Occhi
vuoti, colmi di tristezza,
che avevano perso la loro scintilla, quella
luminosità che li aveva
sempre contraddistinti; Ryo, inginocchiato accanto al cadavere, fissava
il
giovane dall’addome trivellato di colpi e dal viso che era
stato picchiato così
selvaggiamente dal renderlo ormai irriconoscibile come se quel cadavere
non
fosse veramente lì – quasi come se il corpo fosse
stato trasparente.
Si
voltò verso Kaori, che analizzava la scena del crimine alla
ricerca di indizi, la presenza di eventuali bossoli, e si perse per un
attimo
in un mondo tutto suo. Lasciò che la sua mente vagasse,
andasse al passato, al
presente, e al futuro- uno che non li vedeva condividere la vita, come
un tempo
avevano sognato, immaginato.
Ormai
mancava poco: poche settimane e Kaori si sarebbe sposata con
un altro, sarebbe divenuta la signora Mikuni…
Chiuse
gli occhi e prese un profondo respiro, mentre stringeva il
ponte del naso, sforzandosi di concentrarsi sul presente,
l’immediato, il
lavoro… si alzò, guardando verso Hideyuki, e lo
raggiunse dalla porta, dove il
giovane stava parlando con una donna evidentemente scossa, che
arrossì appena
vide Ryo avvicinarsi.
Segretamente
compiaciuto, l’uomo le sorrise, confortandola
silenziosamente, maledicendosi perché il suo dannato fascino
funzionava con
tutte tranne che con una, l’unica di cui gli fosse mai
veramente importato
qualcosa.
“Ryo,
questa è Victoria Kenpai, è stata lei a
chiamarci.” Maki gli
spiegò, mettendo via il blocco degli appunti, rimettendolo
nella tasca
dell’immancabile spolverino. “Mi dica, signora,
potrebbe ripetere quello che ha
detto a me anche al mio collega?”
“Ho sentito degli
spari
provenire dall’appartamento di Bento, e vi ho
chiamato.” Arrossendo, la donna
fece un leggero cenno di assenso col capo, che abbassò poi
prontamente,
rivolgendo gli occhi altrove, quasi guardando la porta
d’ingresso del suo
dirimpettaio avesse potuto scorgervi i suoi resti mortali.
“Io… non credo di
potervi aiutare di più. Lo conoscevo appena. Io…
io non so nemmeno il suo
cognome. Si era presentato solo come Bento, mi aveva stretto la mano
e… e
basta. Ci dicevamo solo buongiorno e buonasera, cose
così.”
Ryo
scrollò le spalle: non se ne meravigliava affatto. La gente
già normalmente si faceva i fatti propri e non conosceva mai
davvero chi gli
stava accanto, ma questo era ancora più vero a Shinjuku, un
quartiere dalla
criminalità così elevata che meno sapevi dei tuoi
vicini, meglio era, perché
non potevi mai sapere chi potevi avere alla porta accanto.
“Grazie
mille signora, la lascio nelle mani del mio collega!” Le
sorrise, salutandola, e tornò dentro. Kaori era ancora
inginocchiata sulla
moquette color tortora, ingrigita dagli anni, e cercava in mezzo a quel
ciarpame ed al caos degli indizi, come pure Reika, che la guardava con
malcelata ostilità, non perdonandole di averle rubato
l’incarico sotto
copertura che alla collega era valsa una menzione di merito.
“Ditemi
che almeno voi avete qualcosa…” Ryo
sospirò, sentendo però
già la delusione che montava in lui – delusione
che percepì in tutta la sua
potenza quando la sua ex lo guardò innervosita, chiaramente
a corto di idee
anche lei.
“Se
vuoi posso dirti che sulla cassetta delle lettere
c’è scritto
Tensei, ma non ha fotografie in giro, documenti addosso, e conciato in
questo
stato dubito che la vicina ci potrebbe dire se quest’uomo
è effettivamente
Bento oppure no.”
“Quindi,
cosa potrebbe essere, una rapina, ?” Domandò,
guardandosi
intorno con fare guardingo: difficile capire cosa potesse essere
accaduto, ma
la rapina sembrava effettivamente la migliore delle ipotesi, visto e
considerato che non c’era una sola cosa che fosse al suo
posto, che tutti i
cassetti erano stati svuotati, i pochi quadri spostati…. Ma
cosa cercava il
ladro? Bento era solo un povero carpentiere di vent’anni: in
che casino si era
ficcato quel povero ragazzo per essere ridotto ad un colabrodo a cui
era
rimasto poco o nulla di umano?
“Beh,
sì, anche se mi chiedo cosa potessero voler rubare ad un
morto di fame come lui… l’unica cosa
apparentemente di valore è il computer, e
lo hanno lasciato!” Reika rispose secca, voltandosi verso Ryo
e sbattendo le
sue lunghe ciglia da cerbiatta. “Questo posto è
una porcilaia peggio di quanto
non fosse mai stata casa tua…. E per essere peggio di te ce
ne vuole di
impegno!”
Mentre
Ryo ingoiava a vuoto, imbarazzato ed a disagio nel trovarsi
nel mezzo di quella discussione- che Kaori, nonostante il suo status di
ex, non
pareva apprezzare - le
due donne si
lanciavano saette dagli occhi, mostrandosi a gesti e sguardi il
rispettivo
disprezzo.
Lo
so benissimo
com’è la casa di Ryo….
Perché, sai Kaori, io ci sono stata… e pure
parecchie
volte.
