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Autore: EleAB98    01/11/2021    3 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XVII – Non Dobbiamo Star Soli (Mai)!

Mercoledì

 

Il pomeriggio era ormai giunto al termine: uno splendido tramonto dalle tinte rossastre e violacee contornava lo scenario mozzafiato che avevo dinanzi; uno scenario impreziosito dagli eleganti profili delle montagne verdi che si stagliavano lassù nel cielo segnando un preciso confine tra cielo e terra. Un confine che, a una più attenta visione, si mescolava con tutto il resto, creando un affascinante contrasto di colori. Cosa mi aspettasse oltre quell'orizzonte, però, era tuttora un'incognita.
Aver indugiato per ore ai piedi di quella lapide mi aveva regalato un momento costellato da un sentore di tranquillità accompagnato dal senso, ben più familiare, di rassegnazione al mio male di vivere.

D'un tratto, però, mi era sembrato di percepire un distinto rumore di passi. Sulla prima non mi ero voltato, ma quando una profonda voce maschile aveva sussurrato un «Sembra veramente un angelo, nevvero?» avevo sbarrato gli occhi e, risvegliandomi dallo stoico stato di trance in cui ero caduto, avevo prontamente girato il capo verso di lui.

Dovetti ammetterlo: l'aspetto di quel tizio aveva in sé un qualcosa di particolare. Le mani grandi, assolutamente sproporzionate rispetto al corpo, minuto e affusolato, il naso sporgente e la bocca sottile. I folti capelli biondi – di un biondo platino, per giunta – corredati da una frangetta sbarazzina e scarmigliata che contrastava con l'eleganza decantata dal completo di colore bianco che fasciava alla perfezione la sua mingherlina figura. Gli occhi di quel tipo erano azzurri, ma di un azzurro di un'intensità talmente tenue che, a tratti, sembrava quasi sfociare nel bianco, confondendosi con la sclera.

Se non lo avessi avuto dinanzi a me, lo avrei tacciato come una specie di extraterrestre, o magari... come un angelo caduto dal cielo. Effettivamente, nella sua imperfezione, poteva davvero sembrare una creatura divina. Peccato che non credessi più a un bel niente... tantomeno nel Paradiso. Eppure... quello strano essere emanava una luce speciale. E me ne accorsi nell'istante in cui la sua mano sinistra sgusciò da dentro la tasca dei pantaloni. Mi era sembrato di vedere un lampo di luce, in quel momento. O forse, stavo soltanto delirando, e la mia mente si stava divertendo a giocarmi l'ennesimo tiro mancino.

Non gli risposi. In quel frangente rimasi a fissarlo nella sua interezza, come ipnotizzato. Non riuscivo a discostare gli occhi da lui. Poi, come per magia, riflettei su quel nevvero. Sembra davvero un angelo, nevvero? – aveva detto, con un ambiguo sorrisetto sulle labbra.

Da dove era saltato fuori quello strano uomo? Dalla Divina Commedia? Dal Canzoniere di Petrarca? Oppure... da un pregiato manoscritto dell'Ottocento?

«Lei era il mio angelo», rimarcai, quando mi decisi a rompere il silenzio.

L'uomo scosse la testa. «Lei lo è ancora. È il tuo angelo custode. E se fosse qui... sai cosa ti direbbe?»

Non arricciai il naso di fronte al fatto che mi avesse appena dato del tu. «Cosa?» mi ritrovai a sussurrare, con voce flebile.

Lei ti direbbe: «Ama, Malcom! Non arrenderti alla solitudine! Non lasciarti sprofondare negli abissi delle tenebre, ma torna ad amare! Ama intensamentericerca perennemente quell'ideale di perfezione nella donna che tu sai, e se ti accorgi di averlo ritrovato...» Gli occhi dell'uomo parvero brillare di una luce nuova. «Inseguilo! Devi essere feliceperché non c'è cosa più bella che essere vivi!»

Rimasi sbalordito a quelle parole. Come poteva sapere il mio nome?!

«Tu... ma tu chi sei, eh?!» domandai, spalancando gli occhi. Non ero spaventato, ma sinceramente sbalordito.

