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Autore: edoardo811    30/10/2021    3 recensioni
La Foschia è svanita. I confini del campo sono scomparsi e ora tutto il mondo può vedere i mostri per quello che sono realmente.
DANIEL non è mai stato un ragazzo socievole, per un motivo o per un altro, si è sempre trovato meglio da solo, lontano da tutti, perfino dal Campo Giove. Nemmeno i mostri hanno mai provato ad ucciderlo, come se non fosse mai esistito realmente.
CAMILLE è un pericolo, per sé stessa e per gli altri, una figlia di Trivia abbandonata in fasce, indesiderata, costretta a convivere con un lato di sé che non vuole fronteggiare, per paura di quello che potrebbe scatenare.
KIANA è una figlia di Venere, orgogliosa e testarda, che dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.
Tra auguri scansafatiche, eroici pretori e conflitti interiori nel Campo Giove, tre ragazzi diversi tra loro, tre nullità della Quinta Coorte, si ritroveranno con un obiettivo comune: imbarcarsi in un viaggio tra mostri, traditori, nuovi e vecchi nemici per impedire che il mondo sprofondi nel caos.
Genere: Avventura, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Dei Minori, Ecate, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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II

La figlia di Trivia

 

 

Camille si sentiva uno straccio. Dopo che Daniel si era allontanato in quel modo, con quello sguardo arrabbiato, aveva capito di aver davvero esagerato.

Aveva cercato di aiutarlo, era preoccupata per lui, per i sogni che faceva, ma alla fine il suo impicciarsi aveva solo creato dei problemi. Come sempre. Avrebbe dovuto imparare a farsi gli affari suoi. Osservò le brioche integrali con aria afflitta e allontanò il piatto da sé. La fame le era passata del tutto.

La voce di Kiana le fece drizzare la testa: «Stai pensando a Daniel?»

Camille si voltò di scatto verso l’amica intenta a sbriciolare il toast tra i denti, le labbra intrise di marmellata. «Non capisco proprio come faccia a piacerti quello.»

Uno squittio indispettito scappò dalla bocca di Camille, strappando un sorrisetto beffardo all’amica. Poteva anche non avere i modi di fare di una figlia di Venere, ma quel genere di cose rimanevano pur sempre il pane quotidiano di Kiana: se c’era qualcuno che sapeva che cosa stesse provando, quella era lei. E la cosa la faceva sentire ancora più a disagio.

«Anche se questo è il tuo difetto fatale, Cam: a te piacciono tutti» proseguì Kiana, dando un altro morso al toast.

Camille seppellì il viso tra le mani, per nascondere le guance paonazze. «N-Non è vero!»

«Ah no? Che mi dici di Allen? Elias? Daniel? Diamine, perfino Travis…» Kiana si ritrovò la mano di Camille premuta sulla bocca, per frenarla dall’aggiungere altro. Per fortuna Travis era troppo concentrato sulle sue ciambelle zuccherate per fare caso a loro. Quando drizzò la testa, con una barba di zucchero a velo posata sulle guance, Camille si sentì sciogliere dall’interno.

Si accorse che lo stava guardando e le sorrise, salutandola con il suo solito sorrisetto da figlio di Mercurio. «N’giorno Cam!»

«B-Buongiorno» sussurrò lei, con un filo di voce. Travis era così… adorabile.

Kiana si liberò della sua mano, ridacchiando. «Sei un caso disperato.»

Camille non riuscì a ritrovare il coraggio di guardarla. «Sono solo preoccupata per lui…»

«Fer Travish?» mugugnò Kiana, mentre dava un altro morso al toast.

«Per Daniel!» esclamò Cam, infastidita dalle sue maniere a tavola. Sì, Kiana non aveva niente in comune con gli altri figli di Venere. Si strinse nelle spalle, incupendosi. «È solo che… capisco come si sente. Anch’io mi sono ritrovata al posto suo, quando sono arrivata al Campo Giove. Non è facile essere visti come degli estranei.»

Ripensò a quando era arrivata e al suo anno da probatio. Una ragazzina fragile e mingherlina, sbattuta nella Quinta Coorte come una pezza da piedi. Nessuno l’aveva degnata di una seconda occhiata, finché non era stata riconosciuta: una figlia di Trivia.

