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Autore: Shireith    30/10/2021    1 recensioni
Papillon è stato sconfitto, ma le dinamiche non sono chiare a nessuno. La stessa Ladybug nutre dubbi a riguardo. Per di più, senza che gliene spieghi il motivo, un giorno Chat Noir la abbandona.
Cinque anni dopo, il passato ritorna per entrambi.
• Long what if? che non tiene conto della quarta stagione perché quando mi è venuta l’idea ancora non era andata in onda. Lovesquare in tutte le salse con tanta Adrienette e Ladynoir. Scritta seguendo i prompt del #Writober2021 di Fanwriter.it (lista pumpBLANK – prompt misti scelti tra le quattro liste presenti).
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Alya, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo decimo


(28 — amaro)
  
 A Marinette sembrava di respirare fumo e cenere. Le sembrava di aver ingoiato un boccone amaro e non riusciva a scacciare il sapore.  
 Non sapeva con quale forza le gambe l’avevano retta in piedi quando, rientrato il pericolo, si era trovata faccia a faccia con Chat Noir – Chat Noir che era diventato più alto ma conservava ancora capelli paglierini e occhi verde brillante. Il sorriso era diverso. Il sorriso sghembo e ironico che lo contraddistingueva non c’era. O meglio, l’aveva nascosto. Le era parso sinceramente dispiaciuto, non aveva voluto ferirla ancora di più. Eppure…
 Eppure basta. Basta trovare giustificazioni che non meritava. Chat Noir l’aveva ferita. Altro che cicatrici, Marinette sentiva l’intero corpo sanguinare fino a svuotarle le vene.
 Ripensò a Plagg. Malgrado tutto, Marinette doveva ammettere che la sua idea si era rivelata ottima: senza Chat Noir sarebbe stata gravemente ferita, se non peggio, e subito dopo di lei sarebbero stati i cittadini a pagarne le conseguenze. Era stata una fortuna aver lasciato l’anello nel fondo del cassetto in cui l’aveva nascosto quando Adrien si era presentato da lei. Ma una domanda non la smetteva di rimbalzarle in mente: come faceva Plagg a sapere dove si trovava Chat Noir?
 Una fitta al petto quasi le mozzò il respiro.
 Davvero era sempre rimasto a Parigi, per giunta nella stessa casa?
 Marinette aveva studiato il problema da tutte le angolazioni possibili alla disperata ricerca di una soluzione, ma di soluzione ce n’era una soltanto: sì, era rimasto a Parigi per tutto il tempo. Come altro faceva Plagg a sapere dove trovarlo? Anche ammesso che Chat Noir fosse tornato in città da poco, questo Plagg non poteva saperlo.
 Eppure voleva avere la conferma di Plagg. Sotto metri e metri di delusione, confusione e forse persino rancore, Marinette conservava la speranza, per quanto pallida e remota, che ci fosse un motivo. Perché, anche se il solo ammetterlo a sé stessa era come farsi violenza, lei in Chat Noir ci credeva. Non aveva mai smesso di farlo – non ne era capace.
 Pensava che almeno questa ammissione la aiutasse a mettere ordine nella sua mente, ma si sbagliava. Più rifletteva e meno tutto quanto aveva un senso. L’aria era sempre fumo e cenere, in bocca avvertiva un sapore metallico simile a quello del sangue. Si guardò attorno e non seppe nemmeno dire quando si fosse rannicchiata sulla cima dell’Arco di Trionfo.
 Il loro posto.
 Avrebbe voluto piangere, urlare, sgolarsi fino a far bruciare le corde vocali.
 Le mancavano però le lacrime, le mancava la voce.
 C’era solo una cosa da fare: tornare a casa, parlare con Plagg, schiarirsi le idee e dormire. Le serviva proprio, sentiva le palpebre farsi pesanti come macigni…
 
