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Autore: Little Firestar84    02/11/2021    4 recensioni
[AU]Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore da quando lei era uscita dalla Hall dell’albergo dove avrebbero dovuto unirsi in matrimonio. 402 giorni. 9650 ore. 579.000 minuti. Quasi trentacinque milioni di secondi.
A tutti diceva che avevano fatto bene a lasciarsi, ma in realtà dentro si sentiva cascare il mondo addosso. A volte, era come morire.

Amici, colleghi, amanti: Ryo e Kaori sono stati tante cose, dal giorno in cui si sono incontrati. Ma dopo una lunga lontananza ed essersi spezzati il cuore a vicenda, sapranno riscoprirsi e ritrovarsi?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Occhi vuoti, colmi di tristezza,  che avevano perso la loro scintilla, quella luminosità che li aveva sempre contraddistinti; Ryo, inginocchiato accanto al cadavere, fissava il giovane dall’addome trivellato di colpi e dal viso che era stato picchiato così selvaggiamente dal renderlo ormai irriconoscibile come se quel cadavere non fosse veramente lì – quasi come se il corpo fosse stato trasparente. 

Si voltò verso Kaori, che analizzava la scena del crimine alla ricerca di indizi, la presenza di eventuali bossoli, e si perse per un attimo in un mondo tutto suo. Lasciò che la sua mente vagasse, andasse al passato, al presente, e al futuro- uno che non li vedeva condividere la vita, come un tempo avevano sognato, immaginato.

Ormai mancava poco: poche settimane e Kaori si sarebbe sposata con un altro, sarebbe divenuta la signora Mikuni…

Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, mentre stringeva il ponte del naso, sforzandosi di concentrarsi sul presente, l’immediato, il lavoro… si alzò, guardando verso Hideyuki, e lo raggiunse dalla porta, dove il giovane stava parlando con una donna evidentemente scossa, che arrossì appena vide Ryo avvicinarsi.

Segretamente compiaciuto, l’uomo le sorrise, confortandola silenziosamente, maledicendosi perché il suo dannato fascino funzionava con tutte tranne che con una, l’unica di cui gli fosse mai veramente importato qualcosa.

“Ryo, questa è Victoria Kenpai, è stata lei a chiamarci.” Maki gli spiegò, mettendo via il blocco degli appunti, rimettendolo nella tasca dell’immancabile spolverino. “Mi dica, signora, potrebbe ripetere quello che ha detto a me anche al mio collega?”

 “Ho sentito degli spari provenire dall’appartamento di Bento, e vi ho chiamato.” Arrossendo, la donna fece un leggero cenno di assenso col capo, che abbassò poi prontamente, rivolgendo gli occhi altrove, quasi guardando la porta d’ingresso del suo dirimpettaio avesse potuto scorgervi i suoi resti mortali. “Io… non credo di potervi aiutare di più. Lo conoscevo appena. Io… io non so nemmeno il suo cognome. Si era presentato solo come Bento, mi aveva stretto la mano e… e basta. Ci dicevamo solo buongiorno e buonasera, cose così.”

Ryo scrollò le spalle: non se ne meravigliava affatto. La gente già normalmente si faceva i fatti propri e non conosceva mai davvero chi gli stava accanto, ma questo era ancora più vero a Shinjuku, un quartiere dalla criminalità così elevata che meno sapevi dei tuoi vicini, meglio era, perché non potevi mai sapere chi potevi avere alla porta accanto.

“Grazie mille signora, la lascio nelle mani del mio collega!” Le sorrise, salutandola, e tornò dentro. Kaori era ancora inginocchiata sulla moquette color tortora, ingrigita dagli anni, e cercava in mezzo a quel ciarpame ed al caos degli indizi, come pure Reika, che la guardava con malcelata ostilità, non perdonandole di averle rubato l’incarico sotto copertura che alla collega era valsa una menzione di merito.

“Ditemi che almeno voi avete qualcosa…” Ryo sospirò, sentendo però già la delusione che montava in lui – delusione che percepì in tutta la sua potenza quando la sua ex lo guardò innervosita, chiaramente a corto di idee anche lei.

“Se vuoi posso dirti che sulla cassetta delle lettere c’è scritto Tensei, ma non ha fotografie in giro, documenti addosso, e conciato in questo stato dubito che la vicina ci potrebbe dire se quest’uomo è effettivamente Bento oppure no.”

“Quindi, cosa potrebbe essere, una rapina, ?” Domandò, guardandosi intorno con fare guardingo: difficile capire cosa potesse essere accaduto, ma la rapina sembrava effettivamente la migliore delle ipotesi, visto e considerato che non c’era una sola cosa che fosse al suo posto, che tutti i cassetti erano stati svuotati, i pochi quadri spostati…. Ma cosa cercava il ladro? Bento era solo un povero carpentiere di vent’anni: in che casino si era ficcato quel povero ragazzo per essere ridotto ad un colabrodo a cui era rimasto poco o nulla di umano?

“Beh, sì, anche se mi chiedo cosa potessero voler rubare ad un morto di fame come lui… l’unica cosa apparentemente di valore è il computer, e lo hanno lasciato!” Reika rispose secca, voltandosi verso Ryo e sbattendo le sue lunghe ciglia da cerbiatta. “Questo posto è una porcilaia peggio di quanto non fosse mai stata casa tua…. E per essere peggio di te ce ne vuole di impegno!”