L’unica figlia di Trivia che si fosse vista negli ultimi decenni, se non secoli. Trivia era una dea vergine, come Minerva, non poteva avere figli. O almeno, così si credeva. Invece, lei esisteva. Avevano pensato che fosse una figlia della Ecate greca, ma no, la sua mente era predisposta per imparare il latino, e Lupa l’aveva accettata, perciò era una semidea romana a tutti gli effetti.

C’era voluto un po’ prima che tutti si abituassero alla sua presenza nel campo, anche se comunque i ragazzi delle altre coorti non avevano mai davvero smesso di osservarla dall’alto, o di chiamarla strega alle sue spalle.

Ogni volta che ci pensava, Camille sentiva una fitta di dolore al petto.

Inoltre Trivia non era solo la dea della magia, ma anche la dea dell’oltretomba, assieme a Plutone, e per questo motivo veniva chiamata “Regina dei fantasmi”. Il che significava che i lari si inchinavano a Camille ogni volta che la incrociavano, cosa che trovava piuttosto inquietante.

In ogni caso anche lei si era trovata nei panni di Daniel, perciò non riusciva a rimanere ferma a guardare mentre lui pativa tutto quello che anche lei aveva patito.

«Devo forse ricordarti come hanno trattato me dopo che sono stata riconosciuta?» si intromise Kiana, interrompendo il filo dei suoi pensieri.

Un sorriso nacque sul volto di Camille. Ripensò alla scena, durante la Festa della Fortuna. Kiana era arrivata da poco, a malapena una ragazzina, ma aveva subito fatto scalpore con il suo aspetto grazioso prima, col suo bel temperamento dopo: nella prima settimana aveva rotto almeno cinque nasi e fatto fuggire diversi bulli che se l’erano presa con dei ragazzi della Quinta Coorte.

Camille aveva subito intuito che sotto quell’aria dura e diffidente in realtà si nascondeva una brava ragazza. Non appena si erano conosciute meglio, erano subito diventate amiche.

Quando Kiana era stata riconosciuta aveva iniziato a brillare, circondata da una nebbia rosa accesa che profumava di rose e pesche, che lei non aveva affatto apprezzato. Aveva gridato spaventata, poi la nebbia si era diradata ed era apparsa con un vestito maestoso, trucco e capelli impeccabili, collane d’oro, orecchini e braccialetti tempestati di diamanti.

Camille aveva pensato che fosse maestosa; Kiana invece aveva dato di matto. Si era stropicciata i capelli, pulita il trucco, aveva gettato via i gioielli e si era perfino strappata i vestiti di dosso, ma quelli erano tornati al loro posto da soli – per fortuna – mentre i capelli si erano risistemati come sospinti dal vento e il trucco si era dipinto di nuovo sulle sue guance scure grazie al tocco delicato di chissà quali pennelli invisibili.

La sua reazione aveva suscitato l’ilarità di tutti, perfino di quelli che normalmente giravano alla larga terrorizzati da lei. C’erano voluti un paio di giorni prima che la “benedizione di Venere” svanisse, e settimane prima che nel campo si smettesse di parlare di Kiana che dava di matto. Per tutto il tempo Camille le era stata vicino, ed era certa che le fosse sempre stata grata per quello. Dopo quell’“incidente”, Kiana aveva iniziato ad allenarsi come un’ossessa e Camille non l’aveva mai più vista con indosso del trucco, o con i capelli pettinati.

«Siamo stati tutti nei panni di Daniel» mugugnò Kiana, ripulendosi la bocca con le mani. «La differenza sostanziale, è che noi abbiamo accettato l’aiuto degli altri. Lui invece non vuole saperne di essere aiutato.» Le lanciò un’occhiatina rapida, con un velo di biasimo. «Ma immagino che la sua resistenza ti invogli ancora di più ad aiutarlo.»

Camille sentì di nuovo le guance bruciare. Non disse nulla, e per Kiana fu una risposta più che chiara.

«C’è un nome per questa cosa, sai? “Sindrome della crocerossina.”»

«Non ho la sindrome della crocerossina!» esclamò Camille. «Voglio… voglio solo rendermi utile. Sono sicura che se gli dimostro di tenerci davvero, anche lui accetterà l’aiuto.»

Kiana scosse la testa. «Tu hai dei problemi…»

«Tu hai dei problemi!»

«Cos’è, ti sei messa a fare specchio riflesso ora?»

«N-No!»