 Aveva freddo. Le faceva male la schiena, la spalla implorava pietà. Da qualche parte là sotto (sotto dove?) due o tre cani abbaiarono. Proprio così, Marinette si svegliò.
 La prima cosa che vide furono cinque metri di vuoto. Lo stomaco si attorcigliò su se stesso e Marinette dovette farsi forza per non urlare.
 Si tirò indietro e si mise seduta.
 «Mi sono addormentata qui. Grandioso.»
 Il cielo era rosa pallido e in strada c’era meno gente di quanta se ne vedesse di solito in quella zona di Parigi. Non doveva essere più tardi delle sei.
 Tornare a casa, parlare con Plagg, schiarirsi le idee e prepararsi per la giornata – ecco cosa doveva fare. Invece, fragile come un cucciolo abbandonato, si rifugiò nell’unico posto, o meglio persona, che in quel momento urlava casa. Non i suoi genitori, non Adrien – Alya.
 Ladybug lasciò l’Arco di Trionfo e una volta sul posto si acquattò su un tetto che affacciava sull’appartamento di Alya. Si chiese se Nino avesse dormito da lei. Un’idea le suggerì di sbirciare attraverso la finestra per accertarsene e Marinette si sentì sporca anche solo a considerarla.
 Cosa stava facendo? Servirsi dei poteri di Tikki per andare dove le pareva, quando camminare a piedi era un’alternativa più che valida, era una follia! In pieno giorno qualcuno avrebbe potuto vederla, chiedersi perché…
 «Ladybug?»
 Le si congelò il sangue nelle vene.
 Marinette abbassò lo sguardo e vide, sotto di lei, Alya che la osservava appoggiata alla balaustra del suo balcone. Era ancora in pigiama e lo sguardo assonnato dipinto in faccia suggeriva che si fosse svegliata da poco. A riprova di ciò, soppresse uno sbadiglio.
 «Che ci fai qui?»
Cercavo te.
 «Ah… sono di pattuglia.»
 «È per quello che è successo ieri notte?»
 Marinette pensò che rispondere sì fosse una buona idea finché Alya non aggiunse: «Pensavo che il fatto fosse successo da un’altra parte.»
 Marinette si umettò le labbra. «Sì… ma non si sa mai. Sto solo controllando che in centro città sia tutto a posto.»
 Alya ci mise un po’ a rispondere, come a star decidendo se credere o meno alle sue parole. Sembrò convincersi quando scrollò le spalle e la invitò dentro a prendere un caffè. «Hai proprio l’aspetto di chi ha bisogno di berne tre litri. Senza offesa.»
 Marinette non si offese. Tra i capricci della Belladonna e tutte le cose che succedevano a Parigi nelle ore più strane della notte, sembravano passati secoli dall’ultima volta in cui si era concessa una dormita degna di tale nome. Malgrado ciò non avrebbe dovuto accettare l’invito di Alya, sentiva che ogni secondo che passava in sua compagnia nelle vesti di Ladybug era un secondo in meno che la separava dal momento in cui Alya avrebbe scoperto la verità.
 Era troppo sveglia. Marinette aveva perso il conto di tutte le volte in cui aveva temuto che l’amica unisse i puntini. Tuttavia...
 Tuttavia accettò l’invito. Ignorando il buon senso che urlava no!, entrò nell’appartamento e seguì Alya in cucina. Nino non c’era.
 «Lo prendi dolce o amaro, il caffè?»
 «Dolce. Due cucchiaini, grazie.»
 Di solito ne prendeva uno, ma era meglio evitare ogni possibile somiglianza, per quanto all’apparenza innocua, con Marinette. E poi un po’ di zucchero non le avrebbe fatto male, anche se dubitava sarebbe servito a sciogliere l’amaro che aveva in bocca.
 «Uhm, Ladybug», disse Alya, osservandola con la coda dell’occhio mentre zuccherava il caffè, «è vero quello che dicono sui social e al telegiornale? Che Chat Noir è tornato.»
 E il cuore sprofondò.
 Marinette si lasciò cadere sulla sedia dietro di lei, temeva davvero che le gambe potessero abbandonarla da un momento all’altro.
 Proprio come aveva fatto lui.
 Quasi non si accorse di Alya che scivolava al suo fianco.
 «Scusa. Forse era meglio non chiedere.»
 Marinette avrebbe voluto piangere.
 E questa volta lo fece.
 Una, due, dieci, cinquanta – le lacrime scesero, si mischiarono in un impasto salato. Si sentì patetica, un’idiota. Piangeva nel salotto di una ragazza che in teoria avrebbe dovuto conoscere a stento e non sapeva elencare nemmeno lei tutti i perché.
 Alya non parve scossa dalla situazione, come se avere la supereroina acclamata da tutta la Francia che piangeva nel tuo salotto fosse la cosa più normale del mondo.
 «C’entra lui?» domandò.
 Marinette annuì.
 Silenzio.
 «Anche Adrien?»
 Il cuore che era sprofondato e non ancora risalito smise di battere in petto e accelerò al tempo stesso.
 No.
Non posso, non posso, non posso, non posso.
 Aveva passato anni a mentire a tutti e c’era riuscita (c’era riuscita, vero?).
Non posso, non posso, non posso, non posso.
Non posso perchéperché non posso?
 Marinette deglutì. «Credo entrambi.»
 E l’amaro in bocca si sciolse sotto il sapore salato di altre lacrime.  

NOTE ➺  Questo capitolo, devo dire, mi piace. Amo tantissimo Alya e il suo rapporto con Marinette, e una parte di me ha sempre pensato che sospettasse qualcosa. Questa reveal non ha un decimo della potenza emotiva che ha avuto quella canon (al solo pensiero ancora urlo e piango) e a dirla tutta nemmeno era programmata: mi è venuta spontanea, complici forse i prompt che mi spingono a cercare escamotage per far andare la storia nella direzione che mi ero prefissata.
Grazie per aver letto fin qui. Vi darei appuntamento a domani, ma poiché devo recuperare i giorni 29 e 30, con tutte le probabilità l’altro capitolo ve lo beccate stasera.  
   
 
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