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Autore: Shireith    18/10/2021    1 recensioni
Papillon è stato sconfitto, ma le dinamiche non sono chiare a nessuno. La stessa Ladybug nutre dubbi a riguardo. Per di più, senza che gliene spieghi il motivo, un giorno Chat Noir la abbandona.
Cinque anni dopo, il passato ritorna per entrambi.
• Long what if? che non tiene conto della quarta stagione perché quando mi è venuta l’idea ancora non era andata in onda. Lovesquare in tutte le salse con tanta Adrienette e Ladynoir. Scritta seguendo i prompt del #Writober2021 di Fanwriter.it (lista pumpBLANK – prompt misti scelti tra le quattro liste presenti).
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Alya, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto


(18 — no happy ending)

 Cinque anni prima, una notte di pioggia, era da quelle parti che Adrien incideva una crepa sul cuore di Ladybug e glielo frantumava in un solo addio. Abbandonato per sempre il suo anello, l’Arco di Trionfo l’aveva accompagnato mentre si amalgamava alla folla e Adrien si era sentito come silenziosamente giudicato perché, per una pura questione d’abitudine, quell’arco era diventato il loro posto. Innumerevoli volte aveva assistito silenzioso ai loro giri di ronda notturni, innumerevoli volte si erano rifugiati lassù come a voler vegliare sull’intera città – e Adrien aveva sempre saputo (forse un po’ di più quando si era sfilato l’anello per sempre) che la presenza di Ladybug gli sarebbe mancata come l’aria e la sua assenza gli avrebbe scavato un vuoto dentro.
 E sempre cinque anni prima, quando ancora però Adrien non conosceva i mille segreti che graffiavano suo padre, c’era stata una rimpatriata di classe del collège su idea di Rose e Juleka. Era andato tutto bene finché Kim e Alix non si erano messi a gareggiare e Kim si era sfracellato il naso andando a sbattere contro un muro.
 A distanza di anni che sembravano secoli, ora Adrien osservava le luci dei lampioni creare riflessi giallognoli sulla Senna addormentata. Ce n’era uno proprio a fianco al loro tavolo che delineò con morbidezza i lineamenti di Marinette mentre si sporgeva per ringraziare il cameriere che li aveva appena serviti.
 Adrien trovava solo ora il tempo di riflettere su quanto fosse cambiata. Era sicuramente più alta, ma la differenza che subito saltava all’occhio erano i capelli tagliati molto corti.1 Adrien ricordava che già al liceo aveva considerato l’idea, ma quando lui e suo padre avevano lasciato Parigi li portava ancora lunghi.
 Il cambiamento più lampante, tuttavia, era il carattere – Marinette era sempre Marinette, aveva un sorriso che scioglieva il ghiaccio e una parola cortese per chiunque, ma la sua riscoperta spigliatezza nei confronti di Adrien permetteva loro di conversare come i vecchi amici che erano. E, a lui, conversare con Marinette come se a dividerli non ci fosse nulla, era mancato così tanto che non si stupì dei battiti accelerati che gli martellavano in petto.
 «Sai», iniziò Adrien, osservando il lampione creare forme di luce sulla superficie liscissima del vino, «sono contento di essere uscito da quel covo di serpi. Mio padre mi ucciderà, ma almeno per ora sto a posto.»
 Marinette gli fece un cenno col calice come a voler dimostrare solidarietà. «Mh, allora siamo in due.»
 «Ti ho messo nei guai con la… “Baronessa”
 La pausa che si concesse prima dell’ultima parola, il modo in cui la articolò con la lingua, le virgolette immaginarie mimate con il movimento delle dita – Marinette rise di gusto (Adrien perse uno o due di quei battiti accelerati).
 «No, non credo. È ingestibile, se la prende con tutti, specie con quelli sotto di lei, ma ho imparato come prenderla. Male che vada troverà nuovi nomi con la m da sostituire al mio», ironizzò.
 Nella mente di Adrien riaffiorarono le parole di Joëlle, la collega di Marinette dai cinquanta nomi, qualcosa su come nemmeno la Belladonna era tanto sciocca da offrire a Marinette un pretesto valido per licenziarsi. Adrien per una volta si trovava d’accordo con la Belladonna, ma nutriva le stesse perplessità di Joëlle.
 «Marinette, posso farti una domanda che ti sembrerà invadente?»
