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Autore: Kentamae    22/10/2021    1 recensioni
Può un semplice negozio di animali essere la porta d'ingresso a un mondo nascosto?
A raccontarlo è una ragazza comune, come tante di noi, che ogni giorno vive un'esperienza unica come dentro ad una fiaba.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anche oggi sono qui, come ogni giorno.
Mi piace questo posto.
Mi è piaciuto fin dalla prima volta che il mio sguardo si è posato sull’insegna esposta in alto, sopra alla porta.

Orma dopo Orma- Negozio di accessori per animali

Non mi spiego il motivo per cui ho deciso di entrare in questo posto.
Mi sono lasciata trasportare da quel curioso nome, da quelle orme che pensavo mi avrebbero portata chissà dove.

Eh sì! Perché io sono fatta così.
Vivo di avventure immaginarie e di mondi nascosti dentro gli armadi, come nelle storie dei tanti libri che amo leggere, vivo di sguardi incrociati per caso e destinati a non incontrarsi mai più.
Potrei definirmi una sognatrice impavida che resiste agli attacchi della cruda realtà, ma non sarebbe vero 
perché la realtà colpisce anche me attraverso la quotidianità dei miei giorni e alle responsabilità di fronte alle quali non posso tirarmi indietro.

Sono una ragazza normale, vado all’Università come tutti gli altri, torno a casa la sera e trovo la cena calda preparata da mia madre.
E trovo mio padre seduto sul divano intento a leggere il giornale.
Lui è sempre attento a ciò che accade nel mondo, alle guerre che si combattono facendo rumore e a quelle invece più silenziose e che spesso si tende ad ignorare.
Si preoccupa molto per me e per quello che sarà il mio futuro.
Trovo anche il mio gatto, appollaiato sul letto, che solleva la testa verso di me come a rimproverami per essere arrivata tardi e per averlo fatto preoccupare.

Ma se nelle mie fantasie, dietro alla porta chiusa di quel negozio senza vetrate, mi aspettavo di trovare un mondo incantato la realtà mi è apparsa ben diversa.
Non perché vi sia qualcosa di strano o particolare in questo posto, è solamente normale.
Entrando mi sono ritrovata immersa nella quiete più assoluta, salvo il cinguettio di due canarini rinchiusi nelle loro gabbiette.
Lontana dal traffico della città, dai clacson impazziti delle macchine, dalla gente che ti passa accanto frettolosa e con la testa china sul cellulare.
Non alzano mai gli occhi dallo schermo, mai una volta che li trovi sopra a qualche ponte a guardare le anatre che sguazzano o con gli occhi rivolti alle nuvole.
A me le nuvole piacciono.
Mi piace vederne la forma che muta di attimo in attimo, anche se spesso quelle bianche che ci sono nelle belle giornate sembrano soltanto cumuli di panna montata.
Già, dimenticavo, sono anche golosa di panna e ho anch’io un cellulare.
Probabilmente quando torno a casa la sera sono esattamente come quelle persone che mi ritrovo accanto per strada.

In ogni caso è proprio questo il motivo per cui ho iniziato a venire qui tutti i giorni, per il silenzio.

Resto a guardare l’insegna per qualche breve istante e poi entro.
Da dietro al bancone la donna con il caschetto scuro e la sigaretta tra le labbra mi sorride e solleva una mano in segno di saluto.
Non conosco il suo nome, anche se quando sono entrata la prima volta è proprio lei che ho trovato ad accogliermi.
Abbiamo scambiato soltanto due parole ma mi permette di venire qui ogni giorno e a me sta bene.
Non sembra aver voglia di socializzare e non ha l’aspetto materno.
Qualche volta viene a trovarla un uomo.
Si siede accanto a lei dietro al bancone, appoggia la testa allo scaffale e quando mi vede sorride borbottando qualcosa sulla gioventù e sull’autunno che sembra essere per lui arrivato.
A quel punto lei aspira una boccata di fumo e la butta fuori dicendogli che non è poi così vecchio.
Mi sono chiesta se fossero marito e moglie ma non ho osato domandarlo a nessuno dei due, mi piace immaginarmeli come due persone che si sono incontrate per caso e tra cui è nata questa sorta di intesa silenziosa ma palpabile quando sono insieme.

