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Autore: Brume    31/10/2021    9 recensioni
Il 31 ottobre 1795.
Fersen torna in Francia, per una ultima volta, spinto dal desiderio e dal bisogno impellente di rivedere le loro tombe, il luogo dove riposano Oscar e Andrè. Le troverà, restando solo davanti a quelle due croci. Un gesto gentile, semplice, che lascerà un ricordo indelebile.
One shot senza pretese, scritta d' istinto in questi attimi dove i veli si fanno leggeri e tutto è possibile.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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31 ottobre 1795

 

Non vada, Conte.

 Non è il caso.
Non dovrebbe tornare in Francia ma rimanere qui, al sicuro, in Svezia; chi glie lo fa fare? Affrontare un viaggio quasi in incognito, con questo tempo, di questi tempi…

 

NO.

Non posso.
Non posso non tornare, per l’ ultima volta, in Francia; devo andare, devo salutarli. Devo salutarla….
Il mio cuore si è a fatica  rassegnato a non poter piangere la mia Regina sulla sua tomba in quel cimitero dove,  anni fa, la lasciarono esposta     sull’ erba gettata come uno straccio vecchio,  con la testa tra le gambe ma loro...ma lei...non posso.
Almeno a lei voglio dare un saluto.


 

Era giunto il pomeriggio dell’ ultimo di giorno di ottobre, in sella ad un cavallo scuro ed inquieto; il viso tirato, i capelli nascosti sotto una parrucca scura e subito  aveva dato ordine a Sven, il suo fedele attendente, di trovare la  locanda che gli avevano indicato...  il tempo di lasciare nella modesta stanza a loro assegnata una sacca da viaggio così lontana dal suo rango e si era rimesso in marcia, senza mangiare nemmeno un boccone o prendersi un boccale di birra.

 Da solo.
“...siete sicuro?” aveva chiesto Sven, posando alcune camicie sul letto, prima che uscisse.
“Si” era stata l’ unica risposta di Fersen  che , coperto dal mantello per ripararsi dal freddo di quella sera, stava già prendendo il corridoio.


Le indicazioni che aveva ricevuto  mesi prima da Alain erano chiare: una volta giunto ad Arras, recatevi da Gilbert, vi do l’ indirizzo…ecco, li vicino vi è una strada che va verso una vecchia manifattura dismessa dove producevano arazzi... dopo alcuni minuti troverete un bivio. Prendete la strada alla vostra destra, procedete...li troverete a poca distanza. Stanno in una sorta di collinetta, vicini. Ho costruito un piccolo recinto, dovete solo scavalcarlo.

 

Così fece.


Condusse il cavallo, al passo, lungo la strada che iniziava a diventare ghiaccio  e arrivò. 

 

Scese; lo legò al ramo scuro e secco di un albero e ...li vide.

Vide le due croci.
 

Stava venendo buio; decise  di accendere la piccola torcia che aveva con sè e piantarla nell’ unico lembo di terreno non ancora indurito dal freddo poi...si avvicinò al recinto e lo scavalcò.
“Sono arrivato...” disse come se qualcuno lo stesse ascoltando, restando in piedi , stretto nel mantello, gli occhi fissi. La forte emozione, i ricordi...ben presto si radunarono, nella sua testa. Una lacrima scese, fredda, lungo la pelle fredda.
“...Mi dispiace averci messo così tanto” continuò “ ma eccomi, ora sono qui. Starò con voi per un pò, almeno finchè la stanchezza non mi domanderà il conto;  starò accanto a voi, se me lo permettete, anche solo a guardare questi simulacri, queste tombe” disse.

Si sentì strano, in quel momento.


Sorrise fra sè pensando a cosa avrebbe potuto pensare la gente vedendolo li, in piedi, a parlare da solo. 


Guardò a lungo quelle due croci.


Oscar. La luce.

 

Andrè. l’ ombra.

 

Guardò a lungo quelle due scritte.
Erano passati sei anni, sei lunghi anni. Solo i nomi erano rimasti.

