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Autore: Shireith    24/10/2021    4 recensioni
Shiho lo osserva come se per la prima volta lo vedesse e percepisse uguale a lei – ormai Shinichi non la invita nemmeno più a bere, ci vanno e basta. Ogni sera, alle nove spaccate o quasi, il loro personale incontro tra silenzi e parole che occupano i vuoti.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Che rumore fa il vuoto


 Un giorno, per diletto o per ripicca, Shinichi le aveva detto che era l’enigma più complesso e senza senso che gli fosse mai capitato – fuggiva alla logica come sabbia al vento.
 Fuggire, a Shiho, in effetti piace – non per caso se n’è andata dall’altra parte del mondo, a spingerla l’illusione che pure se era spaccata dentro una delle due metà sarebbe rimasta in Giappone, troppo stanca per inseguirla oltreoceano, e l’altra sarebbe tornata a respirare.
 Ma Shiho, lei non respira mai – le hanno strappato i polmoni e poco importa che abbia ancora bisogno d’aria per andare avanti, arranca. Anche se la gola brucia come carboni ardenti e ogni parte di lei pesa come piombo. Anche se ogni passo avanti sembra trecento indietro perché il mondo va avanti e lei sta ferma.
 Mattina, pomeriggio, sera.
 Ieri, oggi, domani.
 Febbraio, giugno, dicembre.
 Non ha importanza – respira anche se non puoi, cammina anche se t’ammazza, mangia anche se non hai fame, vivi anche se non sai nemmeno come si fa. Passo dopo passo, nella speranza che ognuno sia l’ultimo – ma il baratro di cui non hai più nemmeno paura non ti risucchia mai, non è abbastanza gentile da concedertelo.
 Si apre un po’, urla, ti sfotte, ma mai ti lascia cadere.
 È lì anche quando la parte spaccata che avrebbe voluto lasciare in Giappone torna ma non si ricompone all’altra – si manifesta sottoforma di uomo che è troppo scettico e razionale per credere a qualcosa di più di una semplice coincidenza. 
 
*
 
 Shiho osserva il bicchiere senza vederlo davvero – Shinichi l’ha invitata a bere e lei non ha saputo dire no.
 «Che ci fai qui?»
 «Potrei farti la stessa domanda.»
 «Ci vivo.»
 «Ancora non so perché.»
 «L’offerta di lavoro era allettante.»
 «Anche in Giappone ne avresti ricevute parecchie.»
 Shiho non ribatte – non ha mai spiegato a Shinichi i suoi perché. «Cambiare aria mi farà bene» era stata una scusa pateticamente valida e d’altronde l’aveva detto lui stesso che lei rifuggiva ogni logica, doveva pur vivere all’altezza delle aspettative.
 Ci si aspetterebbe esser lei, tra i due, a vivere come in un problema di matematica: le persone sono numeri, le relazioni che le intrecciano come fili semplici operazioni e ogni scelta la si prende sommando quello o sottraendo quell’altro. I ragionamenti di Shinichi sono puliti come lenzuola bianchissime e sono puliti nella teoria quanto nella pratica – aloni, macchie, pieghe (mai ci sono).
 Per Shiho logica è solo lavoro – tutto il resto è caos.
 
*
 
 Shiho osserva un cameriere servire due signorine quattro tavoli più in là – Shinichi l’ha di nuovo invitata a bere e di nuovo lei non ha saputo dire no.
 «Lavoro? Fin qui a Londra?»
 «Un… cliente è morto. Era inglese, i genitori volevano che il funerale fosse qui.»
 «Sei venuto fin qui per un cliente?»
 «Lo conoscevo bene.»
 Shiho non ribatte – non gli dice che la sua logica s’incrina come un ramoscello spezzato perché lui a mentire fa schifo. Non gli chiede perché è da solo, perché Ran non è con lui. Non gli chiede (lo chiede solo a sé stessa) perché anche lui le sembri spaccato a metà. Non gli chiede (lo chiede solo a sé stessa) se il baratro sotto ai piedi lo sente anche lui e se vuole buttarcisi dentro senza paracadute.
 Shiho pensa tante cose e raramente ne chiede una.
 