La figlia di Venere rovesciò la testa all’indietro e cominciò a ridere sguaiata. Le diede una pacca sulla spalla, doveva essere un gesto amichevole, però Cam sentì l’osso incrinarsi. Trattenne il fiato per il dolore, ma Kiana nemmeno ci fece caso, così come non si accorse dell’occhiataccia che Marianne lanciò loro.

Malgrado tutto, anche a Camille venne prima da sorridere, poi da ridacchiare, contagiata dalla risata dell’amica. Per un istante si dimenticò della tensione e si godette quel momento. Non durò molto, però: si accorse di tutti i semidei che si alzavano all’unisono, voltandosi verso l’ingresso della mensa, e si ridestò. Saltò in piedi all’istante e afferrò Kiana per il braccio, invitandola a fare lo stesso.

Quella fece un mugugno sorpreso, chetando le risate, poi si rese conto anche lei di cosa stava accadendo e la imitò.

Due ragazzi entrarono nella mensa in quel momento, con indosso dei mantelli. Almeno duecento ragazzi rimasero in silenzio rispettoso, al passaggio dei due pretori.

Ashley marciava per prima, con la testa alta, l’espressione fiera e un sorriso radioso dipinto sul viso da cherubino. I suoi ricciolini biondi erano adagiati morbidamente sulle spalle a cui era agganciato il suo mantello rosso.

Elias la seguiva come un’ombra alta quasi due metri, il mantello nero e sgualcito che radeva il suolo. Era opposto di Ashley in tutti i sensi: lei era figlia di Giove, lui di Plutone. Lei era nivea, lui era scuro come il legno dell’ebano. Lei era snella e minuta, lui era muscoloso, con spalle possenti, uno dei pochi ragazzi del campo a essere più alti di Kiana.

Lei era gentile, di bella presenza e di molte parole, con occhi celesti che infondevano sicurezza e tranquillità, lui non parlava mai, e con un solo sguardo di quegli occhi che parevano pozze d’oro liquido sapeva mettere a tacere anche il più rumoroso dei dissidenti.

Camille si rese conto di starsi mordendo il labbro, mentre lo osservava. Arrossì da sola, e grazie agli dei questa volta Kiana non fece caso a lei.

Non solo erano i due pretori, ma erano anche i primi figli di Giove e Plutone dopo quasi vent’anni, e la cosa includeva anche il Campo Mezzosangue. Nati durante lo stesso periodo, sette anni prima avevano completato la loro prima impresa, insieme. All’epoca Ashley aveva undici anni, Elias dodici. Poco più che bambini, avevano ucciso un terrificante mostro marino che aveva minacciato di distruggere l’intera costa ovest e poi sconfitto il pazzo che l’aveva scatenato.

Non appena erano diventati abbastanza grandi, Ashley Flare ed Elias Crowe erano stati eletti pretori. Da allora le cose non erano più cambiate.

«Buongiorno a tutti voi» annunciò Ashley, sollevando una mano. «Sedete tranquilli, continuate pure la vostra colazione.»

Il brusio della mensa riprese in pochi istanti, mentre i ragazzi si sedevano di nuovo.

«È sempre stato così?» domandò Kiana, afferrando un altro toast.

«Così come?» domandò Camille distogliendo lo sguardo da Elias, che dal canto suo non aveva degnato nessuno di un’occhiata.

«Alzarsi in piedi quando entrano quei due. È sempre stato così?»

La figlia di Trivia si strinse nelle spalle, cercando di non pensare più al cupo, tetro e affascinante figlio di Plutone. «Non ne ho idea. Però loro sono le due forme di autorità più grandi del campo, mi sembra giusto mostrare rispetto.»

«Sarà…»

«Gray. Farhat.»

Camille sobbalzò. Kiana rimase immobile, con il toast bloccato a mezz’aria tra le fila schiuse dei denti. Ashley era accanto a loro, e stava sorridendo come suo solito. La medaglia che aveva ottenuto per aver completato quell’impresa di sette anni prima brillava all’altezza del cuore, assieme a tutte quelle guadagnate negli anni successivi.

Entrambe fecero per alzarsi, ma lei le fermò con un cenno della mano, ridacchiando. «Tranquille, rimanete sedute.» Lo sguardo di Ashley si posò sul posto vuoto accanto a loro due. «García è già andato da Dante?»

«Sì, è andato qualche minuto fa» mormorò Camille.

«Bene.» Il sorriso di Ashley si distese. «Ti ringrazio per avermi avvertito delle turbe del tuo amico, Camille. Hai reso un grande servigio al Campo Giove.»