L'altro scrollò le spalle, quindi continuò a parlare come se nulla fosse. «Lei ti direbbe proprio queste parole. Di coltivare il dono dell'amore. Di non arrenderti alla morte. Perché dalla morte può rinascere la vita. Guardala!» aveva proseguito, indicando la fotografia impressa su quella lapide. «Lei non vorrebbe vederti così disperato. Lei vorrebbe vederti felice. Lei vorrebbe che trasmettessi agli altri tutto il buono che hai dentro. Perché ognuno di noi vale qualcosa, a questo mondo. E ricordati che non si è mai soli. Neanche quando il mondo smette di fare rumore. Nemmeno quando, all'infuriare della tempesta, non c'è qualcuno disposto a ripararti con il suo ombrello. Non si è mai davvero soli, Malcom. Mai. Perché ognuno di noi ha un proprio angelo custode. Persino io...»

D'improvviso, a seguito di quel discorso, accadde l'inaspettato. Così, d'un colpo, i miei occhi sembrarono non vedere più nulla. Poteva trattarsi di un calo di pressione, ma ero piuttosto sicuro che non riguardasse  questo. Vedevo tutto nero e, come di riflesso, mi stropicciai gli occhi. Quando li riaprii, mi accorsi che quell'uomo non c'era più. Accadde tutto in una frazione di secondo, non ebbi neanche il tempo di realizzare se avessi o meno sognato quell'incontro. Mi alzai da terra senza alcuna difficoltà, quindi percorsi tutto il perimetro del cimitero, passando prima per i sentieri prossimi alla tomba di Melissa. Non riuscii a rintracciarlo da nessuna parte. Così com'era comparso, era sparito nel nulla. Senza lasciare traccia.

O almeno, così sembrava all'apparenza. Dentro di me, parve farsi strada un barlume di speranza. Quella speranza che avevo scelto di non coltivare più da tanti, troppi anni. Quella speranza che avevo ucciso senza se e senza ma.

A un certo punto, mi ritrovai dinanzi casa sua senza nemmeno accorgermene. Era tutto come sempre. Sorrisi. La casetta in cui ero cresciuto era molto modesta. Il fiorente giardino che la circondava era tempestato di ciclamini e altre specie floreali. C'era persino l'alberello che avevo piantato con mio padre in un giorno d'inverno di molti anni fa. Quell'alberello di ciliegio che tuttora si ergeva fiero raggiungendo, per altezza, il comignolo di casa Stone. A lato dell'abitazione, un piccolo vivaio ospitava una bella varietà di piantine. Mia madre adorava l'arte del giardinaggio. E pure Melissa non era da meno.

Feci qualche passo in avanti, indeciso se suonare o meno il campanello. La porta di legno semi sgangherata della cantina, che sostava al lato destro della casa, mi regalò una sensazione di profonda familiarità. Lì dentro, avevo trascorso i pomeriggi più esaltanti della mia infanzia. Io e mio padre ci divertivamo a costruire sempre strani aggeggi che poi, con orgoglio esagerato, mostravano alla mamma. Poteva trattarsi di semplici poggiapiedi intagliati in legno, oppure mestolini da cucina... Insomma, ci divertiamo tanto a costruire qualsiasi cosa che richiedesse anche solo un minimo di abilità manuale e altrettanta creatività. Quest'ultima, di certo, non era mai mancata in casa Stone.

Colto da una smania irrefrenabile, accorsi alla porta e bussai, esitante. Dopo qualche secondo, il volto più bello del mondo mi comparve davanti: quello di mia madre. Non mi importava del fatto che il suo viso fosse ormai segnato dal tempo, da qualche ruga sparsa qua e là corredata da vistose occhiaie. Per me rimaneva la donna più bella, più buona e generosa del mondo. La donna che mi aveva salvato la vita. La donna che, per amore di suo figlio, aveva sacrificato tutta se stessa.

Non ci furono parole per esprimere la gioia che mi pervase nell'esatto momento in cui lei, senza chiedermi spiegazioni, mi stritolò in un abbraccio. Delle calde lacrime solcarono il suo volto pallido. Una di quelle si posò sulla mia guancia, e ne sentii l'essenza. Aveva davvero sofferto, senza di me.
Quando si staccò, sorrise come se avesse rivisto la luce. I suoi occhi, verdi come i miei, sprigionavano una frizzante vitalità, che però non si sposava per nulla con l'anonima vestaglietta di cotone che indossava. I suoi capelli grigi, raccolti in uno chignon di fortuna, lasciavano intravedere le guance scavate, ma, d'altra parte, impreziosite da un fard leggero, che le donava quel poco di colore. Nel complesso, la sua figura aveva ripreso vita in un batter d'occhio.

«Mamma...» sussurrai, sinceramente commosso da quell'accoglienza.

«Figlio mio! Che cosa stai facendo là impalato? Avanti, entra!»

«Posso davvero?»

