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Autore: Shireith    29/10/2021    1 recensioni
Papillon è stato sconfitto, ma le dinamiche non sono chiare a nessuno. La stessa Ladybug nutre dubbi a riguardo. Per di più, senza che gliene spieghi il motivo, un giorno Chat Noir la abbandona.
Cinque anni dopo, il passato ritorna per entrambi.
• Long what if? che non tiene conto della quarta stagione perché quando mi è venuta l’idea ancora non era andata in onda. Lovesquare in tutte le salse con tanta Adrienette e Ladynoir. Scritta seguendo i prompt del #Writober2021 di Fanwriter.it (lista pumpBLANK – prompt misti scelti tra le quattro liste presenti).
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Alya, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo nono


(26; 27 — fulmine; tramonto)
  
 Un fulmine squarciò il cielo come a volerlo spaccare in due, un altro seguì e minacciò di raddoppiare il danno. Adrien, i capelli zuppi d’acqua, sentì un brivido attraversagli la schiena, ma non si fece scoraggiare e proseguì tra un balzo e l’altro. Il solo pensiero che Ladybug si trovava in mezzo a quel delirio della natura erano mille pugni allo stomaco, e a confortarlo c’era solo la consapevolezza che lui era l’unico in grado di correre in suo aiuto.
 Nemmeno dieci milioni di litri d’acqua e fulmini che ruggivano come leoni affamati avrebbero impedito a Chat Noir di combattere al fianco di Ladybug com’era stato fin da principio.
 
*
 
 Un fulmine tagliò in due il cielo e il suo bagliore le s’incastrò tra le pieghe del viso contratto per il dolore. La spalla pulsava come se fosse dotata di un cuore tutto suo. Un autobus pieno zeppo di gente aveva rischiato di capovolgersi su se stesso e Marinette aveva dovuto far ricorso a tutte le sue forze per impedirlo tenendo stretto lo yo-yo. Quell’arma all’apparenza innocua l’aveva salvata più volte di quante un normale umano potesse ricordare.
 Non vedeva a più di cinque metri dal suo naso. Se aguzzava l’udito riusciva a malapena a isolare lo sciabordio dell’acqua contro i tetti. Sapeva che il criminale, o i criminali, erano là da qualche parte. In una manciata di secondi che parvero un’eternità si interrogò se fosse più saggio rimanere sul posto o lasciarlo per tornare con i rinforzi.
Forse Alya…
 No. Forse niente. Forse Alya non era sola. Sicuramente non era sola.
 Nel corso degli anni Marinette aveva dispensato i miraculous a persone di cui sapeva di potersi fidare, e la prima era stata proprio Alya. Alya che senza dubbio era in compagnia di Nino.
 Ladybug e Marinette potevano coesistere, le ripeteva Tikki – era vero?
 Ne dubitava, in cuor suo ne aveva sempre dubitato – aveva appallottolato il pensiero come un foglio di cartastraccia e aveva cercato di gettarlo lontano, ma qualcuno continuava a raccoglierlo per rispedirlo al mittente.
 Un lavoro ce l’aveva, degli amici anche. Ma cosa sarebbe successo quando avesse avuto un compagno? Perché un tempo era stato se, ora era quando.
 Dopotutto, Adrien… lui… ne avrebbero parlato.
 Rimaneva tuttavia che fino a mezz’ora prima erano nel suo appartamento a ridere e scherzare – cosa sarebbe accaduto se le sirene della polizia le avesse sentite quando erano ancora insieme? Non poteva ignorarle, ma nemmeno piantare in asso Adrien senza uno straccio di scusa. Non c’era motivo logico che giustificasse uscire in piena notte con un tempaccio simile.
 Con un balzo Ladybug atterrò sull’asfalto bagnato. Ancora nessun rumore.
 Forse doveva solo ritenersi fortunata e concentrarsi sul presente anziché prendere in considerazione eventualità ormai scampate, ma la sorte non sarebbe stata sempre dalla sua parte. Prima o poi…
 Colse un movimento.
 «Ladybug!»
 Marinette non ebbe tempo di processare nulla. Qualcuno aveva urlato il suo nome, qualcun altro (la stessa persona? Un’altra?) le piombò addosso e insieme rotolarono per svariati metri prima di fermarsi. Ringraziò l’adrenalina che teneva sotto controllo il dolore alla spalla e si costrinse a non pensare a quando se ne sarebbe andata.
 «Stai bene?»
 Era la voce di un uomo.
 Sembrava…
Impossibile – non poteva.
 Il tempo di sollevare il mento e il mondo intero sparì portandosi con sé anche i suoi stessi polmoni. Passarono esattamente quattro secondi prima che dovessero scansarsi di nuovo, quattro secondi che sembrarono più lunghi della sua intera vita.
 Chat Noir l’aveva appena salvata.
 
