Fumetti/Cartoni americani > Batman
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    31/10/2021    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A Mother's Love For Her Son Titolo: A Mother's Love For Her Son
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 
2487 parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Talia Al Ghul
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Malinconico
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort

Writeptember: 2. Avvelenamento || 3. X non vuole vedere Y
Una volta nella vita: Bonus 4. Fare pace con un parente che non si vedeva da tempo


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    Da quando lui e Jon si erano trasferiti ad Hamilton, la vita di Damian era diventata abbastanza tranquilla.

    La clinica che aveva aperto andava a gonfie vele e aveva cominciato ad occuparsi per lo più degli animali della fattoria, tra mucche, cavalli e a volte qualche maialino che gli dava un po' di filo da torcere nonostante la protesi; tra i molti dottorati che aveva conseguito quand'era ancora alla Lega - in particolar modo grazie al fatto che le sue doti psicofisiche fossero sempre state al di sopra della media -, non avrebbe mai pensato che quello di scienze veterinarie un giorno gli sarebbe servito davvero, ma era decisamente contento di averlo. Quel giorno il suo unico paziente era stato un gatto trovato da Kathy - quando era tornata dal suo viaggio interspaziale con Maya settimane prima, e aveva saputo cos'era successo, non aveva perso occasione di andare a trovarli con Maya stessa -, quindi Damian aveva potuto passare gran parte della giornata a rilassarsi con Jon, godendosi entrambi quel giorno libero che erano riusciti ad incrociare.

    Damian ne aveva anche approfittato per delegare a Jon il compito di portare a spasso Tito nel pomeriggio, ma quando Jon tornò, con qualche pagliuzza di fieno fra i capelli e le guance arrossate dalla corsa, si fermò sulla soglia di casa nel vedere Damian immobile accanto al tavolino su cui avevano il telefono, una mano chiusa a pugno sulla stampella e l'altra stretta così forte intorno alla cornetta che, se avesse posseduto la super-forza, avrebbe potuto ridurla in mille pezzi.

    «D?» lo richiamò mentre si sfilava gli stivali, sbattendo le palpebre nel vedere la sua espressione. I suoi occhi erano ingigantiti, il suo volto aveva assunto un'espressione così scioccata che Jon, mentre si avvicinava, si irrigidì e si preoccupò. «Damian?» chiamò ancora con un fil di voce, e fu un attimo: Damian sbatté così forte la cornetta del telefono che quasi rischiò di romperla, sussultando come se si fosse appena reso conto del proprio gesto e facendo sussultare anche Jon. «Ehi... tutto bene?» riprovò, poggiandogli una mano sulla spalla.

    Damian sapeva benissimo che il suo comportamento aveva messo in allerta Jon, poiché non aveva bisogno di sentire il suo battito cardiaco come avrebbe fatto mesi prima per capire che era agitato, ma ci mise comunque attimi che parvero interi minuti prima di voltarsi verso di lui e fissarlo con sguardo spento. «Era mia madre».

    A quella singola frase, sul volto di Jon corse un turbinio di mille emozioni. La prima volta che aveva conosciuto Talia, lui e Damian erano a scuola, alla West-Reeve di Metropolis. Lui aveva dieci anni e Talia si era presentata con una spada e un abito appartenente alla Lega degli Assassini, desiderosa di reclutare Damian per una missione che si era rivelata poi quella di assassinare Lois Lane. Sua madre. E quella stessa notte, dopo essere riusciti a fermarla e a rovinare i suoi piani, Damian gli aveva raccontato del suo passato nella Lega, di ciò che Talia gli aveva insegnato e di come le sue mani, nonostante la sua giovane età, fossero state costantemente macchiate di sangue. Per quanto Jon gli avesse detto che non aveva colpa, che a quel tempo era solo un bambino e che doveva essere dura tenersi dentro quel peso, sapeva che di tanto in tanto, seppur si fosse lasciato il passato alle spalle, quello stesso passato tornava a gravare su di lui come un'ombra che inghiottiva quel piccolo spiraglio di luce in cui riusciva a riscaldarsi.

    Jon scacciò quei pensieri, traendo un lungo respiro direttamente dal naso. «Cosa voleva?» chiese, e dovette ricorrere a tutta la sua calma per riuscire a porre quella domanda, vedendo Damian mordersi il labbro inferiore con furia e tergiversare per un altro lungo momento.

