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Autore: MaikoxMilo    01/11/2021    6 recensioni
Sulla scia del racconto de "Il Piccolo Principe", la storia dell'evolversi del difficoltoso rapporto tra Camus e Hyoga, maestro e allievo, padre e figlio, tra inciampi vari, incomprensioni, modi di essere così apparentemente distanti eppure così simili. Perché proprio come l'aviatore, anche Camus impara a ritrovare sè stesso solo grazie al bimbetto dai capelli color del grano che, un giorno di febbraio lontano, in Siberia, entra nella sua vita, per lasciarci il segno.
DAL CAPITOLO SECONDO:
“Devi guardare dritto davanti a te, sempre! - rimarcai, rialzandomi in piedi, prendendolo però per mano per aiutarlo a muoversi in mezzo a tutta quella neve – Non dietro, non di fianco, dritto!”
Hyoga sembrò rimuginare su quella frase durante tutto il corso del nostro viaggio per tornare all’isba, il luogo che gli avrebbe fatto da casa da quel momento in avanti… speravo… se il suo fisico avesse retto a tali climi.
“Dritto davanti a sé, però… non si può andare poi così lontano!” mi fece notare al termine della sua riflessione, un poco meno timidamente di prima, guardandomi con quegli occhioni e stringendo la presa sulle mie dita.
Imparai a mie spese che 'dritto davanti a sé' era davvero sin troppo limitato!
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Tipologie umane… vi è un pezzo, nel Piccolo Principe, in cui lui, sentendo il bisogno di allontanarsi dal suo pianeta per non reputarsi all’altezza di prendersi cura della sua rosa, incontra, lungo il suo percorso, questi individui che rappresentano il mondo degli adulti.

Il re.

Il vanitoso.

L’Ubriacone.

L’uomo d’affari.

Il lampionaio.

Tralascio momentaneamente il sesto pianeta, quello abitato dal geografo.

Ecco, queste personalità, io le ho sempre associate ad un unico individuo, di cui infatti volevo avere il meno possibile a che fare: Elisey!

Elisey era il fratello maggiore del mio maestro Fyodor, ma, di lui, non aveva nulla. NULLA!

D’altronde, era troppo pieno di sé, per essere anche solo lontanamente simile a lui.

Credeva di poter governare su tutto, di comprendere tutto, di essere tutto, e solo lui, come se avesse il dono dell’illuminazione divina. Non sapeva niente, invece! Era solo un montato, irritante, so-tutto-io fermamente convinto di essere arrivato al senso più profondo della vita.

Esattamente come il re, il vanitoso e l’uomo d’affari.

Come se non bastasse, dopo la morte di suo fratello, aveva pure cominciato ad ubriacarsi per dimenticarlo e scordarsi, io penso, persino di dovermi tirare su. Del resto… il mio addestramento da Sciamano non era completo quando morì Fyodor, e lui, suo fratello, voleva portarmi allo stato di piena maturazione, calpestando i miei sentimenti, le mie incertezze, obbligandomi a percorrere una strada che non era la mia. Lo odiavo. Senza se e senza ma.

Nell’incompatibilità dei nostri caratteri, ad un certo punto, quando era particolarmente avvinazzato, prese perfino a sfogare su di me la sua rabbia e frustrazione, arrivando a picchiarmi quando mi opponevo ai suoi desideri.

Non potevo, non volevo, diventare suo allievo; non potevo, non volevo, assurgere al ruolo di Evocatore che lui aveva già tracciato per me, pertanto, dopo vari tentativi infruttuosi, mi lasciò perdere, decidendo di andare a zonzo in lungo e in largo per la Siberia e disinteressarsi conseguentemente del mio addestramento.

Ma io ero pur sempre una sua responsabilità, sebbene ricaduta forzatamente sulle sue spalle, lui non poteva, come niente, sparire e non farsi più vedere -cosa che avrei preferito alquanto!- perciò se la risolse facendomi visita saltuariamente, giusto per sincerarsi se io fossi ancora vivo e tutto integro. Questo anche fino al primo anno di addestramento con Isaac.