*
 
 Non c’era stato giorno in cui Adrien non avesse pensato a lei. La mente aveva ipotizzato lo stesso scenario in mille modi differenti. Una volta era giorno, un’altra era sera, un’altra ancora c’era il tramonto. Ogni tanto Ladybug aveva i capelli sciolti, ogni tanto erano raccolti in quelle codine basse che l’avevano contraddistinta per anni. A volte era arrabbiata, altre così felice di vederlo che gli correva incontro e lo stringeva come a non volerlo lasciar andare mai più.
 Di tutti, Adrien sapeva che quello era lo scenario meno plausibile. Ne ebbe la conferma quando la vide allacciare le braccia al seno come a volersi schermire dai sentimenti violenti che la sua sola presenza le provocava.
 Non c’era sole, non c’era tramonto che schizzava il cielo di rosso e arancio – solo fulmini, quelli e la pioggia che batteva ancora più forte di prima quasi a imitare l’umore di Ladybug per indurlo ad andarsene.
 Avevano combattuto insieme per aiutare la polizia e tutto era sembrato come un tempo, eccetto che niente lo era davvero – non loro, non la complicità e mille altre cose che c’erano state a legarli.
 «Dove hai preso il miraculous
 Nemmeno un ciao, niente: Adrien non si aspettava di essere accolto a braccia aperte, ma constatare di persona tutta quella freddezza nei suoi confronti fu un pugno ai polmoni. Riusciva a respirare solo perché gli serviva per vivere.
Per favore, odiami, l’aveva pregata cinque anni prima – Ladybug aveva ubbidito.
 Adrien dovette umettarsi le labbra prima di rispondere. «Me l’ha portato Plagg. Ha detto che ti sei precipitata fuori non appena hai sentito le sirene della polizia. Era preoccupato, pensava ti servisse una mano.»
 E ci aveva visto giusto.
 Adrien fu il più onesto possibile, come se quello bastasse a richiudere una ferita aperta da cinque anni.
 Cinque anni, sei mesi e… quanto? Quindici giorni. Ventitré ore, forse ventiquattro. Era tornato a Parigi da poco meno di una settimana. Gli sembrava di aver vissuto cinque anni e mezzo in attesa di quel solo momento.
 Studiò l’espressione di Ladybug e da quella capì che quantomeno credeva alla sua versione. Come ulteriore prova lei annuì.
 «Va bene, puoi andare ora. Cerca di non farti vedere da nessuno, non voglio passare i prossimi anni con i giornalisti che mi chiedono perché sei ricomparso e sparito di nuovo.»
 «Eh?»
 Ladybug gli aveva fatto capire che non voleva che tenesse il miraculous. Adrien, ancora scosso dal rivedere Plagg e Ladybug nella stessa sera, proprio quando pensava che appartenessero solo al passato, non aveva ancora pensato al dopo.
 Qual era il prossimo passo?
 Parlare con Plagg, anzitutto. A casa non avevano avuto il tempo di riconciliarsi, correre in aiuto di Ladybug era stata la priorità. Adrien voleva far sapere a Plagg che gli dispiaceva, che non un giorno era passato senza che una lacrima fosse versata al ricordo della sua compagnia – che non un giorno era passato senza che gli mancasse la puzza del camembert sui vestiti, i suoi interventi fuori luogo, il suo sarcasmo spicciolo. Voleva dimostrargli che non era stato inutile, che suo padre era davvero cambiato, sebbene Plagg non sembrasse disposto a riconsiderare l’opinione che si era fatto di lui quando insieme avevano scoperto che era Papillon.
