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Autore: laisaxrem    06/11/2021    0 recensioni
Doveva essere una semplice missione di scorta. E allora perché aveva le mani coperte del sangue di Kakashi?
Genere: Angst, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Genma Shiranui, Kakashi Hatake, Sakura Haruno, Yamato, Yugao Uzuki
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'This Is Us'
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TITOLO: Colors - Halsey

DATA: Martedì 13 Luglio 1681

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Doveva essere una semplice missione di scorta. E allora perché aveva le mani coperte del sangue di Kakashi?


«In questo momento avrei dovuto essere all’Accademia», borbottò Sakura, a voce abbastanza alta da farsi sentire dai suoi compagni di viaggio, e da uno in particolare.

«Perciò ti ho salvato da un pomeriggio circondata da bambini urlanti e grondanti moccio», ribatté Kakashi che camminava un paio di metri davanti a lei, il mantello bianco da Hokage che sventolava piano nella brezza leggera, il cappello stretto in mano a lasciare liberi i suoi capelli selvaggi appena umidi di sudore. «Dovresti ringraziarmi, invece di continuare a borbottare come una vecchia teiera», continuò, il sorriso evidente nella voce.

Erano appena entrati nel Paese del Fuoco ed avevano deciso di rallentare un poco il passo prima di fermarsi per la notte.

Sakura e Genma erano stati scelti come scorta per accompagnare l’Hokage all’annuale meeting dei Kage che quell’anno era stato ospitato da Sunagakure. Erano stati due giorni noiosi per Sakura, passati quasi interamente nella sala adibita al meeting, cercando di ignorare le occhiate ammiccanti di Kankurō (era la prima volta che si vedevano da gennaio, dalla prima missione che Sakura aveva svolto con gli ANBU, e la kunoichi iniziava a pentirsi amaramente di esserci andata a letto) e quelle incuriosite e divertite di Genma.

Il meeting era filato liscio con solo un poco di tensione quando Kakashi e Gaara avevano riportato in dettaglio agli altri Kage ciò che era successo con Ichigen e il suo gruppo, degli attentati al Kazekage e della minaccia che erano riusciti a sventare. Erano ripartiti per Konoha la domenica sera nonostante Gaara avesse offerto a tutti loro (squadra ANBU compresa) un’altra notte al palazzo per riposarsi e dopo mezzogiorno avevano finalmente lasciato alle loro spalle il clima arido del Paese del Vento per l’enorme sollievo di tutti loro, specialmente di Tenzō (non che l’uomo avesse in qualche modo manifestato il suo disagio, anzi, rimaneva ben celato a tutti i loro sensi insieme al resto della sua squadra, ma Sakura sapeva che la Mokuton gli dava problemi in quel senso).

«Al contrario di qualcuno, a me i bambini piacciono», ribatté Sakura, continuando a punzecchiare il suo ex sensei mentre camminavano all’ombra del bosco.

«Anche a me piacciono i bambini», protestò Kakashi, torcendo appena il collo per lanciarle un’occhiata divertita. «Sono io che non piaccio a loro».

«Forse se togliessi la maschera e non leggessi libri porno in pubblico…»

«Non sono porno, Sakura-chan, lo sai bene».

«Pensate di andare avanti così fino a Konoha, voi due?» intervenne Genma, che camminava accanto a Sakura, un paio di metri alla sua sinistra, a formare il terzo vertice del loro triangolo. Indossava la divisa di Konoha ed aveva il suo solito senbon stretto tra i denti, i capelli castani appiccicati al viso sudato: anche Genma soffriva il caldo, come tutti loro. «Perché la strada è ancora lunga e non credo di aver la forza per sopportare il vostro rozzo modo di flirtare ancora per molto».

«E chi sta flirtando?»

«Oh, andiamo, non cercare di negare. Si vede lontano un miglio che stai cercando di entrare nelle mutande al nostro stupido Hokage».

«Lo sai che ti sento, Genma, vero?» sottolineò il suddetto Hokage voltandosi appena per lanciare un’occhiata a Genma.

«Nessuno sta parlando con te, Kakashi», ribatté lui.

