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Autore: FreddyOllow    04/11/2021    0 recensioni
Thomas Horke è un uomo depresso, apatico, imprigionato in un vuoto abissale che si porta dietro da sempre. Ogni notte, scoccata la mezzanotte, si siede sul parapetto del tetto e guarda giù.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1

Mentre chiudevo il portone del condominio, incontrai Derek che tornava da una passeggiata con Toby.
Si fermò davanti a me. "Perché non mi hai svegliato?"
Montai in sella alla bici. "Non volevo svegliarti. E poi era tardi."
L'anziano mi guardò guardingo da sotto le sopracciglia cespugliose. Sorrise. "Va bene, però la prossima volta svegliami. Volevo vedere come finiva il film."
"Lo farò. Ora devo andare a lavoro."
"Buon lavoro."
"Buona giornata."
Quella mattina le strade erano molto trafficate. Fui costretto a pedalare sui marciapiedi per non restare bloccato tra i veicoli. Senza alcun motivo, mi venne in mente Fiona. Lo sguardo furioso, carico d'odio. Nessuno mi aveva guardato così, a parte mia madre, che mi aveva sempre incolpato di averle stroncato la carriera.
"Guarda come mi sono ridotta" diceva sovente fino alla nausea. "Una casalinga depressa che ingoia antidepressivi dalla mattina alla sera. Avevo un lavoro, una carriera. Tutto buttato per niente!"
Era la frase finale che mi colpiva come una pugnalata al cuore. Ogni volta che la sentivo, mi veniva voglia di saltare da quel fottuto tetto del cazzo.
Se sono stato un cazzo di peso, perché non hai abortito? Ma non avevo il coraggio di dirglielo. Non volevo farla stare male e una parte di me mi diceva di fregarmene, di sputarglielo in faccia. Lei non si preoccupava di quello che mi diceva e neanche ci dava peso. Non sarò mai come lei, perché so come ci sente a non essere uno sbaglio, un ostacolo.
Svoltai a destra e proseguii lungo il marciapiede. Nei pensieri ancora Fiona.
Forse l'ho conosciuta da qualche parte? Veniva a scuola con me? Ci ho lavorato insieme? O forse è solo pazza? Non credo di aver mai ferito così tanto qualcuno da spingerlo a uccidermi. Se lo avesse fatto, avrei risolto i miei problemi. Ma io voglio morire in un altro modo. Tutti devono sentirsi in colpa per la mia morte, soprattutto una persona, mia madre.

