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Autore: douce hope    01/11/2021    1 recensioni
Quando sei Cupido è facile credere che l'amore possa nascere tra chiunque.
Di certo ne è convinta Amanda, il cui diletto è aiutare i suoi compagni di scuola a conquistare il cuore della persona amata.
Ma quando al suo cospetto si presente Michele, taciturno, altezzoso e imperturbabile, Amanda capirà che le frecce nel suo arco non sono sempre così facili da scoccare, soprattutto se il bersaglio è la ragazza più bella della scuola.
Tra amici problematici, figuracce continue e sentimenti irrazionali, Amanda comprenderà che l'amore non è semplice come credeva e che quando Cupido scocca la sua freccia, non hai più via di scampo.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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«Fermo lì»

Quando una ragazza di sedici anni usa un tono simile nei confronti di un ragazzo, allora c'è da preoccuparsi. 

Questo Alessandro lo sa bene perché si blocca immediatamente sul posto, come se stessimo giocando a "uno, due, tre, stella!" e mi fossi appena voltata.

La stanchezza impressa nei tratti non mi addolcisce, e mentre aspetto che i miei compagni escano dalla classe, rivolgo un breve cenno a Laura che passandoci accanto ci guarda interrogativa. Lei ricambia intuendo la mia volontà e quando finalmente l'aula si svuota mi volto completamente dalla sua parte e lo fisso cercando di mostrare un'autorità che non mi appartiene.

Alessandro gioca con il laccio della sua felpa continuando a fissare il banco, mentre muove una gamba su e giù nervosamente. I capelli arruffati e gli occhi cerchiati da occhiaie rispecchiano il suo turbamento, e nonostante sia comunque affascinante risulta completamente spento.

Rimango in silenzio aspettando che sia lui a cominciare sebbene sappia non ne ha intenzione, ma non mi alzerò da questa sedia fin quando non parlerà.

L'orologio affisso al muro intanto continua con il suo ticchettio e fa da sottofondo contando i secondi, che diventano minuti.

Non ho mai amato il silenzio, perché è proprio nel silenzio che la mente comincia a parlare e a fare troppo rumore; è nel silenzio che si creano le distanze e le incomprensioni, ed è sempre nel silenzio che ci si può perdere.

Le parole invece uniscono, sono chiare ed illustrative, e soprattutto hanno un peso.

Possono ferire, possono curare, possono anche far innamorare. 

Il mio rifugio è proprio nelle lettere, che siano quelle di un libro, di una canzone o di una conversazione, per me sono fondamentali.

Ecco perché sono qui adesso, perché se non c'è dialogo non c'è comunicazione, e se Alessandro non parla con me o con qualunque altra persona, si porterà tutto dentro fino a scoppiare in mille parole che avranno un peso talmente grande da rischiare di far male ad altri, ma soprattutto a se stesso.

«Che c'è Amanda?» esclama dopo cinque minuti esasperato.

Adesso mi guarda dritto in faccia infastidito, si alza e comincia a girovagare per la classe senza però uscire.

Decido di imitarlo per poi sedermi sul banco su cui si è poggiato.

«Voglio sapere cosa succede» 

Volta la testa in direzione della finestra che affaccia sul campo.

Da qui si vedono i nostri compagni chiacchierare e le risate dei ragazzi risuonano forti e chiare fra di noi.

«Ti sei mai sentita diversa?» chiede improvvisamente sempre fissando di fuori.

La sua domanda mi confonde, «Diversa da cosa?» 

«Da tutti gli altri»

Poggio una mano sulla sua spalla per farlo voltare verso di me, riuscendoci.

«Sì Ale, sempre. E sai perché? Perché sono diversa da tutti gli altri, come lo sei anche tu. Tutti lo siamo»

Scuote il capo per poi sospirare.

Gli occhi azzurri sembrano viaggiare in altri posti a cui solo la sua mente ha accesso.

«Non mi riferivo a questo» sussurra.

«E allora a cosa?» chiedo cercando di comprendere.