Come
buona parte
delle donne di Tokyo… quella però che ha
condiviso la camera da letto con lui
sono io, tu al massimo ti sei seduta al tavolo della cucina, e lo so
benissimo
che Ryo, con te, non ci è mai stato, nonostante tu non
faccia altro che fare la
svenevole!
“Ehm,
volete che ci pensi io a controllare con la motorizzazione?
Magari hanno una sua foto…” Ryo provò a
dire, allentandosi il colletto della
camicia rossa che indossava quel giorno. “Maki può
controllare se magari aveva
famiglia, qualcuno da avvisare… voi intanto potete
continuare a vedere se
trovate qualche indizio, va bene? Sì? Perfetto!”
Senza
nemmeno attendere risposta, Ryo riprese a girare per la
stanza, fino a che non notò qualcosa per terra: un quaderno
a quadretti, a
spirale, formato A5, di quelli usati anche a scuola; era stato gettato
malamente a terra, e lasciato aperto.
“Trovato
qualcosa?” Maki gli domandò, raggiungendolo.
“Non
lo so…” Infilandosi i guanti neri, Ryo si
inginocchiò e
raccolse il blocco; prese a sfogliarlo, concentrato, quasi si
aspettasse una
fulminazione, e quasi in ogni pagina trovò lo stesso ed
identico disegno: una
T, in stampatello, bordi rossi ed argentei, colorata di azzurro, con
cinque
semplici stelle sopra ed una sesta alla base della stanghetta.
Il
poliziotto sollevò un sopracciglio, interessato e curioso:
forse che il ragazzo fosse parte di un gruppo antisemita? No - quella
non era
la stella di David, e comunque non avrebbe certo disegnato quel motivo
così
ossessivamente se così fosse stato.
Qualcosa
di matrice politica? Magari legato al comunismo, o a un
movimento indipendentista… o forse qualche setta: in
Giappone erano sempre
andate forte.
O
forse, più semplicemente, era il logo di un albergo extra
lusso?
Anche a Tokyo i cinque stelle più una si potevano contare
sulle dita di una
mano, e non ricordava nessuno che avesse un’immagine
simile…
O
magari le cose erano ancora più semplici e banali di cosa
Ryo
immaginasse, magari quello era stato un disegno così, fatto
nella foga del
momento, e lui stava semplicemente guardando nella direzione sbagliata
e non
verso la più ovvia.
“Ehi,
Reika!” La chiamò, sollevando un braccio in
direzione della
donna, mettendo in mostra il taccuino. "Ti risulta che sia il tag di qualche gang, magari una banda di
Yakuza?”
Reika,
che aveva intanto fatto accomodare Kazue, che stava
controllando il corpo, si avvicinò a Ryo, e prese il blocco
dalle sue mani.
Pagina dopo pagina, guardò quella semplice lettera.
“No,
non mi sembra, ma potrebbe essere qualche nuova gang… ma
potrebbe benissimo essere un logo commerciale, oppure l'iniziale di una
donna,
o di un uomo…”
“Qualsiasi cosa sia doveva piacergli parecchio!” Kazue urlò da accanto al corpo, mentre sollevava leggermente il polsino della semplice maglia a maniche lunghe di cotone nero, mostrando il polso sinistro del ragazzo. “Se l’era pure tatuata sul corpo. A giudicare dal rossore, non più di una settimana fa…"
“Professionale
o casalingo?” Le domandò, avvicinandosi
sommessamente e guardando dall’alto del suo metro e
novantadue il disegno sulla
pelle del giovane, effettivamente identico a quello sul quaderno che
aveva
appena imbustato.
“Beh,
non me ne intendo molto…” Kazue rispose con un
sorrisetto,
mentre prendeva in mano un paio di pinzette, non dissimili da quelle
usate
dalle estetiste per le sopracciglia, ed iniziava a controllare meglio
il
cadavere. “Ma i contorni sono precisi e netti, i colori
luminosi, e stava
guarendo bene. Direi che era un lavoro professionale.”
“Faccio
un giro dai tatuatori della zona. Magari si ricordano di
averlo fatto o ne sanno qualcosa di
più…” Ryo avrebbe voluto aggiungere
qualcosa, ma lo sguardo concitato di Maki, serio e preoccupato, lo
fermò.
Rimasero in silenzio, mentre il più anziano dei fratelli
Makimura continuava a
guardare i colleghi come se un’ombra nera fosse caduta su di
lui, avvolgendo il
suo intero essere. “Accidenti, Maki, che faccia…
cos’è, devi andare ad un
funerale?” Ryo scherzò.
“Venite
a vedere.” Così dicendo, fece segno di seguirlo;
entrò in
un piccolo sgabuzzino, angusto, con mensole fino al soffitto. Era
caotico come
il resto della casa, ma nell’aria si poteva distinguere
chiaramente un certo
odore, concentrato, che tutti loro conoscevano bene.
Polvere
da sparo.
Per
terra, scatole di munizioni, tante… quasi tutte vuote.
“Accidenti,
al ragazzo doveva piacere fare le scampagnate…”
Prese
uno dei proiettili e lo esaminò, sollevando un sopracciglio.
“Questi li usano
per i fucili da caccia grossa…”
“Accidenti…”
Kaori fischiò. “Ci sono abbastanza scatole da far
sembrare questo posto un’armeria… ma fucili zero.
Credete possa averli presi
l’assassino?”
“Forse
non è il caso di concentrarsi tanto sui
fucili…” Kazue
prese a balbettare, i denti che le scricchiolavano in bocca mentre,
inginocchiata accanto al cadavere, con in mano il portafoglio che aveva
recuperato dal corpo, impallidiva.
“Ragazzi… non è stato ucciso da colpi
di pistola… le contusioni sono state
effettivamente causate da pugni, ma al petto…
questo… questi non… non sono
frammenti di proiettile, ma… ma schegge!”