Mentre Ryo ingoiava a vuoto, imbarazzato ed a disagio nel trovarsi nel mezzo di quella discussione- che Kaori, nonostante il suo status di ex, non pareva apprezzare -  le due donne si lanciavano saette dagli occhi, mostrandosi a gesti e sguardi il rispettivo disprezzo.

Lo so benissimo com’è la casa di Ryo…. Perché, sai Kaori, io ci sono stata… e pure parecchie volte.

Come buona parte delle donne di Tokyo… quella però che ha condiviso la camera da letto con lui sono io, tu al massimo ti sei seduta al tavolo della cucina, e lo so benissimo che Ryo, con te, non ci è mai stato, nonostante tu non faccia altro che fare la svenevole!

Ehm, volete che ci pensi io a controllare con la motorizzazione? Magari hanno una sua foto…” Ryo provò a dire, allentandosi il colletto della camicia rossa che indossava quel giorno. “Maki può controllare se magari aveva famiglia, qualcuno da avvisare… voi intanto potete continuare a vedere se trovate qualche indizio, va bene? Sì? Perfetto!”

Senza nemmeno attendere risposta, Ryo riprese a girare per la stanza, fino a che non notò qualcosa per terra: un quaderno a quadretti, a spirale, formato A5, di quelli usati anche a scuola; era stato gettato malamente a terra, e lasciato aperto. 

“Trovato qualcosa?” Maki gli domandò, raggiungendolo.

“Non lo so…” Infilandosi i guanti neri, Ryo si inginocchiò e raccolse il blocco; prese a sfogliarlo, concentrato, quasi si aspettasse una fulminazione, e quasi in ogni pagina trovò lo stesso ed identico disegno: una T, in stampatello, bordi rossi ed argentei, colorata di azzurro, con cinque semplici stelle sopra ed una sesta alla base della stanghetta.

Il poliziotto sollevò un sopracciglio, interessato e curioso: forse che il ragazzo fosse parte di un gruppo antisemita? No - quella non era la stella di David, e comunque non avrebbe certo disegnato quel motivo così ossessivamente se così fosse stato. 

Qualcosa di matrice politica? Magari legato al comunismo, o a un movimento indipendentista… o forse qualche setta: in Giappone erano sempre andate forte.

O forse, più semplicemente, era il logo di un albergo extra lusso? Anche a Tokyo i cinque stelle più una si potevano contare sulle dita di una mano, e non ricordava nessuno che avesse un’immagine simile…

O magari le cose erano ancora più semplici e banali di cosa Ryo immaginasse, magari quello era stato un disegno così, fatto nella foga del momento, e lui stava semplicemente guardando nella direzione sbagliata e non verso la più ovvia.

“Ehi, Reika!” La chiamò, sollevando un braccio in direzione della donna, mettendo in mostra il taccuino. "Ti risulta che sia il tag di qualche gang, magari una banda di Yakuza?”

Reika, che aveva intanto fatto accomodare Kazue, che stava controllando il corpo, si avvicinò a Ryo, e prese il blocco dalle sue mani. Pagina dopo pagina, guardò quella semplice lettera. 

“No, non mi sembra, ma potrebbe essere qualche nuova gang… ma potrebbe benissimo essere un logo commerciale, oppure l'iniziale di una donna, o di un uomo…”

“Qualsiasi cosa sia doveva piacergli parecchio!” Kazue urlò da accanto al corpo, mentre sollevava leggermente il polsino della semplice maglia a maniche lunghe di cotone nero, mostrando il polso sinistro del ragazzo. “Se l’era pure tatuata sul corpo. A giudicare dal rossore, non più di una settimana fa…"

“Professionale o casalingo?” Le domandò, avvicinandosi sommessamente e guardando dall’alto del suo metro e novantadue il disegno sulla pelle del giovane, effettivamente identico a quello sul quaderno che aveva appena imbustato.

tattoo

“Beh, non me ne intendo molto…” Kazue rispose con un sorrisetto, mentre prendeva in mano un paio di pinzette, non dissimili da quelle usate dalle estetiste per le sopracciglia, ed iniziava a controllare meglio il cadavere. “Ma i contorni sono precisi e netti, i colori luminosi, e stava guarendo bene. Direi che era un lavoro professionale.”

“Faccio un giro dai tatuatori della zona. Magari si ricordano di averlo fatto o ne sanno qualcosa di più…” Ryo avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma lo sguardo concitato di Maki, serio e preoccupato, lo fermò. Rimasero in silenzio, mentre il più anziano dei fratelli Makimura continuava a guardare i colleghi come se un’ombra nera fosse caduta su di lui, avvolgendo il suo intero essere. “Accidenti, Maki, che faccia… cos’è, devi andare ad un funerale?” Ryo scherzò.

“Venite a vedere.” Così dicendo, fece segno di seguirlo; entrò in un piccolo sgabuzzino, angusto, con mensole fino al soffitto. Era caotico come il resto della casa, ma nell’aria si poteva distinguere chiaramente un certo odore, concentrato, che tutti loro conoscevano bene.

Polvere da sparo.

Per terra, scatole di munizioni, tante… quasi tutte vuote.

“Accidenti, al ragazzo doveva piacere fare le scampagnate…” Prese uno dei proiettili e lo esaminò, sollevando un sopracciglio. “Questi li usano per i fucili da caccia grossa…”

“Accidenti…” Kaori fischiò. “Ci sono abbastanza scatole da far sembrare questo posto un’armeria… ma fucili zero. Credete possa averli presi l’assassino?”