«Mi riferisco alla vita degli altri. Sembrano tutte così perfette, certo con i loro problemi e delusioni, ma a loro modo soddisfacenti. Mi sembra che tutti sappiano perfettamente cosa stanno facendo, mentre io sono un buono a nulla»

Si stacca dal banco riprendendo a camminare, mentre io resto un attimo attonita da questa confessione.

Penso a tutte quelle volte in cui Vittoria mi racconta delle sue uscite ed esperienze con Marco, o di quando Laura ci invita alle sue esibizioni al Conservatorio seguite sempre da scroscianti applausi, o di quando Samanta torna a casa con un altro trenta e lode.

Tutte le volte in cui mi sono sentita un passo indietro, inferiore, diversa.

Riesco a immedesimarmi nelle sue sensazioni, ma non mi spiego perché me lo stia dicendo adesso.

Scendo dalla mia postazione  e cerco di sfoderare il tono più fermo che riesca a produrre.

«Prima di tutto non sei un buono a nulla» inizio alzando il pollice in segno di conteggio.

Fa un risatina che stona con la mia serietà.

«Strano, è quello che dicono sempre i miei genitori»

«Perché non ti conoscono davvero, e perché tu non provi loro il contrario»

Adesso il suo sguardo muta in uno furente.

«Perché devo dimostrare qualcosa eh? Sono loro che dovrebbero preoccuparsi di capirmi e non il contrario!» esclama alzando la voce e le braccia.

Faccio un respiro profondo per schiarirmi le idee e spiegare il mio punto di vista senza farlo innervosire.

«Ale, a volte dimentichiamo che anche i nostri genitori sono stati giovani e hanno compiuto i loro sbagli, ma loro sono delle persone proprio come noi e come tali non riescono a capire tutto quello che ci passa per la testa» inizio avvicinandomi a lui

Stringo il suo braccio per costringerlo a sedersi insieme a me e garantirmi la sua completa attenzione.

Lui rimane in silenzio e sembra ascoltarmi davvero.

«Credo non ci sia una persona in questa scuola che non si senta incompreso dai propri familiari, o dai propri amici»

Mi rivolge uno sguardo colpevole capendo il riferimento a noi due.

«Il punto è che quando ci sentiamo incompresi abbiamo l'obbligo di farci capire. Non da tutti ovviamente, ma da coloro a cui vogliamo bene»

Alessandro rimane immobile e questo mi sprona a continuare, «Ale, devi parlare con i tuoi genitori»

«Per dirgli cosa?» sussurra confuso.

«Prima di tutto del tuo amore per la musica, e poi magari puoi garantire loro che ti impegnerai maggiormente a scuola»

«Per loro la musica è una cosa stupida»

«Per te no invece! Questo è il punto, dimostragli di non essere il buono a nulla che credono e che non sei, e fai tu il primo passo. Se loro non ti capiranno, allora dovrai continuare solo per te stesso perché non possono privarti dell'amore e della passione. Quella non può togliertela nessuno. Ma se non ci provi finirai ogni sabato sera ad ubriacarti e a replicare la scena di questo weekend. È quello che vuoi?»

Scuote debolmente la testa.

Non è facile aprirsi con un genitore, forse perché ai nostri occhi sembrano così irraggiungibili, come se noi non fossimo destinati ad invecchiare e diventare adulti, e loro invece fossero cristallizzati a quell'età.

Dimentichiamo che anche loro sono stati adolescenti, e che probabilmente i nostri dilemmi sono esattamente gli stessi.

Il problema è che quando si cresce, si tende a dimenticare cosa si provava all'epoca, perché si è sempre focalizzati sul presente e mai sul passato. 

Ma, se Alessandro non proverà nemmeno a spiegarsi allora i suoi genitori probabilmente non lo capiranno mai.

E lui soffrirà soltanto.

«Mi dispiace per sabato» replica, la voce sfumata di amarezza.

«Non fa nulla, ho fatto una nuova esperienza»

«E cioè?»

«Portarti di peso fino alla tua camera, e sentirti dire di essere innamorato. Ecco, me lo devo segnare quel giorno» 

Alessandro ride e i suoi occhi finalmente si illuminano.