Vedi, persino un individuo simile, stracolmo di difetti, cercava di portare a termine, nel migliore dei modi concessogli, la sua consegna, il suo compito, rimanendogli fedele, esattamente come il lampionaio, esattamente come feci poi io, erroneamente, nei confronti di Hyoga.

Elisey non era adatto a quel ruolo; non era adatto ad essere un maestro, così io, ma ci provò comunque in maniera che a me appariva spietata e incomprensibile, ma necessaria.

Ciò che non comprendevo allora, e che ancora adesso riesco appena a percepire, era che la sua consegna fosse molto più grande di lui stesso, e non si riduceva a forzarmi a maturare, diventando lo Sciamano che Fyodor avrebbe voluto per me, ma… molto di più!

All’epoca sapevo solo che non volevo più nulla da lui, né il suo aiuto, né tanto meno i suoi interessamenti, eppure, ancora una volta, quando io avevo bisogno di lui, perché avevo sottovalutato una polmonite, che era diventata bilaterale e si era notevolmente aggravata, lui apparve, così come sempre nel momento del bisogno. Ai suoi modi.

Alla Elisey.

Quando caddii a terra, il respiro rotto, la sensazione di avere i polmoni pieni d’acqua, le mie percezioni divennero frammentate. So solo che quando cominciai lentamente a rinvenire, mi sentivo bollente e avevo la perenne sensazione di essere in apnea. Una mano un poco nodulosa mi stava alzando la maglia, scoprendomi l’addome fino allo sterno. Ebbi l’impulso appannato di dibattermi, di mandare al diavolo chi osasse importunarmi in una simile maniera, ma le energie, nello specifico, erano calanti; gemetti quindi appena, rabbrividendo. Non potevo fare nient’altro. Quella stessa mano mi schiacciò la pancia in più punti, sopra, sotto, dai due lati dell’ombelico, pur avendo l’accortezza di non toccarmi proprio la fossetta che, come sai, è una zona che avverto sensibilissima. Comunque mi toccò in lungo e in largo ed io non potevo oppormi, il solo pensiero mi dava le vertigini, facendomi sentire male.

Qualcuno parlò al di fuori di me, ma non riuscii a codificare nulla, sembravano schiamazzi. Qualcun altro era in apprensione, ma non lo riconoscevo, ero troppo stremato per farlo. Questo qualcuno parlò di nuovo, sbuffò sonoramente, poi avvertii la pressione sul mio sterno diminuire, l’ombra sembrò allontanarsi di un poco, prima di venire colpito da quella che a me parve una sberla fatta e finita, affatto labile, inferta allo scopo di farmi male e nient’altro. Mi lamentai, ma ancora non uscì nulla di concreto dalle mie labbra.

“Andiamo, idiota, non ho affatto voglia di farti da badante, né di partecipare al tuo funerale!”

Quella volta riconobbi il tono così aspro, mi mossi appena con l’ovvio intento di mandarlo al diavolo per la direttissima, ma in quell’istante avvertii uno dei lupetti correre frenetico per la stanza, prima di saltare addosso, con ogni probabilità, proprio ad Elisey.

Un’altra imprecazione in russo nell’aria, qualcun altro ringhiava e sibilava insieme, come se volesse proteggere qualcosa, qualcuno, con tutte le sue forze.

“Se lo tocchi ancora una volta a quel modo te la faccio vedere nera!” gridò, affatto docile.

“Tu fuori di qui, microbo, mi ostruisci!”

“TU fuori di qui, non è casa tua! Non ti devi permettere neanche di toccarlo il Maestro Camus!”

“Sei tu che mi hai chiamato per lui, piccolo ingrato, e ora… AHIA! Questo idiota che non sa nemmeno prendersi cura della sua salute ti ha insegnato a mordere come i cani?! SPARISCI!”

Mi prese quasi un colpo nell’avvertire un tonfo sordo seguito dal rumore secco della porta che sbatteva, mentre l’immagine di Isaac -sapevo trattarsi del mio ometto, potevo percepire la sua voce nelle tenebre più fitte- che veniva lanciato malamente fuori, mi diede le energie sufficienti per incamminarmi verso la coscienza.

“N-non devi permetterti di, anf...”

A giudicare dalla sua non-reazione, non doveva però avermi udito.

