“Ma
quei due non hanno intenzione di darsi una mossa ed
arrivare?”
Battendo nervosamente e ritmicamente il piede sul cemento del
marciapiede della
stazione ferroviaria, Ryo controllò l’ora al suo
cronografo per l’ennesima
volta, mentre, al suo fianco, Reika sbuffava, alzando gli occhi al
cielo: era
dalla volta in cui, ai tempi dell’Accademia, Saeko si era
portata dietro una
domenica Ryo e Hideyuki che lei gli correva dietro, era pazza di lui,
aveva
tentato qualsiasi cosa per farlo cadere ai suoi piedi, ma negli anni
l’unica
donna verso cui Ryo avesse mai mostrato di provare qualcosa di
più di un freddo
interesse sessuale era stata Kaori… e quando poi si
comportava come un bimbetto
impaziente, era davvero poco sopportabile.
“Ryo,
il treno è appena arrivato, cosa ti aspetti? Che si
teletrasportino qui direttamente dal loro vagone?” Gli
domandò, piccata,
sibilando tra i denti. Per quanto fosse grata che Ryo desiderasse
passare del
tempo con lei, aveva capito che il motivo per cui sempre più
spesso ultimamente
facevano “coppia fissa” sul lavoro era dato dal
fatto che il matrimonio di
Kaori con l’altro era
cosa ormai
fatta, e Ryo stava dimostrando di non essere in grado di lavorare con
la donna
con cui lui stesso era stato in procinto di sposarsi oltre un anno
prima. Per
quanto una parte di lei fosse grata per questo suo interesse, Reika non
poteva
che non rattristarsi, perché era certa che fosse dettato da
motivi palesemente
sbagliati… e non andasse oltre l’ambito
lavorativo.
Mordendosi
il labbro, guardò Ryo, sospirando sognate: sarebbero
mai cambiate le cose tra di loro, o sarebbero rimasti sempre e solo un
po’ di
più di colleghi, ma meno di amici?
“Beh,
dico solo che dovrebbero darsi una mossa, ma quei due
cretini sono sempre stati così…”
L’uomo praticamente imprecò, corrucciato,
mentre però allo stesso tempo gli appariva un sorriso un
po’ malandrino sulle
labbra, dettato dai ricordi del passato, dei mesi passati a lavorare
fianco a
fianco con quei due agenti dell’FBI per risolvere un caso di
traffico
internazionale di stupefacenti, una droga particolarmente odiosa che il
suo
creatore aveva chiamato Polvere degli
Angeli…. Una sostanza che creava dipendenza fin
dalla prima assunzione, e
che altrettanto velocemente annullava la volontà dei tossici che si
iniettavano in vena quel
veleno, morendo lentamente tra
atroci
dolori mentre i loro organi, l’uno dopo l’altro,
smettevano di funzionare.
E
come era arrivato, il sorriso svanì dal viso di Ryo. Era
stato
un anno infernale, per lui, per quanto con Mick e Jack fosse nato
immediatamente un certo senso di cameratismo dato dalle similitudini
caratteriali; per mesi aveva mentito su cosa stesse facendo, e
nonostante
nessuno gli avesse portato rancore (il bello di avere tutti gli amici
nella
polizia come lui) a lui era pesato eccome.
E
poi, odiava i casi di droga; dopo che suo padre se n’era
andato
a cercare fortuna lontano dal Giappone, era nell’oblio di
droga e alcool che
sua madre aveva cercato ristoro… ma invece che la pace dei
sensi, la donna
aveva trovato la dannazione; suo padre le aveva voltato le spalle,
certo che
sarebbe tornata da lui strisciando in ginocchio, ma invece era dal suo
spacciatore che lei era andata, un patrigno che si era rivelato un vero
mostro,
a causa di cui Ryo ancora portava cicatrici sul corpo, le ustioni delle
sigarette che quella creatura infame gli spegneva sulla schiena e sul
torace,
mentre sua madre tremava in angolo senza fare nulla, spaventata
più dall’idea
di rimanere senza una dose che dalle urla strazianti del proprio figlio.
Mentre
il suo cuore rallentava, istintivamente Ryo prese a
massaggiarsi attraverso il tessuto della camicia bianca la cicatrice
che aveva
sotto alla scapola destra; sapeva che era impossibile provare ancora, a
distanza di quasi trent’anni, dolore, che gli
bruciasse… eppure, tutte le volte
che la sua mente andava a quel tempo, e a quel lurido appartamento, era
come se
avvertisse il dolore per la prima volta. Come se fosse successe un
attimo
prima.
Ma,
almeno, aveva avuto la sua vendetta su quell’uomo…
vendetta
che fino a che Jack e Mick non fossero arrivati per testimoniare
nuovamente
contro Shin Kaibara e Sonia Fields non sarebbe stata comunque completa.
Per un
cavillo, quel demone rischiava di poter di nuovo camminare libero per
le
strade, e Ryo non lo avrebbe permesso; se fosse stato necessario, si
sarebbe
macchiato lui stesso del delitto, ma aveva giurato sulla tomba della
madre che
non ci sarebbero stati altri morti per la Polvere degli Angeli.
Avvertì
qualcosa sfiorargli la spalla, e istintivamente fece uno
scatto, cercando la pistola nella fondina; poi però vide
Reika indietreggiare,
impallidita, le labbra dischiuse in un’espressione
di…forse paura? Ryo ingoiò a
vuoto, e scosse lieve la testa, come sperando di chiarirsi le idee, e
allontanare le nubi scure che affollavano la sua mente.
“Io…
ero sovra pensiero.” Si limitò a dire; non chiese
scusa, un
po’ per la vergogna di aver agito in quel modo, un
po’ perché non era nelle sue
corde; mani in tasca, prese a guardarsi intorno, fingendo una
nonchalance che
era lungi dal provare realmente.
