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Autore: moira78    02/11/2021    4 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho capito che
Per quanto io fugga
Torno sempre a te

Che fai rumore qui
E non lo so se mi fa bene
Se il tuo rumore mi conviene
Ma fai rumore, sì
Ché non lo posso sopportare
Questo silenzio innaturale
Tra me e te

(Fai rumore - Diodato)
***
Che non si muore per amore
è una gran bella verità.
Perciò dolcissimo mio amore,
ecco quello, quello che da domani mi accadrà.
Io vivrò senza te,
anche se ancora non so
come io vivrò, senza te.
Io senza te.
Solo continuerò, e dormirò,
mi sveglierò, camminerò,
lavorerò, qualche cosa farò,
qualche cosa farò, sì, qualche cosa farò.
Qualche cosa di sicuro io farò.
Piangerò... sì, io piangerò.
E se ritorni nella mente
basta pensare che non ci sei
che sto soffrendo inutilmente,
perché so, io lo so, io so che non tornerai.
(Io vivrò senza te- Mogol-Battisti)

 
 
Il sentiero per Oz

Il cavallo bianco trottava mentre il suo occupante teneva le redini con mani ferme.

Candy vedeva solo le sue spalle, l'abito attillato da cavallerizzo e quei capelli biondo grano perfettamente tagliati corti.

Quando parlò, la sua voce le provocò un'ondata di nostalgia tale che sentì i brividi percorrerle l'intero corpo: "Voglio farti vedere una cosa, Candy".

Il tono era dolce, delicato, quello di un angelo.

Un angelo...

"Dove stiamo andando, Anthony?", si ritrovò a chiedere. Anche lei era a cavallo e vestiva con un completo da equitazione.

La giornata era piena di sole e il profumo dell'erba fresca le invadeva le narici.

Finalmente lui si voltò per guardarla e Candy sentì un misto di amore, stupore, disperazione. Il cuore pulsava a una velocità tale che ne avvertiva il tamburellare fino in gola e nelle orecchie.

"Vedrai", rispose facendole un sorriso che le fece salire le lacrime agli occhi.

Anthony, mio dolce Anthony...

Il cavallo fece uno scatto in avanti, si allontanò e Candy si stupì perché riusciva a stargli dietro nonostante non avvertisse accelerare il movimento del proprio.

Quando arrivarono nella radura, una sensazione di orrore cominciò a salirle come un fiotto acido nello stomaco, bruciandole la gola. Non poteva muoversi, non poteva gridare, poteva solo vedere.

Provò a chiudere gli occhi ma le palpebre rimanevano incollate sulle orbite, aperte come finestre, mostrandole l'inguardabile.

Anthony venne sbalzato giù dal cavallo, poi il suo corpo cambiò e divenne il proprio. Il grido, feroce e acuto, uscì dalle sue viscere senza che lei se ne accorgesse e, pochi istanti dopo, era a terra insieme a lui.

Il ragazzo era di nuovo nelle sue sembianze naturali e giaceva a faccia in giù, immobile. Candy gridò il suo nome, ma le rispose solo il silenzio.

Intorno a lei, il sole era scomparso e la pioggia la stava inzuppando.

Non era ancora finita.
 
- § -
 
Albert non riusciva a dormire e non era solo per la tempesta che la natura stava scatenando.

Ripensò alla cena che aveva preparato e mangiato con Candy e gli sembrò un bellissimo sogno che era terminato troppo presto. Stare con lei e condividere quei semplici gesti era stato quasi catartico: si sentiva come se avesse annaspato per mesi alla ricerca della cima e ora fosse finalmente sul punto più alto della montagna che gli era costata tanta fatica.

Fissando le fronde degli alberi fuori dalla finestra, piegate quasi in orizzontale, Albert strinse le coperte con le dita e cominciò a pensare a come sarebbe stato far innamorare quella Candy così... diversa nella quale albergavano vaghi echi dell'originale.

Perché li vedeva, oh, se li vedeva!

