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Autore: NPC_Stories    22/10/2021    0 recensioni
Inktober 2021 con la lista ufficiale, come sempre troverete storie dei miei personaggi originali nel mondo di Forgotten Realms.
Dovrebbero essere storie brevi (altrimenti come faccio a pubblicarne una al giorno?), ma chissà se ci riuscirò...
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Genere: fantasy
Note: seguito di Collide


22. Open


1308 DR, Grande Foresta

"Devi aiutarmi! Dobbiamo salvarlo!" Kore strattonò suo fratello per le spalle, cercando di tirarlo in una direzione precisa.
Duvainion non sapeva cosa avesse sconvolto così tanto la sua sorellina, ma qualunque cosa fosse stava iniziando a irritarlo parecchio. Il druido non si reputava una persona gentile o altruista: il circolo di persone di cui gli importava era limitato. La sua famiglia rientrava a pieno diritto in quel gruppo, e verso Kore era sempre stato protettivo. A modo suo.
"Calmati, dimmi cosa è successo" cercò di farla ragionare. "Non posso aiutarti se non ti spieghi."
"Vieni e basta! Potrebbe essere già morto!"

Kore era sotto shock e non riusciva a spiegarsi in modo coerente, ma purtroppo aveva ragione: l’elfo era già morto.
“Tutto questo sangue a terra… è morto qui” considerò Duvainion, tastando il terreno zuppo di sangue.
“Sì che è morto qui! Sì è ucciso!”
Cosa?” Duv alzò la testa di scatto per guardare sua sorella. Lei stava tremando.
“Mi ha v-vista e si è… ucciso.” Emise un singhiozzo strozzato, il suono più orribile che il druido avesse mai sentito. “Oddea… è stata colpa mia. Ha visto una drow e ha pensato…”
“Non è stata colpa tua!” Il fratello maggiore quasi ringhiò. “Ha deciso lui di uccidersi! Non è assolutamente colpa tua.”
“No! Invece sì! N-non avrei dovuto e-essere qui” Kore aveva il respiro spezzato come se stesse piangendo, ma non cadevano lacrime dai suoi occhi. Era troppo sconvolta anche per piangere; il pianto avrebbe dato almeno un po’ di sollievo alla sua psiche, ma il trauma era troppo recente.
Cosa? Siamo quasi al confine con le campagne. Questo elfo è fuori dal suo territorio, conosceva i rischi. Ci sono creature più terribili di te in questa foresta.”
Kore però stava scuotendo la testa, non convinta. “Ma non per un elfo. Duv, ti prego. Mi sento così male. Puoi riportarlo in vita?”
Il mezzodrow corrugò la fronte, e sul suo volto ligneo era un discreto spettacolo. “No, mi dispiace. Questo è un potere che va ancora al di là delle mie capacità.”
La ragazza ricominciò a tremare, pensando febbrilmente a cosa fare. Dopo qualche momento, però, strinse i pugni e mostrò una nuova espressione risoluta. Era ancora spaventata e scossa, ma sembrava che stesse cercando di arginare quei sentimenti con la pura forza di volontà.
“Ma forse io posso.”

Duvainion sbatté le palpebre un paio di volte, guardandola senza capire. Kore era più giovane di lui, aveva iniziato a studiare dopo di lui, aveva in generale meno esperienza del mondo e della magia rispetto a lui.
“Che diamine hai in mente?”
“Mamma ha un laboratorio di magia. Uno segreto.”
L’espressione di Duvainion si fece ancora più scura. “E tu come diamine ci sei arrivata laggiù?”
“Hilda mi ha detto… ma non importa adesso. So che lì c’è un grimorio di magia grigia.”
“Penso che ce ne sia più d’uno, ma quelli sono intesi per essere usati solo da streghe di grande esperienza e che sanno quel che fanno. Tu cosa sei, un’apprendista? Vuoi giocare con forze che non comprendi?”
“Una persona si è uccisa per colpa mia, Duv. Quell’elfo si è tagliato la gola perché io passavo di qui. Non ti rendi conto di come… di come… la mia sola presenza qui sia un gigantesco errore?”
“Questa idea è la più grande pila di escrementi che abbia mai sentito. Tu avevi il diritto di stare qui, la foresta non appartiene agli elfi! Uccidersi è stata una sua scelta.”
“E riportarlo in vita è la mia” annunciò lei, definitiva. “Adesso, mi aiuti a trascinare questo corpo oppure lo devo fare da sola?”