“Appunto:
schegge di proiettile!” Ryo ridacchiò, senza
capire il
senso dell’affermazione di Kazue, né
perché fosse così preoccupata: un
proiettile frantumato non era esattamente una novità,
capitava più sovente di
quanto si pensasse, lo sapeva anche lui, a volte si frantumava
all’interno del
corpo, se il proiettile colpiva un osso con una certa forza ad una
determinata
angolazione, oppure succedeva che rimbalzasse contro una superficie, si
infrangesse, e schegge andassero a colpire un povero disgraziato che a
volte
non era nemmeno la vittima designata. “Sai che cosa
strana!”
“Ti
ho già detto che non è un frammento di
proiettile, brutto
idiota!” La donna sibilò, guardandolo dalla sua
posizione con occhi infuocati,
eppure sembrava che stesse facendo il possibile per controllarsi.
”Ho già visto
cose del genere quando facevo la volontaria in Afghanistan con MSF,
dopo che
erano saltate delle bombe!”
“Bombe?”
Kaori balbettò, aprendo e chiudendo gli occhi alla
velocità della luce, impallidendo a sua volta, mentre si
guardava, concitata,
intorno. “Ma… ma qui si tratta solo di disordine,
non sembra che la camera sia
saltata in aria!”
“Sì,
probabilmente perché la carica era a basso potenziale e
questo idiota ha assorbito l’onda d’urto col suo
corpo, per questo la vicina
credeva di aver sentito degli spari... ma Dio solo sa se
c’è altro esplosivo
qui intorno!” La
donna, risoluta,
affermò, alzandosi in piedi senza nemmeno preoccuparsi di
prendere alcunché,
nemmeno di recuperare i suoi effetti personali. “Dobbiamo
uscire subito di
qui!”
“Ma….
Ma io non ho ancora finito di analizzare la scena del
crimine e se ce ne andiamo adesso ed arriva la squadra artificieri
faranno un
macello e la contamineranno e…” A denti stretti,
senza darle la possibilità di
continuare, già capendo l’antifona, Ryo
afferrò Kaori per la vita e la sollevò
in aria, mettendosela sulla spalla quasi la donna fosse un sacco di
patate.
“Ma… ma Ryo, cosa fai?”
“Ti
porto via, ecco cosa faccio, sennò sei capace di startene
qui
a raccogliere prove!” La redarguì, abbaiando come
un cane inferocito.
“Ma…
ma… ma mettimi subito giù!” Fu la
risposta. Sbraitata.
“Adesso!”
“Stai
buona, sorellina, guarda che lo facciamo per te…”
Maki
sospirò, sistemandosi gli occhiali. Doveva chiamare Saeko e
avvertire gli
artificieri, ma avrebbe aspettato di arrivare all’auto di
servizio ed
utilizzare la radio, evitando il cellulare, nel malaugurato caso ci
fossero
state altre bombe… sarebbe potuta bastare la minima
interferenza a far saltare
tutto e tutti in aria! “Preferirei venire al tuo matrimonio,
piuttosto che al
tuo funerale!”
Alla
sola menzione dell’imminente cerimonia, Kaori
arrossì, e
decise di rimanere zitta e buona, e non cercare di divincolarsi oltre,
dato che
quei movimenti la mettevano fin troppo a stretto contatto con il suo ex
- cosa
che era certa Ryo avesse capito, se quel sorrisetto compiaciuto
significava
qualcosa.
“Brava
bambina, vedi che quando vuoi sai essere ubbidiente?”
Facendole l’occhiolino, le diede una pacca sul sedere,
facendole digrignare i
denti per l’indignazione.
“Allora, cosa
abbiamo fino ad ora?” Saeko domandò, secca,
determinata e distaccata, guardando
dall’alto in basso i suoi uomini; per pura fortuna gli
artificieri erano
riusciti a salvare la scena del crimine, nonostante fosse stato
trovato, nascosto,
un secondo ordigno inesploso: era forse prova che qualcuno aveva avuto
intenzione di nascondere l’omicidio del Tensei… o
forse era tutta opera del
Tensei stesso, e la sua morte non era stata null’altro che un
increscioso
incidente? “Sappiamo chi era, se era in contatto con gruppi
estremisti o
altro?”
“Per
adesso sappiamo solo il suo nome e
l’età.” Ryo attaccò alla
lavagna un ingrandimento della patente. “La nostra vittima
era effettivamente
Bento Tensei, l’affittuario dell’appartamento, di
anni diciannove. Lavorava
come muratore in una piccola impresa edile.”
“E…”
Saeko sollevò un sopracciglio, guardando il suo sottoposto e
attendendo che aggiungesse qualcosa, ma Ryo la guardava come se non
comprendesse quell’uscita- o peggio, non avesse nulla da
dire.
“Nel
portafoglio abbiamo trovato copia di una fattura di un
negozio di articoli per l’edilizia.” Kaori
interruppe, prendendo la sua borsa
da un cassetto e mettendosela in spalla. “Cosa non strana,
dato che molti
muratori fanno anche piccoli lavoretti per conto loro. Mi sono fatta
mandare
l’elenco dei prodotti a cui corrispondono i codici a barre e
vado con gli
artificieri a controllare se avesse qualcosa in casa o nel
garage.”
“Cos’era?”