“Ryo,
tu sai che se tu avessi bisogno di conforto…
insomma… se
volessi parlare con qualcuno... ecco… io… il
fatto è che è da tanto tempo
che…”
Reika abbassò lo sguardo; mentre parlava, arrossiva, quasi
fosse stata una
timida ragazzina impacciata, e prese a stritolarsi le dita.
Aprì la bocca per
finire la frase, ma le parole le morirono in gola perché fu
interrotta sul più
bello, prima di fare quella che voleva essere a tutti gli
effetti… una
dichiarazione, atta a smuovere le cose tra lei e Ryo.
“EHY,
RYO!”
Un tornado biondo dalla voce baritona gli piombò alle
spalle,
dandogli una pacca così sonora che Ryo quasi
traballò, nonostante le
articolazioni della mano guantata non fossero mai tornate quelle di
prima; il
poliziotto giapponese guardò, sotto gli
occhi attoniti di Reika, che mugugnava per l’occasione persa,
cercando uno
sprazzo di cielo fra gli sbuffi dello smog urbano, il vecchio compare,
massaggiandosi la spalla indolenzita, su cui l’agente
dell’FBI continuava a
fare violenza, ridacchiando. “My old friend, non ci vediamo
da un sacco di
tempo ma non sei proprio cambiato… sempre circondato da
belle donne, eh? E lei
chi è, la famosa Kaori di cui parlavi sempre?
Però me la immaginavo molto più,
come dire, angelica dalle tue
descrizioni.”
“Ryo!
Il tuo amico mi sta forse dando della facile?” Reika
ringhiò, stringendo i pugni, infuriata, il viso che diveniva
paonazzo per il
confronto con la coetanea con cui non aveva mai avuto nulla con cui
spartire se
non il lavoro e la disarmante attrazione verso Ryo. “Digli
qualcosa!”
“Mick,
lei è Reika Nogami, una collega!” Si
limitò a dirgli, con
un tonno piuttosto freddo e distaccato; nessun’altra
spiegazione, nessun
complimento, nessun aggettivo…. Solo una
collega, e per qualche motivo, essere definita
così, quasi fosse una
persona qualsiasi, le provocava un tonfo al cuore… era quasi
peggio di quando
Ryo faceva lo stupido donnaiolo e flirtava con lei, senza
però mai concludere
nulla… sapeva che Ryo era sempre stato un gran donnaiolo,
ma, come aveva avuto
una relazione seria con Kaori, era certa che avrebbe potuto averne
nuovamente
una…quindi, perché non con lei? Lei lo amava,
eppure… eppure, Ryo sembrava non volerla
ricambiare.
“Allora,
dov’è quel vecchio
marpione di Jack?” Ryo fece una grossa, grassa risata, mentre
dava manate sulle
spalle di Mick, voltato però verso Reika, di cui non aveva
nemmeno pensato di
prendere le difese dopo quella frase, perché nonostante
fosse stata insultata,
Ryo riteneva l’affermazione piuttosto veritiera.
“Avresti dovuto vederlo,
Reika! Jack fece sbavare la socia di Kaibara, quella donna voleva
talmente
tanto farselo che gli ha spiattellato ogni sacrosanto dettaglio
sull’Union
Teope senza nemmeno che li chiedessimo! Quell’uomo
è un magnete, Reika, se c’è
Jack Knife in giro… puoi star certa che ci saranno anche un
mucchio di
pollastre in calore! Ah, ah, ah!”
“Ehm,
a proposito di Jack, ci sarebbe una cosa che forse dovresti
sapere, Ryo…” Mick, imbarazzato, prese ad
allentarsi il colletto della camicia
elegante azzurrina, divenendo improvvisamente paonazzo; guardava il
soffitto, e
rifiutava categoricamente di incontrare gli occhi di Ryo, che invece,
immaginando qualche risvolto tragicomico, rideva della grossa.
“Cosa?”
Domando con voce argentina. “Non dirmi che è tutto
pelato…
anzi, no… si è rifatto il naso? Ha fatto un
lifting ed adesso ha la faccia
tutta tirata? Fammi indovinare, Sayuri lo ha mollato e lui ha avuto una
crisi
di mezza età anticipata!”
“Beh,
più o meno…” Mick si schiarì
la voce, parlando però con un
tono così basso che Ryo fece fatica
a
sentirlo.
Cosa
sentì bene però fu la voce in farsetto che lo
chiamava per
nome, con un tono quasi smielato però, e quando Saeba si
voltò, incontrò occhi
castani che ben riconosceva, brillanti, spiritosi, pieni di
energia…
Ma
quegli occhi erano circondati da ombretto color mattone, da
pesante eyeliner e un quintale di mascara, e anche le labbra, erano
rese più
piena da una mano di rossetto
dalla
tonalità decisamente accesa, molto più adatta
alla vita notturna di Shinjuku
che al traffico di mezzogiorno. Inoltre, erano attaccati ad un viso che
stava
su di un corpo dai lunghi capelli rossicci sciolti che sembravano
danzare nel
vento, su di un corpo dalla stazza decisamente maschile ma che aveva
addosso un
tubino rosso fuoco ed una pelliccia ecologica bianca- il tutto
completato da un
paio di tacchi da capogiro in vernice rossa.
“Jack?”
Gli domandò, allungando un dito verso il vecchio amico,
sbattendo le palpebre così velocemente che sembrava che gli
occhi non si
chiudessero mai, nemmeno per una frazione di secondo, nemmeno le sue
fosche
pupille fossero state fisse.
“In
realtà, Ryo, non uso più quel nome da parecchio
tempo…” Gli
rispose.