 «Spara.»
 «Perché lavori per quella donna? Sei bravissima, non hai bisogno di stare all’ombra di una che… una che ha il cognome di una pianta tossica. Mai nome fu più azzeccato, comunque.»
 Marinette sorrise alla sua ultima osservazione. «È insopportabile, te lo concedo, ma è una bravissima stilista. Anche Alya pensa che dovrei già mettermi in proprio, ma è troppo presto. La Baronessa fa curriculum.»
 Adrien annuì. Una volta era stato troppo ingenuo per capirlo, ma crescere nelle sue condizioni gli aveva insegnato che spesso c’era una disparità tra lui e gli altri che lo metteva a disagio. Se voleva una cosa, bastava schioccare due dita e il nome Agreste gli avrebbe spalancato qualsiasi porta; se la volevano gli altri, dovevano rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. Prima di ricoprire un incarico si assicurava di averne le facoltà, non voleva favori né ingiustizie, ma sapeva come molti là fuori se ne infischiavano delle buone intenzione ed erano pronti a srotolargli il tappeto rosso solo perché era figlio di suo padre.
 Anche se non sarebbe più tornato sull’argomento, rimaneva comunque della ferma convinzione che Marinette avesse tutte le carte in regola per sfondare.
 «Come sta Alya, a proposito? E anche Nino e tutti gli altri.»
 Quando la loro classe al collège si era sciolta ognuno aveva preso la propria strada e c’erano già state le prime separazioni: ciononostante, il cameratismo che si era creato tra loro era sopravvissuto anche all’avvento del liceo. Da lì in poi, Adrien non sapeva cosa ne fosse stato degli altri. Solo Nino, ogni tanto, si faceva vivo in qualche chat.
 Marinette piegò la testa di lato. «Molti di loro non li vedo da un po’. Alya e Nino…» Sorrise divertita e Adrien ne capì il motivo solo quando lei gli mise il telefono sotto il naso e gli mostrò un selfie che ritraeva i due loro amici più cari. Allora rise anche lui.
 «Perché Alya ha una macchia blu in testa e Nino una verde in fronte?»
 «Sono andati a giocare a paintball.»
 «A paintball
 «A paintball. Hanno un concetto di appuntamento molto strano, quei due, ma immagino che anch’io vorrei provare cose nuove dopo tutti quegli anni.»
 «Digli che li saluto.»
 Marinette scrisse qualcosa ad Alya e non ebbero nemmeno il tempo di spaziare su altri argomenti che il cellulare ricevette una notifica. Adrien fu certo di vederla arrossire mentre mormorava: «Ti pareva, subito a pensar male.»
 Si sporse in avanti. «Perché Alya dovrebbe pensar male?»
 Marinette mise a posto il cellulare e lo sguardò scattò su Adrien come una molla. «Pensar male? No, hai capito male! Lascia stare, è una cosa tra noi. Buono, il vino? Io lo trovo delizioso.»
 Quella reazione fu la conferma che non avrebbe dovuto dire addio alla Marinette dei suoi ricordi, perché quella Marinette era sempre lì, era solo cresciuta e maturata quel poco da modificare alcuni tratti del suo carattere.
 Anche per Adrien era stato lo stesso. Capiva meglio i sottili fili che costituivano la società, comprendeva il suo ruolo in quanto unico figlio di Gabriel Agreste e, anche se non sempre gli piaceva, sapeva cosa le persone si aspettavano da lui – lo sapeva, e non sempre le assecondava. Stava a lui decidere quando cedere e quando, invece, resistere.
 Non era più l’Adrien adolescente, ma era Adrien – ora certi argomenti potevano affrontarli senza imbarazzo alcuno.
 «Sono contento che riusciamo a parlare come vecchi amici, nonostante… tutto.»
 Vide Marinette allargare gli occhi. «Nonostante… tutto? Aspetta, tu sapevi
 Adrien si strinse nelle spalle. «Non prendertela, ma era abbastanza ovvio. Non volevi mai parlarmi, mi evitavi, perdevi le staffe… non ti andavo a genio, eh? Probabilmente non ti sei mai scrollata di dosso la prima brutta impressione che ti ho fatto, quando Chloé ti ha messo la cicca sulla sedia.»
 Marinette si lasciò sfuggire un risolino e fu il turno di Adrien di osservarla con occhi smarriti. Era sicuro di avere una faccia da ebete, ma non riuscì a mascherarla. Lo trovava divertente? Lui non tanto. Non gli era mai piaciuta l’idea di star antipatico a una come lei.
 «Ehm… oddio, è imbarazzante…»
