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Autore: raffychan    15/10/2021    1 recensioni
"Un ballo in maschera, organizzato a Villa Agreste per festeggiare i vent'anni del rampollo della famiglia Agreste. Di certo non era quello che Adrien si aspettava come festa di compleanno, ma era pressoché difficile se non impossibile far cambiare idea al proprio padre. I preparativi per il grande evento erano durati quasi due settimane: gli addobbi, il buffet, le luci e le musiche, tutto doveva essere perfetto e ovviamente, doveva rispettare le scelte del padrone di casa dal momento che, come sempre, il suo unico figlio non poteva dire la sua nemmeno sulla sua festa di compleanno."
Piccola premessa: in questa storia, che sarà di pochi capitoli, non esistono i Miraculous e quindi nemmeno Tikki, Plagg, Ladybug, Chat Noir e Papillon, in pratica è una AU scritta perché, beh, ne avevo voglia. Mi sono ispirata alla favola di Cenerentola perchè è una delle mie preferite e alla fine ho deciso di scriverci su una bella favoletta con protagonisti Adrien e Marinette.
Genere: Poesia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloè, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nathalie Sancoeur, Sabine Cheng, Tom Dupain
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un pò in ritardo con l'aggiornamento ma tra lavoro e studio ho avuto davvero parecchio da fare.
Il cpaitolo stavolta si apre con il punto di vista di Adrien e da dove lo avevamo lasciato nel capitolo uno.
Come sempre commenti e critiche sono bene accetti.
Buona lettura


Capitolo 3

La festa era ormai iniziata. Adrien guardò tutti gli ospiti accomodarsi all’interno della villa, salutandoli in maniera cortese. Suo padre era vicino a lui, pronto a rimproverarlo al minimo errore mentre Nathalie, l’assistente di suo padre, gli bisbigliava all’orecchio ogni nome dei partecipanti alla festa, così che lui potesse far finta di conoscerli tutti.

“Adrien caro” la voce inconfondibile di Chloè sovrastò tutte le altre e Adrien si ritrovò con le braccia della biondina strette sul collo.

“Chloè, ben arrivata”.

In tanti anni, quella ragazza non era cambiata nemmeno di una virgola e Adrien aveva ormai capito che le attenzioni della ragazza nascondevano in realtà qualcos'altro. Di certo lui le piaceva, non era così cieco da non notare le attenzioni di Chloè, ma per lui lei sarebbe sempre rimasta la sua migliore amica, una sorella da proteggere e all'occorrenza anche da sgridare, visti i modi un pò da prepotente che Chloè aveva, soprattutto nei confronti di chi lei riteneva non alla sua altezza. Adrien scostò le braccia della ragazza dal suo collo, sorridendole

"Sono felice di vederti, almeno conosco uno degli invitati"

"Oh Adrienuccio, non sarei mancata per nessuna ragione al mondo" esclamò Chloè, sbattendo ripetutamente le lunghe ciglia.

Dopo aver salutato il padre della ragazza, Adrien chiese il permesso al proprio padre di scortare Chloè verso il centro della sala, così da aprire le danze: era disposto ad usare ogni scusa possibile pur di non dover subire ancora quello strazio. Avuto l'assenso del padre, Adrien porse il braccio piegato alla ragazza, conducendola verso la pista da ballo. Sentiva addosso gli sguardi di tutti gli invitati, sopratutto quando Chloè decise di mandare all'aria i modi da signorina abbracciando con foga, e per la seconda volta, il ragazzo.

"Chloè, questo è un valzer, non un lento da festicciola di paese"

Adrien prese le braccia della ragazza, portando una mano di lei verso la propria spalla mentre l'altra stringeva la sua.

"Scusa Adrienuccio, ma sai che non resisto quando sei così vicino" vide di nuovo Chloè sbattere le lunghe ciglia.

Sospirò, aspettando il momento giusto per iniziare a danzare, sentendo l'orchestra suonare un valzer a lui molto familiare. Fece un cenno a Chloè, iniziando a ballare con lei. Sorrise, contento di ballare con l’unica amica che aveva, eppure la mente di Adrien non riusciva a dimenticare la ragazza di prima.