“Certo che lo hai allevato davvero selvatico, quello, menomale che l’altro, il biondino, sembra sano di mente, probabilmente non è stato ancora contaminato da te! - mi disse, rude, con la solita franchezza che mi irritava al solo udirsi – Comunque grazie, Camus, per avermi avvertito di aver avuto in affido un altro allievo, la tua lettera ricca di passione e buona creanza mi ha commosso!” ironizzò poi, sarcastico, cominciando a frugare qualcosa da qualche parte.

Ovviamente non gli avevo inviato alcuna lettera, neanche ce lo volevo lì, a dirla tutta. Dalla nostra accesa discussione dell’anno prima, quando mi aveva picchiato più violentemente del solito e Isaac era intervenuto, mi ero prefissato di chiudere tutti i ponti con lui. Lo odiavo e basta, e non lo capivo; non potevo capirlo! Un po’ per il senso di colpa verso il mio maestro, un po’ perché, in fondo, eravamo dannatamente simili.

“Me lo sono trovato davanti, con il nasino rosso e gocciolante, l’espressione terrorizzata… Hyoga si chiama, eh?! Anche questo lo so grazie ad Isaac, fosse per te… pffff, ma figuriamoci!” mi disse ancora, prima di piegarsi nuovamente su di me. Sembrava risentito.

Mi alzò ulteriormente la maglia fino a metà torace per poi posarmi un tondino freddo al centro del petto e scendere, auscultandomi. Sussultai, provai freddo e nausea a quella sensazione, raccolsi quindi tutte le energie per riaprire gli occhi e parlargli.

“T-toglimi questo dannato coso di dosso, anf, Elisey!” lo minacciai, con il respiro però troppo corto per essere credibile. Lui infatti ghignò di riflesso, tronfio a sua volta.

“Beh, buongiorno anche a te, Camus, ben svegliato! Che brutta cera che hai...”

“Vai… al diavolo, anf!”

“Io no… tu però ci stavi per andare: polmonite bilaterale e… anzi, facilmente bronco-polmonite, per non farci proprio mancare nulla. Hai i polmoni e i bronchi ridotti ad un catorcio!” dichiarò, continuando ad ispezionarmi con quel dannato affare.

“S-se mi tocchi ancora una volta, i-io…”

“Cosa?! Cosa vorresti fare, Camus? Non puoi nulla al momento, non ti reggi neanche in piedi da solo e sei svenuto come un sacco di patate. Se nessuno mi avesse avvertito, dovevamo chiamare direttamente i becchini, neanche l’ospedale più vicino sarebbe bastato, oltre al fatto che, come ben sai, non è che il sistema sanitario russo sia proprio la migliore delle soluzioni!”

“Non sono… problemi tuoi!” gli risposi, piccato, guardandolo male. Non ero in forma, non potevo ribellarmi, ma non potevo tollerare di sottostare così a lui.

“A quanto pare il tuo lupacchiotto selvatico preferito, Isaac, non la pensava così, visto che mi è venuto a chiamare. Ti ha trovato svenuto per terra e si è spaventato; io fortunatamente ero nei paraggi, sento le percezioni di ogni cosa, lo sai, no? Sentivo ci fosse qualcosa che non andasse e quando mi è arrivato il pargolo quasi in lacrime, ne ho avuto conferma. Eccomi quindi qui a salvarti la vita!”

“Non ho… bisogno di niente!” mi opposi ancora, strizzando le palpebre nell’avvertire un giramento di testa, rimproverandomi la mia debolezza.

“Se hai voglia di morire nel tuo stesso catarro procedi… non è una bella morte, però!”

Non ribattei nulla quella volta, mi abbandonai con la testa di lato, stremato, il peso sempre più fitto sul petto, la bocca semi-aperta, alla ricerca dell’ossigeno. Non stavo bene ed Elisey aveva ragione, ma il mio orgoglio mi impediva di ammetterlo, soprattutto mi impediva di accettare il suo aiuto.

Inaspettatamente il mio silenzio venne accolto da lui con un lungo sospiro e un cambio di tono che mi confuse ancora di più.

“Sul serio, ragazzo… hai i polmoni messi veramente male, i bronchi devo ancora controllarli minuziosamente, ma dalle mie percezioni non sono messi tanto meglio. Girati su un fianco, se riesci, cosicché io...”