“Ehm,
già, è quello che volevo
dirti…” Mick si schiarì la gola,
passando in una frazione di secondo dal rosso al pallido e poi di nuovo
al
rosso acceso. “Beh, eco, vedi Ryo… ti presento
Erika Knife!”
“Come sarebbe a
dire che tu non ne sapevi nulla?” Chiuso
nell’ufficio di Saeko, che guardava
fuori dal vetro gli agenti dell’FBI prendere un
caffè e scherzare con altri
colleghi, fissava sbalordita la scena. Non se l’era
aspettata: ricordava quando
lei stessa aveva incontrato quel gran donnaiolo di Jack, quando aveva
partecipato all’operazione che aveva portato
all’arresto di Kaibara e allo
smantellamento dell’Unione Teope- era stata in
quell’occasione che Hideyuki era
rimasto gravemente ferito, lottando tra la vita e la morte per
giorni… Ryo era
rimasto accanto a Kaori durante quei giorni ed il conseguente duro
periodo di
riabilitazione, quando il polizotto aveva creduto che non avrebbe
camminato
più, e Saeko era certa che fosse stato allora che Ryo avesse
capito di non
essere solo attratto dalla sorella del suo migliore amico, ma di
provare
qualcosa di ben più profondo.
Ed
adesso… Lei aveva sprecato anni con Hideyuki e lo aveva
quasi
perso, Ryo e Kaori non si parlavano più, e Jack era
diventato Erika.
“Senti,
Saeko, non credere che per me sia stato facile… chiedi a
Mick come ho reagito quando l’ho vista, appena scesa dal
treno, che mi chiamava
Ryuccio!” Ryo
sbuffò. Mani incrociate
dietro la testa. “Ma a noi cosa cambia? Ci serve la sua
testimonianza, mica i
suoi testicoli!”
“Ryo!”
La donna lo redarguì, sbattendo i piedi e divenendo rossa-
copia sputata di Reika quando si innervosiva, prova che erano
indubbiamente
sorelle.
La
poliziotta si lasciò cadere sulla sua sedia, e si
massaggiò la
fronte, occhi chiusi. “Gli avvocati di Kaibara e Fields sono
squali, Ryo.
Diranno che se Knife era confuso su chi voleva essere, forse non era
nello
stato mentale per prendere una testimonianza, che potrebbe aver
travisato… e la
giuria non lo vedrà per quello che è ma,
ma…”
“Ma
un pagliaccio, lo so, l’ho capito. Non sono tutti di
mentalità
aperta come me o Mick.” Ryo sospirò, incrociando
le braccia e guardando i suoi
piedi. “Ma non posso chiedere ad Erika di testimoniare come
uomo… è stata
chiara, farlo per lei sarebbe come mentire sotto giuramento, e comunque
lei
adesso è Erika sotto
ogni punto di
vista!”
“Dì
un po’…” Saeko incrociò le
braccia, e fissò il collega alzando
un sopracciglio perfetto. “Da quando in qua sei politicamente
corretto e di
così ampie vedute, Ryo?”
Ryo
non le rispose; rimase in silenzio, a fissare il vuoto,
pensieroso, e la donna fu quasi del tutto certa di aver visto una
lacrima che
gli usciva dagli occhi, ma fu solo un attimo, un lieve luccichio alla
luce
artificiale della lampada, e poi svanì… che si
fosse immaginata tutto?
O
forse…
La
donna avvertì una morsa al cuore mentre si sentiva avvolta
da
una cappa di tristezza e delusione, emanati da Ryo, che con la mente
stava
viaggiando a ritroso nel suo passato, nella sua infanzia.
Quando
la madre aveva iniziato la relazione con Kaibara, era parso
a tutti un uomo responsabile, un giovane imprenditore di successo con
idee e
talento, ma invece colui in cui in troppi avevano
riposto la loro fiducia aveva finito per
deludere le aspettative
di chiunque:
dietro la facciata, Shin era uno sporco spacciatore che faceva il suo
denaro
vendendo morte, e alla fine dei giochi avevano scoperto che
l’uomo non era solo
parte di quella banda criminale, ma ne era uno dei pilastri.
E
per giunta, era un sadico crudele, che si divertiva a far
spettacolo col dolore che causava alle sue vittime.
Oh,
Ryo…
Saeko
sentì forte il desiderio di consolare l’amico,
quasi fosse
stato ancora quel bambino bisognoso di protezione, ma non lo fece; Ryo
non era
tipo né da smancerie, né da mostrare i propri
sentimenti - per quel che
Saeko ne sapeva, le parole ti amo non
gli erano mai uscite di
bocca, nemmeno con Kaori. E comunque, nemmeno lei era mai stata
eccessivamente
prona a gesti di affetto, soprattutto fuori dalle mura domestiche,
entro la cui
sicurezza si permetteva qualche libertà in più,
smettendo anche solo per poco i
panni della fredda femme fatale e dell’indomita poliziotta
senza macchia né
paura.
Ciò
però non significava che non comprendesse il dolore del suo
caro amico.
Quello
per la morte della madre, e il rischio che Hideyuki
affrontasse un simile destino- non per mano di un ago, ma di una
semiautomatica.
La paura che Kaori rimanesse sola al mondo come era accaduto a lui.
Quello
per il tradimento di un uomo che, seppure per breve tempo,
aveva chiamato papà. Lo stesso uomo
che aveva causato tutto
quel dolore. Che ancora lo stava causando.
L’uomo
che Ryo aveva contribuito a mettere dietro le sbarre.
L’uomo
che adesso rischiava di uscire di galera, ed essere libero.
Libero di vivere. Libero di delinquere. Di vendicarsi.
Sospirando,
Ryo si alzò in piedi, e si diresse verso la porta;
stava per uscire, la mano poggiata sulla maniglia, quando si
fermò.