Vado allo sgabuzzino e afferro la scopa, pronta per addentrarmi nel mondo incantato.

Sì, perché se a prima vista quel negozio mi è apparso normale ho poi scoperto davvero un mondo nascosto che pochi hanno la fortuna di vedere.
Sorrido felice tra me per avere quel privilegio.
Forse riesco a vederlo perché sono una sognatrice, una specie di eletta tra la gente ordinaria.
E dire che più ordinari di me non c’è nessuno, anche se a mio padre piace vedermi come una principessa.

Mi dirigo sul retro, verso il portale che mi permette di arrivare dall’altra parte.
E come ogni giorno ritrovo il vialetto pieno di foglie da spazzare.

Inizio il mio giro.
Nessuno crederebbe mai che dietro alla facciata scura di questo negozio ci sia così tanto verde.
Eppure c’è davvero.
Mi fermo vicino al laghetto e saluto mamma anatra.
Lei continua a muovere velocemente le zampe sott’acqua e gira in tondo con i suoi piccoli appresso.
Poi vado alla vasca dei pesci rossi.
All’inizio pensavo che la donna dal caschetto fosse crudele a portarli via da qui e rinchiuderli nelle bocce di vetro per esporle all’interno del negozio, però è un po’come se fossero stati scelti per essere adottati quindi tengo sempre le dita incrociate per loro.
Molti ci riescono a trovare una famiglia.

Proseguo lungo il vialetto togliendo quante più foglie possibili e quando sollevo lo sguardo e lo vedo il mio cuore perde un battito.

LUI è l’eroe, quello silenzioso, affascinante, pronto a salvare vite.
Forse non è proprio così ma è questa l’impressione che mi ha dato fin dalla prima volta che l’ho incontrato.
Non ci siamo mai parlati.
Io di solito quando lo intravedo mi fermo e perdo tempo con qualunque cosa pur di non passargli vicino, a volte fingo di spazzare foglie inesistenti.
Mi chiedo se si sia mai accorto di me, sembra sempre così assorto nei suoi pensieri con le mani affondate nel suo camice bianco.
Credo sia un veterinario o uno studioso, non ho ben chiare le idee.

Oggi è vicino ai fenicotteri e, con una cartellina tra le mani, annota qualcosa di tanto in tanto.
Resto a debita distanza ma senza smettere di osservarlo.

LUI è un altro dei motivi per cui vengo qui ogni giorno.
Tutto, in quel mondo nascosto nel retro, mi trasmette un senso di quiete e solo io posso goderne appieno.
Raccolgo un po’ di coraggio e muovo qualche passo nella sua direzione.
Non posso mica restare ferma qui fino a che non se ne va, anche perché non so più che lavoro inventarmi.
Forse potrei tornare indietro fingendo di aver dimenticato qualcosa alla vasca dei pesci, tanto dubito che se ne accorgerebbe.
Scuoto la testa e, continuando indifferentemente a spazzare, pian piano mi avvicino.
Sempre di più, fino a che sono così vicina che riesco a vedere la cicatrice in prossimità del suo occhio sinistro.
Tante volte mi sono domandata come se la sia procurata.
Del resto LUI è l’eroe quindi me lo figuro come il capo di un gruppo di ribelli che combatte per la giustizia.

Mi appoggio con le mani alla scopa e lo affianco, restando in silenzio.
Non si volta a guardarmi, come se fossi invisibile ai suoi occhi.
A volte mi chiedo se sia vero.
Se esiste davvero LUI, se esiste la donna dal caschetto con il suo uomo e se esiste il negozio stesso.

D’un tratto solleva un dito e lo punta verso i fenicotteri davanti a sé.

“Le piume nere…” dice, ed io sorpresa, mi domando con chi stia parlando.