*
 
 Shiho osserva il suo volto imbruttito da un’ombra di cui ignora l’origine, pensa solo che vorrebbe strappargliela – Shinichi l’ha ancora una volta invitata a bere e ancora una volta lei non ha saputo dire no.
 «Shiho? Perché sei venuta fin qui?»
 Lei esita. «Te l’ho detto, il lavoro era migliore. Il cibo invece fa un po’ schifo.»
 Lui non esita. «Perché sei venuta fin qui, veramente
 Perché da piccola aveva paura dei mostri e allora Akemi arrivava come un angelo bianchissimo e le assicurava che quelli non si nascondevano né sotto al letto né nell’armadio né da nessun’altra parte perché i mostri non esistono – perché ora i mostri ce li ha attaccati alle ciglia come colla fastidiosa e a scacciarli non c’è più nessuno (tu manco ci provi).
 Non ci provi perché tanto è inutile, non puoi vincere.
 Un mostro è l’angelo bianchissimo bruciato al bang di una pistola (ora angelo lo è davvero, non ti fa ridere?).
 Un mostro è la consapevolezza che infanzia e adolescenza non se ne sono andate prima del tempo, semplicemente non ci sono mai state.
 Un mostro è mamma e un mostro è papà.
 E mille sono i mostri quanto mille sono le domande a cui non hai risposta – perché respiro se fa male, perché vado avanti se non voglio, perché perché perché perché?
 “Perché sei venuta fin qui, veramente?”
 Perché. 
*
 
 Shiho osserva le labbra dischiuse di Shinichi come se avesse sentito male e aspettasse una sua rettifica – Shinichi l’ha invitata a bere per l’ennesima volta e per l’ennesima volta lei non ha saputo dire no.
 «Si è ucciso. Il mio cliente. La madre non ci crede, pensa ci sia ancora un colpevole da trovare o cose del genere.»
 Shiho non ribatte – non gli dice che il suo sistema di codifica del mondo è imperfetto perché la matematica ragiona solo per numeri e i sottili fili della psiche umana non sono addizioni o sottrazioni o percentuali.
 «Mi dispiace.»
 C’è una cosa che non gli dice e non gli dirà mai – che un po’ lo capisce.
 Il cliente, non Shinichi (lui non lo capirà mai).
 Le gocce nel mare sono tante e si ricordano a vicenda che ognuna di loro conta per rimanere a galla insieme, perché se crolli tu ho paura che potrei crollare pure io e allora crolliamo tutti – Shiho pensa sia una bugia raccontata un po’ per pietà un po’ per comodità, perché una goccia in più o in meno non fa davvero la differenza. (E anche se non sei l’unica goccia nel mare, anche se alcune soffrirebbero la tua mancanza tanto da volerti seguire sul fondo, tu in quel mare non ci vuoi stare.)
 Shinichi, lui è una goccia particolare – ha un carisma e una grinta e una forza d’animo che ti fanno chiedere se non sia un mare a sé stante capace di resistere a qualsiasi calamità naturale.
 Non tutti ne sono capaci, e Shiho questo lo sa – lo sa perché i perché sono sempre di più, alle ciglia ogni tanto se ne aggiunge qualcuno che pensava di aver lasciato alle spalle.
 Non che alle sue spalle sia rimasto qualcosa: è terra bruciata (l’incendio te lo ricordi, c’eri dentro.)
 