    «Voleva vedermi». Damian alzò la testa per fissarlo, la mano sulla stampella tremava al solo pensiero. «Io non... io non voglio vederla, Jon». Aveva cominciato a respirare pesantemente, gli occhi verdi che guizzavano incontrollati nella stanza da una parte all'altra, il fiato che sembrava essersi ormai spezzato nel fondo della sua gola e il petto schiacciato da un peso che sembrava trascinarlo nel fondo di un oscuro oceano. «Vedrebbe in che condizioni sono, storcerebbe il naso e sputerebbe la sua disapprovazione, direbbe che è colpa del codice morale di mio padre se sono ridotto in questo stato e che sono diventato solo un peso, un inutile derelitto la cui menomazione è motivo di vergogna, che avrei dovuto accettare il mio destino e morire come il soldato che sono stato addestrato ad essere, senza fuggire dal campo di battaglia per continuare a vivere come un--»

    «Damian, D, fermo».

    Jon frenò immediatamente il flusso delle sue parole. Damian aveva cominciato ad iperventilare, lo sguardo era ormai spento e il modo in cui lo fissava faceva comprendere benissimo lo stato confusionale in cui si trovava, senza contare il suo continuo deglutire come se sentisse la gola secca; si era anche portato una mano al petto, cercando di rimanere in piedi per quanto concesso dalla sua unica gamba. Fu lui stesso ad aiutarlo ad incamminarsi verso il divano, trascinandolo come se fosse letteralmente un automa senza volontà, troppo scosso da quella che per altri sarebbe stata solo una semplice telefonata. Ma non per Damian.

    Le parole di Talia, per lui, erano sempre state come un veleno. Un veleno che per anni aveva continuato a scorrere nelle sue vene, intossicandolo senza che lui riuscisse a trovare una cura. Per quanto cresciuto, per quanto sceso a patti con ciò che era stato e per quanto avesse cercato di redimersi, Talia era sempre lì, sempre presente, premendo e gonfiando nel suo petto quel senso di inadeguatezza che gli aveva scavato dentro.

    «Non la vedrai, D. Non devi». La voce di Jon era ferma e sicura, e poggiò il palmo sulla sua guancia. «Non lo permetterò».

    Damian si umettò le labbra e deglutì, sfiorando il dorso della mano con la punta delle dita. «Non sei più invulnerabile, e se lei--»

    «Abbiamo già affrontato tua madre».

    «Ed eravamo Robin e Superboy», replicò Damian con voce rauca, e a quel punto Jon poggiò la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. 

    «Anche se non siamo più eroi, siamo ancora una squadra».

    Damian si raschiò il labbro inferiore con i denti e aprì la bocca per replicare, ma poi lasciò perdere e tentò di annuire lentamente, stringendosi a lui e artigliando fra le mani il retro della camicia di flanella. Quel veleno aveva cominciato ad avvelenargli il cervello e dovette scacciare quei pensieri più  più volte, sentendo l'ansia attanagliargli le viscere mentre se ne stava fra le braccia di Jon.

    Jon, dal canto suo, aveva passato il resto del pomeriggio a cercare di calmare Damian, il quale alla fine era letteralmente crollato fra le sue braccia con un lieve accenno di febbre; era sempre stato un tipo che difficilmente si lasciava governare alle proprie emozioni e che aveva sempre avuto un piano B per tutto, ma le sue attuali condizioni, unite al fatto che non vedesse sua madre da anni, aveva contribuito a renderlo emotivamente instabile. Jon l'aveva quindi portato a letto e gli aveva tamponato la fronte accaldata con una pezza umida, prendendosi cura di lui finché alla fine il suo respiro non si era stabilizzato e aveva cominciato a dormire con calma. Solo a quel punto si era messo il pigiama e si era coricato al suo fianco, ma ore dopo, ritornato del tutto in sé, Damian aveva finito per drizzarsi a sedere sul letto e guardare il volto di Jon nella penombra.