Saeko afferrò il foglio che Kaori le porse, e prese a
leggerlo, recitando le voci una ad una, un elenco che solo a sentirlo,
nonostante apparisse nulla di che, visto e considerato ciò
che era avvenuto
poteva rappresentare un pericolo. “Una decina di tubi
zincati, un paio di
scatole di fiammiferi, un trapano,
e due
scatole di chiodi…”
“Cose
che qualunque carpentiere ha, ma che se aggiungi un po’ di
polvere da sparo…” Kaori sospirò,
guardando i colleghi.
“Hai
un po’ di bombe per le mani. Ed il nostro amico aveva non so
quante scatole di proiettili!” Ryo terminò la
frase per lei, grattandosi il
collo. Sospirò; tutta quella situazione preoccupava anche
lui, aveva un brutto
presentimento.
“C’è
altro.” Kaori riprese. “Leggi l’ultima
voce della ricevuta.”
“Due
bombole di gas?” Saeko sbattè gli occhi,
incredula. Quella
storia le puzzava, e le piaceva una volta di meno. Pregò con
tutta sé stessa di
sbagliarsi, ma purtroppo anni di lavoro sul campo,
l’esperienza acquisita ed il
suo istinto le dicevano di prepararsi al peggio. “Qualcosa mi
dice che non gli
servivano per cucinare o scaldare
l’acqua…”
“E
avresti ragione: non abbiamo visto bombole in cucina, né sul
balcone.” Reika sospirò; seduta alla scrivania,
sollevò gli occhi verso l’alto,
sconsolata. “Io ho controllato tutti i database che mi sono
venuti in mente, ma
non ho trovato nulla sul tatuaggio. Ciò significa che molto
probabilmente è
personale, ma non sappiamo a chi chiederlo perché i suoi
genitori stanno
facendo un viaggio in barca a vela e non abbiamo la più
pallida idea di chi
possano essere i suoi amici.”
“Mentre
Kaori ispeziona la casa di Tensei, ho bisogno che qualcuno
vada alla sede della ditta per cui lavorava,” Saeko
rifletté; sapeva che si
trattava di una remota possibilità, dato che il ragazzo
lavorava lì da poco, ma
valeva forse la pena provare. “Magari qualcuno dei suoi
colleghi sa cosa vuole
dire il tatuaggio e ci sa dire qualcosa di più su di
lui.”
“O
magari ha lo stesso
tatuaggio.” Hideyuki continuò, serio, sistemandosi
gli occhiali sul viso, suo
vezzo abituale. “Non sappiamo ancora se si tratti di
incidente o omicidio,
potrebbe benissimo essere che il colpevole sia qualcuno con cui lui
stava
pianificando qualcosa.”
“Ma
cosa? Questo ragazzo era un santarellino, l’unica pecca sul
suo curriculum era un richiamo per disobbedienza civile alle superiori,
quando
ha intrapreso una protesta contro il preside che voleva obbligare una
sua
compagna di classe a tingersi i capelli perché il suo colore
non era
considerato abbastanza nipponico...”
Ryo lesse il fascicolo, sorridendo, quasi stava per scoppiare a
ridere… era
difficile credere che un ragazzo del genere potesse costruire bombe.
“Lui ed i
suoi compagni si sono tinti i capelli di biondo con un ciuffo della
frangia
viola, come la testa del leader dei
Beehive!”
“Già,
ma un semplice atto di disobbedienza gli ha segnato la
vita…”
Hideyuki prese la cartella di mano a Ryo, e continuò a
leggere; occhi lontano,
rattristati, parlava con l’animo pesante. “Il
preside non ha preso bene la
protesta e lo ha sospeso, lui non si è diplomato e invece di
essere
all’università a studiare architettura come voleva
è finito a fare il muratore
grazie alla raccomandazione del padre, ed il tutto per due
soldi!”
“Abbiamo
già i tabulati telefonici? Un elenco delle mail inviate,
dei siti visitati?”
“Telefono
usa e getta ricaricabile da bravo terrorista e computer
protetto biometricamente, il che significa che ci servono i suoi occhi
e
l’impronta del suo pollice… ma lui dovrebbe essere
vivo per funzionare!” Ryo
indicò le prove, incellofanate sulla sua scrivania.
“JJ sta già venendo qui.
Proverà lui a craccare il sistema.”
“Bene,
così scopriremo con chi si sentiva e se c’era
qualcosa di
cui lui si interessava particolarmente… oh, Reika, fai un
salto al negozio dove
aveva acquistato tutta questa roba, voglio sapere se hanno dei nastri
della
videosorveglianza e se si ricordano del nostro caro defunto.”
“O
se magari non era andato da solo a fare acquisti ma in buona
compagnia!” Reika esclamò, soddisfatta di
sé, sistemandosi una ciocca di
capelli ribelli alle spalle, con la stessa identica movenza della
sorella
maggiore. “Vado subito!”
“Il
centro commerciale dove ha comprato tutta quella roba è il
Nakano, vero?” Ryo domandò; raggiunse Reika, che
aveva in mano copia della
ricevuta d’acquisto, e guardò da sopra la sua
spalla il foglio, con un
sorrisetto sornione un po’ sciocco, quasi volesse farle
credere che era ben
altro che i suoi occhi scuri stavano assaporando.
“C’è anche un negozio di
articoli da campeggio, caccia e pesca. Potrei approfittarne e rubarti
un
passaggio, e fare qualche domandina anche a loro..
magari il nostro terrorista ha acquistato lì
i proiettili e tutto il resto del suo armamentario!”
“Hai
già sentito i tatuatori, Ryo?” Saeko gli
domandò; il suo tono
con lui però non era secco, e nonostante fosse chiaro quanto
fosse autoritaria
- anche con lui e Hideyuki - c’era anche una certa nota
frizzante nella sua
voce, amichevole, sintomo di quanto si fidasse di loro, e che li
riteneva suoi
pari, non meri subordinati a cui abbaiare ordini.
