano, Oscar.
- Lo so, ma che cosa possiamo fare, io e te?
Lui tacque, poi iniziò a sparecchiare mentre lei spostava i bicchieri e la brocca e usciva a scuotere la tovaglia dalle briciole. Quando rientrò gli occhi impiegarono un attimo ad abituarsi alla penombra della stanza.
 
Difficilmente André passava il pomeriggio a casa, andava da chiunque avesse bisogno di una mano e si prestava con buonumore a qualunque tipo di lavoro: aveva aiutato a costruire muretti a secco, aveva riparato tetti scoperchiati, aveva sistemato calessi, insegnato a leggere a bambini curiosi, vendemmiato, mietuto, falciato, insomma, non si tirava mai indietro.
Erano arrivati forse da dieci giorni che lui si era già offerto di dare una mano a sistemare le ante pericolanti della canonica: il parroco aveva accettato l’offerta di buon grado. Poi, mentre André era sulla scala aiutato da un paio di ragazzini, la perpetua, che arrivava dall’orto, si era avvicinata al parroco che leggeva su una panchina nel giardino:
- Voi sapete, vero, padre, chi è quel tizio?
- Certo, è André Grandier, il nuovo arrivato. – Aveva risposto lui interrompendo la lettura del breviario.
- E sapete anche dove abita, vero? E con chi, abita. - Nel pronunciare l’ultima frase la perpetua aveva bisbigliato e cercato con gli occhi gli occhi del parroco.
- Certo che lo so.
- E…..?
- E cosa?
- Ma insomma, vi pare il caso di tollerare che la condotta peccaminosa di quei due sia sotto gli occhi di tutti? Non sono sposati, non so se vi è chiaro, e si fanno vedere in giro e si comportano come se… e vengono anche in chiesa! E le donne del paese, so io che cosa dicono e voi che incoraggiate…
- Sentite, Florence, - e un sorriso bonario si era allargato sul faccione del parroco -, madamigella Oscar è il feudatario di queste terre, è venuta a vedere la nostra situazione e, come è normale, ha portato con sé il suo attendente, perché, voi lo sapete, nessun nobile si muove da solo, giusto?
- Giusto, ma…
- Ma che cosa? Avreste preferito che fosse venuta qui con due uomini, forse? - E l’aveva guardata con un’espressione innocente da cherubino.
- Con due…, ma no, che cosa dite, padre!
- E poi e poi, - aveva detto il parroco alzandosi in piedi e sistemandosi la tonaca - io non ho mai visto niente di disdicevole tra madamigella e il suo attendente, e mi fa piacere vedere madamigella in chiesa e… ora vi confiderò anche un segreto, cara Florence. – Aveva abbassato un po’ la voce per darle il colpo di grazia creando un’atmosfera di complicità di cui la perpetua fu immensamente compiaciuta, poi aveva sussurrato:
- Avrete notato che ultimamente la raccolta delle offerte in chiesa è una vera soddisfazione… - E poi le aveva rivolto uno sguardo eloquente e Florence, dopo aver ripetuto più volte la frase nella mente e aver compreso il nesso nascosto, se ne era uscita con un:
- Aaahhh….
Il parroco l’aveva lasciata lì e si era avviato verso la canonica sorridendo, sicuro che da quel momento madamigella e André sarebbero stati al sicuro da qualunque pettegolezzo. E così era avvenuto: se qualche comare dopo la messa della domenica faceva il minimo malizioso accenno ai nuovi arrivati, la perpetua si sperticava in lodi al “conte”, usava rigorosamente il maschile, “che tanto si preoccupa per noi” e al suo attendente, “una persona così gentile e disponibile!”.
 