Mia madre mi diede una pacca sulla spalla. «Sei forse uno sconosciuto? Dai, entra, altrimenti il tè si raffredda!»

Per un istante, quella sua ultima esternazione me ne ricordò un'altra simile. «Avanti, mangia quella benedetta costata, che si raffredda!» Scossi la testa, scacciando il ricordo di Megan dalla mia testa.

«Agli ordini, mamma!» esclamai, senza manifestare troppo entusiasmo. Mi sentivo molto in colpa nei suoi riguardi. L'avevo un po' trascurata negli ultimi tempi, e lei, di certo, non lo meritava. Ogni fine settimana ci sentivamo per telefono, ma sapevo molto bene quanto fosse importante la presenza fisica. Una presenza che, sin troppo spesso, gli era stata negata. Squadrai da capo a piedi l'esiguo soggiorno che, per molti anni, era stato testimone della mia crescita, dei momenti più caldi e belli della mia esistenza.

La consistente pila di carte costruita da mio padre, a mo' di Torre di Pisa, occupava ancora l'angolino della scrivania situata al fianco di una maestosa libreria, che accoglieva persino i miei tomi universitari. Mia madre non aveva cambiato di una virgola la disposizione degli oggetti che popolavano lo scrittoio. Mi diceva spesso che, mantenendo tutto com'era, le sembrava di avere sempre con lui il suo adorato marito. Mi soffermai sulla sua amatissima macchina da scrivere. Un brivido tanto fugace quanto intenso serpeggiò sulla mia schiena. Io e mio padre saremmo stati per sempre legati dalla forza della scrittura. Faceva parte di noi.

«Dai, siediti pure», s'intromise mia madre, interrompendo il soliloquio interiore che avevo intrapreso con me stesso. «È da un po' che non ti fai vedere da queste parti.»

Annuii all'istante, con fare colpevole. «Hai ragione, sono quasi tre mesi che non vengo a trovarti. Ma sono stato oberato di lavoro, e quindi—»

«Lavoro, lavoro e ancora lavoro! Sempre e soltanto lavoro!» scattò lei, agitando le braccia al cielo con fare teatrale. «Non hai proprio nient'altro di interessante da raccontarmi?»

Sorrisi, abbassando lo sguardo. Il tono di voce di mia madre, come al solito, non celava in sé alcuna dose di rimprovero. E non appena mi porse la tazzina di tè, intravidi il suo sguardo indagatore posarsi sul mio. «Che il tuo lavoro ti porti spesso in giro per il mondo e che non ti lasci poi troppo tempo libero non è un mistero per me, figlio mio. Ma se sei qui... insomma, dovrà pur esserci un motivo, no?»

«Che cosa te lo fa pensare?» le risposi, quasi sulla difensiva.

«I tuoi occhi, Mal. Si vede lontano un miglio che stai soffrendo per qualcosa. E credo anche di sapere per chi. C'entra forse una d—»

«Mamma, per favore... non sono dell'umore adatto per—»

«Discutere della donna di turno. Che donna di turno non è. Mi sbaglio?»

Non le risposi.

Sentii mia madre sospirare. «Ascolta, Malcom... non c'è niente di male nel tornare ad amare. Non devi temere questo sentimento. Sei stato solo per tanti anni e... e non ti nascondo che ho sempre sognato che tu, un bel giorno, mi presentassi un'altra giovane ragazza con la quale—»

«Io non cerco questo genere di cose, mamma. Non ho intenzione di affezionarmi più a nessuna donna. Ho sofferto troppo, nella mia vita. E tu lo sai meglio di chiunque altro.»

Melinda sorrise, quindi prese posto sul divanetto di pelle nera ricoperto da un lenzuolino dai vivaci motivi scozzesi. «Proprio per questo motivo ho sperato e pregato che Dio ti facesse incontrare di nuovo l'amore.»

«Ti prego di non nominare Dio in mia presenza», replicai, spazientito e irritato. «A lui non importa un accidente di tutto l'inferno che ho dovuto passare.»

«Ed è qui che ti sbagli, mio caro Malcom. Vedi, tu puoi crederci o meno, però... non siamo soli, a questo mondo. Non siamo frutto di un semplice caso. Dio ha previsto tutto. E i suoi disegni sono sin troppo grandi per essere capiti. Ma una cosa la so. Lui non ci abbandona mai. Poi, se proprio vuoi vederla in altri termini... puoi pensare al fato. Il nostro destino è già in parte segnato, anche se possiamo sempre provare a lottare per cercare di ottenere quello che desideriamo. E so benissimo come ci si sente nel perdere la persona che più si ama. Tuttora non riesco ad accettare di aver perso tuo padre. Eppure, non mi sento sola. Sento che lui è sempre con me. Anche nei momenti più difficili. Ma tu... tu hai bisogno di qualcuno che ti faccia nuovamente provare delle forti emozioni. Tu devi amare, figlio mio.»