“Forse non è il caso di concentrarsi tanto sui fucili…” Kazue prese a balbettare, i denti che le scricchiolavano in bocca mentre, inginocchiata accanto al cadavere, con in mano il portafoglio che aveva recuperato dal corpo,  impallidiva. “Ragazzi… non è stato ucciso da colpi di pistola… le contusioni sono state effettivamente causate da pugni, ma al petto… questo… questi non… non sono frammenti di proiettile, ma… ma schegge!”

“Appunto: schegge di proiettile!” Ryo ridacchiò, senza capire il senso dell’affermazione di Kazue, né perché fosse così preoccupata: un proiettile frantumato non era esattamente una novità, capitava più sovente di quanto si pensasse, lo sapeva anche lui, a volte si frantumava all’interno del corpo, se il proiettile colpiva un osso con una certa forza ad una determinata angolazione, oppure succedeva che rimbalzasse contro una superficie, si infrangesse, e schegge andassero a colpire un povero disgraziato che a volte non era nemmeno la vittima designata. “Sai che cosa strana!”

“Ti ho già detto che non è un frammento di proiettile, brutto idiota!” La donna sibilò, guardandolo dalla sua posizione con occhi infuocati, eppure sembrava che stesse facendo il possibile per controllarsi. ”Ho già visto cose del genere quando facevo la volontaria in Afghanistan con MSF, dopo che erano saltate delle bombe!”

“Bombe?” Kaori balbettò, aprendo e chiudendo gli occhi alla velocità della luce, impallidendo a sua volta, mentre si guardava, concitata, intorno. “Ma… ma qui si tratta solo di disordine, non sembra che la camera sia saltata in aria!”

“Sì, probabilmente perché la carica era a basso potenziale e questo idiota ha assorbito l’onda d’urto col suo corpo, per questo la vicina credeva di aver sentito degli spari... ma Dio solo sa se c’è altro esplosivo qui intorno!”  La donna, risoluta, affermò, alzandosi in piedi senza nemmeno preoccuparsi di prendere alcunché, nemmeno di recuperare i suoi effetti personali. “Dobbiamo uscire subito di qui!”

“Ma…. Ma io non ho ancora finito di analizzare la scena del crimine e se ce ne andiamo adesso ed arriva la squadra artificieri faranno un macello e la contamineranno e…” A denti stretti, senza darle la possibilità di continuare, già capendo l’antifona, Ryo afferrò Kaori per la vita e la sollevò in aria, mettendosela sulla spalla quasi la donna fosse un sacco di patate. “Ma… ma Ryo, cosa fai?”

“Ti porto via, ecco cosa faccio, sennò sei capace di startene qui a raccogliere prove!” La redarguì, abbaiando come un cane inferocito.

“Ma… ma… ma mettimi subito giù!” Fu la risposta. Sbraitata. “Adesso!”

“Stai buona, sorellina, guarda che lo facciamo per te…” Maki sospirò, sistemandosi gli occhiali. Doveva chiamare Saeko e avvertire gli artificieri, ma avrebbe aspettato di arrivare all’auto di servizio ed utilizzare la radio, evitando il cellulare, nel malaugurato caso ci fossero state altre bombe… sarebbe potuta bastare la minima interferenza a far saltare tutto e tutti in aria! “Preferirei venire al tuo matrimonio, piuttosto che al tuo funerale!”

Alla sola menzione dell’imminente cerimonia, Kaori arrossì, e decise di rimanere zitta e buona, e non cercare di divincolarsi oltre, dato che quei movimenti la mettevano fin troppo a stretto contatto con il suo ex - cosa che era certa Ryo avesse capito, se quel sorrisetto compiaciuto significava qualcosa.

“Brava bambina, vedi che quando vuoi sai essere ubbidiente?” Facendole l’occhiolino, le diede una pacca sul sedere, facendole digrignare i denti per l’indignazione.

 

            “Allora, cosa abbiamo fino ad ora?” Saeko domandò, secca, determinata e distaccata, guardando dall’alto in basso i suoi uomini; per pura fortuna gli artificieri erano riusciti a salvare la scena del crimine, nonostante fosse stato trovato, nascosto, un secondo ordigno inesploso: era forse prova che qualcuno aveva avuto intenzione di nascondere l’omicidio del Tensei… o forse era tutta opera del Tensei stesso, e la sua morte non era stata null’altro che un increscioso incidente? “Sappiamo chi era, se era in contatto con gruppi estremisti o altro?”

“Per adesso sappiamo solo il suo nome e l’età.” Ryo attaccò alla lavagna un ingrandimento della patente. “La nostra vittima era effettivamente Bento Tensei, l’affittuario dell’appartamento, di anni diciannove. Lavorava come muratore in una piccola impresa edile.”

“E…” Saeko sollevò un sopracciglio, guardando il suo sottoposto e attendendo che aggiungesse qualcosa, ma Ryo la guardava come se non comprendesse quell’uscita- o peggio, non avesse nulla da dire.

“Nel portafoglio abbiamo trovato copia di una fattura di un negozio di articoli per l’edilizia.” Kaori interruppe, prendendo la sua borsa da un cassetto e mettendosela in spalla. “Cosa non strana, dato che molti muratori fanno anche piccoli lavoretti per conto loro. Mi sono fatta mandare l’elenco dei prodotti a cui corrispondono i codici a barre e vado con gli artificieri a controllare se avesse qualcosa in casa o nel garage.”