“Io… non ho bisogno di n-niente, Elisey, me la sono sempre cavata… da solo, anf! P-perché tu...”

...Mi hai lasciato da solo, dopo la morte di Fyodor, che era tutto per me, mi hai lasciato solo e smarrito perché non mi reputavi sufficientemente degno. Non hai nemmeno rispettato il mio volere di rimanere un Guaritore, non ti posso perdonare!

Pensai, ma non glielo dissi, sarei risultato troppo patetico.

“Può non importare a te, ma ad Isaac sì, era molto preoccupato, mi è venuto a cercare, sfidando la tormenta fuori… sai che non andiamo d’accordo, io e lui, eppure per te lo ha fatto… non vanificare i suoi sforzi!”

“Is-a-ac...”

Buttai un occhio dalla finestra, effettivamente nevicava: una tormenta polare a maggio, rabbrividii: era ancora troppo debole per sfidarla da solo, anche lui aveva avuto una brutta polmonite, eppure…

“Come certamente saprai, perché ho visto che gliela hai trattata, non è ancora guarito, eppure non ha esitato un attimo per te! - sottolineò infatti, poco dopo, in un tono che mi rammentava Fyodor – Per cui fallo almeno per lui, girati su un fianco e permettimi di visitarti.”

Non dissi nulla ma, forse convinto dalla debolezza, o dalla sua improvvisa dolcezza, mi cercai di girare faticosamente da un lato in modo da dargli la schiena e nascondere i miei occhi lucidi, ma mi dovette comunque aiutare lui, stavo troppo male per farlo da solo.

Annaspai, spossato. Lui mi posizionò meglio le braccia in modo che non ostruissero con la sua visita, mi posò una mano sul diaframma per sondare il mio respiro, che appariva ai suoi occhi sin troppo frenetico. Le gambe, che io avevo piegato istintivamente verso il ventre per nascondere un minimo la pancia, mi vennero forzatamente distese, prima di passare a controllarmi la schiena.

“Va bene così, ragazzo, farò più veloce possibile!”

Ecco perché odiavo Elisey sopra ogni cosa, ecco perché non lo potevo tollerare... perché era uno stronzo patentato, un farabutto, un ubriacone pieno di sé e persino un vanitoso, ma sapeva essere come Fyodor, all’occorrenza, ed io, quello, non potevo sopportarlo in alcun modo.

Mi pigiò le spalle per spingermi ad incurvarmi di più, poi mi sollevò la maglietta fino ad oltre le scapole, che cominciò a picchiettare con le dita esperte. Strinsi le dita sul lenzuolo, cercando di trattenermi il più possibile dall’impulso di scappare. Odiavo sentirmi scoperto e ancora di più maneggiato, ma non avevo comunque le forze per oppormi. Respiravo male, sempre peggio, il catarro mi bruciava nel petto. Ansavo. Mi lasciai andare sul cuscino, gli occhi chiusi, serrati, cercando di resistere al malessere che mi provocava il suo tocco.

Mi tastò la schiena, con precisione, prima di posarmi nuovamente il tondino freddo tra le scapole, sussultai appena, faticavo sempre più a rimanere cosciente. La consapevolezza di avere la maglia tirata su sia davanti che dietro, mostrando così buona parte del busto, mi metteva sempre più a disagio, la coscienza veniva meno mano a mano che il mio respiro diventava sempre più difficoltoso.

“Dai un colpo di tosse!”

“N-n… anf...”

“Fai così tanta fatica? Provaci, almeno...”

Eseguii quell’ordine, rendendomi conto che il suono che ne derivò pareva quasi un sibilo striminzito di una vespa che agonizzava.

“Fai un altro tentativo...”

Provai ad assecondarlo, ma fu peggio della prima.

“Come supponevo, ragazzo...” arrivò alla conclusione, sospirando, prima di alzarsi in piedi, fare il giro del letto e chinarsi nuovamente su di me.