Alzai lo sguardo verso di lei. Quelle parole erano vagamente simili a quelle che aveva pronunciato lo sconosciuto incontrato quella mattina.

«Sei ancora troppo giovane per non provare, che so... le farfalle nello stomaco, quella forte sensazione di euforia che, dal centro del tuo petto, si trasferisce su tutto il tuo corpo. Non è mai troppo tardi, Mal. E so per certo che la donna dei tuoi sogni è ancora là fuori, e magari sta aspettando soltanto te. Devi tornare ad assaporare quelle gioie che solo l'amore può regalarti. Lasciati andare, tesoro. Lascia che il tuo istinto ti guidi verso la luce. Perché sono sicura che dentro di te c'è ancora un qualcosa.»

Scossi la testa. «Non c'è nessuno nella mia vita, mamma. Sono completamente libero. Il mio cuore è del tutto distrutto dalla perdita di Melissa... da ormai sei anni. E non c'è alcun modo per aggiustarne gli ingranaggi...»

«Ma?»

Feci spallucce. «Ho avuto tante di quelle avventure, in questi anni... E sarebbe davvero inutile nascondertelo. Sei mia madre. Ed è giusto che tu lo sappia. Mi sono trasformato in un dongiovanni incallito soltanto perché speravo di alleviare il dolore che provavo per la morte di Melissa. Non di certo perché speravo di innamorarmi di un'altra donna. Io non posso più provare quel genere di sentimento. Per nessuna.»

«Ma c'è dell'altro», incalzò mia madre, senza scostare i suoi occhi da me.

Sorrisi ancora una volta. Quando voleva, la signora Melinda Guarnieri sapeva essere veramente ostinata.

«Negli ultimi tempi, ho lavorato a stretto contatto con una donna davvero bellissima», esalai, arrendendomi alle sue richieste. «Fin dall'inizio, ho sospettato che si trattasse di un'attrice. Non credo di aver mai visto una donna così elegante e semplice allo stesso tempo. E sin dall'inizio, questa ragazza ha manifestato infinito odio per il sottoscritto. O almeno, così credevo.»

«Cos'è successo?»

Mia madre aveva sussurrato quella domanda con tutta la cautela possibile. Forse, temeva che mi sarei tirato indietro.

«Io, be'... sì, insomma, io... alla fine, ho fatto l'amore con lei», le risposi d'un fiato, in preda a un fortissimo imbarazzo che cercai di coprire con il bordo della tazzina di porcellana, dalla quale sorseggiai un po' di tè.

Giurai di aver visto gli occhi di mia madre illuminarsi. «Non è stata un'avventura, allora.»

«E tu che ne sai, eh?!» replicai, indispettito.

«Hai parlato di fare l'amore, Malcom. E io non credo che con le altre ragazze tu abbia definito in tal senso... quello che per te era senza dubbio un passatempo.»

«Hai ragione. Ma non è questo il punto. La mia attrazione fisica per lei cresceva di giorno in giorno, e... credo che per lei fosse lo stesso. Ma non ci siamo subito arresi alla passione, malgrado, per esigenze lavorative, ci fossimo ritrovati a dormire nello stesso letto. In quell'albergo c'era rimasta unica stanza, e così—»

Mia madre scoppiò a ridere, suscitando la mia completa sorpresa. «Non ci credo! Tu e lei nella stessa camera? Oh, santi numi! Dio mio, ma cosa mi hai combinato?» ridacchiò per qualche altro secondo, mentre io inarcai un sopracciglio in segno di rimprovero. «Non credevo che mi avresti preso così alla lettera!» sentenziò, puntando lo sguardo verso il soffitto, come se stesse parlando con un'entità superiore. Il suo Dio, appunto.

«Guarda che non è divertente, mamma», replicai, stizzito. «Per poco non ci scannavamo a vicenda.»

Mia madre accennò un malizioso sorriso. «Be', dalle tue parole mi è sembrato di capire che questo perenne scannarsi vi abbia portato a questo bell'incontro ravvicinato del terzo tipo che, tra l'altro, è andato a buon fine, perciò... quale sarebbe il problema?»