Arrivai al negozio dieci minuti prima e lasciai la bici al solito posto. Seth scese dalla porche parcheggiata nel retro. Mi fece segno di raggiungerlo. Indossava una camicia bianca e una giacca nera. "Oggi andrai fuori città e avrai anche compagnia. Mi raccomando, pensa solo a guidare. Non è gente che ama fare conversazione, intesi? Non fare come quel cazzone di Ian che non riusciva a tenere la bocca chiusa."
"Si è licenziato per questo?"
"Certo, certo, ora pensa a caricare il furgone." Si allontanò di qualche passo, si fermò e tornò indietro. Prese un foglietto piegato da una tasca della giacca di seta e me lo rese. "Questo è l'itinerario. D'ora poi seguirai solo questo. Se ci sono cambiamenti, ti avviso. E se lo fai a vedere a qualcuno..." Mi posò una mano sulla spalla. "Non farmi essere cattivo, Tom. Non voglio, ok?" Mi diede un buffetto sulla guancia e si diresse verso il negozio.
Non diedi peso alla minaccia, anche perché non me ne fregava niente. Aprii il foglietto e lo lessi. Varie soste nel quartiere di Harmony e Jefferson. L'ultima fuori città, vicino a un capannone abbandonato. Lo piegai e lo misi in tasca. Andai a caricare le casse sul furgone.
Poco prima di finire, un uomo mi raggiunse alle spalle. Sulla quarantina, occhiali da vista, viso squadrato e corti capelli castani. Indossava una camicia bianca e un maglione blu senza maniche. Inizialmente pensai che fosse l'uomo visto nella berlina nera, ma non lo era.
Mi allungò una mano. "Victor Martini."
Martini? È un cognome italiano. Gliela strinsi. "Thomas Horke."
"Da oggi in poi saremo compagni di viaggio."
Ma non era solo per oggi? Non voglio avere nessuno tra i piedi. "Va bene. Finisco di caricare le casse."
"Fai pure. Vado a scambiare due chiacchiere con Seth."
Lo aspettai nel furgone per più di mezz'ora, finché comparve di fianco alla portiera con in mano due bicchierini di caffè fumanti. Me ne porse uno.
"Grazie." Aspettai che salisse per iniziare a bere.
L'abitacolo s'impregnò del buono odore di caffè. Gettai i bicchierini di plastica nel bidone accanto al mio finestrino e girai la chiave nel blocchetto d'accensione. Il motore borbottò diverse volte, ingranai la prima e partii.
Per tutto il viaggio durato mezza giornata, non ci scambiammo nemmeno una parola. Victor non faceva altro che fissare lo specchietto retrovisore laterale, guardare fuori dal finestrino e mandare messaggi quando giungevamo e partivamo da un destinazione.
Forse informava Seth? O il sicario?
Arrivati al Joe's Market per l'ultima consegna, scorsi quattro uomini vicino a una monovolume. Scendemmo dal veicolo.
Victor andò a salutarli.
Appena caricai l'ultima cassa, i quattro uomini entrarono nell'auto.
Victor mi raggiunse. "Ci seguiranno dalla distanza."
"Perché? Dobbiamo solo fare l'ultima consegna."
Mi guardò per un attimo. "Sicurezza. Meglio essere preparati."
Chiusi le portiere posteriori. "Per cosa?"
"Non fare domande. Andiamo."



 

2

Guidai fuori città e proseguimmo su una lunga strada illuminata intermittente dai lampioni. La monovolume a debita distanza dietro di noi. Mi fermai a un incrocio a T e svoltai a destra. Trecento metri dopo girai a sinistra e m'inoltrai in una stradina sterrata, fiancheggiata da alti pini e robusti cespugli.
Victor mi guardò. "Rallenta e spegni i fanali."
"Ma non vedrò niente."
"Spegnili!"
Lo feci e guidai per un po' con la prima.
"Fermati vicino a quello spiazzo."
Una volta arrestato il furgone, la monovolume proseguì sulla stradina e sparì dietro una curva.
Victor estrasse la pistola che teneva in una fondina sotto la giacca e guardò fuori dal finestrino.
Spalancai gli occhi nel vedere l'arma. Non ne avevo mai vista una e mi mise a disagio.
Abbassò il finestrino e sbirciò fuori per un pezzo. Si voltò verso di me. "Metti in moto, ma non partire."
Girai la chiave nel blocchetto di accensione. Attesi.
Victor guardò per un lungo momento la strada da cui eravamo venuti. Si voltò verso di me. "Parti."
"Hai visto qualcosa?"
"Pensa a guidare!"
Seguii la strada sterrata per trecento metri. Arrivammo davanti a cinque capannoni abbandonati in cui l'erica ci cresceva incontrastata. Poco più avanti, un grosso capannone dal tetto crollato.
I quattro uomini erano in piedi accanto alla monovolume.
Spensi il motore, uscimmo dal furgone e li raggiugemmo.
Victor si guardò intorno. "Notato niente?"
L'uomo dai capelli biondi buttò la cicca a terra. "No, sembra tutto tranquillo."
"Sembra? Che cazzo vuol dire sembra?"

Aspettammo per quasi un'ora. L'aria iniziava a farsi più fredda. Erano le otto e mezza e nessuno si era fatto vedere. Non sapevo chi dovesse incontrare, ma di certo doveva essere importante. Le casse sul furgone parlavano da sole. Victor aveva mandato due uomini indietro, che costeggiarono la strada muovendosi tra gli alberi. Tornarono dieci minuti dopo. Nessuno in vista.
Quando uno dei quattro uomini accese i fanali della monovolume per far luce, udimmo due motori tra i boschi.
Victor mi diede un colpetto al braccio. "Scarica la merce."
Appena chiusi le doppie portiere posteriori, un suv e un furgone si fermarono davanti a noi.
Sette uomini uscirono dai veicoli, cinque armati di mitragliatrici. Si guardarono attorno.
Ma in cosa mi sono cacciato?
Un uomo in giacca e cravatta si avvicinò a Victor. Sulla sessantina, corti capelli bianchi portati su un lato e labbra sottili piegate in un sorriso bonario. Assomigliava a uno dei tanti vecchietti nel parco che davano da mangiare ai piccioni.
Si strinsero la mano senza dirsi una parola. L'uomo anziano indicò le casse ai suoi uomini. Quelli li caricarono sul furgone e andarono via.