“Magari
Jack non era il mio migliore amico, ma eravamo sotto
copertura insieme. Ci fidavamo l’uno dell’altro.
Lui mi ha guardato le spalle…
e quando Kaibara ha sparato a Maki, gli ha salvato la vita mettendo a
rischio
la sua, proprio come Mick aveva fatto con me.”
Fece un piccolo sorriso, triste, mentre le parole gli
uscivano naturali
e sincere, il cuore aperto come poche volte. “Lui ci ha
guardato le spalle, ed
è giusto che il ripaghi il favore, e guardi quelle di
Erika.”
“Beh,
vorrà dire…” Scrollando le spalle,
Saeko sorrise. “Che la
procura ed io troveremo un altro modo.”
Il
giovane uomo uscì dall’ufficio, e vide, seduta
alla scrivania,
Erika, che stava parlando con Kaori e Mick. Sorrise, lieto che i due si
fossero
finalmente incontrati, ricordando il passato, nonostante fosse
leggermente
seccato dal modo in cui Mick guardava la scollatura della bella rossa
cercando
di non farsi vedere, nonostante l’anello faraonico che lei
portava al dito – o
forse proprio per quello. A Mick
le
sfide erano sempre piaciute e non c’era nulla che gli facesse
alzare
l’adrenalina come correre dietro a donzelle innamorate di
altri e farle cedere,
per lui corteggiare una donna impegnata era una tentazione a cui non
poteva
resistere.
Il
locale in riva
al mare, che ricordava le balere di certi film francesi dal sapore
antico, era
colmo dell’odore acre di fumo, alcol e sudore, e
paradossalmente, tutto ciò che
Ryo voleva era uscire fuori e fumarsi una sigaretta, in pace,
accompagnato solo
dal suono delle onde che si scagliavano contro il molo e quello delle
sirene
delle navi che si avvicinavano al porto.
Sussurrò
una
bugia alla donna seminuda che gli si era avvinghiata, e
lasciò il localino per
appoggiarsi pigramente contro il muro, il viso alzato con la sigaretta
in
bocca, a guardare le stelle. Da sud soffiava un venticello tiepido, che
gli
portò alle narici un odore del tutto particolare, e sorrise,
ripensando a casa-
e a chi quel profumo gli ricordava, chi per lui era
casa: la piccola Kaori, di cui, dopo
tanto tempo, gli sembrava di poter ancora sentire il sapore sulle sue
labbra.
La
porta si aprì,
e dal locale uscirono le risate ubriache degli avventori, quelle false
delle
donne di facili costumi, la musica a tutto volume che faceva scoppiare
la
testa, l’odore di perdizione che quel luogo emanava.
Ed
uscì l’agente
dell’FBI con cui Ryo stava lavorando: Jack Knife. Ryo non
aveva ancora capito
se quel nome fosse vero o solo un soprannome, o magari un nome in
codice.
“Non
sapevo che
ti piacessero gli uomini…” Jack si accese una
sigaretta e si mise accanto a
Ryo, stringendo il filtro tra i denti. “Devo preoccuparmi che
ci provi con me?”
Ryo
lo guardò
storto, ritenendo che
non fosse nemmeno
degno di una risposta. Tuttavia, il federale nippo-Americano non
sembrava
intenzionato a desistere, ed anzi, prese ad insistere ancora di
più nel
pungolare l’agente nell’orgoglio.
“Cos’è,
a casa
hai la fidanzatina che ti aspetta, Saeba? Paura che si incazzi e ti
prenda a
martellate se fingi
di metterle le corna
con le sgualdrine di Kaibara?” Jack scoppiò a
ridere, mentre, invece, a Ryo
venne un forte attacco di tosse, nemmeno quella fosse stata la sua
prima
sigaretta, e volgendo lo sguardo colpevole altrove, arrossì.
“Ah, ma allora vedi
che ho ragione!”
“Non
è la mia
ragazza!” Ryo biascicò. “Lei…
è la sorella del mio migliore amico. E collega.
Ed è giovane. Tanto
giovane.”
“Quindi
ti
piacciono le ragazzine? Non ti facevo così maniaco, quando
vuoi sembri pure un
bravo ragazzo!” Jack
fece una piccola
risata, e poi fu il momento di Ryo di sospirare, mentre si grattava il
capo, la
sigaretta a terra, spenta col piede.
“Guarda
che non è
mica una bambina, per chi mi hai preso? Non è così
giovane… lei… ha
diciotto anni, mica
quindici!”
“Ah,
una
maggiorenne… ma allora, vecchio mio, il problema sei
tu!” Jack si mosse verso
la staccionata di legno che teneva al sicuro dal mare, e
gettò tra i flutti il
filtro ormai masticato, poi tornò accanto a Ryo, e gli
posò una mano sulla
spalla, con fare amichevole. “Sai, alcuni pensano che se si
ama veramente una
donna fare questo lavoro sia impossibile… io ho una ragazza,
ma non credo di
essere così innamorato di lei da lasciare questa vita.
Però ricordati, solo
perché non si è impegnati seriamente, non
significa che si possa fare i
donnaioli quanto ci pare!”
“Perché,
ti
sembro un donnaiolo?” Ryo gli domandò, semi-serio.
“In
realtà mi
sembri uno che di cuori ne ha fatti palpitare tanti, ma anche un uomo
innamorato che però non è ancora pronto ad
ammetterlo e che si machera dietro
l’idea di essere solo attratto da una persona. Fossi in te,
vecchio mio, ci
penserei due volte prima di dire che ti sei solo preso una cotta per
una
ragazzina da cui non verrà fuori
niente…”
Facendogli
l’occhiolino, Jack tornò dentro, e per prima cosa
si gettò tra le braccia di
una conturbante ballerina esotica… lasciando fuori Ryo a
pensare.