«Ti ricordo che sono il tuo Hokage».

«Nessuno sta parlando con te, Hokage-sama», lo schernì il ninja, uno scintillio negli occhi e le labbra incurvate in un ghigno che Sakura ormai conosceva bene, dopo settimane insieme in missione ed ore ed ore di allenamento.

Kakashi sospirò teatralmente tornando a guardare la strada davanti a sé.

«Voi due dovreste essere la mia scorta, non maltrattarmi continuamente», piagnucolò appena e Sakura avrebbe giurato di intravedere un broncio sotto la maschera. «Appena torneremo al Villaggio scriverò una lettera di protesta».

Non era affatto credibile e Sakura stava per dirglielo (e a giudicare dall’espressione sul suo volto anche Genma stava per fare la stessa cosa) ma all’improvviso Yūgao comparve sulla strada davanti a loro, la testa che si muoveva lentamente, come se stesse cercando di sentire qualcosa.

In un attimo Sakura estrasse la corta wakizashi che teneva sulla schiena, pronta al combattimento. Perché se uno degli ANBU, che avrebbero dovuto rimanere nascosti nell’ombra fino all’arrivo a Konoha, si era manifestato significava che c’erano problemi in vista. Accanto a lei anche Genma irrigidì la postura e Sakura praticamente vide i suoi muscoli tendersi mentre estraeva due kunai, gli occhi marroni che perlustravano le fronde degli alberi.

«Tora, cosa –»

Ma Kakashi non finì la domanda perché la donna si voltò di scatto ed in un balzo gli fu addosso, la spada sguainata che si muoveva rapidamente.

Sakura si era allenata abbastanza spesso con lei da riconoscere quei movimenti; era una delle sue tecniche distintive, lo Oborozukiyo. Ma quella quantità impressionante di fendenti non era diretta contro un nemico, perché non c’era nessuno a minacciare l’incolumità del loro Kage. Nessuno, tranne Yūgao.

Sakura si sentì gelare quando le sue orecchie captarono il rumore inconfondibile di carne lacerata, ed era abbastanza vicina a Kakashi perché il suo naso cogliesse immediatamente l’odore di sangue.

Paralizzata dallo shock del tradimento, a Sakura ci volle qualche istante per schiodarsi da dove si trovava e percorrere i pochi passi che la separavano da Kakashi; aveva già il pugno pronto a colpire Yūgao, con così tanto chakra in esso che sapeva l’avrebbe uccisa (e il pensiero non le causava il minimo rimpianto o dolore, non in quel momento), ma questa saltò via, sfuggendo sia alla sua ira che ai filari di legno che Tenzō aveva appena fatto sgorgare dalla terra. Poi una pioggia di shuriken si diressero verso Kakashi e Sakura li deviò in un attimo con la wakizashi e con la coda dell’occhio si rese conto che Genma stava lottando contro gli altri due ANBU ed uno dei due doveva aver lanciato le stellette. E all’improvviso tutto fu chiaro nella sua mente.

Stavano cercando di uccidere Kakashi.

Yūgao. Hinoto. Mizunoe.

I loro compagni, la loro squadra.

Una parte di Sakura non voleva altro che piombare loro addosso ed ucciderli tutti. Ma un umido colpo di tosse la riscosse dalla sua ira e il cuore quasi le si fermò nel petto.

Kakashi era ancora in piedi ma, proprio mentre lo guardava, lentamente si accasciò a terra, come una marionetta a cui fossero stati tagliati i fili. Sakura si ritrovò all’improvviso inginocchiata accanto a lui senza nemmeno sapere come ci fosse arrivata e subito i rumori della battaglia divennero solo un lieve sottofondo.

Il torace di Kakashi era un inferno di sangue, il contrasto ancora più evidente sulla veste bianca dell’Hokage che si stava inzuppando rapidamente di liquido color rubino. Per un attimo, solo per un attimo, Sakura sentì il panico montarle nel petto. Poi si mise al lavoro. Mentre con la mano destra iniziava a infondere il suo chakra nel petto di Kakashi, con l’altra iniziò a strappargli di dosso il mantello e il gilet per poi sollevargli la maglia e scoprirgli il torace. Alla vista del suo corpo lacerato grottescamente la bile le risalì la gola insieme alla rabbia.