Quella ragazza aveva di certo dei modi molto rudi, ma era decisa e anche molto fiera, oltre che molto carina. La sua voce poi, la sua risata, avevano un suono così familiare, un suono che lui aveva sentito molti anni fa. E gli occhi... quegli occhi erano grandi, blu e intensi come il mare e lui li aveva visti soltanto su quel volto che da anni non aveva mai lasciato la sua mente.

Possibile che fosse…lei?

Possibile che quella ragazza fosse Marinette? Quella stessa ragazzina goffa, impacciata ma anche incredibilmente carina. Quella ragazza che lui sognava ogni notte, perché se non poteva incontrarla di persona, almeno poteva rivederla nei suoi sogni.
Poteva abbracciarla, baciarla….
Senza rendersene conto, Adrien iniziò a guardarsi intorno, cercando di scovare in mezzo a quella folla di persone a lui sconosciute il volto di lei. Non l'aveva più vista dopo che lui si era presentato.
Era praticamente sparita nel nulla. 

"Adrien caro!"

Adrien tornò alla realtà quando sentì la voce di Chloè chiamarlo. Scuotendo il capo, cercò di concentrarsi sulla sua amica e su quel ballo, facendo fare una giravolta a Chloè, osservando la lunga e vaporosa gonna di lei riempirsi mentre lei girava accompagnata dai movimenti di lui. L'abito di Chloè era di un giallo intenso, con il corpetto riccamente impreziosito, mentre la gonna aveva strati e strati di tulle. I lunghi capelli erano racchiusi in una complessa acconciatura fatta di treccine e boccoli mentre sul viso aveva una maschera gialla bordata di nero da cui facevano bella vista gli occhi azzurri di lei.

Quell'azzurro però non era in qualche modo paragonabile al colore degli occhi di Marinette. In essi Adrien non vedeva l'immensità dell’oceano, non riusciva a rispecchiarsi in quegli occhi e perdersi come un naufrago in mezzo al mare.

“Adrien, si può sapere che ti prende? Sei distratto”

La voce di Chloè gli arrivò lontana, come ovattata. Lui era lì fisicamente ma con la mente stava cercando di collegare il volto di Marinette a quello dalla ragazza che aveva visto prima che la festa iniziasse.

Erano passati ben sette anni da quell’unico incontro, di certo lei era cambiata e forse quella misteriosa ragazza era solo una che assomigliava alla sua prima cotta. Cercò di ricordare il momento esatto in cui aveva preso la mano di quella sconosciuta per baciarla, aveva sentito la stessa vibrazione che aveva avvertito sette anni prima quando aveva stretto la mano di Marinette. No, non poteva essere lei, eppure...non l’aveva più vista, dato che suo padre gli impediva di uscire. Forse, forse Marinette non viveva nemmeno più a Parigi o peggio, forse in questo momento lei era tra le braccia di qualcuno. Strinse forte la mano di Chloè a quel pensiero, senza rendersi conto dell’urlo di dolore che la ragazza aveva emesso.

“Adrien, mi fai male!”

“Scu...Scusa Chloè, io…”

L’orchestra fini di suonare le ultime note. Adrien lasciò Chloè, inchinandosi davanti a lei e ringraziandola per quel ballo.

“Oh Adrien, se vuoi possiamo farne un altro, che ne dici?” di certo la prospettiva di danzare tutta la sera con lei non lo attirava e quindi decise di inventare una scusa per allontanarsi da quel luogo.

“Perdonami Chloè ma io, penso di aver bevuto troppo champagne prima e beh…dovrei andare alla toilette” inventò di sana pianta, prima di inchinarsi di nuovo e prendendo la via dei bagni.

“Adrien!” la voce di suo padre lo bloccò di colpo.

Adrien si voltò incontrando lo sguardo dell’uomo

“Non starai pensando di abbandonare la festa, mi auguro” disse tranquillamente Gabriel, continuando a tenere le mani dietro la schiena, avvicinandosi minacciosamente al figlio.