Avvertiva quegli echi nella sua dedizione nel medicare la ferita, nella sua ironia pur esasperata durante i loro battibecchi culinari e persino in quello sguardo incollato al proprio quando i loro occhi s'incrociavano.

Non aveva più dubbi: quella Candy poteva innamorarsi di lui. Forse non voleva, ma era sulla buona strada e lui ci sarebbe riuscito.

Si trattava sempre della stessa ragazzina che aveva incontrato su quella collina, salvato dalla cascata e adottato. Un giorno, se e quando la memoria fosse tornata, avrebbe riavuto anche la sua spensieratezza.

Ma ora...

Sono disposto ad accettarla così com'è, purché possa starle accanto.

Quella consapevolezza lo aveva accecato d'improvviso, come la folgore. Il dilemma era uno ed enorme: lei sarebbe stata altrettanto disposta ad accettare lui?

Cosa devo fare perché tu ti senta libera di amarmi, Candy?

Il rumore di una porta che sbatteva lo mise in allerta e Albert si ritrovò in piedi, fuori dal letto e dai propri pensieri, in un solo istante. C'era qualcosa di anomalo in quello che aveva sentito e, quando il boato si ripeté, Albert capì che si trattava della porta principale.

Uscì dalla stanza in pigiama, a piedi nudi, e mentre si dirigeva senza fiato verso le scale vide qualcosa che lo gelò: la camera di Candy aveva l'uscio spalancato.

Mormorò il suo nome, incredulo, cominciando a tremare. Senza pensarci due volte, entrò e accese la luce, solo per trovarla vuota: le coperte erano state gettate da un lato, quasi Candy si fosse alzata di fretta come aveva appena fatto lui.

Ansimando e passandosi le mani tra i capelli, fece una veloce ricerca negli armadi, poi guardò sul pavimento e scoprì, con orrore, che era uscita quasi sicuramente in camicia da notte e senza scarpe sotto la tempesta.

"Dio... oh, mio Dio, Candy! CANDY!", gridando come un invasato, maledicendosi per aver mandato via tutti, corse per le scale perdendo l'equilibrio sugli ultimi due scalini e cadendo a sedere. Si rialzò continuando a chiamare il suo nome verso la porta spalancata che sbatteva sotto l'ululato incessante del vento e solo quando fu nel giardino si rese conto del fango che gli arrivava alle caviglie.

Imprecando a denti stretti e tremando ancora più forte a causa della temperatura che era precipitata, Albert si costrinse a rientrare per vestirsi. Se fosse stato vittima dell'ipotermia rischiava di non poter salvare Candy, ovunque se ne fosse andata.

Di nuovo nella propria stanza, si strappò letteralmente il pigiama di dosso, infilò un maglione e un paio di pantaloni alla cieca e cercò, per qualche interminabile secondo, gli stivali, così inusuali in quella stagione. Completò l'abbigliamento improvvisato con una giacca dotata di cappuccio per ripararsi dalla pioggia e volò di nuovo fuori.
Se avesse saputo volare per davvero, sarebbe uscito direttamente dalla finestra, invece dovette sprecare secondi preziosi per scendere le scale un'altra volta.

In mezzo alla furia degli elementi, la pioggia che lo accecava, il vento che gli rendeva difficile persino respirare e il boato dei tuoni che lo assordava, valutò con frenesia se usare il cavallo.

La vita di Candy vale molto di più.

Sperando che l'animale fosse in grado di sopportare tutto ciò, corse verso le stalle e si avviò, al galoppo, in mezzo alla tempesta.

La chiamò, cambiando direzione più volte, avvertendo gli artigli del panico affondargli nel petto e nelle viscere, gridando quel nome amato fino a che la gola gli fece male e rimase quasi senza voce.

Potrebbe non essere uscita affatto e tu sei un idiota.

Allora perché la stanza era vuota e la porta aperta?

Hai guardato nelle altre stanze?

No, ma so che è qui fuori, da qualche parte, maledizione!