 
Poi giunse un pomeriggio di aprile, ancora freddo nonostante la primavera fosse inoltrata: André era andato a sistemare i filari delle viti di Monsieur Rémy e lei stava disponendo in un vaso delle fresie gialle quando sentì bussare alla porta.
Si ritrovò di fronte gli occhi di ghiaccio di suo padre. Lo fece entrare compiendo una rotazione del busto tale per cui il generale poté allungare un passo dentro la casa, ma non andò oltre, più per il fastidio che per l’imbarazzo.
- Padre…
Lui andò subito al punto, non era uomo da convenevoli. Aveva cavalcato da solo fino a lì perché quella che doveva discutere era una faccenda privata, tra lui e il suo erede, nessun altro spettatore era invitato e fu grato che André non fosse in casa. Prese fiato cercando di dire quello che aveva da dire senza farsi distrarre da quello che i suoi occhi involontariamente registravano: la stanza angusta, il mobilio modesto, una scala, e per un istante immaginò dove portasse quella scala e sentì un moto di furioso disagio, una cesta di vimini ai piedi della scala e dentro, ben piegati, vestiti, di entrambi?, puliti e poi ancora vide, e più tardi, mentre tornava a palazzo, maledisse lo sguardo analitico da generale che negli anni aveva sviluppato, due spade una accostata all’altra, due mantelli appesi vicini, due libri sul tavolino vicino al piccolo divano sul quale era piegata una sola coperta, e poi vide sulla semplice madia alla sua destra, fermato da una ciotola di legno intagliato, un foglio occupato al centro da un testo scritto con una grafia ben ordinata che conosceva, quella di lui, di André, e poi riconobbe, aggiunto sul margine di quel foglio, un piccolo pentagramma con poche note e sotto uno svolazzo che non riuscì a leggere, ma capì chiaramente che la grafia era quella di sua figlia e poi vide altri libri che avevano portato via ben disposti su una mensola proprio di fronte a lui e riconobbe con un certo orgoglio la copertina rossa di un Cesare che lui stesso le aveva regalato quando lei aveva compiuto dodici anni.
Ma nulla di tutto questo lo distrasse in quel momento dall’obiettivo della sua missione, dunque, pochi secondi dopo essere entrato, prese fiato e, con una piccola, impercettibile esitazione, disse:
- Oscar… Oscar. Devi tornare, la situazione sta peggiorando a corte e a Parigi, non puoi stare qui ancora, su, prendi le tue cose e andiamo. Chiama André e fagli preparare un bagaglio leggero e i cavalli, manderemo qualcuno a prendere il resto. Devi tornare a palazzo.
Lei non si mosse, ma sentì nell’urgenza del padre una sorta di allarme.
- Che cosa sta succedendo, padre?
Lui comprese che non poteva pretendere la sua obbedienza, non più, e così le spiegò:
- La situazione è grave, Oscar, la famiglia reale è sempre più isolata a corte, ci sono persone che tramano contro le loro maestà e specialmente la regina… lei è…
- Lei è, cosa?
- Non è amata, Oscar, e molti tra i nobili ora la avversano apertamente, si stanno creando degli schieramenti… delle fazioni, direi… C’è il gelo della guerra nei corridoi della reggia, e lei reagisce all’ostilità con altra ostilità, lo sai come è fatta, la conosci da quando era una principessa capricciosa che non voleva salutare la favorita del re. Ma ora è tutto più pericoloso, la sua incolumità è in serio pericolo, Oscar, bisogna difendere lei e il re. E la nostra famiglia, lo sai, può vantare secoli di devozione ai sovr…
Lei guardò le fresie, le accarezzò con un piccolo sorriso e poi lo interruppe:
- Mi dispiace sentire quello che dite, ma vedete, per quanto mi riguarda, ho fatto una pace separata, padre.
- E questo che cosa significa?
- Significa che non ho più motivi per combattere nella vostra “guerra di corte”, davvero, sono mentalmente fuori da tutto quello che raccontate. Vi ascolto, ma da lontano, padre.
- E quindi che vuoi dire, che sei… neutrale?? Guarda che tu hai lasciato l’incarico alla Guardia Reale, non hai lasciato l’esercito!
- Non ho più intenzione di tornare a Versailles né di tornare a comandare i soldati della Guardia Reale.
Lui chiuse i pugni trattenendo a stento il desiderio di colpirla.
- Ma tu che cosa credi? Che tutti aspettino te? Tu sei sparita, sparita! E nella sua inconcepibile e incomprensibile bontà, Sua Maestà la regina non ha chiesto nulla e ha solo comunicato che dal mese prossimo avrai un nuovo incarico come Comandante dei soldati della Guardia a Parigi! Il tuo posto l’ha preso Girodelle, uno che sa rendere fieri i suoi antenati, direi. Ma tu ti rendi conto? Fosse stato per me, ti avrei spedito alla corte marziale, altro che coltivare fiori! E ora, se un briciolo del mio sangue ti è rimasto in quelle vene, non blaterare di pace, sparisci da questo posto dimenticato da Dio e torna al tuo dovere!
- Non siete più voi a dirmi qual è il mio dovere, padre.
- No, hai ragione, non sono più io. È la tua coscienza che ti deve dire qual è il tuo dovere. Se ancora hai una coscienza. Hai un incarico. Ufficiale. Senti un po’ che cosa ti dice la tua coscienza. Addio.
E se ne era andato.
E lei era rimasta lì, poi si era accorta che il vaso delle fresie aveva una crepa.
 