“Che
palle, Saeko! Ma certo che li ho già sentiti! Per chi mi hai
preso?” Lui sbuffò, mani incrociate dietro al
capo. “Si è tatuato in un piccolo
negozio di Shinjuku, ha portato lui il disegno e non ha detto cosa
volesse
dire. Adesso che lo sai posso andare o no?”
“Allora
ve bene, ma portatevi dietro Maki, sei occhi sono meglio
di quattro!” Con un sorrisetto sul volto, la donna fece un
gesto un po’
svogliato con la mano, quasi fosse stata una regina che permetteva agli
umili
sudditi di lasciare la sua presenza, un comportamento dettato
dall’impertinenza
di Ryo. Mentre la
“coppia” si
allontanava ed entrava nel piccolo ascensore, la bella ispettrice
sorrise sotto
ai baffi, segretamente compiaciuta da ciò che aveva notato
quando Ryo aveva
proposto a Reika di andare con lei:: Kaori sembrava voler strozzare
l’altra donna
con le sue stesse mani.
Era
gelosa, nonostante tutto.
“Su,
forza, mettiamoci tutti al lavoro!”
Braccia incrociate, Saeko tornò nel suo
ufficio, sedendosi dietro alla sua scrivania molto soddisfatta per come
stava
andando la giornata: ormai sembrava che il caso fosse destinato ad
essere
chiuso, presto e con successo - l’ennesimo
per la sua unità.
“Credi davvero
che un commesso potrebbe ricordarsi di Tensei?” Reika gli
domandò, dubbiosa,
mentre salivano le scale del centro commerciale dove i due negozi si
trovavano.
Ryo,
mani in tasca, si voltò a guardare Maki, rimasto indietro,
un
po’ in disparte, intento a parlottare al telefono,
probabilmente con la sua
dolce metà.
“Beh,
con il basso numero di armi che si vendono in Giappone,” Ryo
sbuffò scrollando le spalle; “spero che
all’emporio si ricordino di un ventenne
che ha comprato un piccolo arsenale.”
“Se
le ha comprate qui... non hai pensato che forse avrebbe potuto
acquistarle al mercato nero?” Gli domandò,
onestamente curiosa.
“No,”
Ryo le rispose, sorridendo sicuro di sé. “quel
tizio era un
agnellino, Reika, tolto quel problema a scuola non aveva precedenti,
nemmeno
una multa. Se voleva qualcosa, non gli serviva andare al mercato nero.
Non
penso nemmeno avesse gli agganci per sapere cosa comprare e da
chi…”
“Ryo,”
la donna sollevò un sopracciglio, poco convinta.
“Quel
tipo preparava
bombe.”
“Già,
ed era così furbo che si faceva fare la fattura per i
materiali, dai!” Sghignazzando, sollevò un braccio
a mo’ di saluto, mentre Maki
lo raggiungeva, ed entrambi entravano nell’armeria, mentre
Reika sbuffava,
innervosita da come Ryo a volte sembrasse trattarla da sciocca - o
peggio, da
bambina.
Con
un diavolo per capello e la foto del ragazzo, Reika si diresse
verso la cassa centrale, al momento vuota, e sbatté il
distintivo sul top in
legno chiaro, facendo sobbalzare il ragazzo che c’era dietro
al bancone;
occhialuto, sui vent’anni, mingherlino, il cartellino sul
taschino della polo
giallo canarino lo indicava come Satomi.
“Mi
servirebbero le fatture degli acquisti effettuati da Bento
Tensei negli ultimi sei mesi.” Si limitò a
ringhiare. Balbettando e sudando, il
ragazzo prese a dire scuse, spiegare come gli sarebbe servito un
mandato, ne
era quasi del tutto certo, che quello fosse abuso di potere…
senza battere
ciglio, Reika gli sbattè un’altra foto sotto al
naso: stavolta, era quella
dell’autopsia del ragazzo. “Tensei è
morto, e gradiremmo scoprire il perché.
Allora, non vuole che la arresti per intralcio alla giustizia,
vero?”
Il
giovane prese ad ingoiare a vuoto, smanettando al computer,
rubando di tanto in tanto un’occhiata a Reika; la trovava
bellissima, dal
carattere deciso… e forse fin troppo. Un po’
dispotica ed acida, ecco, ma un
sogno per uno come lui. Stampò una fattura per altro
materiale edile - delle
travi di legno, della colla a caldo, silicone, chiodi, nulla di strano
per un
carpentiere - e poi fece un passo indietro, intimorito
dall’aura di potere
emanata dalla donna.
“Altro?
Sai se Tensei avesse fatto acquisti solo con scontrino, se
è mai venuto qui con qualcuno?” gli
domandò, quasi ringhiando. Si sentiva stufa
ed arrabbiata, innervosita… non c’era nulla che
stesse andando come voleva,
nella sua vita. Poche prospettive di carriera, Saeko metteva su
famiglia mentre
lei era ancora single, e l’unico uomo che lei avesse mai
amato non sembrava
minimamente interessato…. a volte sembrava che il destino si
accanisse con
lei. Anzi: contro di lei.
“Io…
no, cioè….” Satomi balbettò;
Reika non gli disse nulla, né
lesse troppo in quel comportamento, immaginando il ragazzo come un
timido
soggetto che andava in crisi alla vista di una donna, e ancora peggio
se
suddetta donna gli parlava insieme. “Non… non ci
sono sempre io.”
“Io...
devo andare.” le disse all’improvviso, guardando in
lontananza verso un vecchietto che stava girando spaesato tra gli
scaffali.