All'improvviso, un fulmine colpì un albero e Albert si rese conto del pericolo mortale che stavano correndo entrambi. Fisso, instupidito, l'albero poco distante prendere fuoco mentre cercava di calmare il cavallo che nitriva e s'impennava.

"Un piccolo sforzo, ti prego! Solo un ultimo sforzo!", gridò all'animale protendendosi su di lui per farsi sentire.

Tirando le redini viscide d'acqua, lo diresse dove sperava di trovare Candy. Non gli venne in mente altro e, in effetti, fu lì che la trovò.

In camicia da notte, fradicia. E a faccia in giù.

"CANDY!", come in un dejà-vu crudele, si precipitò verso di lei per sentirne il battito, pensando confuso che, con tutta quell'acqua, poteva persino essere affogata. Immaginò di doverla rianimare, invece la sentì respirare e tremare nonostante fosse svenuta e si tolse l'impermeabile con gesti frenetici, mettendoglielo sul tessuto leggero e ormai trasparente.

La caricò a cavallo di peso, tenendola stretta e avvolgendola il più possibile col proprio corpo, cercando di trasferirle quanto più calore possibile, sperando che la temperatura non prettamente invernale fosse sufficiente a non averla congelata.

Sbagliò strada un paio di volte prima di ritrovare l'ingresso e si ritrovò a dover schivare alberi caduti e rami: fu per una specie di miracolo che nessun elemento li colpì, con quel vento.

La mano di Dio, di Stair o di Anthony avevano protetto la loro corsa verso casa impedendo che succedesse qualcosa di peggio che essere fradici fin nelle ossa.

Con Candy in braccio, Albert si diresse nella prima stanza disponibile del piano terra e, battendo i denti per il freddo e la paura, la adagiò sul letto buttandole addosso tutte le coperte che trovò, strofinandogliele addosso e cercando di svegliarla. Meditò se usare del whisky da versarle sulle labbra quando lei aprì finalmente gli occhi: "Anthony", mormorò guardandolo come se non lo vedesse bene.

Albert riuscì solo ad abbracciarla, scoppiando a piangere per il sollievo senza poterselo impedire, stringendola a sé e ringraziando Dio.
 
- § -
 
Candy non aveva più freddo. Il bagno l'aveva rinfrancata e addosso aveva un pigiama di flanella con cui, a dire la verità, cominciava ad avere quasi caldo.

Nonostante la tempesta infuriasse ancora, la temperatura era risalita un poco, complici forse tutte quelle nuvole dense e l'estate nel pieno del suo splendore, almeno fino al giorno prima. In casa all'asciutto, di certo, si stava molto meglio che fuori sotto l'acqua.

Scese le scale per dirigersi in cucina e prendere un bicchiere di latte: mentre lo scaldava, la corrente saltò all'improvviso e lei rimase al buio.

"Ci mancava solo questa", mormorò. Un lampo accecante da dietro la finestra illuminò la cucina a giorno e lei poté almeno terminare l'operazione spegnendo il fuoco e cercando a tentoni una sedia.

Si stava chiedendo se ci fossero delle candele da qualche parte quando Albert le arrivò alle spalle tenendone una in mano in un piccolo porta candela: "Credevo fossi scappata di nuovo", disse con un tono che le indicò che, in realtà, era abbastanza sicuro del contrario.

Senza voltarsi a guardarlo, prese un sorso di latte e ribatté: "Non sono scappata. Credo di aver camminato nel sonno".

Il silenziò che le restituì fu abbastanza eloquente. Albert non se lo aspettava. Udì il rumore delle sue ciabatte mentre posava la candela sul tavolo e un altro tuono esplose intorno a loro: "Ho scaldato troppo latte, se ne vuoi. Pensi che le finestre reggeranno?", domandò voltandosi a guardarlo.

Il volto era contratto e segnato dalla preoccupazione e il senso di colpa s'impadronì di Candy. Vederlo così sconvolto a causa sua l'aveva scossa nel profondo, di nuovo.