“Cos’era?” Saeko afferrò il foglio che Kaori le porse, e prese a leggerlo, recitando le voci una ad una, un elenco che solo a sentirlo, nonostante apparisse nulla di che, visto e considerato ciò che era avvenuto poteva rappresentare un pericolo. “Una decina di tubi zincati, un paio di scatole di fiammiferi, un trapano,  e due scatole di chiodi…”

“Cose che qualunque carpentiere ha, ma che se aggiungi un po’ di polvere da sparo…” Kaori sospirò, guardando i colleghi.

“Hai un po’ di bombe per le mani. Ed il nostro amico aveva non so quante scatole di proiettili!” Ryo terminò la frase per lei, grattandosi il collo. Sospirò; tutta quella situazione preoccupava anche lui, aveva un brutto presentimento.

“C’è altro.” Kaori riprese. “Leggi l’ultima voce della ricevuta.”

“Due bombole di gas?” Saeko sbattè gli occhi, incredula. Quella storia le puzzava, e le piaceva una volta di meno. Pregò con tutta sé stessa di sbagliarsi, ma purtroppo anni di lavoro sul campo, l’esperienza acquisita ed il suo istinto le dicevano di prepararsi al peggio. “Qualcosa mi dice che non  gli servivano per cucinare o scaldare l’acqua…”

“E avresti ragione: non abbiamo visto bombole in cucina, né sul balcone.” Reika sospirò; seduta alla scrivania, sollevò gli occhi verso l’alto, sconsolata. “Io ho controllato tutti i database che mi sono venuti in mente, ma non ho trovato nulla sul tatuaggio. Ciò significa che molto probabilmente è personale, ma non sappiamo a chi chiederlo perché i suoi genitori stanno facendo un viaggio in barca a vela e non abbiamo la più pallida idea di chi possano essere i suoi amici.”

“Mentre Kaori ispeziona la casa di Tensei, ho bisogno che qualcuno vada alla sede della ditta per cui lavorava,” Saeko rifletté; sapeva che si trattava di una remota possibilità, dato che il ragazzo lavorava lì da poco, ma valeva forse la pena provare. “Magari qualcuno dei suoi colleghi sa cosa vuole dire il tatuaggio e ci sa dire qualcosa di più su di lui.”

“O magari ha lo stesso tatuaggio.” Hideyuki continuò, serio, sistemandosi gli occhiali sul viso, suo vezzo abituale. “Non sappiamo ancora se si tratti di incidente o omicidio, potrebbe benissimo essere che il colpevole sia qualcuno con cui lui stava pianificando qualcosa.”

“Ma cosa? Questo ragazzo era un santarellino, l’unica pecca sul suo curriculum era un richiamo per disobbedienza civile alle superiori, quando ha intrapreso una protesta contro il preside che voleva obbligare una sua compagna di classe a tingersi i capelli perché il suo colore non era considerato abbastanza nipponico...” Ryo lesse il fascicolo, sorridendo, quasi stava per scoppiare a ridere… era difficile credere che un ragazzo del genere potesse costruire bombe. “Lui ed i suoi compagni si sono tinti i capelli di biondo con un ciuffo della frangia viola, come la testa del leader dei Beehive!”

“Già, ma un semplice atto di disobbedienza gli ha segnato la vita…” Hideyuki prese la cartella di mano a Ryo, e continuò a leggere; occhi lontano, rattristati, parlava con l’animo pesante. “Il preside non ha preso bene la protesta e lo ha sospeso, lui non si è diplomato e invece di essere all’università a studiare architettura come voleva è finito a fare il muratore grazie alla raccomandazione del padre, ed il tutto per due soldi!”

“Abbiamo già i tabulati telefonici? Un elenco delle mail inviate, dei siti visitati?”

“Telefono usa e getta ricaricabile da bravo terrorista e computer protetto biometricamente, il che significa che ci servono i suoi occhi e l’impronta del suo pollice… ma lui dovrebbe essere vivo per funzionare!” Ryo indicò le prove, incellofanate sulla sua scrivania. “JJ sta già venendo qui. Proverà lui a craccare il sistema.”

“Bene, così scopriremo con chi si sentiva e se c’era qualcosa di cui lui si interessava particolarmente… oh, Reika, fai un salto al negozio dove aveva acquistato tutta questa roba, voglio sapere se hanno dei nastri della videosorveglianza e se si ricordano del nostro caro defunto.”

“O se magari non era andato da solo a fare acquisti ma in buona compagnia!” Reika esclamò, soddisfatta di sé, sistemandosi una ciocca di capelli ribelli alle spalle, con la stessa identica movenza della sorella maggiore. “Vado subito!”

“Il centro commerciale dove ha comprato tutta quella roba è il Nakano, vero?” Ryo domandò; raggiunse Reika, che aveva in mano copia della ricevuta d’acquisto, e guardò da sopra la sua spalla il foglio, con un sorrisetto sornione un po’ sciocco, quasi volesse farle credere che era ben altro che i suoi occhi scuri stavano assaporando. “C’è anche un negozio di articoli da campeggio, caccia e pesca. Potrei approfittarne e rubarti un passaggio, e fare qualche domandina anche a loro..  magari il nostro terrorista ha acquistato lì i proiettili e tutto il resto del suo armamentario!”