Guardò fuori dalla finestra e ripensò a quando aveva già sentito la sua felicità così, fragile e precaria.
 
Era stato alla fine dell’inverno: un pomeriggio lo aveva visto appoggiato a un muretto, con le gambe accavallate all’altezza delle caviglie. Pareva intento a leggere un volantino, ma lei conosceva bene quell’espressione:
- Grandier, questo è un appostamento in piena regola! - Gli aveva detto maliziosa appena gli era arrivata vicino.
Lui le aveva fatto un formale inchino ma, incatenando gli occhi ai suoi e senza dire una parola, aveva guidato il suo sguardo verso il retro di una cascina poco lontano.
Lei, ostentando indifferenza, con nonchalance aveva colpito un sasso con la punta dello stivale e poi si era appoggiata allo stesso muro fingendo interesse per il volantino che lui le porgeva.
- Che cosa succede?
- Non lo so, ma c’è movimento. Stanno preparando un carro e ho sentito che partirà dopo cena diretto a Parigi.
- L’hanno già caric… guarda, André!
Dal fienile avevano visto arrivare i due garzoni del fabbro, ciascuno guidava una carriola da cui usciva un cumulo di fieno, ma quando avevano svuotato il contenuto delle carriole sul carro, i due non avevano potuto evitare che si sentisse un rumore metallico:
- Accidenti a te! Stai attento, non possiamo farci scoprire!
- Lo so, lo so, ma non c’è nessuno, a quest’ora sono tutti a casa a mangiare. Piuttosto prepara qualcosa anche a me, parto al primo buio, la consegna è fissata per domattina all’alba e non voglio che questo ben di dio venga scoperto, a Parigi servirà il nostro contributo! E ricorda, lo facciamo per il nostro paese, per la nostra bella Francia.
Avevano coperto il carro con il fieno e poi erano rientrati.
- Quel carro è pieno di armi, Oscar.
- Armi… Il popolo si sta armando, è così?
- Credo di sì…
- Tu credi che ci sarà…
- La rivoluzione?
- A questo siamo arrivati, dunque?
- Non ancora, forse, se i sovrani decideranno di ascoltare il popolo…
- Andiamo a casa, André.
Quando erano arrivati a casa, mentre si cambiava per la cena aveva realizzato che non aveva fatto nulla per impedire che quel carico arrivasse a destinazione. Sei indifferente o sei complice? Si era chiesta con inquietudine. E poi si era avviata alla locanda al fianco di André, ma al risuonare di ogni passo sul selciato aveva ripetuto dentro di sé “la nostra bella Francia, la nostra bella Francia…”.
 
Rabbrividì, mise le fresie al centro del tavolo e salì a cambiarsi.
 