Mi aiutò a voltarmi supino, posizionandomi meglio sul cuscino, le braccia lungo i fianchi, prima di passare a tastarmi, pratico, il costato, costola per costola. Ancora mi premette il tondino sul petto, prima al centro, poi sotto il capezzolo di sinistra, il destro, per auscultarmi il cuore e i polmoni. Mi fece tossire di nuovo, ma non riuscivo a fare di meglio. Ero stanco, totalmente alla sua mercé, la testa girava vorticosamente. Desiderai solo essere ricoperto, mi sentivo totalmente a disagio così, con quella maglia tirata a quel modo, ammucchiata sopra le clavicole, il torace e l’addome scoperti.

“Bisogna liberarti al più presto di questo catarro che ti rende così difficoltosa la respirazione. Fortunatamente ho sempre con me delle erbe adatte allo scopo, posso ridurle in poltiglia e somministrartele per via orale tramite un aerosol… ehi, Camus, riesci ancora a sentirmi?” mi posò una mano sul diaframma mentre lo diceva. Sussultai con forza.

“S-sì, a-arf, anf...”

Volevo rispondergli meglio, ma non mi riusciva, non avevo quasi più fiato. Lo avvertii nuovamente incombere su me, mi sforzò ad aprire meglio la bocca, reclinandomi la testa indietro per controllarmi la gola, le tonsille. Poi le sue mani esperte scesero nuovamente su mio collo, me lo schiaccio in più punti. Inarcai di riflesso la schiena, sentendomi in trappola, sin troppo vulnerabile al suo cospetto.

“Calmati… intanto ti passo una mistura di erbe che dovrebbero aprirti maggiormente le vie aeree” mi avvisò ancora, prima di allontanarsi.

Udii appena i suoi passi sempre più lontani, poi una parte della mia coscienza si perse per un tempo indefinito.

Rinvenni non so quanto bene dopo, senza però riuscire ad aprire gli occhi, avvertendo le sue mani passarmi pratiche sul petto con movimenti circolari. Percepivo la pelle unta, ma riuscivo a respirare con maggior regolarità. Avevo freddo, non avevo più la maglia indosso, probabilmente me l’aveva tolta, lasciandomi tuttavia i pantaloni, sebbene fossero tirati giù quasi fino al livello dell’inguine. Non volevo continuare quel supplizio, provai a dirglielo, ma dalle mie labbra non uscì nulla.

Non potevo fare altro che subire, non avevo altre energie in corpo. Udii appena dei tonfi intorno a me, qualcosa che veniva aperto e poi chiuso, e poi ancora la presenza di Elisey, mi sollevò un poco la nuca, legandomi dietro un qualcosa di rassomigliante ad un laccio, prima di posare sul mio volto una mascherina e azionare così il marchingegno che doveva essere un aerosol, o qualcosa di simile. Il suono che ne derivò, peraltro continuo, mi disturbò non poco, spingendomi a tentare di ribellarmi, voltando il capo da una parte e dall’altra.

“Stai un po’ quieto… tra non molto starai meglio. Ti verrà anche sonnolenza, tu seguila senza opporti!” si raccomandò, riadagiandomi sul cuscino, percorrendo la linea del mio addome con quelle sue dita, che sembravano onde calme del mare che lambivano dolcemente uno scoglio.

Ero confuso dalla situazione, dal suo atteggiamento, mi parve infine di avvertire una mano passarmi gentilmente tra i capelli, riportandomi alla mente ancora Fyodor. Il pensiero di lui mi calmò per un attimo.

Il pensiero di lui...

Pa-pà...

“Bravo così, ragazzo… respira con più calma ora, e addormentati!”

Persino lì, in quelle nebbie, non riuscivo a pensare ad altro che detestassi Elisey, che non potevo fidarmi, che era tutto sbagliato, e che era ingiusto che, in simili situazioni, si permettesse di essere gentile e delicato come suo fratello.

Lui non era Fyodor, non avrebbe mai potuto esserlo e, mi odiava, così come io odiavo lui, e allora perché quel tocco, quelle attenzioni, quelle cure non richieste?! Perché mi sentivo comunque più tranquillo, con lui al mio fianco?! No… NO! Io non avevo bisogno di lui, non lo volevo, non potevo volerlo!

Mi divincolai di nuovo a vuoto, tentando di oppormi.

“N-no, no… anf!”

“Devi stare tranquillo, Camus, ora non sei nelle condizioni di poterti muovere!” mi disse, tirandomi un poco su la coperta in modo da coprirmi il ventre che si alzava e abbassava freneticamente.