“Ma, ma se vuole posso chiedere in giro, magari qualche
collega si ricorda…”
Reika
si limitò ad alzare gli occhi al cielo e lasciargli il suo
biglietto, certa che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, e poi
uscì,
sistemandosi i capelli come faceva sua sorella Saeko… lo
faceva inconsciamente,
ma odiava quel gesto, quasi avesse cercato di imitarla, eguagliarla -
cosa che
sapeva impossibile: Saeko aveva tutto, dall’amore
incondizionato del padre al
fidanzato fino alla carriera.
Raggiunse
Maki e Ryo, che stavano chiacchierando con un altro
ragazzo davanti all’armeria; anche lui era molto giovane, un
segno dei tempi,
che impiegavano in massa manovalanza a bassa specializzazione con
stipendi che
poco mancava che fossero da fame. Il giovane fissava la foto, strizzava
gli
occhi quasi a volersi concentrare meglio, sembrava incerto, o che non
sapesse
nulla, ma poi il suo corpo fu percorso come da un brivido.
“Cosa
hai ricordato?” Ryo gli domandò, scuro in volto,
certo di
ciò che affermava.
“Non
era un nostro cliente, però…” Il
ragazzo corrugò la fronte,
inspirando. “Io credo di averlo visto una volta…
sì, ne sono sicuro, era con
Satomi nel parcheggio, lo stava aiutando a caricare la macchina, e
sembravano,
beh, amici.”
“Satomi?”
Reika domandò, sgranando gli occhi, irrompendo nella
discussione. Sentiva come un brivido correrle lungo la schiena, e si
maledisse…
aveva creduto che il ragazzino fosse giovane, inesperto,
timido… e invece era
un criminale bugiardo, e lei non lo aveva capito, si era a malapena
accorta di
chi aveva davanti, nemmeno fosse stato invisibile. “Quello
del negozio di
utensileria e ferramenta?”
“Sì,
è lui… è parecchio strano
quello…” Il ragazzo fece un
sorrisetto, restituendo la foto a Ryo. Poi però gli
strappò di mano un’altra
fotografia, quella del polso del giovane Tensei. “Come mai
avete una foto del
suo tatuaggio?”
“Suo?”
Makimura si sistemò gli occhiali, avvertendo che qualcosa
non andava. “Suo di chi?”
“Di
Satomi, ovvio… perché, non è
suo?”
Ryo
strappò la foto di mano al ragazzo, e la mise davanti ai
suoi
occhi, mentre Reika scostava leggermente la giacca per avere accesso
più rapido
alla fondina e si incamminò a passo spedito verso la
ferramenta, pronta a
interrogare quel sospetto che adesso era chiaro avesse mentito fin dal
principio: Satomi aveva qualcosa da nascondere, e questo poteva
significare una
cosa sola, che fosse coinvolto in quella faccenda.
Ma
in cosa, esattamente? Le bombe, l’omicidio… o
forse una
sparatoria?
Ryo
e Maki fecero per voltarsi e raggiungerla, quando però Saeba
si immobilizzò davanti alla mappa del centro commerciale, e
sentì il cuore
smettere di battere nel petto per lo spavento… una T -
quell’edificio
realizzato in mattoni rossi e vetro azzurro cielo era a forma di T.
Avvertì
come un oscuro presagio, e prese a correre verso il tetto,
temendo cosa vi avrebbe potuto trovare, ma soprattutto desideroso di
avere una
visione dall’alto… che fosse la stessa cosa che
Satomi e Tensei avevano
pianificato?
Cinque
stelle: cinque bombe per far collassare quella parte
dell’edificio, e bloccare le uscite su quel lato. E poi la
sesta stella, dove
Ryo sapeva esserci una cupola in vetro… quasi un punto
panoramico. Da lì,
avrebbero potuto sparare a tutti quelli che fossero usciti dal centro
commerciale, massimizzando attraverso il caos il numero di vittime
potenziali.
“Dannazione!”
Ryo sibilò, fermandosi su uno scalino e chiamando
Reika a squarciagola; la donna si fermò, e tornò
indietro, raggiungendolo. “A
quest’ora il ragazzo sarà sul tetto…
scommetto che la nostra presenza e la
morte del suo socio gli ha fatto velocizzare il piano!”
“Già…
se il piano originale era di far esplodere le bombole di
gas, avrà deciso di evitarlo per non perdere tempo! Io
faccio chiudere tutte le
porte. Dobbiamo far rimanere i clienti all’interno dei
negozi… e chiamo Saeko,
ci serviranno rinforzi!” Maki controllò dove si
trovasse la sicurezza, e si
avviò, veloce, cercando di dare il meno
nell’occhio possibile, sapendo che ogni
altra reazione avrebbe potuto scatenare l’isteria totale.
Aveva visto masse
fuggire come branchi inferociti e fuori controllo, e alla fine i
più deboli
rimanevano schiacciati dalla calca, morendo soffocati o massacrati, e
non
voleva venire ricordato come l’agente che aveva permesso una
cosa del genere.
Non
aveva ancora fatto dieci passi però che l’allarme
anti-incendio scattò, mentre una serie di esplosioni
prendeva luogo all’esterno
della struttura; in serie, una dopo l’altra, ognuna
leggermente più potente
della precedente. I muri vibrarono, e gli sembrò quasi che
gli dovesse mancare
la terra da sotto i piedi, e nonostante quasi tutti i palazzi del
Giappone
fossero dotati della più moderna tecnologia antisismica,
questi non servì a
nulla.
Il
muro collassò - la stanghetta della T - e fu il caos.
Urla.