 «A te non ho niente da spiegare», aveva detto a suo padre con un’occhiata gelida che mai Adrien gli aveva visto addosso, prima di rivolgersi a lui e spiegargli che Ladybug aveva bisogno del suo aiuto.
 E a Ladybug, a lei cosa poteva dire?
 Niente.
 La situazione non era cambiata. Non poteva rivelarle la sua identità e confessarle che i suoi sentimentalismi avevano trasgredito la ragione spingendolo a puntare tutto su suo padre – suo padre che era Papillon, suo padre che per lui aveva smesso di esserlo.
 Non poteva perché – perché?
 Un altro fulmine illuminò il cielo e Adrien si sentì come se lui stesso ne fosse stato colpito.
 «Ladybug.»
Buginette.
Milady.
 Nessun soprannome – non poteva farle questo.
 Ingoiò il groppo alla gola. Finalmente vedeva la luce in fondo al tunnel.
 Doveva solo dirle la verità.
 «Lo so che non ti fa piacere rivedermi, ma...»
 Ladybug proruppe in una risata isterica e lo guardò come se volesse conficcargli un coltello nel petto e allo stesso tempo stringerlo in un abbraccio fino a soffocarlo. «Certo che mi fa piacere rivederti.»
 La voce vibrò sotto le labbra tremanti, Adrien poteva figurarsela spezzarsi come fosse fatta di vetro – con solo sei parole Ladybug era riuscita a fare entrambe le cose, rinfacciargli la sua fuga e buttargli il cuore tra le mani (era sempre stato tra le sue mani).
Per favore, odiami, l’aveva pregata cinque anni prima – Ladybug non aveva ubbidito.
 Adrien sentì la terra sotto i piedi tremare come foglie al vento. Sprofondare, cadere e disintegrarsi sotto il peso della gravità avrebbe fatto meno male.
 «Vuoi che ti dica che non ho sperato in questo momento da quando te ne sei andato? Perché sarebbe mentire. Ero sicura che una ragione ci fosse, continuavo a ripetermelo ogni giorno e… e nonostante tutto ci credevo. Ma adesso mi pare evidente che sei stato a Parigi tutto questo tempo e se non sei tornato era perché non volevi.»
 Aspetta – cosa?
 Ad Adrien vennero a mancare le parole. Cercò di costringerle a uscire ma quelle gli s’incastrarono in gola. Allungò un braccio come a poterla fermare nonostante fossero lontani metri l’uno dall’altra.
Ladybug…
 «Di’ a Plagg che lo aspetto a casa», furono le sue ultime parole prima di sparire nel buio.  

NOTE ➺ Sono in ritardo di tre giorni, quasi quattro! Sarò sincera, non avevo molta voglia di pubblicare e ho rimandato fino ad ora. Recupererò in questi giorni, non vi preoccupate.
A parte questo… devo fare un mea culpa. Ho inserito la cosa del “cinque anni, otto mesi” e bla bla perché mi sembrava una bella chicca, ma sono stata scema e ho scritto “otto giorni e settantaquattro ore” nonostante settantaquattro ore siano tre giorni e due ore. Sì, insomma, ho cannato alla grande, quindi ho sistemato la cosa. Non so nemmeno se qualcuno se ne sarebbe accorto, ma mi sembrava giusto metterlo in chiaro (giusto per ribadire che sono cretina).
Grazie per aver letto fin qui, a domani!  
   
 
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