“Va’ via… p-per favore, anf!” gli dissi, quasi implorando, perché non avevo le forze per utilizzare un altro tono.

La sua mano si immobilizzò sul mio petto che mi stava nuovamente auscultando. Sapevo di essermi appena comportato da ingrato, che Elisey era giunto per me, pur chiamato dal mio soldo di cacio, mi aveva appena soccorso e, probabilmente, senza il suo intervento, sarei morto soffocato dal mio stesso catarro, ma avercelo lì, ad assistermi, a contemplare la mia debolezza con quei suoi occhi freddi e scuri, lontani anni luce dai miei bisogni, era insostenibile per me.

“V-va’ via...” rimarcai debolmente.

“Sì… so bene che non sei a tuo agio con me qui, tra poco me ne andrò, non temere. Ti chiamo il pargolo, darò poi a lui le istruzioni per accudirti quando sarà passata la fase critica – mi rispose infine, un poco a fatica, in un tono talmente sommesso da essere quasi irriconoscibile – ISAAC, vieni qui, per favore!” chiamò poi il mio allievo, togliendo la mano dal mio petto per poi voltarsi in direzione della porta.

“Mmmh!” non seppi bene cosa avessi desiderato comunicargli, ma la frase si perse nel vuoto, così come il mio gesto di trattenergli l’orlo della veste per farlo rimanere lì, al mio fianco.

Non… andartene!

Non capivo lui e… neanche me! Non avevo bisogno di lui, allora perché lo cercavo?!

I miei sensi andavano offuscandosi… quella dannata cosa che mi stava somministrato Elisey per via orale mi rimbambiva di più, rendendomi fragile ai suoi occhi, o a quelli dei miei allievi. Facevo fatica ad accettarlo. Le mie percezioni andavano svanendosi, tutte, ad eccezioni di quella di Isaac che, a giudicare dallo scricchiolio del pavimento, era appena entrato quatto quatto nella stanza, un poco timoroso, forse da vedermi ridotto in simili condizioni.

Il mio ometto potevo avvertirlo sempre, sempre, qualsiasi cosa avesse potuto succedere intorno a me. Anche in quel caso mi parve quasi, pur tenendo gli occhi chiusi, di vedermelo avvicinarsi.

“Non disturbarlo, mi raccomando, fallo dormire. Quando la soluzione si esaurisce avvertimi che gliela cambio. E’ in gravi condizioni, ma è un Cavaliere d’Oro, penso che dopo questo trattamento intensivo, tempo una manciata di giorni, la fase acuta dell’infiammazione dovrebbe iniziare a scemare”

Non ci fu alcuna risposta verbale per una manciata di secondi, poi avvertii le sue piccole dita carezzarmi il dorso della mano, ancora così grande rispetto alla sua, per poi stringermela.

“Cosa… ha?” il suo sembrò quasi un pigolio che nulla aveva con il suo solito tono vivace e squillante.

“Quello che avete avuto tu e Hyoga ma elevato al metro cubo perché non se lo è trattato!” fu la sbrigativa risposta.

“Dovevamo accorgercene...”

“Voi?! Due bimbi di 8 anni?! Se non li sa lui i suoi limiti...”

“Elisey...” ringhiò ancora il piccolo, prima di essere interrotto da quella che, a giudicare dal suono, parve una leggera pacca sulla spalla.

“Hai agito bene, non fartene cruccio!”

Sentii Isaac sospirare abbattuto, in pena per me, mentre Elisey mi rimboccava ulteriormente le coperte, avendo cura di lasciare il braccio destro, quello che stringeva il mio ometto, fuori. Mi passò una mano nodulosa tra i capelli, sulla fronte, alzandomi un poco i ciuffi per poi farmeli ricadere con naturalezza.

Come anche Fyodor faceva… in un tempo sempre più lontano che mi mancava sempre di più.

Le mie palpebre fremettero nel cercare di dire le parole che non riuscivo ad esprimere, ma lui mi adagiò meglio la testa sul cuscino.

“Riposa, Camus...” mi sussurrò, e, per un istante, vidi il volto gentile di Fyodor al posto del suo.