Duvainion non era d’accordo, né moralmente né personalmente. Come druido, non vedeva di buon occhio certi rituali di magia quasi-innaturale. Come fratello, non pensava di avere alcun debito o responsabilità verso un elfo che aveva sconvolto sua sorella con la sua decisione drammatica e improvvisa.
Però, dopo aver cercato inutilmente di dissuadere Kore e dopo averla vista faticare per trascinare un corpo sul terreno accidentato e collinare della foresta, finalmente si decise ad aiutarla. Non c’era nient’altro che potesse fare.
Duv non era ancora in grado di riportare in vita qualcuno con la magia druidica, ma aveva qualche altro utile trucco nella manica. Si tolse il mantello e si trasformò in un orso nero (il più piccolo degli orsi di foresta, ma non era capace di trasformarsi in un animale più grande di così), e lasciò che la sorella caricasse quel peso morto sulla sua schiena. Siccome l'orso non era molto più grande del cadavere che stava trasportando, fu necessario legare l'elfo con una corda perché non scivolasse giù. Lo coprirono con il mantello di Duvainion, perché non fosse immediatamente visibile. Poi, lentamente, il gruppetto si rimise in marcia. Kore questa volta si era coperta bene, si era tirata il cappuccio sulla testa, perché non voleva che qualche altro elfo la notasse. Non avrebbero dovuto essercene altri in quella zona, ma forse ne sarebbero arrivati, per cercare il loro amico.

Arrivarono alla locanda al tramonto, ed era un bene perché la loro sorella minore, Hilda, doveva essere impegnata a cucinare, mentre la giovane Tinefein rimaneva sempre in camera sua a studiare dal tramonto fino all'ora di cena. Non si aspettavano il ritorno di Kore, sapevano che avrebbe dovuto passare qualche giorno nella foresta.
Arrivati nel cortile della locanda, Duv e Kore si avviarono verso il pozzo che celava l'ingresso al laboratorio magico di Krystel. Solo a questo punto Duvainion riprese la sua consueta forma umanoide e si scaricò il pesante fardello dalle spalle.
Ancora una volta l'elfo fu legato con una corda, ma questa volta l'intento era calarlo giù dal pozzo. Alla fine, con qualche difficoltà, riuscirono a portarlo all'interno del laboratorio di magia. Kore andò subito a recuperare il tomo che le serviva; lei era drow, vedeva bene al buio. Il tomo era più piccolo di altri che si trovavano nella biblioteca privata della strega, eppure conservava un'aria di mistero che non lasciava dubbi sulla sua natura magica. Il titolo era vergato in lettere semplici, senza fronzoli: Rituali del Manto Grigio.
Kore cominciava a sentirsi di nuovo nervosa, ma impose a se stessa di mantenere la calma mentre sfogliava il libro in cerca della pagina giusta. Non era completamente sicura che quello che cercava fosse lì, ma era molto probabile che… sì, eccolo.
Il Rituale del Richiamo e del Legame.

Le componenti materiali che servivano per quel rituale non erano niente di strano o di introvabile, alcuni oggetti da procurarsi erano poco usuali, come una pietra che provenisse da una tomba o un cimitero, e fiori secchi di crisantemo, ma nel laboratorio di Krystel queste cose potevano essere trovate; la strega sapeva che era fastidioso dover andare a cercare elementi bislacchi, che dovevano essere recuperati in posti lontani, quando c'era un'emergenza.
Kore procedette a purificare la stanza come aveva imparato nei suoi studi da apprendista. Poi tracciò dei simboli a terra con un pezzo di gesso morbido e sistemò il cadavere sopra di essi. A quel punto, doveva cominciare la parte più sgradevole della preparazione: Kore prese un coltello che aveva purificato in una soluzione di acqua e sale, e procedette a incidere alcuni simboli sulla propria pelle, aiutandosi con un piccolo specchio. Dovette incidere un simbolo sul suo cuore, uno sul palmo di ciascuna mano (quello sulla mano destra venne un po' meno preciso perché non era altrettanto abile con la sinistra, ma Duvainion si era categoricamente rifiutato di farlo per lei e di prendere parte a quel rituale), e uno sotto la palma di ciascun piede. Poi, senza pulire il coltello, tracciò gli stessi simboli sulle stesse parti del corpo dell'elfo. Era una fortuna che l'elfo non fosse mutilato.
Solo allora il rituale vero e proprio poteva avere inizio. Kore sapeva di dover aprire un canale di comunicazione verso l'Aldilà, ma questo per lei era soltanto un concetto teorico. Seguì le istruzioni del rituale, recitò le formule, concentrò le sue energie per quel compito, ma rimase completamente senza fiato quando qualcosa dall'altra parte rispose.
Sapeva di essere riuscita ad entrare in contatto con l'anima dell'elfo. Non conosceva il suo nome, ma il fatto che avesse sotto mano il suo cadavere come componente per quel rituale aveva assicurato che venisse contattata proprio l'anima giusta.
Kore si aspettava di avere a che fare con un'anima che avrebbe fatto resistenza, un'anima spaventata, invece trovò soltanto uno spirito confuso e triste. In quel momento la strega, nel suo stato alterato di coscienza, comprese che l'elfo non aveva desiderato la morte. Il suo era stato un gesto terribile e disperato, ma in cuor suo avrebbe voluto continuare a vivere.
Quando la sua coscienza sfiorò quella dell'elfo, lui questa volta non la vide come una drow. Non avrebbe potuto, perché quel contatto era spirituale e i loro corpi erano da qualche altra parte, comunque insieme ma lontani. In quel momento, anche se non lo avrebbero ricordato, stavano vedendo l'uno l'anima dell'altra, senza filtri e senza barriere di carne ad alterare le loro percezioni.
Forse fu per questo che il rituale procedette in modo così naturale, senza il minimo intoppo.
Aesar era morto giovane, voleva essere di nuovo vivo. Chiunque fosse a cercare di riportarlo indietro, chiunque si fosse preso il disturbo di aprire la porta verso il mondo dei vivi, in quel momento aveva la sua fiducia.
E Aesar, quella porta, la attraversò.
E quando si risvegliò sul pavimento duro di una stanza buia, con il corpo che gli doleva da tutte le parti, non poté fare a meno di gemere e mugugnare per il dolore.