«Come darti torto, almeno Michele era con te»

«Già» replico pensando a quella serata assurda.

«Mi ha fatto anche una ramanzina il giorno dopo, tipico da lui»

Provo a visualizzare un Alessandro appena sveglio e post sbronza che si becca una strigliata da Mr.Perfettino.

Poveretto.

«I tuoi si sono arrabbiati molto?» domando dato che gli hanno confiscato il telefono.

Alza le spalle per intendere che fosse inevitabile.

«Ho detto loro che sono scivolato e ho sbattuto vicino al bancone del bar»

Sorrido immaginandomi la scena, «Non ci hanno creduto, eh?»

«Diciamo che non se la sono bevuta» scherza, «Mi hanno proibito uscite per due settimane, e ovviamente niente telefono»

«Questo te lo sei meritato, mi hai spaventata» gli confesso.

Leggo il dispiacere nei suoi occhi quando mi da un veloce abbraccio, «Mi dispiace»

«Basta che non lo farai più» borbotto contro la sua spalla, stringendolo.

«Facciamo che mi metto d'impegno» si stacca per poi scoppiare a ridere quando gli tiro uno schiaffo sul braccio.

«Grazie Amy» dice serio.

«Dovere»

Mi sorride per poi alzarsi e dirigersi verso la porta, «Vado un pò fuori, vieni?»

«Sì, un minuto e arrivo»

Annuisce e fa per uscire ma all'ultimo si rivolta nella mia direzione.

«Amy»

«Che c'è?»

«Sei davvero una brava amica» mi fa un occhiolino per poi andare fuori dalla classe.

E mentre realizzo il perché della sua frase, un sorriso mi compare sulle labbra.

 

Quando l'ultima campanella della giornata suona, realizzo di star per trascorrere il pomeriggio con Michele Costa.

Se qualcuno me l'avesse detto due settimane fa, mi sarei fatta una grassa risata. Invece è vero, e lo realizzo quando uscendo da scuola lo intravedo alla fine della scalinata con lo zaino gravante su entrambe le spalle, le mani nelle tasche dei jeans e lo sguardo posato su un qualcosa di indefinito.

Scendo gli scalini prendendo un profondo respiro e cerco di calmarmi.

Sì sono agitata, e non in senso buono come quelle agitazioni dovute a sentimenti nascosti. Ho paura per la prima volta di non riuscire a concludere bene il mio lavoro, e di dare un'ulteriore prova a quel ragazzo di essere un'idiota.

Non so perché Michele mi abbia sempre messo soggezione, forse perché fin dall'inizio mi ha ritenuto non meritevole della sua amicizia, o forse perché è un genio a scuola mentre io sono una studentessa media.

Probabilmente deriva dal fatto che ogni cosa che fa o dice sembra sempre così maledettamente giusta, mentre io sparo cavolate un minuto sì e l'altro pure.

Stringo la ringhiera per evitare anche una caduta e lentamente mi avvicino a lui.

Prima che possa farlo però una figura passa al mio fianco di scatto e il secondo dopo vedo Alessandro salutare Michele.

Adesso non posso di certo avvicinarmi e salutare Michele come se fossimo amici, Alessandro sa benissimo che non ci siamo mai davvero parlati. 

Mi chiedo se effettivamente sappia che il suo migliore amico ha chiesto il mio aiuto.
Infondo è stato lui a dargli il mio numero, quindi è ipotizzabile di sì.

Indecisa sul da farsi, convengo che non è il caso di perdere tempo e riprendo ad avanzare in loro direzione. Sono quasi arrivata quando Michele dopo aver dato una pacca sulla spalla ad Ale si allontana velocemente.

Ma stiamo scherzando? 

Mi sta prendendo in giro? Sa benissimo che dobbiamo pranzare insieme. 

Mi faccio spazio tra i corpi dei miei compagni per seguirlo, anche se non riesco più ad identificarlo.

Mi guardo in giro ma nulla, non lo vedo.

Fantastico.

«Cretino, idiota, defi..AHH!» Una mano mi strattona velocemente spingendomi dietro le scale antincendio.