All’improvviso Sakura percepì una presenza e sollevò lo sguardo per vedere Mizunoe – no, Hakubishin, non aveva intenzione di chiamare per nome un traditore – avventarsi su di loro a spada sguainata. Aveva già caricato il pugno e si era messa in posiziona, pronta a colpire e ad uccidere quel figlio di puttana, quando altro legno eruppe dal terreno e l’ANBU dovette cambiare direzione, allontanandosi dalla sua preda.

«Sakura, occupati di Kakashi-senpai!» le ordinò Tenzō, ad una trentina di metri da loro. «Ti copriamo noi». E sottolineò quelle parole ergendo una paratia di legno davanti a loro che li avrebbe protetti da colpi non troppo potenti.

Sakura annuì e tornò a dedicare ogni briciolo della sua concentrazione all’uomo che stava morendo davanti a lei.

Tora aveva colpito più in profondità di quanto Sakura avesse pensato all’inizio, causando il collasso di un polmone e lacerando non solo lo stomaco ma anche l’intestino; anche il fegato era messo male ed il rene destro sembrava sul punto di collassare. Miracolosamente il cuore non era stato toccato e Sakura ringraziò qualunque Kami fosse all’ascolto per quella piccola grazia. E tuttavia erano ferite gravi ed un iryō-nin meno esperto non avrebbe potuto fare nulla per Kakashi. Ma Sakura non era un iryō-nin qualunque.

«Tu non morirai, mi hai sentito?» sussurrò mentre attivava il Byakugō e spingeva il suo chakra in ogni cellula di Kakashi, obbligando piastrine e globuli rossi a duplicarsi in fretta, obbligando le ferite a rimarginarsi, gli organi a rigenerarsi.

«Mi… dispiace…»

Sakura distolse rapidamente lo sguardo dagli squarci all’addome per puntarlo sul volto di Kakashi; la porzione del suo viso che era visibile era cinereo e macchiato di sangue e Sakura sentì un tuffo al cuore.

«Stai zitto», intimò, tornando a concentrarsi sul processo di guarigione. Sapeva di star facendo un lavoro approssimativo e probabilmente Kakashi era in preda a dolori lancinanti, ma tutto ciò che contava in quel momento era risanare le ferite. Ci sarebbe stato tempo più tardi per lavorare sui dettagli. «Giuro che se muori passerò il resto della mia vita a sviluppare un jutsu per riportarti indietro e poi ti ucciderò con le mie stesse mani».

Il sangue stava rallentando e Sakura non voleva chiedersi se fosse grazie alle sue cure o a causa del dissanguamento. No. Prendendo un respiro profondo – ignorando l’odore di sangue – attinse al suo addestramento dividendo la mentre in compartimenti stagni, escludendo la preoccupazione, escludendo il dolore, la paura, la rabbia. Tutto ciò che rimase fu determinazione. Avrebbe salvato Kakashi.

«Sarebbe… contraddittorio…»

«E prima di ucciderti ti torturerò», continuò, concentrandosi sull’intestino che si stava rimarginando troppo lentamente.

«Niente… di nuovo…»

«Brucerò tutti i tuoi Icha Icha. Tutti. Anche l’edizione speciale da collezione di Paradise autografata da Jiraiya-sama», ribatté di nuovo.

Se fosse stata lì Tsunade l’avrebbe rimproverata aspramente, dicendo che far parlare un paziente era poco professionale, che poteva fargli sprecare le energie. Ma Sakura non riusciva a trattenersi. Aveva paura di sollevare lo sguardo e vederlo morire. Aveva paura che quelle parole sarebbero state le ultime che avrebbe sentito uscire dalla sua bocca. Non poteva permetterlo.

«Allora… non posso proprio… morire…»

«No, non puoi», confermò lei, mentre finalmente l’intestino si chiudeva, più lentamente di quanto Sakura avrebbe voluto. «E adesso zitto, devo concentrarmi».

«Sì… signora».

