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Autore: douce hope    23/10/2021    1 recensioni
Quando sei Cupido è facile credere che l'amore possa nascere tra chiunque.
Di certo ne è convinta Amanda, il cui diletto è aiutare i suoi compagni di scuola a conquistare il cuore della persona amata.
Ma quando al suo cospetto si presente Michele, taciturno, altezzoso e imperturbabile, Amanda capirà che le frecce nel suo arco non sono sempre così facili da scoccare, soprattutto se il bersaglio è la ragazza più bella della scuola.
Tra amici problematici, figuracce continue e sentimenti irrazionali, Amanda comprenderà che l'amore non è semplice come credeva e che quando Cupido scocca la sua freccia, non hai più via di scampo.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Quand'ero piccola avevo la tendenza ad esternare tutto quello che mi passava per la testa.

Uno sconosciuto aveva una brutta maglietta? Glielo dicevo.

Sapevo cosa i miei genitori avessero regalato a mia sorella per il compleanno? Me lo lasciavo sfuggire a tavola.

Papà faceva qualcosa che non voleva che mia madre sapesse? Ero la prima a spifferare.

Crescendo mia mamma mi ha insegnato che mentire è sbagliato, ma che esistono delle eccezioni definite "bugie bianche".

Le bugie bianche sono delle menzogne necessarie per il quieto vivere, che si dicono per educazione, per non incutere sofferenze al prossimo e anche per salvarsi il deretano.

"Non devi sentirti in colpa a dirle, perché sono necessarie a volte" mi diceva.

Ma nel mio caso, non dire a Michele la verità, può essere definita una bugia bianca o è semplice paura?

Alla fine non si tratta di certo di una cosa così grave, soprattutto alla nostra età dove i sentimenti sono così fugaci e mutanti.

Me l'ha insegnato "Il tempo delle mele". 
La protagonista passa tutto il film ad inseguire questo ragazzo, e quando finalmente si mettono insieme, lei si prende una sbandata per un altro.

Grande Sophie Marceau.

Questo dunque è quello che devo fare: dare a Rebecca un'impressione sbagliata di Alessandro (a cui lui ha inconsapevolmente contribuito) e mostrarle chi è in realtà il ragazzo giusto per lei: Michele.

Giusto poi, diciamo quello più serio.

È incredibile che alle otto di domenica mattina sia stesa nel letto a fare questi pensieri; di solito dormo fin quando mia madre non mi costringe ad alzarmi.

Forse gli ultimi avvenimenti mi hanno destabilizzata, e il mio cervello ha continuato a lavorare senza smettere di pensare neanche un secondo.

Rivoglio la mia tranquillità.

Conscia che non riuscirò a prendere sonno, prendo il telefono dal comodino per verificare se ho ricevuto messaggi, anche se molto improbabile.

Infatti non trovo nulla.

Apro Instagram alla ricerca di storie di gente che ha passato il sabato sera a divertirsi e noto che mia sorella ha postato una foto con una frase sullo sfondo blu.

Non si ama finché non si soffre.

Resto un minuto intero a guardare lo schermo, cercando di interpretare questa frase.

Samanta sta soffrendo?

Ha problemi con Ludovico?

Eppure qualche giorno prima l'avevo accompagnata personalmente al centro commerciale a causa di una festa a cui doveva andare con lui.
Effettivamente aveva un comportamento strano, ma pensavo c'entrasse mia madre, non il suo ragazzo.

Ma perché l'amore deve far soffrire?

Delle volte mi ritengo fortunata ad essere sola, perché per quanta gioia possa portare una relazione, porta anche altrettanta sofferenza, e il mio cuore ha già le sue crepe da riparare, non voglio di certo una palla demolitrice a rovinarlo ancor di più.

Forse dovrei andare da lei e chiederle se va tutto bene, ma d'altro canto non voglio essere impicciona. Quando Sam ha problemi lo dice tranquillamente, e se adesso non l'ha fatto significa che non vuole davvero parlarne.

O forse semplicemente mi sto facendo un grandissimo castello di carte e le piace solo questa citazione.

Non riesco più fare affidamento sul mio istinto: non ho capito che Alessandro stesse male e probabilmente anche mia sorella, e non sono ancora riuscita a capire le intenzioni di Michele.