“...Avrei potuto fare qualcosa per voi, avrei potuto fermarvi. Difendervi. Darvi una mano, come quella sera a Saint Antoine. Avrei potuto… farvi vivere ancora un pò” farneticò, inziando a gesticolare con le mani, le lacrime che ormai scendevano copiose.


Crollò sulle sue gambe, poggiando i palmi a terra per non finire faccia a terra,  lo sguardo da pazzo fisso sul terreno: si lasciò andare, senza più controllarsi.

“Non sono riuscito a salvare nessuno: sono un buono a nulla. Mi dispiace Oscar, mi dispiace Andrè. Io credevo di esservi amico, invece… sono solo un egoista, ho pensato a me, a lei...ma con il senno di poi…” disse.


“No”.

Una voce, dietro le sue spalle, lo fece sobbalzare.
Tremante, si zittì, senza tuttavia avere il coraggio di girarsi; il cuore che batteva a mille, il fiato corto, rimase ad ascoltare.
Forse ...una allucinazione o, peggio, un malintenzionato:

“Non preoccuparti, Fersen; hai fatto ciò che dovevi” disse ancora quella voce.
Una voce maschile, leggera, soave.
“Alain, santo cielo, mi hai fatto spaventare” disse l’ uomo credendo di riconoscere la voce di colui che nel corso di quegli anni gli era diventato amico. Si alzò, si ripulì i pantaloni dal fango, di girò: non c’era nessuno. Solo il chiarore incerto della torcia ed una leggera nebbiolina che saliva dal terreno di un metro e poco più.

“Non sono Alain, Fersen….” disse ancora la voce.
Il conte impallidì.
Voltò gli occhi a destra e manca, scavalcò il recinto, afferrò la torcia per vedere meglio; perlustrò i dintorni. 

Nulla.
Tornò allora sui suoi passi, tornò da quelle tombe.
Evidentemente la stanchezza stava facendo scherzi.
Accarezzò le croci, soffermandosi su quella di Oscar;  con il dito indice, percorse ogni singola lettera del nome, incisa nel legno.
Faceva freddo; tanto freddo.
“Mi dispiace” continuò a ripetere, come una nenia, come non sapesse dire altro. Così per due ore.
Una campana lontana suonò la mezzanotte e solo allora, dopo aver finito lacrime e parole, preghiere e pensieri, si alzò; recuperò il cavallo che aveva legato poco distante da li e cercò di salirvi ma il piede mancò la staffa, facendolo rovinare a terra.
“Accidenti” mormorò tra sè toccandosi la spalla e la fronte, segnata da una fresca, piccola ferita. Fece per rialzarsi ma un capogiro piuttosto forte ebbe la meglio. Toccò il suolo un’ altra volta, e li vi restò, vigile, incapace di fare altro, addormentandosi.


Ha il viso stanco….così stanco disse Andrè. Seduto su una pietra in mezzo ad un prato fiorito, osservava con occhi sani e ancora più vividi l’ uomo appoggiato con la schiena al tronco di un albero.
Hai ragione... gli fece eco Oscar, avvolta da una veste chiara, i capelli lunghi e sciolti, come fili d’ oro.
Credi sia arrivato il suo  tempo? le domandò André. La donna, che gli teneva la mano, scosse il capo.

Andrè strinse forte la mano di Oscar. Insieme, si avvicinarono a Fersen che, quasi accortosi di quelle presenze, aprì gli occhi.
“Voi...voi qui….io...sono morto , forse? Sto sognando? chiese, letteralmente bloccato, immobile.

Oscar si chinò verso l’ uomo.
No, non sei morto, Fersen. Diciamo che in questa sera tutto è possibile e noi...abbiamo voluto salutarti. Sei stato gentile a venire fin qui rispose lei. Il suo sorriso sereno, i suoi occhi sereni e quella voce, così leggera, sembrarono tranquillizzare il conte svedese.

