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Autore: MinatoWatanabe    20/10/2021    6 recensioni
NaruHina | GreekAU!
"Fui certo di sentire il mio cuore perdere un battito. Era lei. La ragazza del mio sogno. La somiglianza era tanto forte da essere inquietante. La sua pelle era pallida e rifulgeva alla luce delle torce e della luna, quasi il corpo emanasse luce propria. L'espressione era grave e triste, come dettato dalla tragedia, ma una cosa in particolare attirò la mia attenzione: gli occhi. Erano tanto chiari da sembrare traslucidi."
(dal capitolo 2)
Storia partecipante al contest "What time is it? It's SUMMERTIME" indetto dal gruppo Naruto Fanfiction Italia
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hinata Hyuuga, Jiraya, Naruto Uzumaki, Toneri Ōtsutsuki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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4

Superstizione

Mi svegliai con un dolore non ben definito alla schiena, in corrispondenza della zona lombare. Mi fu necessario qualche istante prima di rendermi conto che ero sdraiato sul pavimento.
Dolore alla schiena a parte non era male: la frescura delle piastrelle era rinfrancante.
Il sole era già alto nel cielo, probabilmente era quasi mezzogiorno. Dalla finestra entrava un fascio di luce, diretto proprio verso la tela.
La tela!

La sera precedente mi ero precpitato in camera e avevo quasi aggredito il tessuto per imprimere il disegno preparatorio. Mi alzai per verificare il risultato, e ne rimasi sorpreso.
Ovviamente non poteva rendere l'idea del risultato finale, tuttavia per la prima volta da mesi sentivo di essere partito con il piede giusto. Non so da quale parte del mio cervello fosse scaturita l'idea del nudo artistico, tuttavia il risultato parlava da sé. La composizione richiamava quella della “Nascita di Venere”, tuttavia l'atmosfera, una volta aggiunti i colori avrebbe avuto un tono più cupo, drammatco. Almeno per come me l'ero immaginato. Con la figura femminile protagonista che si staccava dallo sfondo scuro grazie al pallore dell'incarnato e alla luce della luna che, come un riflettore, la illuminava.

Gasato al pensiero che sarei riuscito a completare un dipinto dopo mesi di fermo mi diressi in cucina cimentandomi in un ridicolo balletto della vittoria, per prepararmi uno strameritato caffé.

Jiraya era seduto al tavolo della cucina, facendo girare pigramente le pagine di un romanzo. Avevo smesso da anni di farmi domande riguardo la sua pasisone per i romanzi erotici. Non riuscivo a capirne l'attrattiva: non erano altro che una rappresentazione del sesso irrealistica ed iperbolica, perfino più assurda di certa pornografia hard che si trovava in giro, senza però averne la stessa facilità di fruizione. Una perdita di tempo, insomma.

Sollevò il naso dal libro e mi squadrò mentre ondeggiavo tra la dispensa e la credenza, canticchiando a bocca chiusa il tema di “Mission Impossible”.

«Come mai così allegro stamattina? E il jet lag?»
«Il jet lag non può niente contro di me, stamattina sento che potrei spaccare l'universo se lo volessi!»
«Addirittura?» rise «E cos'è che ti ha reso così felice?».
Mi bloccai per un'istante. In realtà non mi ero posto il problema, ma probabilmente a rendermi felice, più che lo schizzo sulla tela, era il soggetto dello stesso.
«Ho conosciuto una ragazza...» dissi abbassando la voce.
Jiraya inarcò un sopracciglio: «Fantastico... e quando è successo dal momento che sono passate meno di dieci ore da quando siamo arrivati a Nauplia?»
«Ieri sera, dopo che sei andato a dormire, sono stato a fare qualche passo in spiaggia. L'ho incontrata lì. Si chiama Hinata. Hinata Hyuga.»
Jiraya ebbe come un sussulto ed aggrottò la fronte, ma fu solo per un secondo, dopodiché tornò alla sua solita espressione. Tuttavia a me non era sfuggito.

«Beh?»
«Cosa?»
«Dimmelo tu, hai fatto una faccia...»
«Quale faccia?»
«Guarda che ti conosco bene zio. Sputa il rospo!»
«Non c'è nessun rospo!»
«Allora la raganella, o quello che ti pare, ma parla!» ridacchiai. Era una battuta scema che mi faceva quando da bambino non volevo ammetere la marachella che avevo combinato.