D’istinto osservo gli animali che ho di fronte e tra le piume rosa scorgo davvero qualcosa di scuro.
Non sapevo che i fenicotteri avessero delle piume nere nascoste tra le altre.
Sembrano volerle celare, come delle macchie indelebili e troppo vistose che hanno timore di mostrare.
Sono un po’ come noi, che spesso teniamo nascosti dentro dei segreti, dei pensieri, delle esperienze, che vogliamo solo dimenticare.
Mi sento improvvisamente vicina a quei fenicotteri che appaiono felici di stare insieme ma ciascuno di loro porta con sé un fardello racchiuso in quelle piume scure.

LUI non dice più nulla ma si volta e mi guarda come se mi vedesse per la prima volta.
E forse è davvero la prima volta.
Per un po’ rimaniamo così a fissarci l’un altro, poi la donna lo chiama dalla porta sul retro.
LUI rivolge a lei la sua attenzione, ed il suo sguardo, e se ne va.

Rimango a seguire la sua schiena con la scopa in mano fino a che il portale non inghiottisce entrambi.
Provo un moto di rabbia nei confronti della donna che ha spezzato il momento.
Insomma, ero nel mio mondo nascosto insieme all’eroe e lei ha rotto l’incantesimo.

Sospiro rassegnata e torno al mio lavoro, ho ancora molto da fare prima di andare a casa.
Non lo rivedo più e quando rientro nel negozio non c’è nemmeno la donna al bancone.
Non c’è nessuno, solo silenzio e il cinguettio dei canarini nelle gabbie.

Scrollo le spalle ed esco.

Nel momento in cui richiudo la porta mi ritrovo di nuovo nella rumorosa realtà.
Ci sono le macchine, i clacson e la gente con la testa bassa sul marciapiede.
A volte vorrei gridare loro di alzare lo sguardo, di guardare quell’insegna come ho fatto io e di entrare con me nel mondo nascosto, ma ne sono gelosa e quindi non dico nulla.
Non voglio che sappiano di LUI, del portale sul retro, delle anatre, dei pesci e dei fenicotteri.
Voglio solo tornare lì, come ogni giorno, prendere la scopa dallo sgabuzzino e percorrere il vialetto.
Quello è il mio mondo ed egoisticamente non lo voglio dividere con nessuno.

Sto per incamminarmi quando sento la porta del negozio aprirsi alle mie spalle.

Mi volto e sgrano gli occhi quando vedo LUI, con il camice bianco ancora indosso, che mi fa cenno di aspettare con la mano.
Mi guardo intorno e la gente cammina ancora a testa bassa, senza nemmeno notarci, senza vedere cosa sta accadendo.
Mi indico con un dito, quasi a chiedergli se stia parlando proprio con me.
LUI annuisce e sorride sghembo.
Mi si avvicina e mi porge qualcosa che tiene stretto in una mano.

“Devi averlo perso” esclama, mentre io assaporo ogni parola che esce dalla sua bocca.

 È il mio fermaglio per capelli.
Mi porto istintivamente una mano tra le ciocche e mi rendo conto di non averlo addosso.

“Grazie” borbotto, senza sapere cos’altro dire, mentre me lo porge.

È la prima volta che si rivolge a me in modo diretto.
“A domani!” mi dice, per poi voltarmi le spalle.

Torna dentro ma sul suo volto ha ancora quel sorriso sghembo.

E tutto intorno a me cambia.
Il rumore del traffico mi sembra più allegro, il suono dei clacson giunge alle mie orecchie come un saluto cordiale, mi pare quasi che le due ragazze che mi passano accanto sollevino per un istante gli occhi dal cellulare e mi guardino, sorprese di trovarmi lì.

Torno a casa e trovo il mio gatto che mi lancia la solita occhiata di rimprovero e preoccupata.
“Prima o poi ti porto al negozio di animali con me!” esclamo e forse lui la prende come una minaccia perché mi fa un miagolio di disappunto.
La cena è pronta e mio padre è sul divano a leggere il giornale.
Ed io non vedo l’ora che venga domani, non vedo l’ora di tornare nel mio mondo nascosto, come ogni giorno.
   
 
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