“Oh,
Ryo!” Kaori saltò in piedi, e con il sorriso sulle
labbra si
voltò in direzione dell’ex. Ryo non
arrossì, tuttavia il suo imbarazzo era ben visibile
a chi lo conosceva bene, e che stesse accadendo qualcosa fu da subito
ben
chiaro a Mick, che da dietro a Kaori gli sorrise con la medesima
espressione
del celeberrimo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie, mentre
invece
Erika si era messa a tirare su col naso, ed aveva gli occhi lucidi,
quasi fosse
stata intenerita da quello spettacolo ridicolo.
Ryo
sospirò, abbassando il capo rassegnato: Erika era davvero
una
donna a tutti gli effetti- era anche una sognatrice romantica adesso, e
l’uomo
pregò con tutto se stesso che non volesse mettersi pure a
giocare a fare
Cupido.
“Ehm…sì?”
Ryo iniziò a pensare ad una scusa per allontanarsi;
temeva che Kaori, che dopo quel bacio e la notizia della data del
matrimonio a
malapena gli rivolgeva la parola, avesse scoperto qualcosa
di… sconveniente tramite
quei due imbecilli
patentati, ma poi scrollò il capo con veemenza: non poteva
essere così, perché
la ragazza era decisamente troppo cordiale!
“Erika ed io
abbiamo avuto
un’idea!”
Sbattendo
quelle lunga ciglia da cerbiatta, la giovane gli fece un
sorriso che… che sembrava preannunciare guai. Non che
facesse troppa
differenza, però: a Kaori, alla fine, lui non era mai stato
in grado di dire di
no.
“Non
so perché, ma ho la netta impressione che potrebbe non
piacermi…” le disse, alzando un sopracciglio.
Kaori tuttavia sembrò incupirsi a
come lui stava reagendo, e prese a stringersi le dita. Occhi bassi, si
morse le
labbra, e volse lo sguardo altrove.
Erano
nel bel mezzo di una caotica stanza, piena di agenti che
lavoravano al meglio delle loro possibilità, eppure era come
se fossero soli.
“Noi…
io voglio solo aiutarti a metterti Kaibara alle spalle,
Ryo.” Gli disse, la voce spezzata, senza guardarlo negli
occhi. Eppure, Ryo
sapeva che Kaori stava trattenendo a stento le lacrime, e la cosa gli
spezzava
il cuore. “Lui ti ha tradito, e capisco perché
provi odio per lui, ma… ma io
non voglio solo aiutarti per vendetta, perché…
perché credo che se si
combattesse solo per odio e vendetta, presto o tardi si arriverebbe
all’autodistruzione. Io invece…vorrei solo che non
ci fossero altre persone che
debbano soffrire… come te, come me, come Hide… e
poi… io ho sempre tenuto molto
a te, e anche se adesso non stiamo più insieme,
ecco… io desidero esserti
ancora amica, Ryo, come una volta.”
Ryo
assunse un’espressione pensierosa, ma al contempo serena;
sorrideva leggermente, e la guardava in un modo strano, che le fece
mancare il
fiato… un modo profondo come non aveva mai fatto, neppure
quando stavano
assieme, quasi le sembrava che lui la stesse controllando ai raggi X, o
potesse
leggerle dentro.
La
destabilizzava, le faceva dimenticare tutto, e la cosa non le
piaceva.
Lei
non era più sua, non si appartenevano
più… ora aveva Shinji
nella sua vita, ma a volte era come se una parte di lei volesse
accantonare
quel pensiero, quella consapevolezza, ed esplorare, anche solo per
poco, la
possibilità che il loro passato fosse stato diverso.
Che
avesse funzionato, tra loro.
Ryo
la afferrò per il polso, e la trascinò a
sé, lasciandole un
casto bacio sulla fronte, che però la accese e la fece
improvvisamente divenire
consapevole di ogni nervo del suo stesso corpo.
“Grazie,
Sugar.” Sussurrò a fior di pelle, le sue parole
quasi come
fuoco sulla pelle della donna tanto le era stato vicino.
Sugar.
Il
soprannome che Ryo aveva coniato per lei quando era solo una
ragazzina. Solo il sentirlo le accendeva il cuore con la luce ed il
calore di
milioni di fuochi di artificio, era come se la sua stessa anima
esplodesse con
la potenza di una supernova.
Una
parola, una sola, ed il suo perfetto mondo rischiava di cadere
in frantumi ai suoi piedi.
Kaori
rimase immobile a fissare il vuoto, mentre Ryo la lasciava
andare e raggiungeva Mick ed Erika, che lo guardavano come se sapessero
qualcosa che solo loro capivano, come se loro tre condividessero un
qualche
tipo di segreto.
“Beh,
allora, quale sarebbe questa grande idea?”
“Non riesco a
capire…. Alla sbarra no, ma in sala interrogatori
sì?” Saeko fissò attraverso
il falso specchio l’interrogatorio che stava per iniziare;
Sonia Fields,
contabile che si era trovata immischiata in un traffico di droga,
avrebbe
nuovamente visto la persona a cui aveva confessato, tra le lacrime, i
suoi
peccati e le sue colpe, consegnando nelle mani della giustizia Kaibara.
La
porta si aprì, ed in controluce fece la sua entrata una
figura
possente, eppure dal fisico slanciato. Il suono delle scarpe che
facevano
scricchiolare il pavimento in vinile era l’unico rumore che
si poteva udire in
quella quiete surreale.
“Sonia…
ne è passato di tempo.” Sonia, le labbra dischiuse
in
un’espressione di meraviglia, si ritrovò a fissare
un uomo Impeccabile,
dall’elegantissimo completo grigio, completato da una
cravatta blu su camicia
bianca, capelli castani tagliati corti e pettinati col gel a creare un
falso
effetto ribelle: Jack Knife.