«Non è niente di importante, è solo che... è meglio se non ti invischi con gli Hyuga.»
«È perché deve sposarsi? Tu cosa ne sai?»
«Ah, quindi te ne ha parlato... conosco suo padre da anni, e si dà il caso che io abbia vissuto qui abbastanza a lungo da conoscere le tradizioni delle famiglie locali.»
«E cosa ne pensi?»
«Tu cosa ne pensi?» mi rigirò la domanda, chiudendo il libro e studiando le mie reazioni.
«Io la trovo una barbarie... una porcheria. E poi siamo nel duemilaventuno, non nel milleventuno, davvero esistono ancora cose come queste?» conclusi gesticolando, preso dal nervoso.
«Oh, esistono eccome. Ti sorprenderebbe sapere quanto sono arretrati in questo paese.»
«E il mondo globalizzato? E i diritti umani?»
Jiraya scosse la testa.
«Fuori dalle grandi città, la Grecia non è progredita di un solo giorno, Naruto. Guarda le strade. Guarda le infrastrutture. Non sanno neanche cosa significhi la parola globalizzazione, qui. In più il rispetto per la tradizione li porta a tenere vive superstizioni senza alcun fondamento o utilità, se non quella di far vivere la gente nella paura. Hiashi, il padre di Hinata, ha sempre avuto paura degli Otsutsuki, gli uomini della luna. È ancora convinto che questi abbiano dei poteri ESP o altre cazzate del genere. Non è possibile parlare razionalmente con qualcuno così.»
Fece schioccare la lingua contro il palato, come se stesse ponderando le parole per spiegarmi qualcosa, poi disse: «Una volta qualcuno disse che i greci sono un popolo con la tragedia nel sangue. Io penso che, più che nel sangue, ce l'abbiano nel cervello, la tragedia. Speravo che almeno la figlia sarebbe riuscita a far ragionare quel folle di Hiashi, ma evidentemente non vuole sentir ragioni: si è sempre fatto così e quindi anche lei dovrà adattarsi. Mi dispiace solo che quella ragazza sia costretta ad assecondare i deliri di una manica di relitti con una mentalità da antidiluvio.»
Sbuffò con aria rassegnata e sinceramente dispiaciuta. Dopodiché mi guardò con apprensione e mi poggiò una mano sulla spalla.
«Mi dispiace, ma forse è meglio se dimentichi quella ragazza.»

E detto ciò si alzò e tornò nella sua camera.

Quella conversazione mi aveva spiazzato. Jiraya non era un amante dei melodrammi, quindi se aveva fatto un discorso di quel genere significava che la situazione era complicata. Tuttavia questo non aveva affatto frenato la mia determinazione. Ero già intenzionato ad aiutare Hinata, e Jiraya, inconsapevolmente, mi aveva spronato ancor di più a farlo. Le cause perse erano la mia specialità. Più una situazione sembrava disperata ed irrecuperabile e più io mi impegnavo per risolverla.

Mi spostai in bagno per fare una doccia e mi resi conto con imbarazzo che era da prima di arrivare in Grecia che non mi lavavo. Il pensiero corse alla sera precedente, nella quale mi ero presentato ad Hinata così com'ero: sudore e polvere. Dio mio che idiota.

Lanciai uno sguardo al mio riflesso nello specchio: non c'erano occhiaie, ma il collo era leggemente arrossato, segno che la visita al sito di Micene senza protezione solare aveva fatto il suo prevedibile corso. Mi gettai sotto la doccia insaponandomi più volte per lavare via l'odore di adolescente sudaticcio. Una volta uscito mi rivestii rapidamente e tornai al cavalletto, squadrando nuovamente il disegno. Hinata era anche lì, era impossibile non pensare a lei. Visione erotica del mio dipinto, guerriera che non chiedeva aiuto pur avendone bisogno, donna che si imbarazzava quando le veniva chiesto di posare per un dipinto, fanciulla dai maledetti occhi di luna, tanto bella e desiderabile da risvegliare l'istinto animale dentro di me.

C'era un caos di pensieri che mi vorticava in testa. Ma avevo bisogno di lucidità per pensare, in quel preciso momento, quindi riportai sommariamente il bozzetto preparatorio della tela sullo sketchbook, seguendo un processo creativo inverso rispetto a quello che utilizzavo di solito. Osservai come i tratti sulla carta fossero meno evocativi rispetto a quelli sulla tela. Come se l'ispirazione che mi aveva colto la notte precedente avesse esaurito il suo picco. Mi tranquillizzai, ragionando sul fatto che in un bozzetto era piuttosto normale essere poco accurati.