Insomma, ho organizzato una serata per rompere il ghiaccio con Rebecca e lui non le ha nemmeno parlato.

O è estremamente introverso, oppure aveva la testa altrove, precisamente focalizzato sul suo amico.

Sbuffo e poso il cellulare cercando di riprendere sonno.

Stringo le coperte e mi avvolgo come un sandwich in cerca di calore e protezione.

Adesso è solo meglio smettere di pensare.
 

Come previsto non ho dormito che poco più di un'ora, ma quando mi sveglio sento l'odore del caffè provenire dalla cucina.

Mi alzo e indosso le pantofole, quindi esco dalla stanza per andare a fare colazione.

In cucina trovo mio padre intento a zuccherare il caffè e la tavola piena di pacchi di biscotti e cereali.

Di mia madre e Sam non c'è traccia, staranno ancora dormendo.

«Buongiorno tesoro» mi saluta mio padre quando mi vede, dandomi un bacio sulla fronte.

Gli sorrido e mi siedo a tavola mormorando un buongiorno assonnato.

«Come mai già sveglia?» domanda conscio della mia indole dormigliona

«Non riuscivo a dormire» rispondo semplicemente prendendo una manciata di biscotti per inzupparli nel latte.

Lui si siede accanto a me e versa del caffè per entrambi.

«Problemi?»

Scuoto la testa in senso di diniego.

Mio padre non è un tipo invadente ma cerca sempre di farci comprendere che possiamo contare su di lui. 

Sono orgogliosa del nostro bellissimo rapporto, sento che mi comprende meglio di tutti in questa casa, forse perché abbiamo un carattere particolarmente simile e mi rivedo in alcune sue peculiarità.

«Com'è andata ieri sera?» Cambia argomento mentre sorseggia il caffè, aspettando la mamma per mangiare.

Bene papà, Alessandro si è ubriacato e ha fatto a botte, ma tutto sommato una serata tranquilla.
E mi ha accompagnata un ragazzo che non conosci con il motorino, ma non ti preoccupare, mi ha dato il casco.

«Bene» abbozzo un sorriso per nulla convincente.

Lui rimane in silenzio per qualche secondo toccandosi la leggera barba nera con alcuni peli ingrigiti dall'età.

Posa la tazzina sul tavolo mentre continuo a riempire lo stomaco di calorie, e si volta nella mia direzione.

«Come sei tornata a casa?» 

Per poco non mi ingozzo col biscotto nel sentire la sua domanda che potrebbe sembrare casuale, ma l'espressione con cui la dice mi fa capire che è assolutamente mirata.

Comincio a sudare freddo cercando una risposta convincente, ma non mi viene in mente nulla.

Notando la mia difficoltà prende parola al mio posto.

«Tesoro non voglio farmi gli affari tuoi, ti ho vista arrivare perché stavo buttando la spazzatura» rivela facendomi arrossire, conscia di cosa ha visto.

Avrà sicuramente frainteso.

«Non c'è nulla di male se hai un ragazzo»

Appunto.

Sbuffo passando le mani nei capelli esasperata.

Quante possibilità c'erano che mio padre mi vedesse con Michele?

«Non è il mio ragazzo» mormoro guardandolo.

Gli occhi ambrati che ho ereditato si illuminano di quello che credo sia sollievo.

«Allora il problema non si pone» risponde con gli angoli della bocca alzati.

«Che problema?» domando stranita.

Mio padre prende un tovagliolo e pulisce le labbra bagnate, poi comincia a giocare con il ciondolo della mia collana raffigurante una farfalla, regalo di Ale per il mio ultimo compleanno.

Ricordo ancora l'espressione di mia madre quando vide questo presente; ha sempre sospettato ci fosse qualcosa tra noi due e non sono mai riuscita a dissuaderla del tutto.

Probabilmente avrà coinvolto anche papà in questa folle idea.

«Non devo ancora uccidere nessuno che ti faccia soffrire, no? La prigione farà a meno di me ancora per un pò»

Mi strappa una fragorosa risata per questa affermazione e lui mi fa un occhiolino in risposta. 

Mio padre è l'uomo più tranquillo che conosca, non farebbe male nemmeno ad una mosca e tantomeno ad un ragazzo.

In realtà se mai dovessi fidanzarmi credo che il mio fidanzato dovrebbe preoccuparsi maggiormente per mia madre che per lui.