“Che
tu ci creda o no, vederti è sempre un piacere. La prigione
non ha minimamente scalfito la tua bellezza.” La donna
assunse un sorrisetto
cinico, di circostanza, tirato, ad udire quelle parole, e accavallando
le
lunghe gambe, fasciate dalla tuta arancione da carcerata, prese a
giocare con
una ciocca di capelli biondi.
“Non
cascherò per un trucchetto del genere due volte,
Jack.” Gli
rispose, beffarda, fissandosi svogliatamente le unghie; era chiaro che
Sonia
sapesse muoversi all’interno della galera, che ricevesse
favoritismi e avesse
chi le copriva le spalle: non c’era un centimetro del suo
corpo che non fosse
ancora perfetto, a partire dai capelli biondi (tinti di un biondo
talmente
chiaro da sembrare bianco) fino alla french manicure.
A
Sonia non mancava nulla… anzi, una cosa sì, le
mancava: la libertà.
Buona parte del denaro
dell’Unione non era mai stato recuperato, ed era logico
pensare che la loro
contabile fosse a conoscenza del nascondiglio. Contro di lei non
c’erano vere
prove, solo sospetti e poi quella fortuita confessione, e se avesse
riottenuto
la libertà, erano tutti certi che tempo ventiquattro ore
l’uccellino avrebbe
riempito di contanti le valigie e preso il volo verso qualche isoletta
sperduta
che fosse al contempo un paradiso fiscale e non concedesse
l’estradizione.
“Sonia,
ascolta… come anni fa ho ottenuto la tua
confessione… è
stato imperdonabile. Il modo in cui ho tentato di sedurti…
quando ti ho
lasciato credere che per noi potesse esistere un futuro se tu fossi
stata
onesta, è qualcosa di cui mi pento amaramente.”
Seduto
accanto a Saeko nella stanza adiacente, Ryo, caviglie
incrociate sul tavolo, sorrise beffardo: non c’era che dire,
Knife sapeva
ancora mentire e manipolare i suoi polli alla perfezione. E per giunta,
senza
trucco, con un completo maschile e quella guaina super-aderente a
celare le
forme dono di ormoni e chirurgia plastica, nessuno avrebbe potuto dire
di
trovarsi davanti una donna – e che donna!
“Una
donna come te, costretta a vivere in una minuscola cella… il
tuo mondo dovrebbe essere una passerella, non uno squallido
carcere.” Knife le
rivolse un sorriso affascinante, ammaliante…. Le parole
erano come miele,
ambrosia, uscivano dalle belle labbra sottili incantandola, esattamente
come
era accaduto anni prima. Con calcolata ingenuità e
titubanza, Knife mosse una
mano sul tavolino, andando a coprire quella della donna, che
sussultò, mentre
lacrime le lasciavano i glaciali occhi azzurri e le gote si
imporporavano.
“Sonia, adesso capisco che Kaibara ti aveva sempre
manipolato, e che ha
cercato di metterti in mezzo per
alleggerire la sua posizione… ma tu, tu sei sempre stata una
vittima, vero?
Vittima di uomini come me e lui che ti hanno usato per ottenere quello
che
volevano. Tu eri solo una contabile che voleva fare il suo lavoro, si
stata
trascinata dentro a quella brutta storia contro la tua
volontà, e una volta
dentro, non ti avrebbero mai permesso di uscirne.”
Sonia
si morse le labbra, il capo chino, e rilassò la mano sotto
al tocco delicato di Knife; singhiozzando, fece un cenno di assenso col
capo
così accennato che chi la guardava appena se ne accorse.
“Davvero
ci sta cascando? Di
nuovo?” Saeko domandò, quasi incredula.
Aveva parlato lei stessa con Sonia,
nel tentativo di farla nuovamente collaborare, ma la donna si era
rimangiata
tutto e non voleva sentire ragioni… fredda, cinica,
calcolatrice, maliziosa…
eppure, era come creta nelle mani di chi già una volta
l’aveva portata alla
caduta nel baratro.
“Eh,
Jack ci sapeva davvero fare con le donne, e pure Erika a
quanto pare ci sa fare con il gentil sesso…” Mick
sghignazzò, braccia
incrociate. “Quando eravamo a Quantico insieme e il
venerdì sera andavamo per
locali, ci
raccontavamo sempre che gli
bastava guardarle per convincerle ad abbassarsi…”
Due
paia di occhi presero a fissarlo con ostilità, capendo fin
troppo bene dove l’uomo volesse andare a parare, e le due
donne presenti
all’interrogatorio videoregistrato si schiarirono la gola,
fulminandolo, e Mick
fece un passo all’indietro, sbattendo la schiena contro il
muro, ed ingoiò a
vuoto.
“Non
riesco a credere che sia stata Erika ad avere
quest’idea… non
mi sembrava il tipo da voler mettere i panni dell’uomo, ma
dice che dato che si
tratta di sala interrogatori e non del banco dei testimoni,”
Kaori sorrise,
seduta sul tavolo che faceva dondolare le gambe. “Non si
tratta di spergiuro,
ma di lavoro sotto copertura…. Si sta pure
divertendo!”
Ryo
le lanciò un’occhiata sorniona, sorridendole
sghembo: quando
Kaori gli aveva proposto quell’idea l’aveva
giudicata malsana, ma doveva
ammettere che stava funzionando, e che l’aveva giudicata
male, guidato forse
dal dolore che provava nel petto all’idea che lei, ora,
stesse per diventare
definitivamente di qualcun altro- che lei lo avesse rifiutato ancora.
Ed
in sala interrogatori, Knife continuava la sua sviolinata.