"Se hanno retto fin'ora abbiamo buone probabilità. Ho controllato le imposte anche nelle altre stanze e, a parte la porta finestra dello studio che traballa un po', non credo ci saranno molti danni", spiegò alzandosi per prendere una tazza e versare il latte. "Almeno finché non ci cade un albero in casa", concluse dopo aver preso un sorso a sua volta.
I rumori della tempesta, per qualche minuto, furono gli unici che udirono e Candy s'impose di non voltarsi più a guardare Albert. Guardarlo le stringeva il cuore, le faceva venire voglia di abbracciarlo come aveva fatto lui quando l'aveva riportata a casa e non poteva permetterselo.

Il timore di soffrire era sempre più forte dei ricordi e dell'impulso di lasciarsi andare. Cosa avrebbe potuto offrirgli, comunque, se non l'illusione della donna che era stata un tempo? Non era più sicura di niente, se non della confusione che l'affliggeva.

Sapeva che lui voleva farle delle domande su ciò che era accaduto, ma ammirò il fatto che le lasciasse il tempo di parlare, in paziente attesa: "Ho sognato Anthony", confessò infine.

"L'ho immaginato quando mi hai chiamato con il suo nome", mormorò lui con voce roca.

"Stavolta nel mio sogno l'ho visto bene. Credo persino si trattasse del frammento di un ricordo... stava cadendo da cavallo ma vedevo cadere anche me stessa. Non so quando ho cominciato a camminare nel sonno, né perché sia arrivata fin nel bosco", confessò.

"Perché è lì che è successo", disse lui secco, facendola voltare di scatto per guardarlo.

La verità era che si era ritrovata nel letto, dove pensava di essere rimasta, completamente zuppa e con Albert che la stringeva piangendo e, se non le avesse raccontato ciò che aveva fatto, non lo avrebbe mai ricordato: "Nell'incubo... era giorno, ma poi diventava tutto buio e iniziava a piovere. La tempesta più forte dev'essere cominciata mentre mi trovavo lì", rifletté. Quando si era coricata, qualche ora prima, c'era vento ma non pioveva così tanto.

"Se io mi fossi addormentato e non avessi visto la porta della tua stanza aperta...". Abbassò il capo, portandosi la tazza alle labbra con mani tremanti e Candy capì che stava lottando contro le proprie emozioni.

Sentì un nodo stringersi in gola e tentò di stemperare quel momento razionalizzando l'accaduto: "Fino ad oggi non mi risulta di essere mai stata sonnambula. Credo che sia la prima volta, no?".

Albert annuì, tirando leggermente su col naso: "Sì, né Adrian né la tua infermiera mi hanno mai riportato episodi simili mentre eravamo a Chicago. Penso che ci siamo beccati il raffreddore", concluse pizzicandosi le narici con due dita.

Candy pensò che poteva anche essere vero, lei stessa aveva un leggero mal di gola: "Quindi ora mi chiuderai a chiave nella mia stanza?", domandò con tono ironico, finendo di bere.

Lui la fissò per lunghissimi istanti, la luce della candela tremolò e le finestre gemettero sotto la mano implacabile del vento. I tuoni e il rumore della pioggia erano un unico suono cacofonico e inquietante.

"No, Candy. Ti lascio libera".

Gli occhi le si spalancarono per lo stupore e non riuscì ad articolare alcuna risposta. Aveva capito che il tentativo voluto da Adrian sarebbe durato almeno fino alla fine dell'estate.

Albert si alzò, come se non potesse stare fermo a guardarla per un altro secondo e cominciò a camminare per la stanza tanto quanto la poca luce glielo permetteva: "Domani chiamerò Adrian al telefono, se non sono saltate le linee, e gli chiederò un consulto sul tuo episodio di sonnambulismo. Gli riferirò anche le mie intenzioni. Candy, vorrei fare un ultimo tentativo: ne abbiamo parlato spesso, si tratta della Casa di Pony, dove sei cresciuta".