I miei genitori sono due facce della stessa medaglia, sono così diversi che ancora non riesco a capire come abbiano affrontato quindici anni di matrimonio, ma allo stesso tempo sono così complici da farmi venire la pelle d'oca.

Ognuno di noi pensa che per far funzionare una relazione siano necessari degli aspetti fondamentali: rispetto, fiducia, chimica, passione, attenzione e potrei andare avanti all'infinito.

Per me invece, sebbene tutte queste cose siano importanti, l'ingrediente segreto è proprio la complicità.

Me l'hanno dimostrato i miei genitori ed anche i miei nonni.

Se non c'è complicità non c'è comprensione, e se non c'è comprensione non c'è affidamento.

Questo non significa certo che bisogna trovare qualcuno che sia esattamente come noi, ma qualcuno disposto a capirci, e una volta fatto, in grado di accettarci.

Forse è proprio sulla complicità che devo puntare.

Indagherò sui gusti di Michele e poi su quelli di Rebecca, e poi deciderò quale sarà il loro punto in comune.

Potrebbe funzionare.

Devo solo spronare Michele a parlarle magari.

«Papà» lo richiamo.

«Dimmi»

«Tu sei un uomo»

«Sei stata concepita grazie ai miei spermatozoi, quindi direi di sì»

La sua risposta mi fa alzare gli occhi al cielo, e allo stesso tempo inorridire all'idea dei miei a copulare.

Non se se sto facendo la cosa giusta, ma mi serve un punto di vista maschile che solo lui può darmi al momento.

«Se tu avessi sedici anni e ti piacesse una ragazza, le andresti a parlare?»

Aggrotta la fronte perplesso da questo quesito, «Beh, l'ho fatto con tua madre a diciotto anni, direi di sì»

Involontariamente mordo il labbro alla ricerca di comprensione.

«E se un ragazzo è cotto di una ragazza, ma non le va a parlare?» continuo.

«Forse non gli piace»

Bene, non mi sta aiutando per niente.

«No, gli piace sicuramente» marco quel "sicuramente"

Si alza dalla sedia per prendere del succo dal frigorifero.

«Allora è timido»

La parola timido mi risulta così inappropriata accostandola a Michele che scuoto la testa senza nemmeno pensarci.

Non mi ha mai dato l'impressione di una persona timida....diciamo riservata.

Credo che non mi resti nient'altro da fare se non chiedere al diretto interessato in persona.

Mi dispiace Michele, è ora di aprirsi.

 

Il lunedì è sempre una giornata tragica per noi studenti, costretti ad alzarci presto e passare sei ore seduti su delle sedie scomode (che dovrebbero farci stare dritti con la schiena, ma che producono l'effetto contrario) e con spiegazioni di mille argomenti, la maggior parte spiegati con così poca passione che Tonio Cartonio della Melevisione ci metteva più impegno.

Oggi però mi sono svegliata carichissima, come il mio cellulare attaccato alla spina tutta la notte.

Sarà stata la dormita lunga e tranquilla che ho fatto, o la consapevolezza che finalmente potrò parlare con Alessandro, ma mi sento energica.

Svolta la routine mattiniera,  lego i capelli in una coda cercando di domarli,  poi mi reco alla fermata dell'autobus senza fare le solite corse per non perderlo.

Che sensazione magnifica.

Dopo dieci minuti d'attesa salgo con le cuffiette ben piantate nelle orecchie e trovo persino un posto.

Deve essere la mia giornata fortunata.

Mentre ascolto la magnifica voce di Tiziano Ferro penso a come avranno reagito i genitori di Alessandro alla vista del labbro spaccato e il livido sullo zigomo. Sicuramente non saranno stati contenti.

Quando arriviamo alla sua fermata aspetto con ansia di vederlo entrare con la solita faccia assonnata, ma quando le porte si richiudono realizzo che oggi non verrà a scuola.

Preoccupata gli mando un messaggio, ma resta non visualizzato come quello che gli ho inviato ieri.

Arrivata a scuola entro direttamente in classe dato che non ho visto nessuno vicino il cancello e getto lo zaino pesante sul banco producendo un tonfo.