Camille sentì di nuovo le guance colorirsi, questa volta però per tutt’altro motivo. Distolse lo sguardo imbarazzata. «Non ho fatto niente di che…»

Ashley si addolcì. «E sei anche modesta. Ah, se tutti fossero come te…»

La figlia di Trivia giocherellò con l’orecchino sinistro, come faceva sempre quando era nervosa. Dette da Ashley, quelle parole significavano molto per lei. La ammirava tantissimo, era quasi impossibile trovarla senza quell’espressione cortese sul volto ed era sempre gentile e affabile, con tutti quanti. Pensare che arrivasse dalla Prima Coorte era inverosimile: non aveva nulla da spartire con quegli esaltati e arroganti. Era stata anche sua l’idea di dare le onorificenze a David e Travis, quando erano tornati dalla missione a San Francisco. Quella ragazza era straordinaria, e un giorno Camille sperava di essere proprio come lei, o magari perfino di diventare il suo successore.

La figlia di Giove si congedò dopo quel breve scambio, e tornò al tavolo che condivideva con Elias. Il figlio di Plutone intento a sorseggiare una tazza di caffè ricordò a Camille l’altro motivo per cui le sarebbe piaciuto prendere il posto di Ashley.

Di solito i pretori del campo diventavano una coppia, visto che dovevano passare molto tempo sempre insieme a svolgere i loro doveri, ma quei due, stando a quello che si diceva in giro, erano soltanto buoni colleghi, niente di più e niente di meno. Non che avesse molta importanza, nemmeno in cento vite Camille avrebbe mai pensato di avere la più remota possibilità di interessare a Elias, però le piaceva fantasticare.

Udì Kiana fare un verso di disappunto e le lanciò uno sguardo interrogativo, riprendendosi dai suoi deliranti pensieri. «Tutto okay?»

«Sì, certo…» borbottò l’amica, senza guardarla. Rimase unicamente concentrata sulla sua colazione.

Camille intuì subito che in realtà non era tutto okay, ma sapeva riconoscere quando Kiana non aveva voglia di discutere, perciò decise di non indagare. Si chiese comunque che cosa le fosse presto tutto ad un tratto. Magari gliene avrebbe parlato più tardi, com’era già accaduto in passato.

La fame fece di nuovo capolino all’improvviso, avvisandola con un brontolio dello stomaco. La sua attenzione scivolò sulle sue brioches rimaste lì, sole solette, in attesa di un’anima pia che se le divorasse. Camille, dall’alto della sua bontà, decise di concedere loro questo desiderio.

 

***

 

«Non posso credere che oggi toccava di nuovo a noi!» protestò Kiana, mentre gettava in una carriola il contenuto alquanto ripugnante della vanga che reggeva tra le mani.

Non era passato molto prima che il muso duro le passasse: le era bastato scoprire che, quel giorno, toccava a lei e Camille pulire le stalle.

Di nuovo.

A quel punto la sua espressione corrucciata si era tramutata in una di odio puro.

«Sono una guerriera, figlia di Venere, e mio padre potrebbe comprarsi mezza San Francisco se solo volesse! E allora perché mi ritrovo qui a fare questo schifo di lavoro?!» sbraitò la ragazza verso le pareti e verso gli unicorni che si erano voltati incuriositi, attirati dal rumore.

«Dai, Kiana» mormorò Camille, con una smorfia dovuta in parte alla puzza, in parte alle costanti lamentele dell’amica. E il fatto che stesse menzionando sia la madre che il padre in quel modo significava che fosse davvero infuriata. Spinse la carriola dietro di lei, tentando di farle coraggio: «Tieni duro, non manca molto.»

«Allen me la pagherà» sibilò per tutta risposta la figlia di Venere.

«Non è stata colpa di Allen…»

«Smettila di difendere le tue cottarelle!»

«Non sto…»

Camille si interruppe, zittita dallo sguardo eloquente dell’amica. Ormai Kiana era sul piede di guerra: riuscire a farla ragionare era inutile. Avrebbe dovuto aspettare finché non avrebbe esaurito tutta la sua rabbia da sola. Rimase quindi ad ascoltare quasi con ammirazione gli insulti coloriti che stava rivolgendo al mondo intero. Certo che ci sapeva fare. Non aveva la lingua ammaliatrice come David, in compenso aveva un’ottima “Lingua Insultatrice.”