Per i minuti successivi Sakura lavorò nel silenzio – fatta esclusione per i rumori della battaglia che ancora imperversava accanto a loro anche se a distanza di sicurezza. Normalmente avrebbe fatto una trasfusione a Kakashi mentre finiva di curare le sue ferite, ma non aveva una sacca di sangue con sé e sebbene fosse del suo stesso gruppo sanguigno sapeva che il tempo che avrebbe impiegato per preparare aghi e tubi sarebbe stato probabilmente fatale per il suo paziente. Perciò accantonò l’idea per dopo, quando Tenzō e Genma avessero messo in sicurezza il perimetro, quando Kakashi fosse stato stabile.

Dopo esattamente ventitré minuti e quattordici secondi da quando Kakashi era stato colpito, Sakura finalmente interruppe il flusso di chakra e permise al Byakugō di disattivarsi.

Aveva curato ogni ferita, anche la più piccola; praticamente il corpo di Kakashi era come nuovo. Ma Sakura aveva paura comunque. Aveva perso davvero troppo sangue.

«Ehi, Kakashi?» sussurrò, accarezzandogli piano il viso e lasciandogli una chiazza di sangue sulla stoffa nera della maschera.

Per un attimo trattenne il fiato, il cuore che le batteva all’impazzata. Sapeva che Kakashi era vivo, sentiva il suo cuore battere. Ma era così debole, e aveva perso così tanto sangue che Sakura non poteva che chiedersi se avrebbe riaperto gli occhi.

E poi le palpebre di Kakashi tremarono e si sollevarono, lentamente, solo per metà, ma si sollevarono.

«Allora, dottoressa… sopravvivrò?»

Sakura sentì sparire parte della paura che le attanagliava il petto e senza rendersene conto iniziò ad accarezzargli i capelli, ignorando le macchie vermiglie in contrasto con l’argenteo delle ciocche ribelli.

«Per nostra sfortuna sì», sussurrò di rimando lei, incapace di trattenere il sorriso, incapace di impedire alle lacrime di inumidirle gli occhi.

«Non è… gentile… da parte tua», ribatté Kakashi, la voce tremante, debole. Ma per Sakura era comunque un sollievo.

«Hai ragione. Ma non sono io quella gentile del nostro Team, no?» rispose. «Shh. Adesso dormi. Ci penso io a te», l’incoraggiò continuando ad accarezzargli piano i capelli.

«Ok», sussurrò Kakashi ed il suo corpo si rilassò all’istante.

Sakura fece scorre di nuovo un poco del suo chakra per controllare che non ci fossero emorragie interne e non trovandone alcuna con delicatezza lo sollevò un poco e lo riposizionò finché la testa le giacque in grembo.

«Sakura».

La voce di Genma che si avvicinava la riscosse e si accorse che la foresta era tornata silenziosa. La battaglia era finita.

L’uomo era sporco di terra, erba e sangue e zoppicava un po’ ma era sostanzialmente illeso. Sakura sospirò di sollievo. Era stata così concentrata su Kakashi, sul curare le sue ferite, sul non permettergli di morire, che aveva dimenticato che c’erano altre due persone a combattere e a difenderlo. Pessimo medico e pessima compagna di squadra.

«Genma. Tu sei ferito. Fammi vedere», lo chiamò, stendendo un braccio verso di lui per chiamarlo più vicino.

«Non è niente», la rassicurò questi ma si avvicinò comunque andando a sedersi accanto a lei.

Sakura s’affrettò a far scorrere un po’ di chakra ed aggrottò la fronte quando si rese conto che almeno una parte del sangue che Genma aveva addosso proveniva da una ferita al braccio abbastanza profonda.

«È un brutto taglio. Avresti dovuto farmelo vedere subito», lo rimproverò mentre iniziava a curarlo. Il muscolo era lesionato e doveva fare un male del diavolo.

«Avevi altro da fare», si giustificò Genma scrollando le spalle. Poi i suoi occhi si posarono di nuovo su Kakashi ed un’ombra gli passò sul volto. «Come sta?»

«Ha perso molto sangue. Ma starà bene», lo rassicurò e sorrise quando vide un’ombra allontanarsi dai suoi occhi. «Devo solo fargli una trasfusione. Anzi, aiutami», aggiunse.