Quando voltandomi realizzo che è stato Michele, mi sforzo di non urlare e attirare l'attenzione.

«No ma dico...sei per caso impazzito?!» lo rimprovero mentre lui continua a guardare i ragazzi che passano.

«Scusami, volevo assicurarmi che non te ne andassi»

«Beh stavo per farlo, dato che sei scappato!»

Finalmente mi guarda e fa qualche passo verso di me.

«C'era Alessandro» dice soltanto.

«E quindi?»

«Come quindi? Lui non sa nulla» spiega ovvio.

Aggrotto la fronte confusa.

«Scusami, ma non ti ha dato lui il mio numero?»

Michele sembra arrossire leggermente e rimane in silenzio.

No un momento, è davvero arrossito o sto avendo un'allucinazione? 

Questo ragazzo mi confonde ogni giorno di più.

«L'ho preso dal suo cellulare durante gli allenamenti»

Questa scoperta mi sorprende non poco.

Non solo Michele aveva chiesto il mio aiuto, ma aveva addirittura rubato il mio numero pur di perseguire il suo obbiettivo.

Nessuno prima d'ora mi aveva dato tale manifestazione e desiderio di conquistare qualcuno, e di ragazzi che avevano chiesto il mio aiuto ce n'erano stati molti.

A Michele piaceva davvero tanto Rebecca.

«Vogliamo andare?» mi richiama.

Annuisco semplicemente sorpassandolo e avviandomi alla fermata dell'autobus.

Con questo peso sulle spalle è impensabile andare a piedi.

Michele mi segue diligentemente senza fare domande, e quando arriviamo alla fermata mi siedo sulla panchina della pensilina.

Lui rimane in piedi al mio fianco mentre altre persone si uniscono a noi nell'attesa.

Possibile che non sia curioso sulla nostra meta? Non gli ho detto nulla e lui non ha fatto domande.

«Non vuoi sapere dove stiamo andando?» gli chiedo alzando lo sguardo dato che sono seduta.

Alza le spalle e continua a fissare l'orizzonte, forse nella speranza di veder arrivare il pullman.

«Hai detto che devo fidarmi di te, no?»

Allora ascolta davvero quello che dico. Si sta davvero affidando a me.

Non sapendo come controbattere resto in silenzio fino a quando non arriva l'autubus.

Dopo un quarto d'ora d'attesa (siamo stati fortunati) saliamo finalmente sul mezzo e dopo poche fermate arriviamo a destinazione.

Michele continua a seguire il mio passo e questo silenzio sta cominciando a starmi stretto.

L'ho detto, non riesco proprio a sopportarlo.

Quando varchiamo il cancello di Villa Borghese so che non devo spiegargli dove siamo, la bellezza e la magia di questo luogo è nota a tutti.

Ci dirigiamo verso il chiosco superando bambini urlanti intenti a divertirsi, coppie sdraiate sull'erba e persone intente a fare jogging.

Michele volta lo sguardo in mille direzioni diverse con una scintilla negli occhi , e devo ammettere che i suoi occhi verdi rapiti e riempiti da tutto il verde intorno a noi degli alberi e dell'erba, è qualcosa di incantevole.

Quando raggiungiamo il piccolo chiosco di hot dog lui non se ne accorge nemmeno, preso dalla bellezza di questo luogo.

«Michele» lo richiamo mentre osserva il lago e il Tempio di Esculapio che si intravede in lontananza.

Quando torna a guardarmi si accorge che siamo arrivati e finalmente ordiniamo.

Dopo aver pagato i nostri hot dog e le bottigliette d'acqua ci allontaniamo alla ricerca di un posto dove sederci.

«Vogliamo andare vicino il Lago?» mi propone in tono speranzoso.

Annuisco con un piccolo sorriso, mi sembra un bambino al parco giochi.

Troviamo fortunatamente una piccola panchina sotto un albero e mangiamo silenziosamente osservando la distesa d'acqua davanti a noi.

Molte persone fanno delle foto, altre ancora hanno affittato delle barchette per godersi il pomeriggio in maniera romantica, stile "Le pagine della nostra vita"

Incredibile che io e Michele siamo qui adesso, insieme, e senza nessun altro.