Avevo un'idea molto chiara del risultato che volevo ottenere, e delle tonalità cromatiche che avevo intenzione di utilizzare. I colori predominanti sarebbero stati il viola e l'indaco. Ossido di alluminio per il tono pallido della pelle. Una scena notturna, in cui la luce proveniva direttamente da lei. Provai nuovamente ad affidarmi al processo di realizzazione che ben conoscevo e che avevo collaudato in anni di studio, ma sapevo che rendere la giusta luminosità con gli acquerelli sulla carta era impossibile.

«Naruto. Io devo tornare a Micene con Kakashi, c'è un manufatto che richiede la mia attenzione.» annunciò Jiraya entrando nella camera e interrompendo senza alcun ritegno il mio flusso creativo. Non che si fosse mai posto il problema, in effetti.
«Okay, io ho il mio bel daffare quindi ci vediamo quando torni.» sospirai.
«Sì, avevi ragione Jiraya, il ragazzo ha talento.»
Sussultai, riconoscendo la voce di Kakashi ad un palmo dal mio orecchio. Per poco non rischiai di cadere dallo sgabello, facendo rovinare a terra anche tela e cavalletto in un colpo solo. Quando era arrivato? E poi come faceva ad essere tanto silenzioso?

«Avresti potuto dirmi che eri nella stanza, Kakashi!»
«Non mi pareva il caso di annunciarmi.»
«Preferisco che ti annunci piuttosto che avere un infarto, grazie.»
«Come vuoi, la prossima volta non mancherò. Vedo che il blocco è passato.»
Guardai la tela, sempre più soddisfatto del disegno, e annuii.
«Sì, direi di sì.»
«Bene, quindi il tuo compito in Grecia è finito.»
Di quello non ero così convinto: il mio viaggio in Grecia aveva avuto un suo scopo fino alla notte precedente. Sentivo, però, che il mio destino era sempre stato venire in Grecia, non per riuscire a tirar fuori un dipinto, ma perché potessi incontrare lei.

«Bene, ti lasciamo al tuo lavoro e andiamo a fare il nostro, che dici Kakashi?» chiese Jiraya, con la sua solita aria da buontempone che, anziché come un serio archeologo, lo faceva apparire come un vecchio alcolizzato.
«Andiamo.» rispose l'altro laconico.
«Ciao Naruto.»
«Ciao.»
«A dopo.» risposi.
Non so perché ma il mio sesto senso gridava che Jiraya fosse più interessato a valutare la qualità del vino greco (o rivalutarla, per meglio dire), anziché quella dei manufatti.

Scossi la testa, come per liberarmi da quel pensiero e focalizzai nuovamente la mia attenzione sullo sketchbook, accostandolo alla tela, per cercare di immaginare l'effetto finito, con colori a olio. Dovevo lavorare ancora un po' sulla posizione e l'intensità delle ombre, ma quel tipo di lavoro lo si poteva fare solo con i colori ad olio, pertanto pensai di cominciare a dipingere effettivamente sulla tela.

Mi ero appena piegato per versare l'olio di noce e cominciare a fare qualche prova quando sentii bussare.
Sbuffai, ma corsi all'ingresso per aprire e vedere chi fosse. Aprii la porta, ma non c'era nessuno.

Ma che? Adesso sento anche le voci? No dai, ci sono già troppi problemi al mondo per essere anche schizofrenici.

Tornai a sedermi temendo seriamente per la mia salute mentale, ma non feci a tempo a riprendere il pennello, che un nuovo toctoc mi interruppe. Pensai di ignorare il suono, ma poi, la terza sequenza di colpetti mi fece rendere conto di cosa avevo sbagliato: stavano bussando alla porta sul retro.

Mi precipitai alla porta, pronto a scusarmi per non aver risposto subito quando, aprendo la porta, mi resi conto di chi avevo davanti: Hinata - maglietta, pantaloncini, e pelle scoperta ovunque - con un'espressione vitrea e una postura chiusa, quasi stesse cercando di proteggersi, in attesa che mi facessi vedere.

«Ma... Hinata! Che è successo? Entra vieni...» dissi spostandomi per lasciarla passare.

Lei scosse la testa:
«Devo chiederti un favore.»
«Tutto quello di cui hai bisogno.» risposi immediatamente.
Lei mi guardò negli occhi, quasi stesse giudicando la mia onestà e poi chiese:
«Hai una macchina?»

   
 
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