Essere in un corpo era così diverso dall'essere uno spirito, che era libero e privo di ogni dolore. Ma quella consapevolezza durò molto poco, perché un vivo è destinato a non conservare ricordi dell'Aldilà. Presto ricordò soltanto gli ultimi istanti della sua vita, si era tagliato la gola per paura di essere preso prigioniero da una drow… e un attimo dopo si era risvegliato su un pavimento, in un luogo in cui non riusciva a vedere nulla e che forse era una prigione.
Avrebbe dovuto sentirsi spaventato, in trappola, eppure c'era qualcosa che gli impediva di provare paura e di reagire. Forse era la stanchezza; non si era mai sentito così spossato. O forse era qualcos'altro. C'era qualcuno accanto a lui, sdraiato sul pavimento come lo era lui. Aesar non sapeva chi fosse, ma sentiva di essere al sicuro. Sentiva che c'era un legame fra lui e la persona che gli stava accanto.
"Hm" mugugnò quella persona, e sembrava avere una voce femminile. "Elfo, sei vivo?"
Sì, senza dubbio una voce femminile, armoniosa e dolce come quella degli elfi, ma parlava nella lingua degli umani.
"Sono vivo" rispose, nella stessa lingua. "Chi sei?"
La creatura accanto a lui cercò la sua mano e la strinse. Anche le sue dita erano sottili e affusolate come quelle degli elfi. Aesar sentì di nuovo quella strana sensazione come se avessero un legame, e quel tocco gli fece battere il cuore un po' più forte.
"Sono un'amica. Ti prego, non avere paura di me. Non ho mai voluto farti del male."
Aesar compì il titanico sforzo di alzarsi seduto. Per un momento dovette lottare contro un capogiro.
Poi realizzò le parole di lei e gli venne quasi da ridere. Assurdo! Come avrebbe potuto avere paura di lei? Non aveva ancora visto quella donna eppure sentiva come di conoscerla da sempre.
"Non ho paura di te, non potrei mai avere paura di te…"
“Avevi paura di me fino a poche ore fa.” La donna accanto a lui si era alzata in piedi e ora stava facendo qualcosa in un altro punto della stanza. Aesar sentì il suono di sfregamento di un acciarino, poi una scintilla si trasformò in fiammella e la luce finalmente diede un senso al luogo in cui si trovava. La candela accesa era poggiata su un mobile coperto di boccette e pergamene, altre ampolle erano sistemate in ordine su scaffali che coprivano ogni parete, e dietro le ampolle c’erano libri. Non erano molti, c’erano più oggetti che libri, ma il luogo aveva senza dubbio l’aspetto di un laboratorio di qualche genere. Non era una prigione, come aveva inizialmente pensato. Di questo però si accorse solo con un angolo della mente, perché la maggior parte della sua attenzione venne deviata verso di lei.
Fino a un attimo prima non sapeva cosa aspettarsi, pensava forse che fosse un’elfa prigioniera come lui, o una mezzumana visto che parlava la lingua degli umani… non aveva nemmeno accarezzato il pensiero che potesse essere lei, la drow.
La sua prima reazione fu irrigidirsi, ma c’era ancora quella sensazione dentro di lui che gli faceva sentire un legame spirituale con l’elfa scura.
“Mi dispiace, mi sento così male. Ti ho spaventato e ti ho fatto pensare di non avere scampo. Sono così… è stato… mi dispiace.”
Aesar rimase a guardarla senza parlare per un lungo momento, senza sapere cosa pensare. Era una drow, ma non si stava comportando come lui si sarebbe aspettato. Sembrava che avesse una spiccata sensibilità, come un’elfa chiara. Possibile che stesse mentendo?
“Ma ero… morto?”
La drow fissò lo sguardo a terra.
“Forse è meglio se andiamo a parlarne davanti a una tazza di infuso. Non so tu, ma io mi sento il gelo fin nelle ossa.”
Aesar pensò che fosse strano voler rimandare un discorso così importante, ma annuì. In effetti, anche lui sentiva molto freddo in quella stanza sotterranea.

   
 
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