"La Casa di Pony", mormorò socchiudendo gli occhi per cercare di ricordare come fosse fatta. Poteva solo immaginarla dai racconti di Annie e dello stesso Albert.

"Sì", continuò lui portando la propria tazza nel lavabo e cominciando a sciacquarla. "E vorrei anche portarti dal dottor Martin, ti ho parlato di lui, vero? Era una cosa che ho pensato di fare fin dall'inizio ma non c'è mai stata occasione".

Candy cercò di ricordarsi di quel medico: "È quello che gestisce la Clinica Felice dove lavoravo? Non è stato grazie a lui che hai recuperato la memoria?", chiese alzandosi e portando anche la sua tazza.

"Dai a me, faccio io. Sì, è proprio lui: è un tipo davvero in gamba ma devo dire che ho recuperato la memoria da solo, alla fine. L'altro giorno non mi hai fatto finire di spiegare. In realtà anche io ho avuto qualche riserva e forse è per questo che ci ho messo tanto tempo".

Candy si accigliò: "Che tipo di riserve avevi? C'era qualcosa che non volevi ricordarti?".

Albert finì di lavare le tazze e le appoggiò sul bancone ad asciugare. Alzò lo sguardo su di lei e, ancora una volta, Candy si sentì affogare in quegli occhi celesti: "Mi sono chiesto spesso cosa sarebbe accaduto se mi fossi ricordato del mio passato e fossi stato costretto a separarmi da te. Ti ho detto che quando ho recuperato la memoria ho dovuto andarmene perché i vicini avevano cominciato a parlare... bene, in realtà ho omesso un altro particolare".

Candy sentì il dolore e la rabbia inumidirle gli occhi: "Un'altra bugia?", chiese, maledicendo la propria debolezza.

Lui poggiò le mani al bancone e chinò la testa: "Non ho avuto il coraggio di confessarti che avevo recuperato la memoria, perché non riuscivo a staccarmi da te. Così ho cominciato a lavorare tutto il giorno, col supporto di George, tornando a casa la sera. Il mio gioco non ha retto a lungo, hanno pensato... che avessi legami con dei malviventi perché andavo in giro ben vestito".

"E a me cosa raccontavi? Che lavoravi di nuovo in uno zoo?", domandò con tono alterato.

Albert le diede le spalle, come se fosse imbarazzato: "Sono stato uno stupido ma non ho potuto farne a meno. Avevo bisogno di te... ma non potevo mostrarti i miei veri sentimenti, non in quel momento. Non sapevi neanche che ero il tuo tutore".

Candy era stata furiosa con lui per le menzogne che le aveva raccontato, per le cose che le aveva tenuto nascoste. Ora veniva fuori che, quando era andato via, si ricordava già del suo passato da chissà quanto tempo ed era stato accanto a lei come William Albert Ardlay senza che se ne accorgesse.

Mentre camminava verso la finestra, affascinata dalla natura in rivolta, le venne in mente un libro che aveva letto quando era a Chicago, chiusa nella sua stanza, e parlò ad alta voce per cambiare argomento: "In quella tua biblioteca, a Chicago, ho trovato una specie di favola per bambini. Si intitolava 'Il mago di Oz'. All'inizio mi sembrava una storia stupida, ma poi devo dire che la trama mi ha intrigata e l'ho letta in pochi giorni: c'è questa ragazzina, Dorothy, che vola con tutta la sua casa fino in un mondo magico a causa di un tornado. Un tornado vero, non una tempesta come questa".

Mise una mano sul vetro sentendo la vibrazione della pioggia trasmettersi al palmo. I passi di Albert che si avvicinavano non le impedirono di continuare: "Purtroppo la strega buona che incontra sul suo cammino non può aiutarla a tornare a casa", proseguì, "ma le suggerisce di seguire il percorso di mattoni gialli per arrivare nella città incantata di Oz, dove il potente mago può aiutarla nel suo intento. Durante il percorso, incontra degli amici con cui deve affrontare dure prove prima che lui la riconduca finalmente da dove è venuta".