“Hai già sentito i tatuatori, Ryo?” Saeko gli domandò; il suo tono con lui però non era secco, e nonostante fosse chiaro quanto fosse autoritaria - anche con lui e Hideyuki - c’era anche una certa nota frizzante nella sua voce, amichevole, sintomo di quanto si fidasse di loro, e che li riteneva suoi pari, non meri subordinati a cui abbaiare ordini.

“Che palle, Saeko! Ma certo che li ho già sentiti! Per chi mi hai preso?” Lui sbuffò, mani incrociate dietro al capo. “Si è tatuato in un piccolo negozio di Shinjuku, ha portato lui il disegno e non ha detto cosa volesse dire. Adesso che lo sai posso andare o no?”

“Allora ve bene, ma portatevi dietro Maki, sei occhi sono meglio di quattro!” Con un sorrisetto sul volto, la donna fece un gesto un po’ svogliato con la mano, quasi fosse stata una regina che permetteva agli umili sudditi di lasciare la sua presenza, un comportamento dettato dall’impertinenza di Ryo.  Mentre la “coppia” si allontanava ed entrava nel piccolo ascensore, la bella ispettrice sorrise sotto ai baffi, segretamente compiaciuta da ciò che aveva notato quando Ryo aveva proposto a Reika di andare con lei:: Kaori sembrava voler strozzare l’altra donna con le sue stesse mani.

Era gelosa, nonostante tutto.

“Su, forza, mettiamoci tutti al lavoro!”  Braccia incrociate, Saeko tornò nel suo ufficio, sedendosi dietro alla sua scrivania molto soddisfatta per come stava andando la giornata: ormai sembrava che il caso fosse destinato ad essere chiuso, presto e con successo - l’ennesimo  per la sua unità.

 

            “Credi davvero che un commesso potrebbe ricordarsi di Tensei?” Reika gli domandò, dubbiosa, mentre salivano le scale del centro commerciale dove i due negozi si trovavano.

Ryo, mani in tasca, si voltò a guardare Maki, rimasto indietro, un po’ in disparte, intento a parlottare al telefono, probabilmente con la sua dolce metà.

“Beh, con il basso numero di armi che si vendono in Giappone,” Ryo sbuffò scrollando le spalle; “spero che all’emporio si ricordino di un ventenne che ha comprato un piccolo arsenale.”

“Se le ha comprate qui... non hai pensato che forse avrebbe potuto acquistarle al mercato nero?” Gli domandò, onestamente curiosa.

“No,” Ryo le rispose, sorridendo sicuro di sé. “quel tizio era un agnellino, Reika, tolto quel problema a scuola non aveva precedenti, nemmeno una multa. Se voleva qualcosa, non gli serviva andare al mercato nero. Non penso nemmeno avesse gli agganci per sapere cosa comprare e da chi…”

“Ryo,” la donna sollevò un sopracciglio, poco convinta. “Quel tipo  preparava bombe.”

“Già, ed era così furbo che si faceva fare la fattura per i materiali, dai!” Sghignazzando, sollevò un braccio a mo’ di saluto, mentre Maki lo raggiungeva, ed entrambi entravano nell’armeria, mentre Reika sbuffava, innervosita da come Ryo a volte sembrasse trattarla da sciocca - o peggio, da bambina.

Con un diavolo per capello e la foto del ragazzo, Reika si diresse verso la cassa centrale, al momento vuota, e sbatté il distintivo sul top in legno chiaro, facendo sobbalzare il ragazzo che c’era dietro al bancone; occhialuto, sui vent’anni, mingherlino, il cartellino sul taschino della polo giallo canarino lo indicava come Satomi.

“Mi servirebbero le fatture degli acquisti effettuati da Bento Tensei negli ultimi sei mesi.” Si limitò a ringhiare. Balbettando e sudando, il ragazzo prese a dire scuse, spiegare come gli sarebbe servito un mandato, ne era quasi del tutto certo, che quello fosse abuso di potere… senza battere ciglio, Reika gli sbattè un’altra foto sotto al naso: stavolta, era quella dell’autopsia del ragazzo. “Tensei è morto, e gradiremmo scoprire il perché. Allora, non vuole che la arresti per intralcio alla giustizia, vero?”

Il giovane prese ad ingoiare a vuoto, smanettando al computer, rubando di tanto in tanto un’occhiata a Reika; la trovava bellissima, dal carattere deciso… e forse fin troppo. Un po’ dispotica ed acida, ecco, ma un sogno per uno come lui. Stampò una fattura per altro materiale edile - delle travi di legno, della colla a caldo, silicone, chiodi, nulla di strano per un carpentiere - e poi fece un passo indietro, intimorito dall’aura di potere emanata dalla donna.

“Altro? Sai se Tensei avesse fatto acquisti solo con scontrino, se è mai venuto qui con qualcuno?” gli domandò, quasi ringhiando. Si sentiva stufa ed arrabbiata, innervosita… non c’era nulla che stesse andando come voleva, nella sua vita. Poche prospettive di carriera, Saeko metteva su famiglia mentre lei era ancora single, e l’unico uomo che lei avesse mai amato non sembrava minimamente interessato…. a volte sembrava che il destino si accanisse con lei.  Anzi: contro di lei.

“Io… no, cioè….” Satomi balbettò; Reika non gli disse nulla, né lesse troppo in quel comportamento, immaginando il ragazzo come un timido soggetto che andava in crisi alla vista di una donna, e ancora peggio se suddetta donna gli parlava insieme. “Non… non ci sono sempre io.”