Un sole caldo li avvolse, spuntando improvvisamente da una nuvola. Tutti e tre alzarono gli occhi verso il cielo.
...é il Paradiso? domandò lui,  sgranando gli occhi. Andrè lo guardò.

E’ il nostro...il nostro Paradiso rispose diciamo così. E’ un posto in cui vivremo in eterno, senza dolori, senza patemi disse. Queste parole parvero calmare per un attimo Fersen, che abbozzò un sorriso. 

E’ bello, qui. Sono contento che siate...in questo posto. Avrei voluto fare molto per voi, per darvi una nuova opportunità, per farvi vivere sulla terra ancora un pò disse. Oscar e Andrè, sorrisero ancora.
Lo so, Hans. Ma non darti patemi: noi siamo felici, qui. Lo è anche Lei, anche se adesso non la puoi vedere. ti sta ascoltando; è poco distante da noi. 

Fersen balzò in piedi, guardandosi intorno.

E’ inutile, amico mio. Finchè non verrà il tuo tempo non la potrai vedere. Ma ti assicuro che...sta sorridendo. E’ felice disse Andrè.

Un refolo di vento arrivò a scompigliare i capelli del conte. I tre, l’ uno accanto all’ altro, iniziarono a camminare.

Ognuno ha un destino scritto, sai? A volte è pieno di dolore, a volte no; ma non fa nulla. Prima o poi ci si ritrova qui, con coloro che si sono amati, e si può avere un’ altra opportunità. Non ti crucciare. Sei stato un buon amico, non avresti potuto fare di più, per noi. Ma ti siamo immensamente grati di questi pensieri disse Oscar.
Fersen osservò le persone accanto a lui, ancora incredulo; per un attimo, avrebbe voluto non andarsene mai. Ma ogni cosa ha un suo modo, un suo tempo, e questo stava per finire; se ne rese conto quando intorno a lui, qualcosa , cominciò a cambiare, a farsi scuro, freddo.
La sua vecchia amica, avvicinatasi ad un cespuglio di rose che lui nemmeno aveva notato, ne raccolse una; la mano diafana nemmeno venne sfiorata dalle spine e, pochi istanti dopo, gli porgeva un piccolo, eterno bocciolo.
Fersen prese il fiore tra le sue mani, guardò negli occhi Oscar e poi Andrè. I loro corpi si stavano facendo trasparenti, quasi vetro.
Ci rivedremo li sentì dire, mentre i suoi occhi si facevano pesanti; un istante dopo..si ritrovò, nella luce rosea dell’ alba, disteso nel letto della locanda.
“Sven! Cosa è accaduto? Perchè mi trovo qui?” domandò mettendosi a sedere. Sven, che sonnecchiava sulla sedia, si spaventò e spalancò gli occhi.

“Vi siete svegliato, Conte! Ne sono lieto! Non vi ho visto rientrare e...sono venuto a cercarvi. Vi ho trovato svenuto e...riportato qui” disse.

“io...io...non ricordo cosa sia successo: sono scivolato e...mio Dio, che confusione” esclamò prendendosi la testa tra le mani fermando le sue parole ed i suoi ricordi prima che andassero oltre. Sven si alzò e posò una mano sulla spalla dell’ uomo.

“Riposatevi, ora. Siete molto stanco” disse notando il malessere e la confusione. Poi, uscì.

Fersen rimase a fissare le coperte per poi passare alle sue mani, ancora sporche di fango ed , infine, guardò la stanza.

Sì; era stato senz’ altro un sogno , un qualcosa dettato da stanchezza e pensieri; un pò di riposo non avrebbe guastato, prima di rientrare.
Tornò a stendersi, dunque; ma non appena la testa toccò il cuscino gli occhi, prima di chiudersi, notarono qualcosa sul comodino. 


Un bocciolo di rosa.
Freddo, quasi cristallino, dal profumo intenso.



Fersen chiuse le palpebre, sospirò, sorrise.

Poi, avvolto da quel profumo, chiuse gli occhi e si addormentò, con un sorriso lieve sulle labbra.
   
 
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