«Perché poi dobbiamo lavorare, mi domando!» sbottò ancora, dopo aver appena finito di dire che il mucchietto circondato di mosche sopra la carriola assomigliava a Hailey Spears, il centurione della Seconda Coorte. «Non dovrebbero pensarci le aurae a sbrigare queste faccende?»

«Solo studio, allenamenti e pacchia non fanno di un legionario un vero legionario» spiegò Camille seguendola a debita distanza, intimorita dalla vanga che maneggiava come una lancia e soprattutto dal suo contenuto«Anche il duro lavoro tempra lo spirito.»

«Ah! Qualcuno dovrebbe dirlo a quei fessi delle prime coorti, allora» replicò Kiana, prima di lanciarle un altro sguardo. «Ma non puoi usare la tua magia per pulire qui?»

«E come dovrei fare? Pensi che mi basti recitare una formula per far volare da sola la cacca dentro la carriola?»

«Ehm… sì?»

Camille mollò la carriola con un gesto secco, infastidita. «La magia non funziona in questo modo. E anche se fosse, non sprecherei il dono che mi ha dato mia madre per qualcosa di così volgare!»

«Oh, certo, quindi non puoi usare la magia per aiutare un’amica in difficoltà, ma puoi farlo per colorarti gli occhi e farti i tatuaggi!»

La figlia di Trivia si coprì d’istinto la spalla colpevole, anche se la giacchetta stava già coprendo la rosa circondata da rovi raffigurata sulla sua pelle.

«Crocerossina e fricchettona» mugugnò Kiana. «Dimentico qualcos’altro?»

Camille avvertì le guance pizzicare di nuovo. «N-Non è la stessa cosa!»

«Meno lagne e più magia» ordinò Kiana gettando a terra la vanga, che si schiantò con un tonfo secco che fece nitrire spaventati alcuni cavalli.

«Ma non sono capace» cercò ancora di difendersi Camille. «So fare soltanto cose basilari! Qui non c’è nessuno a insegnarmi come usare la magia, l’hai dimenticato?»

«Beh, la pratica rende perfetti, no? Avanti, prova a…»

«No.» Questa volta Camille non lasciò trapelare alcuna incertezza nella voce. Osservò Kiana dritta negli occhi, in una scena quasi comica visto che le faceva ombra, ma tenne i nervi saldi. «Se preferisci continuo a pulire da sola, ma non userò la magia così. Mi rifiuto.»

Kiana la soppesò dall’alto, assottigliando le palpebre. Sembrava arrabbiata, molto arrabbiata, ma Camille non si lasciò intimidire. Un lungo sbuffo sfuggì dalle labbra della figlia di Venere e Cam realizzò con soddisfazione, e anche sollievo, di essere riuscita a spuntarla.

«Avanti, ditelo: “Kiana, ti odiamo tutti.” Forza. Fatelo. Mi sembra ovvio, ormai» cominciò a dire Kiana, mentre afferrava di nuovo la vanga. «Stupidi pony cornuti, stupida Quinta Coorte, stupidi centurioni, stupidi…»

Camille non riuscì a reprimere un sorriso divertito. Strinse le mani attorno ai manici della carriola e riprese a seguire l’amica.

«E comunque i miei occhi sono davvero di questo colore» puntualizzò. «E anche i miei capelli.»

«Zitta, fricchettona!»

Ci volle ancora qualche ora, e un sacco di imprecazioni, ma riuscirono a finire senza che Kiana perdesse del tutto la testa per la rabbia, o per la puzza. Si stavano asciugando il sudore dai volti quando qualcuno parlò dal fondo della stalla: «Non esattamente il lavoro più adatto per una principessa, questo.»

Quella voce fece accapponare la pelle di Camille. Perfino Kiana divenne più rigida di un chiodo. Entrambe si voltarono meccaniche verso il ragazzo appena entrato, che si stava avvicinando a loro con un sorriso odioso stampato sul volto. «Però devo ammetterlo: sembrate tagliate per questo. Non credo di aver mai visto la stalla così pulita.»

«Che vuoi, Maxwell?» domandò Kiana, ma nemmeno il suo tono duro riuscì a cancellare il sorrisetto in mezzo alle guance coperte da una barbetta orribile del nuovo arrivato. Maxwell Freeman, un figlio di Mercurio della Seconda Coorte. Camille lo ricordava bene: era sempre in prima fila quando si trattava di maltrattare i nuovi arrivati della Quinta Coorte assieme ai suoi compagni, con quell’espressione da folletto dispettoso stampata in faccia.