Mi sembra una situazione così surreale.

«Sai che non sono mai stato qui?» dice all'improvviso guardandomi con la gioia negli occhi.

Do un morso al pane e mastico lentamente mentre un leggero vento smuove i miei capelli.

«Lo avevo notato, da quanto vivi a Roma?» domando una volta ingoiato.

Mi rendo conto di non sapere davvero nulla di lui, ricordo solo che si è trasferito nel nostro istituto al secondo anno, ma non so se prima frequentasse altre scuole o vivesse in un'altra città.

Mi sorprende la voglia di sapere qualcosa su di lui, stanca di questa sua aria di mistero.

«Da un anno e mezzo» replica distogliendo lo sguardo dal panorama per fissarlo sul mio viso.

Di riflesso sposto il mio prendendo un altro morso.

«Prima dove andavi a scuola?»

«Prima vivevo a Firenze»

Drizzo le orecchie al sentire il nome della città più affascinante d'Italia per me.

Ho sempre sognato di andare a Firenze, ma sfortunatamente non ho mai avuto la possibilità di visitarla.

«Che bello!» non contengo il mio entusiasmo, «e come mai vi siete trasferiti?»

Non mi importa di risultare un'impicciona, lo ammetto.

«Mio padre ha avuto un'offerta di lavoro qui» mi spiega soltanto.

Riprende anche lui a mangiare chiudendo l'argomento.

Finisco il mio pranzo e aspetto che lui faccia lo stesso per portarlo dove davvero mi interessa.

Michele si alza e comincia a scattare tantissime foto al lago, al tempio e a tutto ciò che cattura la sua attenzione.

Si impegna davvero molto, e mi viene da ridere quando inarca la schiena all'indietro per prendere tutto il panorama nello schermo.

«Dai andiamo Henri Bresson» lo prendo in giro paragonandolo al grande fotografo.

I suoi occhi si tingono di sorpresa alla mia affermazione.

«Che c'è? Anche a me piace la fotografia» faccio spallucce.

Lui sorride in risposta e ripone il telefono nella tasca.

«In realtà si chiama Henri Cartier-Bresson» 

«Come ti pare»

Comincio ad allontanarmi infastidita mentre odo la sua risata divertita alle mie spalle.

Stupido Mr Perfettino.

Sento i suoi passi sui ciottoli seguirmi, e quando raggiungiamo la meta un senso di beatitudine scuote il mio corpo.

Non riesco neanche a esprimere la magia che mi trasmette questo luogo, mi sembra sempre di entrare in un mondo incantato.

«Perché ti sei fermata davanti un orologio?» chiede curioso.

Senza dargli una risposta mi avvicino alla piccola staccionata poggiando i gomiti su di essa e ammirando l'orologio che si erge su un isolotto roccioso circondato da un laghetto artificiale a seguito di un ponticello in legno.

Michele copia i miei movimenti e si posiziona al mio fianco.

«Questo non è un orologio come gli altri» illustro attirando la sua attenzione.

Percependo i suoi occhi su di me, continuo, «È un orologio ad acqua, cioè funziona grazie al movimento della stessa. Non so perfettamente come faccia, comunque segue un principio fisico...credo»

Michele ascolta attento e vedo che osserva anche lui l'opera davanti a noi.

«Di solito i turisti non ci prestano molta attenzione, ma io credo sia stupendo» 

Muove il capo come se concordasse con me, «Lo è, sembra di essere in una foresta incantata»

«Lo so»

Vedo Michele assottigliare gli occhi e sporgere il busto in avanti, come se stesse leggendo qualcosa.

Guarda l'orologio al suo polso e fa un piccolo sorriso, «È indietro» dice soltanto indicando l'orario che porta.

«O forse siamo noi avanti»

Mi stacco dalla staccionata per andarmi a sedere sulla panchina e lui mi segue.

Posiamo gli zaini ai nostri piedi e prendendo un profondo respiro mi volto nella sua direzione.