Appena lui entrò in casa vide il vaso e sorrise ricordando il giorno in cui avevano piantato le fresie nel giardino: “tutte le volte che guarderò questi fiori penserò a te e al biondo dei tuoi capelli”, le aveva detto; si tolse la giacca avvicinandosi al tavolo: che profumo di primavera, disse fra sé, poi sentì che lei stava scendendo le scale:
- Ciao.
- Ciao, come è andata da Monsieur Rémy? - Lo baciò velocemente sulla tempia.
- Vorrei dirti bene, ma ho addosso il peso dei loro pensieri. Sono tutti preoccupati, naturalmente, perché un’altra annata storta sarebbe la fine. - Si versò un bicchiere d’acqua.
- Capisco…
- Non so se hanno più paura della siccità o delle alluvioni, ma l’ipotesi di un’estate buona non viene contemplata. Pare che ormai possano concepire solo il peggio…
- Li hai visti rassegnati?
- No, Oscar, non sono rassegnati… Ci sediamo un momento?
Si misero sul divanetto, lei si tolse le scarpe, raccolse le gambe sulla seduta e si rivolse verso di lui attenta:
- Dimmi, André, ti ascolto.
- C’è tanta rabbia, tanta rabbia. Credo di aver detto dieci parole in tutto il pomeriggio, ma li ho ascoltati, ho sentito i loro discorsi e sono preoccupato. Non c’è fatalismo, Oscar, il loro dito è ben puntato contro la nobiltà, i nobili sono responsabili della loro miseria e loro li odiano e lo dicono, lo dicono ad alta voce e l’hanno detto davanti a me. E ancora più dei nobili odiano la famiglia reale e Versailles e non ti ripeto quello che ho sentito sulla regina perché è oggetto di un disprezzo e di una rabbia che…
- Che…
- Ho pensato che se l’avessero avuta davanti ai loro occhi l’avrebbero uccisa, Oscar.
Lei sentì un brivido alla radice dei capelli. Lui le prese le mani tra le sue.
- Sono preoccupato per te, per la tua famiglia, per la nonna…
- La storia… è venuta a prenderci?
- Mentre tornavo a casa… ho pensato che forse…  se fossimo a Parigi… potremmo renderci conto di quello che succede…
- André, oggi è stato qui mio padre.
 
 
- E così… i soldati della Guardia, eh? – Chiese lui accarezzandole la spalla.
- Già…
Lei tirò su il lenzuolo e rabbrividì un poco.
- Hai freddo?
- Lo sai che mi viene sempre freddo, dopo.
- Io invece ho caldo, rise lui.
- Non ridere e abbracciami.
- Vieni qui.
Rimasero in silenzio accarezzandosi lentamente i piedi sotto il lenzuolo.
- Anche tu credi che si stiano avvicinando tempi cupi, vero? - Disse lei piano.
- Sì…
- Abbiamo vissuto un sogno, allora… e adesso dobbiamo svegliarci. È così?
- No, abbiamo vissuto una parte della nostra vita, ora ce ne aspetta un’altra.
- Sarà come tornare indietro… disse lei aggrottando la fronte.
- Lo pensi davvero? Puoi tornare indietro e fingere che non abbiamo vissuto tutto questo?
- No, certo che no! – Lo guardò negli occhi e sentì che le veniva da piangere.
Lui le accarezzò una guancia con il naso e poi sussurrò:
- Una volta mi hai chiesto se venendo qui avessimo rinunciato alla vita, se avessimo scelto di non vivere. Io non l’ho mai pensato, Oscar, davvero. La vita è una, amore, e noi siamo noi perché abbiamo fatto quella vita e ora anche questa, e chissà che cosa saremo domani. Era vita anche quando ti amavo in silenzio, anche quando tu amavi un altro…
- Quando credevo di amare un altro…
- Ma anche quello ti ha reso la donna che sei, no?
- Sì… a volte mi sento così sciocca per aver confuso quei sentimenti con l’amore, André.
Lui la baciò sulle labbra.
- Allora agli occhi del mondo tornerai ad essere il mio attendente? – disse lei staccandosi e accarezzando con la punta delle dita la guancia di lui.
- No, non credo.
Lei lo guardò incredula a bocca aperta, lui le sorrise e poi girandosi a guardare il soffitto disse:
- Credo che mi arruolerò tra i tuoi soldati…
- Ma… tu… un soldato… è troppo pericoloso, André!
- Senti, sono l’unico in grado di proteggerti, Oscar. E poi come soldato sarò sempre al tuo fianco, no?
Lei non rispose e si girò come lui a guardare verso il soffitto.
- Comandante e soldato… Mi avevi promesso un’altra cosa la sera di Natale…
Lui sorrise al ricordo.
- Promettimelo ancora, André, promettimi che diventerò tua moglie.
Smisero di guardare in alto e, rivolti uno verso l’altra, lasciarono che a parlarsi fossero i loro occhi; poi lui spezzò il silenzio:
- Te lo prometto, non c’è nulla al mondo che io desideri di più, Oscar.
Lei gli diede un bacio sulla guancia tenendo lì qualche istante le labbra e poi riuscì a forzare un sorriso:
- Iniziamo un’altra avventura, allora…
- Insieme.
- Insieme.
Intrecciarono le mani e si addormentarono.
 