Lasciammo il capannone con la monovolume che procedeva in avanti.
Guardai Victor. "Era uno scambio, giusto?"
Mi lanciò una vaga occhiata.
Se era uno scambio, perché non l'hanno pagato? Che fosse già stato pagato in anticipo? Oppure che fosse una sorta di dono? O magari stavano restituendo la merce?
Arrivammo al Joe's Market verso le nove mezzo di sera. Parcheggiai il furgone nel garage, presi la paga da Seth e pedalai al mio appartamento.
Una volta arrivato, mi feci una doccia calda e mi cucinai due fettine di carne. Mi sedetti sul divano. Avevo guadagnato in un solo giorno quattrocento dollari. Erano un mucchio di soldi. Di questo passo sarei diventato ricco. Avrei potuto andarmene da questo tugurio e permettermi un appartamento nel ricco quartiere di Uptown. Forse potevo persino permettermi un auto. Più ci pensavo, più non sentivo niente. Apatia totale. Sapevo che sarei rimasto qui, che non avrei comprato nessuna macchina e che quei soldi sarebbero solo aumentati, tolte le bollette.
Lanciai uno sguardo nella stanza. Un divano, un basso tavolino e un pc portatile. In un angolo, un materasso e svariati casse di cartone con all'interno diversi libri che risalivano persino alla mia infanzia. Il mio appartamento rispecchiava l'abissale vuoto intriso nella mia anima.
A mezzanotte mi sedetti sul parapetto del tetto e guardai le strade sottostanti pulsare di vita. Pensai a mia madre, al suo odio verso di me, ma come sempre non riuscivo a saltare.
Immagina la sua faccia quanto ti vedrà spappolato sul marciapiede. Si metterà a piangere, soffrirà e avrà i sensi di colpa.
Non gliene fregherà un cazzo. Anzi, forse sarà persino felice.
No, lei ti piangerà, lo sai. Non è così crudele. Tu salta e vedrai che piangerà.
Non puoi esserne sicuro.
Certo che lo sono. Devi solo saltare e vedrai che è così. Si struggerà per i sensi di colpa.
Non gliene frega un cazzo di me e non gliene frega nemmeno se mi ammazzo!
Scesi dal parapetto e mi coricai sul pavimento, le dita incrociate dietro la testa. Osservai la luna piena sorridermi in un ghigno. Chiusi gli occhi.



 

3

Mi destò un tuono che echeggiò a lungo nell'aria. Cominciò a piovigginare. Con gli occhi assonati, guardai i violacei fulmini squarciare il cielo. Alcune saette si perdevano fra le nuvole in tante venature prima di schiantarsi a terra in un boato. Quel suono mi acquietava. Chiusi gli occhi e ascoltai i violenti rombi propagarsi tutt'attorno.
Piovve a dirotto.
Restai immobile, senza la minima voglia di andarmene. Quello era il mio rifugio e, con la pioggia che mi picchiava il viso, mi sentii connesso con il mondo. La mia perenne apatia si era come dissolta nel nulla.
Per quanto mi piacesse, alla fine il freddo si insinuò nella carni e andai a sedermi sul pianerottolo che dava sul tetto. Mancava mezz'ora alle sei.
Diversi passi riverberarono nella rampe di scale. Qualcuno scendeva in tutta fretta, ma non ci diedi importanza. Osservai i fulmini dilaniare e illuminare intermittenti il cielo.