Grida. Gente che fuggiva. gente che si rannicchiava in
posizione fetale, muta. Bambini che gridavano terrorizzati.
Distintivo
in pugno, alzato perché tutti potessero vederlo, Maki
si fece strada tra la folla, cercando di guadagnarsi
l’uscita; dalle porte già
in molti si stavano accalcando, facendo il gioco del giovane criminale,
che
prese a sparare, ridendo… una risata acuta, forte, malata,
che superava il
rumore degli spari, quello delle urla di terrore.
Urla.
Sangue. Spari. Il mondo divenne improvvisamente rosso e
nero, mentre il poliziotto estraeva, stringendo i denti, la pistola
dalla
fondina, e spingeva una giovane mamma dentro al centro commerciale.
Alzò
l’arma, tenendola saldamente con entrambe le mani, mentre
sudava e il suo cuore
batteva all’impazzata, e puntò verso la macchia
sul tetto… giallo e verde, come
la divisa della ferramenta, e nero… nero come il giubbotto
antiproiettile che
indossava.
Maledisse
Ryo: a quanto sembrava, si era sbagliato. O forse il
profilo che aveva fatto di Tensei era giusto, ma non avevano preso
troppo in
considerazione il suo complice.
Ragazzini.
Poco più grandi di Kaori quando aveva deciso di entrare
in polizia, dopo che lui era quasi morto a causa di Sonia e Kaibara.
Ragazzini.
Provenienti da brave famiglie, come Kaori. Bravi
studenti, come lo era stata lei… ma ad un certo punto
avevano avuto un singolo
intoppo, e quello aveva causato una reazione a catena che li aveva
fatti
precipitare nel baratro, trasformandoli da giovani promettenti in poco
più che
sguatteri. Erano stati traditi dalla società, e adesso
avrebbero pareggiato i
conti, ottenuto la loro vendetta.
Satomi
gli puntò l’arma addosso, e Maki fu quasi certo di
vedere
un sorriso pazzo dipinto sul viso, mentre premeva il grilletto; il
poliziotto
sparò un caricatore, cercando di non colpire il loro
sospettato ma disarmarlo,
o perlomeno far guadagnare a Ryo e Reika tempo; le scintille della
pistola lo
accecano, sentiva i colpi rimbalzargli dentro, fargli mancare
l’equilibrio,
nemmeno fosse stato un novellino, ed intanto una singola goccia di
sudore gli
cadde nell’occhio destro, annebbiandogli la
vista…. ma continuò a sparare.
Fino
a che il grilletto andò a vuoto: era rimasto senza
munizioni.
Un proiettile gli
sfiorò la
gamba destra, lacerando la stoffa del pantalone beige, che si
inzuppò di sangue
mentre una macchia cremisi si espandeva sul tessuto; barcollando, Maki
cercò
riparo dietro ad un vaso di terracotta azzurra particolarmente grande,
in cui
era stata piantata una palma, e cambiò caricatore. Prese
nuovamente la mira,
sparando però a lato del giovane, volendolo distrarre, e
sperando che
funzionasse…
E
poi, altri spari: ma guardando dal basso verso l’alto,
Hideyuki
era certo che non fosse stato il giovane a sparare.... mentre legava la
cravatta
intorno alla ferita, emise un flebile respiro di sollievo, mentre gli
sembrava
che il suo corpo fosse percorso da una scarica elettrica che partiva
dal punto
in cui era stato ferito: quel rumore era inconfondibile.
La
Python di Ryo.
Coperti da due
lucernari, Ryo e Reika, ai lati opposti del tetto, tenevano le pistole
in mano
e cercavano di disturbare il più possibile il ragazzo - e
fargli sprecare
munizioni; più sparava a vuoto, prima avrebbe terminato i
proiettili, e più
persone si sarebbero salvate dalla sua folle furia omicida - e Ryo era
certo
Maki stesse facendo la stessa cosa dabbasso.
In
silenzio, Ryo e la collega guardarono il ragazzo, puntandogli
le loro armi addosso: aveva un borsone accanto a sé. Armi? O
peggio… Bombe? Se
così fosse stato, una mossa sbagliata e sarebbero saltati
tutti in aria.
Dannazione,
Ryo
pensò tra sé e sé.
Satomi
prese nuovamente la mira, e allora Ryo e Reika fecero
altrettanto, iniziando a sparare a loro volta; con una mossa veloce
però il
ragazzo rotolò a terra, in maniera quasi militare, con fare
da soldato. Cercò
un punto dove potesse avere copertura, e mentre l’aria si
riempiva del suono
delle sirene - vigili del fuoco, ambulanze, polizia - ed elicotteri si
avvicinavano, implacabili, lui prese a sparare nuovamente.
Stavolta
però non sulla gente, sui passanti… ma sui due
poliziotti, che avevano interrotto il fuoco incrociato per caricare le
loro
armi.
Fu
allora che Ryo lo vide, e quella scena quasi prese vita come al
rallentatore…. Reika, inginocchiata a terra che cambiava il
caricatore della
sua semi-automatica, e il ragazzo che
la vedeva, e prendeva la mira, e sparava…. una raffica di
proiettili, alla
cieca. Annebbiato dalla rabbia, quasi la presenza di quei poliziotti
fosse
un’offesa a qualunque fosse il suo folle progetto, sembrava
ormai incapace di
controllare la sua arma.
I
proiettili schizzavano ovunque, in tutte le direzioni, senza
ragione apparente… ogni colpo rimbombava nelle orecchie,
faceva tremare ogni
osso del loro corpo, mentre i nervi sembravano quasi bruciare, come i
muscoli,
tesi oltre ogni misura.