“Io... devo andare.” le disse all’improvviso, guardando in lontananza verso un vecchietto che stava girando spaesato tra gli scaffali. “Ma, ma se vuole posso chiedere in giro, magari qualche collega si ricorda…”

Reika si limitò ad alzare gli occhi al cielo e lasciargli il suo biglietto, certa che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, e poi uscì, sistemandosi i capelli come faceva sua sorella Saeko… lo faceva inconsciamente, ma odiava quel gesto, quasi avesse cercato di imitarla, eguagliarla - cosa che sapeva impossibile: Saeko aveva tutto, dall’amore incondizionato del padre al fidanzato fino alla carriera.

Raggiunse Maki e Ryo, che stavano chiacchierando con un altro ragazzo davanti all’armeria; anche lui era molto giovane, un segno dei tempi, che impiegavano in massa manovalanza a bassa specializzazione con stipendi che poco mancava che fossero da fame. Il giovane fissava la foto, strizzava gli occhi quasi a volersi concentrare meglio, sembrava incerto, o che non sapesse nulla, ma poi il suo corpo fu percorso come da un brivido.

“Cosa hai ricordato?” Ryo gli domandò, scuro in volto, certo di ciò che affermava.

“Non era un nostro cliente, però…” Il ragazzo corrugò la fronte, inspirando. “Io credo di averlo visto una volta… sì, ne sono sicuro, era con Satomi nel parcheggio, lo stava aiutando a caricare la macchina, e sembravano, beh, amici.”

“Satomi?” Reika domandò, sgranando gli occhi, irrompendo nella discussione. Sentiva come un brivido correrle lungo la schiena, e si maledisse… aveva creduto che il ragazzino fosse giovane, inesperto, timido… e invece era un criminale bugiardo, e lei non lo aveva capito, si era a malapena accorta di chi aveva davanti, nemmeno fosse stato invisibile. “Quello del negozio di utensileria e ferramenta?”

“Sì, è lui… è parecchio strano quello…” Il ragazzo fece un sorrisetto, restituendo la foto a Ryo. Poi però gli strappò di mano un’altra fotografia, quella del polso del giovane Tensei. “Come mai avete una foto del suo tatuaggio?”

“Suo?” Makimura si sistemò gli occhiali, avvertendo che qualcosa non andava. “Suo di chi?”

“Di Satomi, ovvio… perché, non è suo?”

Ryo strappò la foto di mano al ragazzo, e la mise davanti ai suoi occhi, mentre Reika scostava leggermente la giacca per avere accesso più rapido alla fondina e si incamminò a passo spedito verso la ferramenta, pronta a interrogare quel sospetto che adesso era chiaro avesse mentito fin dal principio: Satomi aveva qualcosa da nascondere, e questo poteva significare una cosa sola, che fosse coinvolto in quella faccenda.

Ma in cosa, esattamente? Le bombe, l’omicidio… o forse una sparatoria?

Ryo e Maki fecero per voltarsi e raggiungerla, quando però Saeba si immobilizzò davanti alla mappa del centro commerciale, e sentì il cuore smettere di battere nel petto per lo spavento… una T - quell’edificio realizzato in mattoni rossi e vetro azzurro cielo era a forma di T.

Avvertì come un oscuro presagio, e prese a correre verso il tetto, temendo cosa vi avrebbe potuto trovare, ma soprattutto desideroso di avere una visione dall’alto… che fosse la stessa cosa che Satomi e Tensei avevano pianificato?

Cinque stelle: cinque bombe per far collassare quella parte dell’edificio, e bloccare le uscite su quel lato. E poi la sesta stella, dove Ryo sapeva esserci una cupola in vetro… quasi un punto panoramico. Da lì, avrebbero potuto sparare a tutti quelli che fossero usciti dal centro commerciale, massimizzando attraverso il caos il numero di vittime potenziali.

“Dannazione!” Ryo sibilò, fermandosi su uno scalino e chiamando Reika a squarciagola; la donna si fermò, e tornò indietro, raggiungendolo. “A quest’ora il ragazzo sarà sul tetto… scommetto che la nostra presenza e la morte del suo socio gli ha fatto velocizzare il piano!”

“Già… se il piano originale era di far esplodere le bombole di gas, avrà deciso di evitarlo per non perdere tempo! Io faccio chiudere tutte le porte. Dobbiamo far rimanere i clienti all’interno dei negozi… e chiamo Saeko, ci serviranno rinforzi!” Maki controllò dove si trovasse la sicurezza, e si avviò, veloce, cercando di dare il meno nell’occhio possibile, sapendo che ogni altra reazione avrebbe potuto scatenare l’isteria totale. Aveva visto masse fuggire come branchi inferociti e fuori controllo, e alla fine i più deboli rimanevano schiacciati dalla calca, morendo soffocati o massacrati, e non voleva venire ricordato come l’agente che aveva permesso una cosa del genere.

Non aveva ancora fatto dieci passi però che l’allarme anti-incendio scattò, mentre una serie di esplosioni prendeva luogo all’esterno della struttura; in serie, una dopo l’altra, ognuna leggermente più potente della precedente. I muri vibrarono, e gli sembrò quasi che gli dovesse mancare la terra da sotto i piedi, e nonostante quasi tutti i palazzi del Giappone fossero dotati della più moderna tecnologia antisismica, questi non servì a nulla.