Lei, David, i gemelli Vega, perfino Travis, figlio dello stesso Mercurio, c’erano passati. Una ragazza della quinta, una figlia di Bacco, era arrivata al punto tale da trasferirsi al Campo Mezzosangue per causa sua e dei suoi amici. Camille non la conosceva, non c’aveva mai parlato, ma non aveva mai davvero potuto biasimarla per la sua decisione. C’erano state volte in cui anche lei aveva pensato di trasferirsi, immaginandosi come potesse essere vivere con i suoi fratellastri greci, domandandosi se loro potessero aiutarla a carpire i segreti della magia.

Ogni volta però pensava alle amicizie che aveva stretto nella Quinta Coorte, tra cui quella con Kiana. Erano tutti bravi ragazzi, cercavano di darsi una mano a vicenda, soli contro tutti, e si era affezionata a loro.

«Devo parlarti.»

La voce di Maxwell la riportò alla realtà, anche se comunque avrebbe potuto continuare a ignorarlo, visto che il nuovo arrivato non sembrava affatto interessato a lei. Anzi, da come stava fissando Kiana, pareva proprio che ci fosse un conto in sospeso tra quei due.

«Non ho alcuna intenzione di ascoltarti» sibilò Kiana.  

Maxwell si fece serio all’improvviso. Quello sguardo fu un pugno in un occhio, specie dopo l’espressione arrogante e appagata di poco prima. Emanava freddezza pura. «Perché fai così? Voglio solo aiutarti.»

«Non mi serve il tuo aiuto.»

Lo psicopatico gettò un’occhiata rapida a Camille, che sussultò.

«Cos’è, non vuoi abbandonare la tua amica?» proseguì lui, riportando l’attenzione sulla figlia di Venere. «Posso mettere una buona parola anche per lei, se proprio ci tieni.»

Doveva sembrare un favore, forse, però lo disse con voce così disgustata che fu impossibile non accorgersene. Camille strinse i pugni, punta nell’orgoglio. Sapeva riconoscere quando qualcuno metteva lei e Kiana a confronto. Era consapevole di non essere una “racchia”, ma a confronto dell’amica lo pareva eccome. Qualsiasi ragazza lo sembrava. Kiana era alta, con un fisico tonico e perfetto grazie agli allenamenti costanti e per finire un viso davvero grazioso. Tutti i ragazzi andavano pazzi per lei nonostante non si vestisse, truccasse o comportasse come una figlia di Venere – e nonostante potesse pure distruggerli tutti a braccio di ferro.

Kiana si mise accanto a Camille quasi con fare protettivo. «Lasciala fuori da questa storia.»

Maxwell tornò a sogghignare. La ignorò e si parò di fronte a Camille, scrutandola dall’alto. «Ho offerto alla tua amica di entrare nella Seconda Coorte. Molto meglio che quella fogna della Quinta, mi sbaglio? Ma lei continua a rifiutarsi. Dimmi, tu cosa ne pensi? È davvero ingrato da parte sua, non trovi?»

Camille batté le palpebre sorpresa da quella rivelazione, e confusa, anche. Inghiottì il nodo alla gola dovuto dal disagio e rispose: «Se… se lei non vuole è inutile insistere.»

Uno strano luccichio balenò negli occhi scuri di Maxwell. «Risposta sbagliata.»

Si avvicinò la mano alla bocca e poi, con la stessa rapidità, avvicinò la stessa mano ai capelli di Camille, che emise un grido squillante.

La figlia di Trivia indietreggiò di qualche passo, con gli occhi spalancati, e si toccò la tempia: qualcosa di molle e umido era appiccicato ai capelli. La gomma da masticare di Maxwell.

«Ecco, ora sì che sei carin…»

Il commento di Maxwell si interruppe con il pugno di Kiana stampato sulla sua guancia. Il ragazzo ruzzolò a terra, insudiciandosi sul pavimento di terra e paglia. Al suo gridolino poco virile si susseguirono i nitriti degli unicorni, forse spaventati dal rumore, o forse divertiti.

E Kiana non sembrava avere ancora finito. Si avvicinò a lui furibonda, sgranchendosi le nocche. «Tu, razza di schifoso, pezzo di…»

«Io mi fermerei qui, se fossi in te» mugugnò Maxwell, dal basso, con la guancia abrasa ma di nuovo con quel sorrisetto odioso. «Non vorrai mica passare dei guai per aver di nuovo alzato le mani?»