 La vide concedersi un lungo sorso di vino come a volersi nascondere dietro il calice. Anche da quella posizione poté intercettare il rossore sulle sue guance e ne attribuì la causa ai passanti che si erano voltati a osservarli quando era scoppiata a ridere.
 «Non ti odiavo affatto, Adrien, tutto il contrario. Avevo una cotta enorme per te, non riuscivo nemmeno a parlarti senza andare nel pallone più totale.»
 L’unico motivo per cui la bocca di Adrien non si spalancò a dismisura fino a toccare terra fu perché non era fisicamente possibile. «Tu avevi una cotta per me?»
 Marinette annuì. «Una cotta enorme, stratosferica. Ho perso il conto di tutte le volte in cui ho provato a dirtelo.»
 I ricordi sfusi nella sua mente si unirono come pezzi di un puzzle affetti da magnetismo e improvvisamente tutto ebbe senso: ricordava le guance rosse, i sorrisi timidi, gli sguardi furtivi, gli occhi bassi, le labbra che tremavano a un solo ciao – ricordava tutto ciò, eppure mai avrebbe pensato che il filo conduttore fosse un sentimento d’amore.
 Abbandonò la schiena contro la sedia e sospirò. «Immagino che la mia perspicacia non ti abbia reso la vita facile...»
 «Essere un po’ più recettivo non avrebbe guastato», rise, e Adrien ricambiò, «ma è colpa mia, avrei dovuto essere onesta.»
 «Al liceo eravamo entrambi single, perché non me lo hai mai detto?»
 Marinette si strinse nelle spalle e osservò un punto indefinito oltre la spalla di Adrien, prima di rispondere: «Più tempo passava e più mi sembrava un sogno irrealizzabile. Alla fine ho smesso di sognare e ho lasciato perdere, anche se un po’ ancora mi piacevi», confessò, raddolcendosi nello sguardo.
 Diede ad Adrien un’impressione strana – avevano appena ventidue anni, eppure parlava dei tempi del liceo come fossero passati decenni.
 «Immaginavo che avresti detto no e ho rinunciato.»
 «Non sono sicuro che avrei detto no.»
 Non si era immaginato di aver parlato, ma si chiese se si stesse immaginando le guance di Marinette accendersi ancora di più.
 Sostenere il suo sguardo, d’improvviso, divenne troppo difficile. «Eri la mia più cara amica. Se me l’avessi detto prima, forse qualcosa sarebbe cambiato, chissà?»
Forse sarei stato meno cieco.
 «E quella ragazza che ti piaceva? Non era Kagami, giusto?»
 Ripensare a Ladybug fece più male di quanto non volesse ammettere. Sospirò. «Era complicato. Sono sempre stato ottimista, pensavo che tutto tra di noi si sarebbe risolto per il meglio, ma ho finito per spezzarle il cuore. Mi ripeto che non potevo fare altrimenti, ma a volte mi chiedo se sia davvero così.»
Avrebbe capito, se le avessi detto tutta la verità?
 La voce di Marinette lo strappò a se stesso. «Sembra che in amore abbiamo avuto la stessa dose di sfortuna.»
 «Tu non ti sei mai più innamorata?»
 Gli sembrava assurdo che nessun altro si fosse accorto di una come lei. Quando le pose la domanda, tuttavia, vide una malinconia inaspettata scivolarle sul viso come un’ombra.
 «Qualcuno c’era. Mi ha spezzato il cuore.»
 Adrien aveva spezzato il cuore a un’altra, a Marinette il cuore era stato spezzato da un altro – gli provocò una fitta al petto constatare che entrambi erano stati schiaffeggiati e rifiutati dal tanto ambìto lieto fine.
 Alzò il calice verso di lei. «Non è mai troppo tardi, no?»
Per lui e Ladybug sì – a Marinette augurava un finale diverso.
 «Forse no», concesse lei (gli sembrò menò convinta persino di lui).

1 In un tweet del 2017, Thomas Astruc condivise alcuni sketch della Ladybug del futuro che la ritraggono con i capelli corti. Ho preferito attenermi a quest’informazione perché l’idea mi piace tantissimo.

NOTE ➺ Questo finora è il capitolo più corposo (oltre a essere quello che mi è piaciuto di più scrivere), gli altri torneranno a essere più brevi. Come dicevo nelle note del capitolo precedente, spero di aver chiarito qui eventuali perplessità su Marinette: l’ho volutamente resa più spigliata nei confronti di Adrien perché penso sarebbe irrealistico vedere una ventiduenne non riuscire a spiccicare due parole di fronte alla sua cotta adolescenziale.
Grazie per aver letto fin qui, a domani!
 
   
 
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