    Non ricordava quando avesse perso i sensi, ma sentiva di aver bisogno di una boccata d'aria. Così, spostando silenziosamente il braccio di Jon che si era appropriato dei suoi fianchi, afferrò la stampella accanto al comodino e si mise in piedi, traballando un po'; Damian si portò un dito alle labbra per far cenno a Tito di fare silenzio, giacché il grande alano aveva drizzato il capo e un orecchio con fare confuso, e si incamminò fuori dalla camera da letto, scendendo le scale con quanta più attenzione possibile. Poté respirare liberamente solo una volta fuori, seduto sul portico sotto le stelle. La brezza della notte faceva frusciare i campi di grano e il frinire dei grilli fra gli alberi era piacevole e rilassante, cosa di cui, in quel momento, aveva assolutamente bisogno. Sentiva ancora il peso di quella giornata sulle spalle, ma forse avrebbe...

    «Damian».

    La voce di sua madre riecheggiò nella mezza oscurità. Damian ebbe un momento di panico, ma strinse le palpebre così in fretta che per un momento vide una moltitudine di puntini luminosi davanti agli occhi prima di riaprirli. A pochi passi da lui, in un abito verde scuro dai bordi dorati, sua madre lo osservava con un'attenzione tale che non aveva mai visto, lo sguardo che correva su tutta la sua figura come se lo stesse sondando nell'anima.

    Damian si sentì male. Non voleva essere fissato in quel modo, non voleva leggere la delusione o, peggio ancora, la compassione sul volto di sua madre. Non voleva vederla e basta. «...se sei venuta qui per schernire le mie condizioni, madre, voglio che tu te ne vada. Te ne prego», disse con la voce più ferma a cui riuscì ad attingere, stringendo la stampella così forte che le nocche divennero bianche.

    Di tutta risposta, però, i passi della donna si fecero più vicini; lasciò che lui li ascoltasse, non più un'ombra fra le ombre, e Damian si voltò nello stesso istante in cui Talia - l'orgogliosa Talia, la donna fredda e calcolatrice che aveva messo se stessa al di sopra di tutto e tutti - si inginocchiò davanti a lui, prendendo le sue mani fra le proprie per portarsele alle labbra morbide e carnose. Quel gesto lasciò Damian interdetto, ancor più quando la vide abbassare le palpebre, le lunghe ciglia nere curve contro le guance, e poggiò la fronte contro la sua coscia, sfiorando il punto in cui i calzoncini pendevano vuoti.

    «عظم من عظامي و لحم من لحمي», sussurrò in arabo, e il cuore di Damian saltò un battito.

    Ossa delle mie ossa, carne della mia carne. Divorato dal pensiero che sua madre avrebbe potuto considerarlo un fallimento, che avrebbe visto la sua menomazione come qualcosa da criticare e come un punto fermo per far valere le proprie convinzioni, Damian non aveva mai pensato che Talia avrebbe potuto reagire in quel modo. Boccheggiò come un pesce fuor d'acqua, fissando gli occhi della donna quando quest'ultima sollevò nuovamente il capo per ricambiare il suo sguardo; lasciò andare le sue mani solo per portarsene una all'altezza del cuore, gesto che fece incrinare un po' la maschera d'odio che si era dipinta sul volto di Damian.

    «So che non avresti voluto che fossi qui, figlio mio». La voce di Talia era bassa, un fruscio che parve confondersi con il frusciare della cappa di fogliame poco distante da loro. «Ma quando ho saputo cosa ti era successo... ho lasciato il Bialya per accertarmi che tu stessi bene».

    Damian sbatté le palpebre, incredulo. Faticava a credere a quelle parole, ma non aveva mai visto quell'espressione ferita sul volto di Talia. Da quando, anni addietro, gli aveva chiesto redenzione... non era mai riuscito a leggere niente sul volto di pietra di quella donna. «...volevi vedere come stavo?» domandò a mezza voce e, al cenno d'assenso di Talia, il cuore di Damian cominciò a battere così forte che, se avesse potuto, sarebbe uscito dal petto.

    Nel tentativo di calmarsi e di non farsi nuovamente prendere dal panico del pomeriggio, inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Richiamò alla mente la mano di Jon sulla sua guancia, gli abbracci di Richard, le parole orgogliose di suo padre, Drake che chiedeva il suo parere riguardo a nuovi progetti tecnologici, Pennyworth e le sue torte di mele... Barbara, Cassandra e Stephanie, e persino Todd e le sue pessime battute, o il modo in cui cercava di alleggerire la situazione dietro un'aria sconsiderata. Con il ricordo della sua famiglia in mente, si sentì più stabile e coi piedi per terra, rialzando debolmente le palpebre.