«Sei stato tu a metterle la tua schifosa gomma tra i capelli!» tuonò la ragazza, indicando Camille, ancora sconvolta.

Maxwell sollevò nelle spalle. «Lei mi ha provocato per prima.»

«Non è vero! Noi stavamo badando ai fatti nostri quando tu…»

«E a chi pensi che crederanno?» Il ragazzo sogghignò. Camille conosceva quell’espressione: era quella di chi sapeva di averla vinta.

Kiana sembrava in procinto di saltargli addosso per staccargli la testa. Si calmò solo quando Camille le afferrò il polso, scuotendo la testa, la mano ancora appoggiata contro la tempia per coprire la gomma. Arrabbiarsi era inutile, sarebbero soltanto finite nei guai mettendosi contro di lui. Era in una coorte più alta, loro invece erano al fondo del barile: non contavano nulla.

«Brava streghetta. Vedo che almeno tu hai capito.»

Quel nomignolo fece irrigidire Camille, ma non disse nulla.

Maxwell si rimise in piedi, massaggiandosi la guancia. «Ricorda la mia offerta, Kiana. Non durerà per sempre.»

Kiana era livida di rabbia. «Sono mesi che me lo dici.»

«Sì, e la mia pazienza si sta esaurendo.»

Camille strinse il polso di Kiana con forza, prima che potesse replicare ancora. Non fu facile, visto che si sentiva arrabbiata tanto quanto lei, ma sapeva di essere l’unica persona in grado di impedire a Kiana di rovinarsi per sempre la vita nel Campo Giove. Forse a lei non importava di mettersi contro tutta la Seconda Coorte, ma a Camille sì. Non voleva che la sua amica finisse nei guai. E in ogni caso, tutto quanto avrebbe potuto ripercuotersi sull’intera Quinta Coorte, e di certo non avevano bisogno di altri problemi.

Entrambe si rilassarono soltanto quando la faccia da schiaffi di Maxwell svanì dalla visuale, seguita dal cigolio del portone della stalla. Kiana si voltò verso di lei. Ora sembrava solo mortificata. «Stai bene?»

«Sì, certo» mormorò Camille, colpita dal suo tono di voce. «Non mi ha fatto male, tranquil…»

Kiana le prese il volto tra le mani e la fece voltare quasi di forza, strappandole un verso sorpreso.

«Mi dispiace» mormorò, afflitta. Le sfiorò i capelli appiccicati alla gomma con un gesto delicato, totalmente diverso dal modo in cui l’aveva afferrata, o dal pugno che aveva sferrato a Maxwell. «Sei rimasta coinvolta in questa storia…»

«Non preoccuparti, non è successo niente.» Camille incrociò il suo sguardo preoccupato. «Ma… perché quello vuole che tu vada nella Seconda Coorte?»

La figlia di Venere rispose con un sospiro esausto. Fu subito chiaro che non aveva affatto voglia di parlarne.

«Dai, vieni» disse invece, circondandole le spalle. «Vediamo di sistemarti i capelli.»

 

 

 

 

 

 

 

Salve gente! Come va? Spero tutto bene, dai. Per me è un periodaccio, lol, ma proviamo a tirare avanti comunque. 

Allora, innanzi tutto, questo capitolo è stato un po’ pieno di fuffa, e di questo domando scusa, ma siamo solo all’inizio e prima di tutto volevo introdurre i nuovi protagonisti e anche gettare un po’ di luce sulla situazione nel Campo Giove. Come avrete modo di vedere in futuro, gli “sfigati” nemmeno qui se la passano proprio bene. E ricordo a tutti che la storia è ambientata qualche mese più tardi rispetto alla Spada del Paradiso, dove invece le beghe nel Campo Mezzosangue si sono risolte, all’incirca. 

Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto e soprattutto spero che i pretori abbiano fatto una buona impressione. Non dirò chi è il mostro marino che hanno ucciso, nemmeno il folle che lo ha scagliato, semplicemente perché… beh, è un’altra storia per un altro giorno (e poi volevo fare un rimando a PJO, con Percy dodicenne che completa le imprese).  

So che avevo detto che avrei aggiornato prima la raccolta di questa storia, ma come ho detto sopra, è un periodaccio e faccio quello che posso.

Bene, spero di non aver depresso nessuno, alla prossima! 

   
 
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