*
 
 Shiho lo osserva come se per la prima volta lo vedesse e percepisse uguale a lei – ormai Shinichi non la invita nemmeno più a bere, ci vanno e basta. Ogni sera, alle nove spaccate o quasi, il loro personale incontro tra silenzi e parole che occupano i vuoti.
 «Non lo capisco che cosa l’ha spinto a farlo. Ogni giorno me lo chiedo e mai lo capisco.»
 Shiho non ribatte – si sente vicina a Shinichi ma si sente ancora più vicina al cliente. Un pensiero va alla madre che ancora cerca un colpevole che non esiste e al padre di cui Shinichi non ha nemmeno mai parlato.
 Non lo capirà mai del tutto, Shinichi, ma una cosa di lui la sa: ama vivere. L’ha visto lottare con le unghie sporche e i denti spaccati anche laddove lei si sarebbe lasciata annegare, poco importa se in un pozzo o in mare aperto o altrove. Shinichi Kudo non s’arrende, non molla, va avanti e basta – respirare è faticoso ma non gli raschia la gola come brecce appuntite.
 Lui il baratro non lo vede – e Shiho, con l’anima sporca di nero che gli urla stronza egoista, lo invidia. Perché ignorare è una sorte più accettabile che sapere e non poterci fare nulla.
 L’idea di cancellare il passato le fa paura perché strapparsi i ricordi vuol dire modificare sé stessa, perdere unicità, creare un nuovo io – ma Shiho sa che se potesse lo farebbe, quando sente il baratro allargarsi darebbe qualsiasi cosa pur di liberarsi di tutto ciò che suo malgrado è stata e avere vent’anni che lo siano per davvero. Nemmeno il veleno che ha creato e distrutto è bastato – Sherry, Shiho Miyano o Ai Haibara che sia non ha importanza, io è sempre io e ciò che la tormenta in una forma non va via solo perché ne assume un’altra.
 
*
 
 Shiho lo osserva con il cuore che pesa per entrambi – questa volta l’ha invitato lei a bere. Alle otto spaccate o quasi, non alle nove.
 «Pensi che avrei potuto fermarlo? Che esistesse qualcosa in grado di fermarlo?»
Cosa ferma me?
 La compagnia di Shinichi le fa piacere – ma i polmoni ancora non ce li ha e respirare è un pugno allo stomaco, ogni passo richiede uno sforzo che non è di questo mondo ed è in momenti come questi che si chiede se il baratro andrà mai via.
 Cosa trattiene chi rimane e cosa spinge chi va non lo sai – non sai nemmeno se vuoi rimanere o andare.
 Non ha importanza – respira anche se non puoi, cammina anche se t’ammazza, mangia anche se non hai fame, vivi anche se non sai nemmeno come si fa. Passo dopo passo, nella speranza che ognuno sia l’ultimo – ma il baratro di cui non hai più nemmeno paura non ti risucchia mai, non è abbastanza gentile da concedertelo.
Risucchiami, ti prego. Farebbe meno male.
 Farebbe meno male che vivere.
 «No.»
 
*
 
 Shiho lo osserva come un fantasma che sta per abbandonarla per sempre – Shinichi non l’ha invitata a bere, sta tornando in Giappone e lei l’ha accompagnato all’aeroporto.
 «Kudo.»
 Mi dispiace per il tuo cliente. Davvero. Ti avrei chiesto di parlarmi di lui se avesse fatto meno male, ma fa troppo male. Sai che lo capisco? Che l’ho capito più di quanto tu non capisca me? E se te lo dicessi?
 Non capiresti.
 Ci resteresti male.
 Cercheresti di risolvere il problema con la tua logica ch’è destinata a perdere.
 (Voglio dirtelo ma non voglio dirtelo. Mi manca il coraggio. Scusa.)
 «Fai buon viaggio.»
 
*
 
 Che rumore fa il vuoto, non lo sai.
 Se riuscissi a urlare sentiresti le pareti vibrare, la voce rimbalzare come una palla là in fondo al baratro dove c’è il vuoto (lì dentro di te dove ce n’è uno ancora più immenso), e allora gli daresti finalmente un nome e una forma.
 Ma a urlare tu non urli mai, la gola ancora brucia come carboni ardenti.
 E allora chi se ne frega di identificare il vuoto – respira anche se non puoi, cammina anche se t’ammazza, mangia anche se non hai fame, vivi anche se non sai nemmeno come si fa. Passo dopo passo, nella speranza che ognuno sia l’ultimo – ma il baratro di cui non hai più nemmeno paura non ti risucchia mai, non è abbastanza gentile da concedertelo.
 
*
 
Ti prego,
lasciami cadere.
   
 
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