Credo sia illegale il peso che siamo costretti a trasportarci ogni giorno solo perché i professori vogliono che ognuno di noi porti il suo libro.
Vorrei vedere loro nelle condizioni di chi soffre di scoliosi.

Mi guardo intorno e vedo che in classe siamo ancora in pochi.

Nell'angolo Ilaria e Matteo, la coppia della classe, si baciano così appassionatamente che dubito abbiano notato la mia entrata. Qualche sedia più avanti Beatrice li guarda con il fumo che le esce dalle orecchie. 
Tutti sappiamo della secolare cotta di Bea per Matteo, nata quando andavano ancora alle scuole medie. 

Ammetto che spesso provo dispiacere per lei, e se fosse più gentile sarei anche più incline a parlarle.

Dirotto poi lo sguardo sul gruppetto inseparabile formato da Lucia, Giada e Vanessa, intente sicuramente a spettegolare su qualche scoop scolastico.

Infine Giovanni è seduto al primo banco con il libro di italiano aperto davanti a lui.

Come se avesse bisogno di ripetere.

Non volendo restare da sola mi avvicino proprio a lui e mi siedo al suo fianco facendogli alzare lo sguardo da quel mattone.

«Buongiorno» gli sorrido allegra accavallando le gambe.

Noto che segue il mio movimento con cipiglio serio per poi decretare un «Buongiorno»

Torna a prestare attenzione al libro e sbircio l'argomento che sta studiando, o ristudiando per la centesima volta.

«Che bello l'Orlando Furioso, vero?» commento sperando di attirare la sua attenzione.

Lui non alza lo sguardo e annuisce semplicemente.

Lui e Michele andrebbero molto d'accordo.

Smettila Amanda.

Non riportare tutto a lui e cerca di rilassarti.

«Ti offri in italiano?» continuo.

Credo proprio mi stia paragonando a quei moscerini che la notte non ti fanno dormire.

«Già»

«Grande! Meno uno allora, menomale che ci sei tu che ti offri sempre!»

Finalmente posa gli occhi nocciola su di me e fa una leggera smorfia.

«Non lo faccio mica per voi» 

Caro Giovanni, sei proprio un secchione antipatico.

«No certo che no...mai pensato» 

Gli rivolgo un ultimo cenno prima di alzarmi e uscire dalla classe, dato che sembra preferisca mangiare un verme piuttosto che parlare con me.

Mancano ancora dieci minuti all'inizio delle lezioni e posso profittarne per parlare con Rebecca quindi mi incammino verso la Terza A, ma sbriciando all'interno non vedo né lei né Vittoria.

Contrariata faccio dietro front e torno al mio piano, ma quando salgo l'ultimo scalino vedo Michele vicino le finestre e con il telefono in mano.

Forse devo sfruttare questo momento per parlargli, anche se tra poco iniziano le lezioni e non abbiamo molto tempo.

Mi avvicino molto lentamente e quando gli sono davanti mormoro un «Ciao» che non so nemmeno come potrebbe sentirlo.

Però lo sente, perché presto mi trovo il prato dei suoi occhi sul mio viso.

«Ciao» saluta riponendo il telefono nella tasca.

Mi avvicino ulteriormente e mi poggio al muro al suo fianco, le spalle che quasi si toccano dalla vicinanza.

«Come va?» 

Odio questa domanda di circostanza ma è l'unica cosa che mi viene in mente per iniziare il discorso.

«Bene, tu?»

«Bene»

Un altro minuto passa nel silenzio totale, entrambi siamo fermi con lo sguardo fisso davanti a noi.

Sembriamo due deficienti.

In questo momento mi sembra di essere in Lizzie McGuire, dove il cartone alter-ego della protagonista si dispera per la scemenza della ragazza.

«Com'è andata con i genitori di Alessandro?» domando un pò per sbloccare questa situazione, un pò perché davvero interessata.

Michele sospira e si volta maggiormente verso di me.

«Non lo so, quando si è svegliato si è ricordato tutto e mi ha detto che preferiva non ci fossi quando tornavano i suoi»

«E l'hai lasciato da solo?» chiedo incredula conoscendo i genitori di Alessandro.

«Era la sua volontà, e non voglio rendergli le cose più difficili» si giustifica.

Sospiro dandogli ragione mentalmente ma non ammettendolo ad alta voce.

Passa qualche altro secondo e decido di essere sincera.