“Detto
tra noi, Sonia, credo che tu mi abbia mentito non solo per
compiacermi, ma per alleggerire la posizione di Kaibara... ma non
credere
nemmeno per un secondo che lui
voglia
fare lo stesso per te. Dirà che lo hai sedotto, manipolato,
che gli hai fatto
firmare documenti senza che lui sapesse cosa fossero. Si
inventerà che hai
usato un povero vecchio per i tuoi piani… Lo so,
Sonia…” Knife prese un
profondo sospiro, ed abbassò gli occhi, calcolando il giusto
tempo per
continuare il suo discorso. “Lo so perché
è quello che ci ha detto lui stesso
quando ha chiesto un nuovo processo. Ma io lo so, Sonia… tu
sei una donna che
ha tanto amore da dare, che è stata usata da un vecchio
psicopatico maniaco…”
“Dopo
tutto quello che ho fatto per lui… tutte le colpe che mi
sono presa… come osa…”
La
donna scoppiò a piangere, e Knife le strinse la mano,
guardandola con dolcezza e comprensione, accogliendo ogni parola
pronunciata
per ciò che era: una benedizione, la loro fortuna. La
garanzia che Shin Kaibara
e Sonia Fields sarebbero marciti in una minuscola cella umida fino al
giorno
che non fossero morti.
L’ennesima
confessione.
Un paio di giorni
dopo, Ryo e Mick guardarono Erika salire sul treno, ritornata al suo
stile da
femme fatale; aveva mantenuto i capelli corti, preferendoli ad una
parrucca, ma
li aveva acconciati in una maniera che la rendeva estremamente
sensuale,
adottato una piega spettinata e ribelle..
Mentre
la guardavano allontanarsi sul convoglio, Ryo girò i
tacchi, e si accese una sigaretta, voltandosi verso il vecchio compare.
“Beh, e
tu rimani qui a rompere ancora a lungo?”
“Eh,
che vuoi, a me testimoniare tocca, e per almeno due settimane
non sarà il mio turno, e chissà quanto a lungo
tutta questa storia andrà avanti…”
Mick si limitò a scrollare le spalle, assumendo quella
beffarda aria falsamente
angelica che era solito stamparsi in faccia quando prendeva un
po’ in giro
amici e conoscenti (e donne). “Dovrai sopportarmi ancora un
po’!”
Appoggiando
una mano sulla schiena di Ryo, lo guidò verso un
piccolo locale leggermente appartato, da cui proveniva una musica
giapponese
tradizionale ma soprattutto suoni di risate, ma non quelle tipiche
degli
ubriachi: erano risate vere, oneste, di gente che si divertiva.
I
tavolini erano quasi tutti impegnati, perciò i due detective
si
appoggiarono pigramente al bancone. Ryo fece segno al barista, vestito
anch’egli in maniera tradizionale con un semplice kimono
maschile dai toni
dell’azzurro, di portargli due bottiglie di birra, e con un
leggero inchino
l’uomo eseguì.
Stappate le bottiglie
ambrate, gli uomini le fecero battere l’una contro
l’altra in segno di buon
auspicio, sorridendo e ridendo, unendosi alla baldoria degli altri
avventori,
le schiene appoggiate al bancone mentre loro assaporavano tanto
l’alcolico
quanto l’atmosfera gioiosa che si godeva dentro il curioso
establishment.
“Certo
che è davvero carina… un po’ troppo
seria, forse, ma
decisamente carina, sì….” Mick lo
punzecchiò, sorridendo sornione. Aveva una
strana luce negli occhi, sembrava quasi che provasse invidia per Ryo,
in quel
momento. “Sai, quando ci siamo incontrati, anni fa, mi eri
subito sembrato,
ecco… distruttivo, ma questi ultimi giorni, standoti
accanto, non lo, ti ho
trovato cambiato, Ryo…”
“Non
so di cosa tu stia parlando…” Ryo si mise a
guardare altrove,
quasi sperasse che l’altro volesse cambiare discorso: ma fu
inutile.
“Davvero,
Ryo. Sei entrato in polizia per rincorrere quel
desiderio di bruciarti, ma credo che qualcuno ti abbia convinto a
cambiare…
saranno stati i fratelli Makimura… o solo Kaori?”
Ryo non rispose; cupo, poggiò
la bottiglia sul bancone, e prese a contare le minuscole crepe che
decoravano
il soffitto come un dedalo di sottili ragnatele.
“Perché non le dici che ci
tieni ancora a lei, che sai che avete sbagliato a lasciarvi?”
Ancora
in silenzio, Ryo si voltò verso l’amico e lo
guardò in
silenzio - un silenzio che parlava più di mille parole; in
quell’istante, era
come se Ryo stesse aprendo il suo stesso cuore, spalancando, a Mick, ed
era un
atto di onestà e fiducia che non avrebbe riservato a nessun
altro.
Ma
d’altronde, gli altri non lo avevano salvato… non
come Mick
aveva salvato lui…
“Il
tuo patrigno
è uno stronzo, Ryo…” Mick
sibilò tra atroci fitte di dolore; il viso imperlato
dal sudore, era pallido, e sentiva bruciare nel punto in cui gli uomini
di
Kaibara gli avevano forzatamente somministrato la Polvere degli Angeli. Sentiva lentamente la
lucidità scivolargli
tra le dita… ancora poco, e poi sarebbe stato servo del
volere folle e atroce
di Kaibara, niente di più che una macchina da guerra, il suo
soldatino
personale.
Non
poteva
permetterlo: meglio la morte che un destino del genere, e se morendo
avesse
potuto salvare il suo amico, o anche solo mettere in
difficoltà Kaibara…
sarebbe stata una bella morte. Una morte degna.
Strisciando a terra, si
avvicinò al quadro comandi della
nave carica di droga e armi destinati a tutto il mondo: la rotta era
stata
fissata, entro poco avrebbero incontrato gli acquirenti, e Kaibara gli
avrebbe
ordinato di uccidere Ryo come prova dell’efficacia della
sostanza, e lui lo
avrebbe fatto.