Le mani di Albert le si posarono sulle spalle e lei non lo scacciò. La rabbia e la delusione, il timore e la frustrazione non le impedirono di godere di quel tocco caldo e leggero: "E tu, Candy? Stavi forse seguendo il tuo percorso di mattoni gialli per cercare aiuto dove tutto è cominciato? Vorrei tanto essere io a ricondurti a casa, amore mio...".

Un singulto strozzato le uscì dalla gola. Perché l'aveva chiamata così? Sentiva il suo naso e le sue labbra tra i capelli, in una carezza leggera, il respiro caldo un po' affannato: "Albert, mi dispiace. Io... non riesco a ricordarmi di te", disse con voce rotta.

Lui si staccò all'improvviso: "Non riesci o non vuoi?", chiese ad alta voce. Si girò per guardarlo: ora era lui a essere arrabbiato. "Ti ho detto che ti lascerò libera se anche la visita alla Casa di Pony non funzionerà, ma non puoi continuare a evitare il tuo passato per sempre. Prima o poi ti raggiungerà!".

Lei chiuse gli occhi: "Lo so, me l'ha detto anche Adrian. Ma finché mi sentirò turbata e tu continuerai a raccontarmi bugie...".

"Non ti ho mai detto bugie per ferirti, Candy!". Ora stava urlando e la sua voce sovrastò il rombo dell'ennesimo tuono. "Si può mentire anche a fin di bene e sai una cosa? La verità non ti ha fatto certo meglio!".

Candy si portò le mani al petto, improvvisamente spaventata dalla sua furia: "Cosa vuoi dire?".

"Che a New York, quando sei andata da Terence, ti sei dovuta scontrare con la dura realtà delle cose e, nonostante vi amaste, avete deciso di rinunciare a tutto per il bene di Susanna Marlowe. In quel caso non c'è stata nessuna bugia, nessun sotterfugio, tutto è avvenuto alla luce del sole, in piena consapevolezza!". Allargò le braccia e si mise a rovistare nei cassetti, da dove tirò fuori altre candele.

"In quel caso è stato diverso. Susanna era lì e, se ricordo bene il tuo racconto, sono stata io a salvarla perché voleva suicidarsi. Non c'era modo per Terry di nascondermi la verità", rispose stringendo i pugni.

"Mi piacerebbe sapere se te ne ha parlato subito o se ha aspettato che salissi su quella terrazza per salvarla. Quando sei partita per raggiungerlo non ne sapevi nulla... ma non è questo il punto", continuò a voce più contenuta, usando la fiamma della candela accesa per le altre che aveva in mano. "Il punto è che, anche se ti ho nascosto la mia identità e ho omesso alcune cose della mia vita, non ti ho mai mentito".

"Omettere è la stessa cosa che mentire!", protestò Candy allontanandosi dalla finestra.

"Può darsi, ma non avevo scelta e comunque non ti ho mai nascosto la cosa più importante. Ossia, quanto tenessi a te. Ti sono sempre stato amico, ho cercato di sostenerti anche se eravamo distanti e quando sei fuggita da scuola mi sono precipitato a Chicago per ritrovarti... o, almeno, quello era il piano. A casa ci sono tornato, però sei stata tu a trovare me". I lineamenti, prima tesi per la rabbia, tornarono ad addolcirsi.

Candy girò la testa di lato, non voleva sentire altro. Ma lui non solo continuò, le pose anche le mani sulle spalle standole di fronte, questa volta: "Candy, io sono quello che ti ha fatto meno male di tutti. Accusami di quello che vuoi: della caccia alla volpe, di essere stato un egoista a girare per il mondo, di non aver messo al corrente della mia vera identità almeno te, di aver recuperato la memoria e avertelo tenuto nascosto e anche di essermene andato all'improvviso... Ma non accusarmi di non averti amata perché, anche se in modi diversi col passare del tempo, l'ho sempre fatto".