“Hyoga è in piedi, anche se non dovrebbe. Ha ancora la tosse e l’affanno, ma era preoccupato per il Maestro. E’ proprio qui fuori, l’ho imbacuccato con la coperta, per quanto sono riuscito. Trema tutto!”

“Beh, neanche tu stai proprio come un fiorellino, eh, anche se prima sembravi una iena! – la buttò lì Elisey, quasi sbuffando – Ci penso io a Hyoga, lo rimetto a letto, tu stai un po’ con lui, lo tranquillizzerà!”

E uscì, chiudendosi la porta dietro senza sbatterla.

La situazione sembrò quasi cristallizzarsi, sentivo forte e chiara la presenza del mio ometto vicino a me, quella sua manina, che si era mossa per stringere la mia, e che racchiudeva a stento le mie dita.

Sapevo di apparire fragile agli occhietti del mio ometto, come un oggetto vuoto, e non volevo. Lui aveva bisogno di me, ero io a doverlo proteggere, dopo ciò che era accaduto ai suoi genitori, eppure...

Isaac, dopo un poco di riluttanza e qualche colpo di tosse, si arrampicò sul letto come una scimmietta, rimanendo ad osservarmi per un tempo indefinito. La sua piccola mano tornò su di me, accarezzandomi dolcemente i capelli con movimenti ritmati, un po’ come avevo fatto io quando era mancato Lisakki. Mi acquietai, cullato dal suo tocco e dal suo profumo un poco selvatico -come lo aveva riconosciuto anche Elisey- che mi stava accompagnando verso il sonno.

Cercavo sempre di non darlo a vedere, ma… mi piaceva molto essere toccato tra i capelli, mi faceva sentire un po’ a casa. Lo faceva spesso nostra madre, lo faceva spesso Fyodor, ed io mi sentivo al sicuro con lui, esattamente come mi sento adesso con voi, ma bichette.

Anche all’epoca, mi sentivo così al sicuro con il mio soldo di cacio vicino… ma non potevo dirlo, era più piccolo di me, aveva lui bisogno di protezione, non il contrario. E quindi mi dimostravo burbero e distante ma averlo lì, a ripercorrere piano piano i miei stessi passi, mi rendeva più sicuro: era il mio sostegno.

Ripensai al nostro primo incontro, a quanto tempo sembrava fosse passato da allora; ripensai anche al lampionaio del Piccolo Principe, che era un po’ Isaac. Anche per lui la consegna si era modificata, diventando mano a mano sempre più complicata e difficile, già in giovanissima età. In principio era stata adeguata a qualunque altro bambino in età prescolare e scolare, ma poi si era infittita: il massacro dei suoi genitori, l’arrivo in Siberia, la morte di Lisakki, i compiti che gli assegnavo ogni volta, severo, sempre più spossanti, per farlo crescere, per renderlo forte e adeguato ad affrontare la vita, a volte eccedendo con la disciplina. Eppure lui non si lamentava mai; mai un secondo aveva avuto un dubbio, sul mio conto, su ciò che gli chiedevo, perseguendo le mie direttive con tutta la forza di cui potesse disporre, con devozione, nutrito dalla voglia di essere alla mia altezza.

Isaac non aveva che 8 anni e un paio di mesi in quel momento, ma io ero sempre più orgoglioso di lui, ogni singolo giorno di più e… non glielo ho mai detto, il solo pensarlo mi fa star male… ma lui, per me, era tutto, la mia forza, il mio coraggio, la mia… casa!

Pensavo questo anche allora, tra il brivido e le vertigini per il malessere e l’ampio sforzo a cui avevo costretto i miei polmoni, quando lo percepii rannicchiarsi al mio fianco, appoggiandosi al cuscino, mentre con le manine posate sul mio torace, si stringeva a me. Non parlava per non disturbarmi, come gli aveva consigliato Elisey, ma in quel momento la sua presenza per me era la miglior cura che potessi avere.

Provai l’istinto annebbiato di ricambiare il suo abbraccio, come spesso accadeva quando il me stesso che mi ero costretto a raggiungere come forma si diluiva in altri me stessi, che io rifuggivo ma che, probabilmente, erano più consoni al vero “io”; provai l’istinto di abbracciarlo ma le forze non erano abbastanza, per cui mi appoggiai debolmente a lui, posando la guancia sui suoi capelli irsuti, sebbene il rumore del nebulizzatore mi desse fastidio.