    «Perché proprio adesso, madre?» domandò con un filo di voce. «Sei stata molto chiara, in passato: la prossima volta che ci vedremo, non sarà un incontro amichevole». La sua voce suonava del tutto simile a quella della donna davanti a lui. «Perché hai aspettato tutto questo tempo e, quando più avevo bisogno di te, non ci sei stata?»

    Sul viso di Talia si allargò il dolore e il dispiacere, una reazione umana che Damian non era certo le fosse possibile, e la mano della donna si posò sul suo ginocchio. «Perché perderti senza poterti dire addio non è mai stata un'opzione, per me. Perché se anche ti avessi tagliato a pezzi... probabilmente dopo mi sarei tolta la vita. Ma l'idea di perderti davvero senza poterti rivedere un'ultima volta mi strazia il cuore, bambino mio».

    Se qualcuno gli avesse detto che avrebbe sentito quelle parole uscire dalla bocca di Talia, Damian non ci avrebbe mai creduto. La fissò incredulo, quasi si fosse trovato dinanzi ad una donna che in realtà non conosceva, e nel continuare a guardare quegli occhi, così verdi e profondi come i suoi, non seppe più cosa dire. Le parole taglienti che avrebbe voluto pronunciare erano morte sulle sue labbra nel momento stesso in cui Talia si era espressa, e faticò persino a sentire la domanda che gli venne fatta qualche attimo dopo. Gli aveva davvero chiesto di poterlo abbracciare? Lei, la donna che di solito non chiedeva il consenso per niente, che faceva ciò che voleva quando e come più l'aggradava... aveva davvero posto una domanda del genere?

    Damian resistette all'impulso di schioccare la lingua sotto al palato e di spostare un po' il mento all'indietro, poiché in realtà non aveva davvero la forza di dirle di no. Avrebbe dovuto essere arrabbiato, avrebbe dovuto inclinare la testa all'indietro e, con un'espressione insoddisfatta e le sopracciglia sollevate, avrebbe dovuto farle capire solo con il suo linguaggio del corpo che non intendeva accettare quel gesto di pace. Invece, contro ogni aspettativa, inclinò il capo da entrambi i lati senza dire una parola, sentendo la tensione tra loro scoppiare come una bolla di sapone: la donna gli si sedette accanto e gli gettò letteralmente le braccia al collo, e Damian abbassò le palpebre mentre ricambiava quell'abbraccio con il cuore più leggero e lo scintillio di una lacrima, avvertendo dietro di sé una terza presenza che, in silenzio, li osservava dalla soglia di casa.

    Talia non era stata presente per gran parte della sua vita. Ma quella notte, stretto fra le sue calde braccia come quando era solo un bambino avvolto nell'enorme mantello di un padre sconosciuto, Damian ricordò cosa significasse avere una madre
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Ogni tanto mi piace ricordare i bei tempi in cui Talia era una madre quantomeno decente. Quindi ecco qui che, quando viene a sapere che cos'è successo a Damian, va a trovarlo (seppur con i suoi soliti modi un po' strani) e gli chiede praticamente scusa a modo suo. Vorrei spendere due parole, perché ci sono due spiegazioni da fare in questa storia.
Una parte è stata scritta da
Shun di Andromeda (Nel tentativo // bambino mio), che era particolarmente ispirata mentre le mandavo spezzoni e, niente, alla fine mi è piaciuto così tanto quello che ha scritto che ho deciso di lasciarlo e di amalgamarlo alla storia. Poi. Un'altra cosa riguarda il linguaggio del corpo usato da Talia e Damian, poiché nella cultura araba le persone parlano molto con il corpo e quindi il loro atteggiamento è spiegato anche in questo modo. Per vostra curiosità, ecco di seguito:
  • Mano sul cuore: modo per salutare calorosamente qualcuno, significa che la propria presenza è molto apprezzata
  • Schiocco della lingua sotto il palato: può sembrare maleducato, ma è un modo per dire no
  • Testa inclinata e sopracciglia sollevate: sempre un modo per dire no, ma molto più arrabbiato
  • Testa inclinata da entrambi i lati: vuol dire sì, praticamente è come se si assecondasse qualunque richiesta
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Batman / Vai alla pagina dell'autore: My Pride