«In realtà volevo parlarti di una cosa inerente al piano Cupido»

I suoi occhi si illuminano leggermente anche se l'espressione si fa curiosa.

«Dimmi»

Comincio a torturarmi le mani nervosa su come introdurre il discorso. Come posso dirgli carinamente che deve essere più collaborativo?

«Sabato tu e Rebecca non avete parlato, e la serata era stata organizzata appositamente per quello» gli faccio notare con voce tranquilla.

Michele non cambia mimica facciale, ma capisco che mi sta ascoltando seriamente.

«Hai vergogna a parlarle?» 

Sgrana gli occhi e si volta completamente verso di me staccandosi dal muro.

«Assolutamente no!» esclama con tono sorpreso.

«E allora perché non le hai parlato?» ripropongo.

«Perché...» Si anima per poi umettarsi le labbra. Fa un leggero sospiro e scricchiola le dita delle mani, «..perché ero nervoso, lo ammetto. Ed ero anche preoccupato per Ale» 

Annuisco comprensiva e gli tocco il braccio per fargli capire che non c'è nulla di male. 
Fissa gli occhi in quel punto e mi affretto a spostarla.

«Non è nulla di irreparabile, l'importante è essere sincero con me dei tuoi timori» lo rassicuro con voce pacata.

Percepisco il suo disagio più che logico dato il nostro ignoraci continuo. 
Non posso di certo pretendere che si fidi di me all'improvviso.

«Michele io sono qui per aiutarti, non dico di fidarti di me, ma di avere fiducia delle mie intenzioni. Non sono nessuno per giudicarti»

Anche se l'ho fatto mille volte.

Lui in risposta fa un debole sorriso che però raggiunge gli occhi.

«Va bene»

«Bene!» mi animo distanziandomi dalla parete, «dopo la scuola possiamo pranzare insieme e iniziare questo lavoro di fiducia»

Lo prendo in contropiede perché inarca un sopracciglio ed esclama un «Dopo la scuola?»

«Hai impegni?»

«No»

«Allora dopo la scuola» 

E torno in classe.

 

Dopo la prima ora di italiano che fortunatamente non mi ha interrogato (Giovanni ha preso un prevedibile nove), siamo tutti in silenzio in attesa della Prof Colombo.

Tutti sappiamo che oggi non interrogherà, eppure siamo comunque tesi come una corda di violino.

Il posto vuoto accanto a me mi fa sentire ancora più sola ed indifesa e comincio a sfogliare i compiti per distrarmi.

Quando la professoressa entra in classe ci alziamo come dei burattini comandati da fili invisibili, per poi sederci senza far rumore con le sedie.

Colombo liscia la gonna lunga e si siede alla cattedra per poi indossare gli occhiali e aprire il registro.

Firma la sua presenza e poi si schiarisce la voce pronta per l'appello.

«Alfieri» comincia

«Presente»

«Auletta»

«Presente»

La prof continua con altri nomi senza alzare lo sguardo, ma è costretto a farlo quando la porta si apre ed entra Alessandro.

Sgrano gli occhi stupita di vederlo, e ancor di più nel constatare le condizioni del suo viso ancora più aggravate a causa del grosso ematoma sullo zigomo.

Colombo fa tutto per mascherarlo, ma noto anche la sua espressione stupita.

«Mancini, giusto in tempo per la mia lezione» afferma con quel tipico tono puntiglioso.

Alessandro le passa un foglietto bianco.

«È la certificazione del medico»

Colombo annuisce, «Vatti a sedere»

Sotto lo sguardo curioso ed interdetto di tutti Alessandro prende posto accanto a me.

Colombo segnala la sua giustificazione e continua l'appello.

«Come stai?» sussurro senza farmi vedere.

«Secondo te?» risponde con il capo chino sul banco e gli occhi azzurri spenti.

I capelli neri sono arruffati e le occhiaie mi fanno capire che non ha dormito molto.

«Non hai risposto ai miei messaggi, ero preoccupata» poso una mano sulla sua e gliela stringo cercando di trasmettergli del conforto.

Ale sospira e continua a non guardarmi.

«Mi hanno sequestrato il telefono»

Non ho modo di replicare perché Colombo finisce l'appello e la lezione inizia.

Andrà tutto bene Alessandro, è una promessa.


 

   
 
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