«Ti ho portato qui, perché questo posto è importante per me» gli chiarisco, «vengo qui quando qualcosa va male, e guardo questo orologio. In qualche modo riesce sempre a calmarmi»

Riprendo a prestare attenzione all'oggetto di fronte a noi stringendomi nella giacca a causa del vento che soffia freddo.

«Il fatto che funzioni con il movimento dell'acqua mi affascina. Immagino che se l'acqua scorra più velocemente o lentamente allora anche il tempo viene alterato. Forse non è così, infondo non ci capisco nulla di fisica, però mi fa pensare che in realtà il tempo non esiste davvero. Lo abbiamo inventato noi. Il tempo è relativo, non è misurabile, un pò come i sentimenti e le cose che viviamo. E penso che se anche il tempo può essere interpretato in vari modi, allora lo è anche tutto il resto. Così quando sto male vengo qui, e fissando questo orologio provo a cambiare prospettiva e vedere le cose da un punto di vista diverso e che non avevo considerato» 

Non una parola esce dalle sue labbra e sento l'imbarazzo scuotermi il corpo e farmi arrossire.

Non avrei dovuto espormi così tanto, ma quando inizio a parlare le parole escono dalla mia bocca come un fiume in piena e non riesco a fermarle.

Non ho mai portato nessuno qui, questo è il mio posto sicuro, ma l'ho fatto perché so che Michele non lo condividerà con nessuno e perché voglio dimostrargli qualcosa.

«Perchè l'hai fatto...intendo, farmi vedere questo posto?» domanda serio guardandomi dritto negli occhi.

Michele non fare così che mi metti a disagio, grazie.

Mi schiarisco la gola cercando di non balbettare e fare la figura della scema.

«Ti ho detto qualcosa di personale su di me, per farti capire che puoi fidarti»

Porto i capelli dietro le orecchie e prendo un profondo respiro, «Lo so che non siamo mai andati d'accordo e che mi detesti, però voglio davvero aiutarti e voglio aiutare anche Alessandro. So che tieni a lui proprio come me, e solo andando d'accordo possiamo farcela. Quindi perché non ricominciamo d'accapo?»

È una mossa azzardata la mia, dato che non sopporto la sua aria di superiorità e perfezione, ma sabato scorso Michele mi ha dimostrato di essere un bravo amico, presente e solidale, ed è un qualcosa che apprezzo tanto.

Ci sono tanti aspetti che non conosco di lui, e forse diventando amici e imparando a vederlo davvero, il mio astio si assopirà.

Non posso saperlo con certezza, ma sono stanca di portare rancore.

«Perché credi che ti detesti?» domanda con tono indecifrabile sorprendendomi.

«Non è così?»

Il suo sguardo mi fa sentire una completa scema, ma ho i miei motivi per credere che sia così.

A partire dalla festa in cui ci siamo conosciuti.

«Amanda, non mi hai fatto nulla, perché dovrei odiarti?»

La sua domanda non fa una piega, ma se per tanto tempo ho avuto questa convinzione un motivo c'è.

Non mi ha mai salutata, mai parlata, sempre ignorata e guardata dall'alto in basso.

Di certo non potevo immaginare di essergli simpatica.

«Perché mi hai sempre ignorata Michele» spiego il mio punto di vista.

Scuote la testa mentre io non so cosa dire.

E chi si immaginava questo risvolto?

«Questo è perché sono io che non do molta confidenza alle persone, ma non ho nulla contro di te»

Posa una mano sulla mia spalla e mi sento andare a fuoco.

Va bene che non ti sono antipatica, ma meno confidenza grazie, che non sono abituata.

«Mi dispiace se ti ho fatto credere il contrario»

Nei suoi occhi leggo vero rammarico e il verde si è leggermente adombrato.

Una morsa mi stringe lo stomaco e decido di proporgli un trattato di pace.

Da oggi inizia una nuova era.

Allungo una mano sotto il suo sguardo smarrito, «Amici?» convengo.

Sorride e una piccola fossetta si forma sulla guancia quando ricambia la mia stretta e posa la mano nella mia.

«Amici»
 

   
 
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