Dopo aver fatto la doccia, bevvi un bicchiere di succo all'arancia e lasciai l'appartamento. Uscii in strada e montai in sella alla bici. Mi ricordai che adesso facevo il corriere. Non sapevo se dovessi lavorare anche di sabato.
Pescai il cellulare dalla tasca, scrollai la rubrica e chiamai Seth.
"Sì?"
"Oggi devo venire a lavoro?"
"Cristo Santo, è sabato... Mi hai svegliato per questo? E poi ti ho detto di non chiamarmi, cazzo! Vaffanculo, Tom!"
"Io... volevo sapere..."
Riattaccò.
Misi il cellulare in tasca e cominciai a pedalare senza una meta precisa. Dopo un'ora ritornai nel mio appartamento, mi feci un'altra doccia e mi buttai sul letto. Odiavo i fine settimana. Mentre tutto il mondo si divertiva, io ero una sagoma su uno sfondo sfocato.
Verso le undici mi svegliò la suoneria del cellulare. Era Simon, l'utente Majestic81, che avevo conosciuto sul forum di pittura.
"Pronto?"
"Dove sei? Ti sto aspettando da più di dieci minuti."
Cazzo! Saltai giù dal letto e, mentre tenevo il cellulare pressato fra un orecchio e una spalla, mi infilai i jeans che trovai sulla sedia. "Sì, sto arrivando. Ho avuto problemi con, con huh..."
"Stavi dormendo?"
"No, niente affatto. Ho avuto problemi."
"Niente di serio, spero?"
Indossai un maglione nero. "No, non preoccuparti. Sto arrivando! Anzi, sono già lì."
"Sì, come no" sbuffò in una mezza risata. "Ti aspetto."
Mi sciacquai in tutta fretta la faccia e mi precipitai fuori dall'appartamento. Scesi le scale a due a due ma, arrivato al secondo piano, mi fermai e le salii nuovamente. La porta era chiusa a chiave. Uscii dal condominio.
Per fortuna ci avevamo dato appuntamento a due isolati dal mio appartamento, anche se Simon non sapeva dove abitassi. Raggiunsi il bar a passo sostenuto, serpeggiai tra i tavoli gremiti di gente e mi sedetti.
Simon era un uomo della mia età, sulla trentina, magro, lunghi capelli neri scompigliati e un occhio bieco. Non sapevo se da quell'occhio ci vedesse, ma non glielo avevo mai chiesto e nemmeno m'importava. Indossava solo abiti neri e aveva una strana barba. Folta ai lati e assente dal mento e sopra le labbra. Sembrava appena uscito da un quadro ottocentesco.
"Sei arrivato, finalmente."
"Scusa per il ritardo, ma ho avuto un contrattempo."
Sorrise. "Come al solito."
Un cameriere ci raggiunse. "Buongiorno. Cosa vi porto?"
Lo guardai. "Un caffè e un cornetto al cioccolato."
"Per me un Jinseng."
Si allontanò.
Mi sistemai meglio sulla sedia. "Be', com'è andata la galleria? Hai venduto qualche quadro?"
"Li ho venduti tutti, tranne uno."
"Quindi ora sei più ricco di prima" sorrisi. "L'altro non lo ha voluto nessuno?"
"Ti dirò, ha ricevuto molte offerte, ma ho deciso di non venderlo più?"
"Perché? Non erano abbastanza consistenti?"
Simon piegò un angolo della bocca. "No, niente affatto. È stato il quadro che ha ricevuto più offerte, ma ho deciso di tenermelo. Dopo tutto è stato il mio primissimo dipinto ed era quello meno, come dire, affascinante. Forse è per questo che ho ricevuto offerte sostanziose, quasi due milioni."
Due milioni? Li avrei accettati seduta stante. I miei dipinti non li comprerebbe nemmeno un cieco. "Lo avrei fatto anch'io, almeno lo credo."
Il cameriere giunse con un vassoio, ci servì e posò lo scontrino sul tavolo.
Presi il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans, ma Simon mi anticipò e diede cinque dollari al cameriere, che andò via.
Lo guardai. "Toccava a me."
"La prossima volta" sorrise. "Entri ancora in quel forum?"
"Quello di pittura?"
Simon annuì e bevve un sorso di Jinseng.
"Ogni tanto. Tu, invece?" Diedi un morso al cornetto.