Mio… piccolo Isaac!

Lui ridacchiò tra sé e sé, forse percependo qualcosa dei miei pensieri che correvano alla rinfusa, poi chiuse la manina sopra il mio sterno, che in quel momento si alzava e si abbassava un poco più regolarmente.

“Sono qui, siamo in due, anzi, direttamente in tre, l’ho già detto, no, Maestro? Guarite presto!”

Sorrisi anche io, per quanto le forze me lo consentissero: tra noi non c’era bisogno di usare altre parole per comprenderci.

Pensai fermamente che, in un mondo ove tutto cambia, almeno ciò non sarebbe mai cambiato. Lo credetti fermamente e ne fui rassicurato, prima di lasciarmi andare completamente alle vertigini del sonno.

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Un capitoletto che si incentra sul difficile rapporto tra Camus ed Elisey, che fonda le radici su un passato comune dei due e che tuttavia non ho ancora spiegato nelle mie storie.

Elisey è personalità sopra le righe, possiamo dire, dotato di una ironia sprezzante, a volte fastidiosa, pieno di difetti e vizi, ma… comprensivo e delicato, all’occorrenza, come il fratello Fyodor. Ed è proprio questo che Camus non riesce a perdonargli, oltre al devastante senso di colpa che prova verso la morte del proprio maestro. Mi piace molto descriverli… Elisey sembra tante cose, decisamente un tipo poco raccomandabile, il più delle volte, eppure nel momento del bisogno c’è sempre per Camus (chi ha letto la Sonia’s side story sa); Camus, dal canto suo fa di tutto per allontanarlo e dice di odiarlo, ma… sarà poi vero? Lo odia davvero così tanto? O odia più sé stesso? Spero comunque che vi sia piaciuto il modo in cui l’ho descritto dal suo punto di vista.

A regolare la bilancia dall’altro lato, vi è invece Isaac, l’importanza, basilare, che il piccolo riveste per lui e che qui ho descritto. C’è un rapporto molto stretto tra i due, che va oltre l’uso delle parole, che rende il loro legame così speciale. E anche loro mi piacciono molto, purtroppo di Isaac, dal manga, non sappiamo quasi nulla della relazione che lo legasse a Camus, ma io l’ho sempre percepito così, con questa devozione incrollabile che lui nutre per il maestro.

Per chi è abituato ad avere a che fare con il Camus originale, magari questo capitoletto risulterà un po’ strano, del resto risulta molto fragile qui… ebbene è ovviamente una mia visione del personaggio, che coincide con la mia serie di storie. Non ama essere toccato, né visitato, anzi, patisce veramente tanto quando ciò succede (ed io giustamente lo faccio visitare e star male ogni 2x3 ma vabbé XD) anche qui i motivi psicologici del suo sentirsi così vulnerabile ci sono, si trovano in giro per tutte le mie storie. Per lo stesso motivo, al ‘mio’ Camus piace molto essere accarezzato tra i capelli; questo è specificato già in Sentimenti che Attraversano il Tempo ( è Dègel ad averlo capito per primo!), i motivi però sono descritti per la prima volta qui: praticamente è una rimembranza infantile che lo fa sentire protetto e al sicuro, e così rassicurato -mi sciolgo, awwwww!- sono piccole cose, non descritte nell’opera, di mia invenzione, certo, ma che me lo fanno sembrare più ‘vero’ e ‘verosimile’.

Anche questa volta dovrei avervi detto tutto. Il prossimo aggiornamento dovrebbe essere nuovamente sui 5 Pilastri, dopodiché, potrà riprendere anche la Melodia della Neve, ferma da un annetto.

P.s: ah, “ma bichette” è un vezzeggiativo francese che significa qualcosa di simile a “mia cerbiatta”, anche questo nuovo nomignolo avrà un significato specifico, Camus lo userà nei confronti di una sola persona... :)

Vi ringrazio di cuore a tutti, come sempre avrò molto piacere a rispondere alle vostre considerazioni, se vorrete :) a presto!

  
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