Il muro collassò - la stanghetta della T - e fu il caos.

Urla. Grida. Gente che fuggiva. gente che si rannicchiava in posizione fetale, muta. Bambini che gridavano terrorizzati.

Distintivo in pugno, alzato perché tutti potessero vederlo, Maki si fece strada tra la folla, cercando di guadagnarsi l’uscita; dalle porte già in molti si stavano accalcando, facendo il gioco del giovane criminale, che prese a sparare, ridendo… una risata acuta, forte, malata, che superava il rumore degli spari, quello delle urla di terrore.

Urla. Sangue. Spari. Il mondo divenne improvvisamente rosso e nero, mentre il poliziotto estraeva, stringendo i denti, la pistola dalla fondina, e spingeva una giovane mamma dentro al centro commerciale. Alzò l’arma, tenendola saldamente con entrambe le mani, mentre sudava e il suo cuore batteva all’impazzata, e puntò verso la macchia sul tetto… giallo e verde, come la divisa della ferramenta, e nero… nero come il giubbotto antiproiettile che indossava.

Maledisse Ryo: a quanto sembrava, si era sbagliato. O forse il profilo che aveva fatto di Tensei era giusto, ma non avevano preso troppo in considerazione il suo complice.

Ragazzini. Poco più grandi di Kaori quando aveva deciso di entrare in polizia, dopo che lui era quasi morto a causa di Sonia e Kaibara.

Ragazzini. Provenienti da brave famiglie, come Kaori. Bravi studenti, come lo era stata lei… ma ad un certo punto avevano avuto un singolo intoppo, e quello aveva causato una reazione a catena che li aveva fatti precipitare nel baratro, trasformandoli da giovani promettenti in poco più che sguatteri. Erano stati traditi dalla società, e adesso avrebbero pareggiato i conti, ottenuto la loro vendetta.

Satomi gli puntò l’arma addosso, e Maki fu quasi certo di vedere un sorriso pazzo dipinto sul viso, mentre premeva il grilletto; il poliziotto sparò un caricatore, cercando di non colpire il loro sospettato ma disarmarlo, o perlomeno far guadagnare a Ryo e Reika tempo; le scintille della pistola lo accecano, sentiva i colpi rimbalzargli dentro, fargli mancare l’equilibrio, nemmeno fosse stato un novellino, ed intanto una singola goccia di sudore gli cadde nell’occhio destro, annebbiandogli la vista…. ma continuò a sparare.

Fino a che il grilletto andò a vuoto: era rimasto senza munizioni.

 Un proiettile gli sfiorò la gamba destra, lacerando la stoffa del pantalone beige, che si inzuppò di sangue mentre una macchia cremisi si espandeva sul tessuto; barcollando, Maki cercò riparo dietro ad un vaso di terracotta azzurra particolarmente grande, in cui era stata piantata una palma, e cambiò caricatore. Prese nuovamente la mira, sparando però a lato del giovane, volendolo distrarre, e sperando che funzionasse…

E poi, altri spari: ma guardando dal basso verso l’alto, Hideyuki era certo che non fosse stato il giovane a sparare.... mentre legava la cravatta intorno alla ferita, emise un flebile respiro di sollievo, mentre gli sembrava che il suo corpo fosse percorso da una scarica elettrica che partiva dal punto in cui era stato ferito: quel rumore era inconfondibile.

La Python di Ryo.

 

            Coperti da due lucernari, Ryo e Reika, ai lati opposti del tetto, tenevano le pistole in mano e cercavano di disturbare il più possibile il ragazzo - e fargli sprecare munizioni; più sparava a vuoto, prima avrebbe terminato i proiettili, e più persone si sarebbero salvate dalla sua folle furia omicida - e Ryo era certo Maki stesse facendo la stessa cosa dabbasso.

In silenzio, Ryo e la collega guardarono il ragazzo, puntandogli le loro armi addosso: aveva un borsone accanto a sé. Armi? O peggio… Bombe? Se così fosse stato, una mossa sbagliata e sarebbero saltati tutti in aria.

Dannazione, Ryo pensò tra sé e sé.

Satomi prese nuovamente la mira, e allora Ryo e Reika fecero altrettanto, iniziando a sparare a loro volta; con una mossa veloce però il ragazzo rotolò a terra, in maniera quasi militare, con fare da soldato. Cercò un punto dove potesse avere copertura, e mentre l’aria si riempiva del suono delle sirene - vigili del fuoco, ambulanze, polizia - ed elicotteri si avvicinavano, implacabili, lui prese a sparare nuovamente.

Stavolta però non sulla gente, sui passanti… ma sui due poliziotti, che avevano interrotto il fuoco incrociato per caricare le loro armi.

Fu allora che Ryo lo vide, e quella scena quasi prese vita come al rallentatore…. Reika, inginocchiata a terra che cambiava il caricatore  della sua semi-automatica, e il ragazzo che la vedeva, e prendeva la mira, e sparava…. una raffica di proiettili, alla cieca. Annebbiato dalla rabbia, quasi la presenza di quei poliziotti fosse un’offesa a qualunque fosse il suo folle progetto, sembrava ormai incapace di controllare la sua arma.

I proiettili schizzavano ovunque, in tutte le direzioni, senza ragione apparente… ogni colpo rimbombava nelle orecchie, faceva tremare ogni osso del loro corpo, mentre i nervi sembravano quasi bruciare, come i muscoli, tesi oltre ogni misura.