"Mi ero cancellato, ricordi? Recentemente mi sono fatto un nuovo profilo, ma credo che il forum sia peggiorato. A parte due o tre utenti, il forum non è per niente amichevole."
"Pensavo fosse solo una mia impressione."
"Troppe critiche, insulti velati e diffidenza verso i nuovi utenti."
Feci un sorso di caffè. "Non ti facevo così acuto. Hai notato il gruppetto che si è creato?"
"Sì, è non mi è piaciuto per niente. Quel forum sembra essere diventato più un gruppo privato, che qualcosa aperto a tutti."
"Sei andato nella sezione nuovi lavori? Hai visto i commenti?"
Annuì. "Gli unici commenti che ho visto sono quelli in cui criticano il lavoro altrui. Certo, una giusta critica costruttiva ci sta, ma se noti non c'è nessun commento positivo, nemmeno nei dipinti fatti davvero bene. Spacciano merda, per critiche costruttive. Uno come può imparare così?"
Masticai e mandai giù l'ultimo boccone del cornetto. "Le critiche non ci sono nei lavori di utenti vecchi. E no, non c'entra la bravura. Hai visto da te che ci sono utenti bravi che vengono lo stesso criticati in quanto vanno alla ricerca del cavillo, lo stesso cavillo che puoi trovare negli utenti vecchi. L'unica differenza è che questi non vengono criticati, non nella maniera con cui lo fanno con quelli nuovi. Ecco, è qui che mi sono accorto che c'è un gruppetto. Forse pensano che il nuovo utente sia un dilettante, senza sapere che magari dietro c'è un pittore con anni e anni di esperienza. Anzi, mi sono accorto che più è bravo, più non viene calcolato, nemmeno se partecipa attivamente. E quelle volte che lo commentano, lo fanno sempre con critiche insensate e forzate. A volte mi chiedo se tutto questo è solo nella mia testa."
Simon posò la tazzina sul tavolino. "Credi che la bravura attira antipatia?"
"Forse, anche se mi sembra proprio così. Inoltre la maggior parte dei nuovi utenti sparisce e il motivo credo sia palese. Non è accogliente."
"Hai letto quella discussione dove hanno bannato Avvoltoio Celeste? Quello che aveva postato il quadro che ritraeva il monte Everest? Che poi è anche un bel dipinto."
Annuii. "Lo hanno bannato per cosa? Perché si difendeva da una critica insensata di un altro? Bastava chiudere la discussione o richiamarli entrambi. E poi dovevano bannare anche l'altro che non faceva che criticare ogni cosa che diceva, ma non l'hanno fatto e sai perché?"
Simon sorrise. "Utente anziano."
"Già... Ecco perché non ho mai partecipato attivamente nel forum. Prendi i tuoi dipinti. Ora valgono milioni e sul forum ti dicevano che non sapevi usare i colori, che dipingevi male e di lasciar perdere la pittura. Ed erano opere vecchie, se vedessero i dipinti di adesso cosa direbbero?"
"Che vuoi farci? La gente è così. Non mi sono mai reputato un bravo pittore. Forse per questo non ho mai preso sul serio le loro parole."
"Nemmeno adesso ti reputi tale."
Simon corrugò la fronte. "Come lo sai? Mi leggi nel pensiero?"
"L'hai detto in un intervista sul canale sette."
"Ah, sì, giusto." Gli squillò il cellulare che teneva sul tavolino. Lo prese. "Simon Dunwall.... Certo, mi va bene... Forse è meglio alle nove... Non posso venire da solo? Capisco... Ci vediamo stasera."
Lo guardai. "La fama è così stressante come dicono?"
"Sì, e non oso immaginare come sia per un attore. Deve essere frustrante essere inseguito e accerchiato dai fans. Almeno io sono fortunato. Posso bere qualcosa con un amico senza il rischio di essere disturbato." Si alzò. "Ora devo scappare. Ci vediamo sabato prossimo?"
Gli strinsi la mano. "A sabato prossimo. E questa volta offro io."
Simon sorrise. "E non prendere sonno come oggi."

   
 
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