 
- Guarda, Margot! – disse Gustave alla sorellina che trotterellava dietro di lui.
La bambina sbadigliò a bocca aperta e i suoi occhi divennero liquidi per il sonno: si erano dovuti svegliare all’alba per andare a vedere se le galline avevano deposto le uova e ora rientravano con un magro cestino verso casa.
- Che c’è? Ho sonno, Gustave…
- Vieni, siediti qui e guarda laggiù.
Dal poggio dove erano seduti la visuale si apriva verso la strada che conduceva a Parigi e da lì videro due figure che uscivano dall’ultima casa del villaggio, quella di legno e di pietra con le rose sulla porta.
- Sono André e la sua bella madamigella che vanno a cavallo, e allora? Io ho sonno, Gustave…
Ma il bambino non le badò e come tra sé disse:
- Hanno fatto i bagagli… i cavalli… sono carichi… vanno via…
- Come vanno via? – disse lei facendosi attenta.
- Stanno andando via. – disse Gustave stringendo i pugni sui fianchi e cacciando giù una lacrima.
- E non li vedremo più? Non torneranno più, Gustave? Eh, Gustave? – Margot guardava suo fratello smarrita e lo tirava per la manica. Ma lui non badava a lei e seguiva un pensiero che gli aveva attraversato all’improvviso la mente.
- Ecco perché ieri Monsieur André è venuto a farci quel regalo…
- I libri, dici?
- Sì… e poi si è raccomandato di condividerli con gli altri ragazzi…
- Io voglio quello delle storie degli animali, ha dei disegni che sembrano veri…
- Guarda, stanno partendo…
- Io lo vado a dire al papà, tra poco spariranno dietro la curva…
 
E così erano davvero partiti e gli zoccoli dei cavalli facevano un rumore secco sulla strada principale che si allungava verso Parigi, mentre alle loro spalle i viottoli del villaggio si rianimavano nel nuovo giorno che stava per iniziare e i galli cantavano stonati e invadenti nel silenzio perfetto della campagna e le imposte pian piano si aprivano, una dopo l’altra, ma quelle della casa con la porta incorniciata dalle rose no, restavano chiuse, e poi un gruppetto di persone si riversò sulla strada per dar loro un ultimo saluto e quelli che li avevano amati li guardavano, due punti sempre più lontani che sparivano nell’orizzonte acquoso del primo mattino, e tutti si portavano le mani al cuore, che nel petto un po’ si stringeva già per il dolore di vederli andare via.

 


La “pace separata” è un piccolo omaggio a Hemingway.
Sempre grazie a chi legge, a chi legge e commenta e a chi passa di qui.
   
 
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