Rapidamente gli fece estrarre dallo zaino un rotolo in cui aveva sigillato del materiale medico e poi si fece aiutare a collegare una delle sue vene a Kakashi. Quando aghi e cannule furono al loro posto ed assicurati alla pelle di entrambi con un poco di scotch di carta, Genma tornò a sedersi accanto a Kakashi.

«E tu? Come stai?» le chiese, la fronte aggrottata, gli occhi che danzavano lontani dagli aghi.

«Sto bene».

«Sakura…»

Ma un’altra voce aveva pronunciato il suo nome in contemporanea e Sakura sollevò gli occhi su Tenzō che in poche falcate le fu vicino e s’inginocchiò a terra di fronte a Genma, gli occhi enormi fissi su Kakashi. Anche lui era coperto di sporcizia e vari tagli su braccia e gambe perdevano sangue. Senza dire nulla, mentre Tenzō fissava Kakashi ad occhi spalancati, Sakura gli posò la mano sul ginocchio ed iniziò a curare le sue ferite, ringraziando gli dei che si trattasse solo di tagli superficiali.

Mentre lo faceva la kunoichi si accorse che dalla schiena di Tenzō partiva un tralcio di legno e seguendolo con lo sguardo si accorse che si attorcigliava strettamente intorno a tre corpi. All’istante la rabbia le colmò il petto.

«Sono ancora vivi?» chiese, incapace di nascondere il veleno nel suo tono di voce.

«Tora e Marēyamaneko», rispose Tenzō. «Hakubishin è morto».

«Te ne occupi tu o lo faccio io?»

Lui scosse il capo distogliendo finalmente lo sguardo dall’Hokage per rivolgerlo a lei.

«Voglio riportarli a Konoha ed interrogarli».

«Al diavolo!»

«Sakura…»

«Hanno tentato di ucciderlo», sputò fuori a denti stretti, la rabbia che tornava a ribollirle prepotente nelle vene ora che il pericolo era scampato. «Se non ci fossi stata io… se fosse stato un altro iryō-nin… non ce l’avrebbe fatta, Tenzō. Kakashi… sarebbe morto».

«Non scriverò quella lettera di protesta allora», giunse la flebile voce di Kakashi e tutti e tre lo fissarono all’istante.

L’uomo aveva gli occhi aperti, anche se a malapena, e sembravano due pozzi neri sul volto pallido ed emaciato. E nonostante tutto era un sollievo rivederli aperti.

«Ti avevo detto di dormire», lo rimproverò, accarezzandogli piano i capelli mentre tratteneva le lacrime. Il suo battito cardiaco era decisamente più forte, segno che la trasfusione stava avendo l’effetto sperato.

«È difficile… quando continuate a parlare».

Una risatina le scappò dalle labbra.

«Dovrai perdonarci, allora, sua maestà, perché adesso dobbiamo discutere di come tornare a casa portando con noi il tuo culo rattoppato», s’inserì Genma.

«Maleducato».

«Bè, senpai, Genma non ha tutti i torti», confermò Tenzō, le labbra leggermente incurvate, il sollievo evidente nei suoi grandi occhia  mandorla. «Non sei in grado di camminare quindi dovremo trasportarti. Sarà alquanto spiacevole per noi».

«Nessun rispetto», brontolò Kakashi. «Vi farò… fustigare».

«Bambini», li richiamò Sakura mentre lottava per nascondere il sorriso. «Non c’è molto da discutere. Ci liberiamo di loro e poi –»

«No», l’interruppe Kakashi mentre posava le mani tremanti sul terreno. «Tenzō ha ragione. Dobbiamo… riportarli a casa».

«Ok. Ok», cedette lei, tenendolo fermo per impedirgli di tentare di mettersi a sedere. «Adesso però stai calmo. Devi riposare». Al suo ordine lui protestò un poco ma Sakura lo zittì immediatamente. «Dormi. Ci occupiamo di tutto noi».

E rimase a guardare mentre le sue palpebre tremavano e poi si chiudevano.

  
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