Con
mano
tremanti, aprì il piccolo sportello metallico, per poi
afferrare i fili che vi
erano all’interno, tutti insieme. Il suo corpo venne percorso
da una scarica di
energia elettrica devastante, Mick sentiva di andare a fuoco, ma
stavolta non
si trattava solo di una semplice sensazione, le sue terminazioni
nervose e i
muscoli stavano davvero bruciando.
La
nave sbandò,
per poi arrestarsi improvvisamente, e tra atroci dolori Mick ricadde
all’indietro, sorretto da Ryo che era corso in suo
aiuto…
“Non
si ha sempre quello che si vuole, dalla vita.” Ryo gli disse,
enigmatico. Mick fissò i guanti bianchi che indossava da
quel giorno, dopo che
anche esteticamente le sue mani erano rimaste compromesse durante
l’assalto a
Kaibara.
Da
allora, non era stato più lo stesso… aveva perso
tono muscolare
ed i nervi erano rimasti irrimediabilmente lesionati, non era nemmeno
più in
grado di sparare...ormai, faceva solo più lavoro di ufficio,
ma non gli bastava
più; non chiedeva certo di ritornare ad essere un agente
operativo, ma almeno
un analista… poter almeno investigare, fare
domande… era chiedere troppo?
“Non
dirlo a me, Ryo, però, quando si trova qualcosa per cui vale
la pena lottare, lo si dovrebbe inseguire, no?”
“Si
sposa fra nemmeno tre mesi, Mick…” Ryo
sospirò. Tirò fuori
dalla tasca della giacca una scatolina, e la posò sul
bancone, accanto
all’amico. Mick, sollevando un sopracciglio, la
aprì: all’interno c’era un
anello ed un solo orecchino. “Non so nemmeno
perché cavolo li ho tenuti. Kaori
ha ragione… noi siamo amici da tanti anni. Dovremmo
concentrarci su quello. Ed
il lavoro.”
“Ryo,
secondo me lo sai benissimo anche tu perché li hai
tenuti…”
Mick lo prese in giro, dandogli delle leggere pacche consolatorie sulla
schiena. “Perché speri di poterle di nuovo dare
questo bell’anello di fidanzamento e potertela
sposare tu!”
“No,
no, Kaori ha ragione. Kaori ha sempre avuto
ragione.” Ryo borbottò; si stava battendo
ritmicamente
l’indice contro il mento, assorto in pensieri apparentemente
seri, nonostante
la birra avesse già iniziato a fare effetto e le parole gli
uscissero dalla
bocca nemmeno fossero stato un flusso di pensieri. “Io non
sono fatto per il
matrimonio. Non sono capace ad avere una sana vita di coppia. Di letto
sì, ma,
no, no… le relazioni non fanno per me. Non ho nemmeno mai
avuto un buon
esempio!”
Mick
rimase a bocca aperta; sembrava che Ryo la stesse buttando
sul ridere, ma solo
ora capiva che la
riapertura di quel caso, il dover testimoniare nuovamente, ricordare
quel tempo
della sua vita passata, aveva riaperto ferite che non si erano mai
rimarginate
del tutto.
Quando
si erano conosciuti, anni prima, Ryo, nonostante fosse
molto legato a Kaori - e avesse confidato a lui e a Jack di provare
forse
qualcosa di più di una semplice amicizia o affetto fraterno
per la bella rossa
- era un dongiovanni; un po’ come un marinaio, aveva una
donna diversa ovunque
andasse.
Ma
poi… poi, lui e Kaori si erano avvicinati, e col tempo
avevano
deciso di darsi una possibilità, ma Mick aveva
l’assoluta certezza che fosse
stato Ryo stesso a mandare tutto a puttane, ritenendosi indegno
dell’amore di
lei - incapace di amarla perché nessuno aveva mai amato lui.
Stronzate.
Forse
Ryo non aveva conosciuto il classico amore familiare, ma
come poteva credere che la famiglia fosse quella delle
pubblicità - che esistessero
davvero quelle famiglie col papà in completo elegante che
prima di andare al
lavoro elargiva baci e consigli per la giornata, per leggere poi alla
sera le
fiabe, e madri con impeccabili vestitini azzurri e gialli che, con
tacchi e
perle, facevano tutto, dal preparare la colazione al verniciare, il
tutto in
case impeccabili, luminose, ariose, senza la minima traccia di
disordine
nonostante la presenza di cane, gatto e pesce rosso.
Va
bene, Ryo non aveva avuto una mamma ed un papà amorevoli, ci
stava, ma davvero quel cretino non capiva che era circondato da amore
ed
affetto? Da amici che gli volevano bene come e più che fosse
un membro della
loro famiglia? Gente che aveva scelto
Ryo come suo fratello…
“Vuoi
che te lo custodisca io in attesa di tempi migliori,
old brother?” Mick lo prese in giro,
sorseggiando la fresca bevanda dal collo della bottiglia ambrata.
“Puoi
pure tenertelo, se vuoi.” Ryo scrollò le spalle.
“A me non
serve più.”
Lasciando
la scatolina sul bancone, il poliziotto si alzò, e
salutò l’amico con un cenno della mano. Mick
scrollò il capo, sospirando… Ryo
era davvero un caso da manuale, disperato quando voleva.
Con
un lieve sorriso sulle labbra, afferrò la scatolina e se la
mise in tasca: l’avrebbe tenuta con sé fino a che
Ryo non avesse deciso di fare
l’uomo e chiedere la mano di Kaori, e stavolta, dicendole la
verità - quella
verità di cui ormai tutti erano a conoscenza: che
l’amava.