Erano solo attimi, nemmeno secondi, forse solo frazioni… eppure capitavano tante cose, troppe, tutte assieme, lasciandoli senza fiato, senza nemmeno la capacità di riflettere.

Potevano solo agire: e fu questo che Ryo fece quando vide Reika che sembrava quasi esitare… cercava di caricare la sua arma, ma qualche meccanismo doveva essersi inceppato, e lei aveva perso tempo - tempo che Satomi aveva ogni intenzione di usare a suo vantaggio.

Ryo si gettò senza troppo riflettere, con un movimento rapido ed agile, rotolando a terra mentre l’aria si riempiva dell’odore di polvere da sparo, ed il rumore degli spari e delle pale degli elicotteri, sempre più vicini, faceva scoppiare i timpani; fece scudo a Reika, e la spinse via, lontano dal fuoco, ma ormai era troppo tardi.

Un colpo, due, tre, quattro…. quante volte era stato colpito?

Non lo sapeva, ma di una sola cosa era certo: adesso non sentiva più sparare.

Vista incerta, dolorante, senza sentire più il proprio corpo, Ryo mosse leggermente il capo, e vide Reika in piedi, gambe divaricate, pistola fumante in pugno… il tempo che Ryo le aveva fatto guadagnare le era servito, e aveva approfittato dello smarrimento del giovane, forse euforico per aver ucciso uno sbirro, per colpirlo a sua volta.

Un solo sparo, e Reika aveva fatto centro, colpendolo in mezzo alla fronte, uccidendo il ragazzo sul colpo.

Ryo sorrise, facendo schioccare la lingua contro il palato, ma questo semplice gesto gli provocò enorme dolore; tossì, avvertendo un sapore metallico in bocca, che nel retro della sua mente capì essere sangue… era messo davvero così male?

Tentò di muoversi, e tossì ancora mentre tutto il suo corpo era pervaso dal dolore più acuto: sì, doveva essere messo davvero male.

Sentì il rumore di passi, singhiozzi - e qualcuno che lo chiamava. Una voce femminile. Chi? Non lo sapeva: era solo certo di avere tanto freddo. E che altre persone stavano arrivando. Qualcuno urlava. Qualcuno correva.

Qualcuno accarezzava il suo viso, con delicatezza- lo stesso viso su cui stavano cadendo calde lacrime. Sue? No - aveva scordato l’ultima volta che aveva pianto.

Qualcun altro stava piangendo, ma chi? Chiuse gli occhi, mentre sentiva il battito del suo cuore rallentare, e l’oscurità avvolgerlo. Tentò di inspirare, ma tossì di nuovo, eppure…. eppure, fu quasi certo di sentire quel profumo inconfondibile, ma era sogno o realtà?

Diverse persone gli si erano messe intorno, forse curiosi, o infermieri e medici, o magari colleghi; Ryo non poteva esserne certo, non riusciva a vedere bene nessuno di quei visi, la vista era annebbiata.

“Ryo, Ryo ti prego, non morire!” Una donna gli disse, pregandolo, disperata, stringendolo al proprio petto. “Non farmi questo!”

“Andiamo Ryo, tieni duro!” Stavolta, a parlare era stato un uomo. Lo conosceva? Non ne era certo. Ormai, non era più certo di nulla.

“Resisti, Ryo, resisti!” La donna lo chiamò, supplicandolo ancora e ancora e ancora. Sembrava disperata. Ryo la sentì parlare, e la voce… lentamente, cambiò… o forse la riconobbe per la prima volta… le sorrise, allungando una mano verso il viso.

E poi, quel profumo… inebriante, che gli riempiva i sensi.

“Ti amo…” le disse, tossendo tra una parola e l’altra, mentre si sentiva venir meno, ma sapeva di dover parlare, ammettere, dire quelle parole, per la prima volta… e forse l’ultima.

Lei. Solo lei. Sempre lei. “Ti amo… così tanto… da sempre…”

Lei sgranò gli occhi, sorridendogli felice, come mai prima di allora; le lacrime continuarono a lasciare i suoi bei occhi castani, ma stavolta erano lacrime di gioia, non più di paura o dolore.

“Oh Ryo….non lasciarmi!” La donna lo supplicò, lasciandosi cadere sul tetto ricoperto di asfalto accanto a Ryo, gettandogli le braccia al collo e stringendolo, nonostante le proteste dei soccorritori che tentavano di farla allontanare, di separarli. Ma lei non voleva… e Ryo la capiva benissimo. Perché provava lo stesso. Lo aveva sempre provato, lo aveva sempre saputo,  ma non aveva mai capito quanto profondo fosse stato quel legame.

Loro. Solo loro. Sempre loro.

L’aveva data per scontata per troppo tempo, e adesso se ne pentiva - adesso che la morte avrebbe potuto dividerli per sempre. Ma avrebbe lottato, per sé stesso, per lei, per il loro futuro.

Non si sarebbe arreso. L’angelo della morte non lo avrebbe avuto.

“Amore mio, sei qui con me…” Le sorrise, in pace, certo che ce l’avrebbe fatta. Aveva gli occhi lucidi, ma non era abbastanza in forze da piangere vere lacrime. “Ti amo… Sugar.”

E poi… poi, l’oscurità ebbe la meglio, e Ryo non sentì più nulla, nemmeno il freddo.

   
 
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