Mi alzai di scatto dalla poltroncina situata di fronte al divano. Continuare a guardare quello spettacolo stava incrementando a dismisura il mio imbarazzo. E la mia incredulità. Mia madre possedeva una spiccata ironia – come il sottoscritto, del resto –, ma non credevo certo che, all'improvviso, se ne sarebbe uscita in quel modo.

«Ed è proprio qui che ti sbagli!» esclamai, tornando ad affrontarla. «Questo incontro ravvicinato del terzo tipo, come lo chiami tu, è stata una vera e propria tragedia!»

«Non è una tragedia tornare a innamorarsi, Mal», osservò mia madre, tornando seria.

«Non sono innamorato di Meg, quante volte te lo devo dire?» Mi morsi la lingua. Avrei dovuto definirla con un freddo e professionale signorina Rossi.

Il sorriso di mia madre si allargò. «Mmm... Meg! Ma che bel nome! Allora, a quando le presentazioni?»

«Quello che è successo è stato talmente mortificante e assurdo che, che... non so nemmeno se riuscirò mai a dirtelo!»

«Ti ho tenuto in pancia per nove mesi, Malcom. Sai benissimo che puoi dirmi sempre tutto.»

«O quasi», replicai, sospirando.

«Esatto. O quasi. Ma non capisco per quale motivo tu non possa provare a stare con questa rag—»

«Ho pronunciato il nome di Melissa nel momento più inopportuno, mamma. Questo ti basta?»

L'altra strabuzzò gli occhi. «Oh, caro! Mi dispiace così tanto!» Senza chiedermi ulteriori dettagli, si avvicinò a me. Mi abbracciò senza riserve.

«Non l'ho mai dimenticata. Lei è sempre con me», constatai, cercando di non piangere di nuovo.

«Lei sarà sempre con te, Malcom. Ma tu devi andare avanti. Lo vorrebbe anche lei. Puoi starne certo. Melissa vorrebbe soltanto il tuo bene.»

Mi staccai da lei. «Sono io che non lo voglio. Anche se fosse, io non mi sento affatto pronto per una storia che non sia di solo sesso. E non so per quale razza di motivo sia successo... quel che è successo.»

«Evidentemente, questa ragazza è speciale, Mal. Forse questo è un segno del destino. E devi cercare di coglierlo.»

«Non lo so... Sono così confuso... Sai, quando ero tra le braccia di Megan, io... non so come descriverlo. È stata una sensazione talmente bella, che... mi sono lasciato andare completamente a quelle sensazioni... come non accadeva da tanto tempo. L'ultima volta che mi ero sentito così vivo, così leggero... era stato proprio con Mel.»

«Lo vedi, allora? Ho provato le tue stesse identiche emozioni quando ho deciso di cedere alla corte spietata di tuo padre. E sono convinta che tu, per quella ragazza, abbia provato molto più che una semplice attrazione fisica. Ascolta il tuo cuore, Malcom. Sono sicura che in lui troverai tutte le risposte.»

«Non sono convinto di volerne trovare qualcuna. Senza contare che lei non vorrà più vedermi, a questo punto.»

«Ne sei proprio sicuro?»

«Puoi forse biasimarla? Comunque sia... non mi interessa nulla. Non più, almeno. Sarà meglio tornare a concentrarsi sul lavoro.»

«E quindi tornare alla vita di sempre», sospirò mia madre, rassegnata.

«Esattamente. Con l'unica eccezione che verrò a trovarti più spesso. Te lo prometto.» Le sorrisi.

«Oh, Mal!»

«Stammi bene, mamma», le diedi un forte abbraccio e inspirai con forza il suo profumo, convinto che mi avrebbe dato forza ancora una volta. La conversazione con lei mi era servita per chiarire con me stesso almeno una parte dei conti. «Il dovere mi chiama, purtroppo. Ma ti ringrazio per avermi ascoltato.»

«Ci sarò sempre per te», rispose lei, dandomi un bacio sulla guancia.

«Lo so. E non ti ringrazierò mai abbastanza per questo.»

Quando mi avviai alla porta, lei non mancò di rifilarmi la sua ultima massima: «Dalle una chance, Malcom. Spiegale come sono andate le cose. Vedrai che capirà. Fa' la cosa giusta.»

Mi limitai a sorriderle, ma riuscii a prometterle nient'altro. Perché tra tutte le promesse che avevo fatto a me stesso fino a quel momento, non ne avevo rispettata neanche una.

 

*Il titolo del capitolo fa riferimento alla canzone Ragazzo triste di Patty Pravo.

   
 
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