Erano
solo attimi, nemmeno secondi, forse solo frazioni… eppure
capitavano tante cose, troppe, tutte assieme, lasciandoli senza fiato,
senza
nemmeno la capacità di riflettere.
Potevano
solo agire: e fu questo che Ryo fece quando vide Reika
che sembrava quasi esitare… cercava di caricare la sua arma,
ma qualche
meccanismo doveva essersi inceppato, e lei aveva perso tempo - tempo
che Satomi
aveva ogni intenzione di usare a suo vantaggio.
Ryo
si gettò senza troppo riflettere, con un movimento rapido ed
agile, rotolando a terra mentre l’aria si riempiva
dell’odore di polvere da
sparo, ed il rumore degli spari e delle pale degli elicotteri, sempre
più
vicini, faceva scoppiare i timpani; fece scudo a Reika, e la spinse
via,
lontano dal fuoco, ma ormai era troppo tardi.
Un
colpo, due, tre, quattro…. quante volte era stato colpito?
Non
lo sapeva, ma di una sola cosa era certo: adesso non sentiva
più sparare.
Vista
incerta, dolorante, senza sentire più il proprio corpo, Ryo
mosse leggermente il capo, e vide Reika in piedi, gambe divaricate,
pistola
fumante in pugno… il tempo che Ryo le aveva fatto guadagnare
le era servito, e
aveva approfittato dello smarrimento del giovane, forse euforico per
aver
ucciso uno sbirro, per colpirlo a
sua
volta.
Un
solo sparo, e Reika aveva fatto centro, colpendolo in mezzo
alla fronte, uccidendo il ragazzo sul colpo.
Ryo
sorrise, facendo schioccare la lingua contro il palato, ma
questo semplice gesto gli provocò enorme dolore;
tossì, avvertendo un sapore
metallico in bocca, che nel retro della sua mente capì
essere sangue… era messo
davvero così male?
Tentò
di muoversi, e tossì ancora mentre tutto il suo corpo era
pervaso dal dolore più acuto: sì, doveva essere
messo davvero male.
Sentì
il rumore
di passi, singhiozzi - e qualcuno che lo chiamava. Una voce femminile.
Chi? Non
lo sapeva: era solo certo di avere tanto freddo. E che altre persone
stavano
arrivando. Qualcuno urlava. Qualcuno correva.
Qualcuno
accarezzava il suo viso, con delicatezza- lo stesso viso su cui stavano
cadendo
calde lacrime. Sue? No - aveva scordato l’ultima volta che
aveva pianto.
Qualcun
altro
stava piangendo, ma chi? Chiuse gli occhi, mentre sentiva il battito
del suo cuore
rallentare, e l’oscurità avvolgerlo.
Tentò di inspirare, ma tossì di nuovo,
eppure…. eppure, fu quasi certo di sentire quel profumo
inconfondibile, ma era
sogno o realtà?
Diverse
persone
gli si erano messe intorno, forse curiosi, o infermieri e medici, o
magari
colleghi; Ryo non poteva esserne certo, non riusciva a vedere bene
nessuno di
quei visi, la vista era annebbiata.
“Ryo,
Ryo ti
prego, non morire!” Una donna gli disse, pregandolo,
disperata, stringendolo al
proprio petto. “Non farmi questo!”
“Andiamo
Ryo,
tieni duro!” Stavolta, a parlare era stato un uomo. Lo
conosceva? Non ne era
certo. Ormai, non era più certo di nulla.
“Resisti,
Ryo,
resisti!” La donna lo chiamò, supplicandolo ancora
e ancora e ancora. Sembrava
disperata. Ryo la sentì parlare, e la voce…
lentamente, cambiò… o forse la
riconobbe per la prima volta… le sorrise, allungando una
mano verso il viso.
E
poi, quel
profumo… inebriante, che gli riempiva i sensi.
“Ti
amo…” le
disse, tossendo tra una parola e l’altra, mentre si sentiva
venir meno, ma
sapeva di dover parlare, ammettere, dire quelle parole, per la prima
volta… e
forse l’ultima.
Lei.
Solo lei.
Sempre lei. “Ti amo… così
tanto… da sempre…”
Lei
sgranò gli
occhi, sorridendogli felice, come mai prima di allora; le lacrime
continuarono
a lasciare i suoi bei occhi castani, ma stavolta erano lacrime di
gioia, non
più di paura o dolore.
“Oh
Ryo….non
lasciarmi!” La donna lo supplicò, lasciandosi
cadere sul tetto ricoperto di
asfalto accanto a Ryo, gettandogli le braccia al collo e stringendolo,
nonostante le proteste dei soccorritori che tentavano di farla
allontanare, di
separarli. Ma lei non voleva… e Ryo la capiva benissimo.
Perché provava lo
stesso. Lo aveva sempre provato, lo aveva sempre saputo, ma non aveva mai capito
quanto profondo fosse
stato quel legame.
Loro.
Solo loro.
Sempre loro.
L’aveva
data per
scontata per troppo tempo, e adesso se ne pentiva - adesso che la morte
avrebbe
potuto dividerli per sempre. Ma avrebbe lottato, per sé
stesso, per lei, per il
loro futuro.
Non
si sarebbe
arreso. L’angelo della morte non lo avrebbe avuto.
“Amore
mio, sei
qui con me…” Le sorrise, in pace, certo che ce
l’avrebbe fatta. Aveva gli occhi
lucidi, ma non era abbastanza in forze da piangere vere lacrime.
“Ti amo… Sugar.”
E
poi… poi,
l’oscurità ebbe la meglio, e Ryo non
sentì più nulla, nemmeno il freddo.