Adrien rimase fermo: da quando sua madre era morta sentiva un brivido lungo la schiena ogni volta che vedeva il padre avvicinarsi a lui. Indietreggiò, sperando di poter rifilare la stessa scusa al padre.

“Perdonami padre ma io, beh, ho bisogno di andare in bagno” confessò, portandosi una mano dietro la nuca, un gesto che faceva ogni volta che si sentiva a disagio o in imbarazzo.

Aveva inventato una scusa ridicola, ma in quel momento tutto quello che voleva fare era prendersi un po' di tempo per riordinare la sua mente fin troppo affollata da immagini che non voleva più vedere.  Corse percorrendo il lungo corridoio, senza far caso a chi avrebbe potuto incontrare. Non poteva rintanarsi nella propria camera, visto che per arrivarci avrebbe dovuto per forza salire la scalinata che era davanti il salone, per sua fortuna viveva in una villa abbastanza grande e con una quantità abbastanza generosa di finestre e altrettanti balconi. Rallentò, non appena vide una delle finestre aperte. Non aveva bevuto nemmeno un goccio di alcol, nonostante la scusa che poco prima aveva rifilato a Chloè, ma sentiva comunque il bisogno di prendere una boccata d’aria e sentire il fresco della sera sul proprio viso.

Aveva ancora il fiatone quando varcò la soglia, avvicinandosi al balcone, poggiando entrambe le mani sul freddo marmo, prendendo lunghi respiri. Il vento della sera muoveva i suoi capelli mentre quelli più corti si erano appiccicati al suo volto per via della corsa. Pregò in cuor suo che nessuno lo trovasse, voleva rimanere li, con i suoi pensieri, fino alla fine della festa. Suo padre lo usava come un burattino, nessuno degli invitati li presenti erano venuti perché avevano a cuore il suo compleanno, l’unica davvero interessata era Chloè ma non era lei quella che lui voleva, non era lei la ragazza che voleva stringere fra le sue braccia, non era lei che sognava ogni notte, non era lei che occupava la sua mente e il suo cuore da anni.

“Dove sei?” chiese, guardando la luna.

Voleva rivederla, ora più che mai. Voleva, sperava, che quella ragazza fosse davvero la sua Marinette ma lei era sparita, come un fantasma. Di nuovo l’aveva persa, come accadeva ogni volta quando si svegliava e si rendeva conto che lei non era li accanto a lui. Quante volte aveva provato a fuggire, ma in quella gabbia dorata che il padre aveva costruito per lui, era impossibile scappare viste le tante telecamere di sicurezza poste in ogni angolo della casa. Nathalie le controllava tutte, lo sapeva, e poi c’era il gorilla, sempre vigile davanti la porta della sua stanza, pronto a scattare non appena lui metteva un piede fuori: era un prigioniero nella propria casa.

“Dannazione!” urlò, colpendo con un pugno la ringhiera di marmo, ferendosi per la seconda volta; eppure, ciò che gli faceva più male, da anni ormai, era il suo cuore.

Se solo sua madre non fosse morta, se lei fosse stata ancora viva avrebbe di certo compreso cosa lui stava provando. Sua madre era dolce, allegra e lo amava. Ricordava tutte le volte che da piccolo giocava con lui, il suo sorriso sempre vivo su quel viso, e tutte le volte che lei lo abbracciava quando lui di notte non riusciva a dormire perché spaventato da orrendi incubi. Lei era il sole che illuminava le fredde mura di quella imponente casa, ma adesso quel sole si era spento e in quella casa sentiva solo un grande freddo entrare fin dentro le sue ossa.

Sospirò, sapeva perfettamente che era inutile comportarsi così, ormai era un uomo e doveva essere forte se non per gli altri almeno per se stesso. Guardò un’ultima volta quel cielo dove faceva capolino la luna nella sua forma più piena. Si appoggiò del tutto alla ringhiera, incrociando le braccia, chiudendo di nuovo gli occhi e lasciandosi cullare da quel silenzio, mentre il vento continuava a muovere i suoi capelli, quasi accarezzandolo.

Nemmeno si rese conto che lei era dietro di lui e lentamente si stava avvicinando.

 
   
 
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