"Albert...". Si sentiva di nuovo inerme, di nuovo sul punto di precipitare da un burrone.

Lui la strinse a sé, le labbra che le sfioravano la fronte mentre parlava con urgenza febbrile: "Diamoci una possibilità, Candy, lascia che ti ami così come sei. La memoria tornerà oppure no. Non mi importa, non voglio vivere senza di te".

Cosa sarebbe successo se si fosse lasciata finalmente cadere? Sarebbe stata davvero felice o si sarebbe pentita?

"Avevi detto che mi avresti lasciata andare, dopo la Casa di Pony", fu l'unica cosa che riuscì a dire, arrendendosi al timore, rannicchiandosi di nuovo dentro il proprio vuoto mentale.

Le braccia si allentarono e il suo corpo protestò a quella perdita, ma non si mosse. Albert si allontanò per guardarla negli occhi, alzandole il viso con due dita: "È davvero questo, che vuoi? Che ti lasci andare?".

"Sì", disse senza titubare. "Voglio trovare la mia strada da sola. Allontanarmi da tutto e da tutti. Forse, solo così troverò il coraggio di ricordare, un giorno. Starti vicino... mi rende debole, mi fa fare solo passi indietro", confessò.

Il volto di Albert divenne di pietra, mentre faceva a sua volta un altro passo indietro. E poi un altro. "Ti chiedo scusa, Candy. Mi sono lasciato trasportare come uno stupido e non sono stato coerente. Non credo di esserlo più da un po'...", disse come parlando a se stesso, passandosi una mano tra i capelli.

"Io...".

"Prendi una candela e vai a dormire: è molto tardi", disse afferrandone una e camminando fino all'uscita. "Buonanotte", fu l'ultima parola che uscì dalle sue labbra. Quelle stesse labbra che, poco prima, le bruciavano sulla pelle della fronte.

Poteva benissimo essere attrazione fisica, si disse, o un affetto dettato dalle cure che le prodigava. Tante volte Candy aveva cercato di analizzare il proprio cuore tentando di rinnegare quel sentimento che cresceva ogni giorno di più. E più cresceva, più lei si ritrovava a scappare man mano che scopriva dai suoi racconti eventi che la disturbavano.
Sentiva che tutta la sua vita era stata una menzogna.

I suoi genitori l'avevano rifiutata e chi l'aveva cresciuta non l'aveva generata. Il suo primo amore di bambina era sparito per anni per poi diventare suo amico spacciandosi per un vagabondo; gli altri che aveva amato li aveva persi e persino quella che doveva essere una sorella per lei era stata così egoista da rinnegarla pur di fare bella figura in società.

Albert era stato davvero quello che le aveva fatto meno male di tutti? E allora perché rappresentava il desiderio e il dolore più grande al contempo? Avrebbe mai superato quella delusione?

Sì, decisamente allontanarsi per fare ordine nella sua testa l'avrebbe aiutata. Candy prese la sua candela e cominciò a salire le scale, accompagnata dall'ululato del vento e dal ticchettio incessante della pioggia: si sentiva sfinita ed era stata davvero fortunata che non le fosse caduto un ramo addosso o peggio.

Albert mi ha salvato la vita, come fece alla cascata.

Quel pensiero la fece bloccare con la mano sulla porta della sua stanza.

Mi ama, ma non sono pronta a ricambiarlo, anche se mi salvasse la vita altre mille volte.

Infilandosi sotto le coperte, avvolta dal torpore fisico e mentale, Candy si addormentò con l'immagine del viso di Albert vicino al suo. I suoi occhi chiari e luminosi pieni d'amore. Il suo sorriso dolce e sincero. La sua voce calda che la chiamava per nome con tenerezza.

Nel sonno, ricambiò il suo abbraccio respirando il suo profumo speziato e maschile ma, dopo qualche istante, il vuoto la inghiottiva e lei spalancava la bocca in un urlo muto.
   
 
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