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Autore: laisaxrem    06/11/2021    1 recensioni
Dopo quasi un mese dalla fine della Guerra Gai si risveglia dal coma e Kakashi è lì per lui.
Quarta fic per il Kakashi Bingo 2021. Prompt: brotherly love
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gai Maito, Kakashi Hatake
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'This Is Us'
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DATA: Giovedì 7 Novembre 1679
TITOLO: What About Us? - Pink

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Dall’albero su cui si trovava, Kakashi godeva di una vista perfetta della camera d’ospedale di Gai.

L’orario di visita era terminato da più di trenta minuti ed un iryō-nin stava invano tentando di far uscire Lee e Tenten. Kakashi lo compativa immensamente. Passarono altri dieci minuti prima che quel pover’uomo abbandonasse l’impresa uscendo dalla camera con le spalle incurvate ed un’espressione da funerale sul viso e Kakashi trattenne un sorriso quando pochi minuti dopo ritornò al seguito di Sakura. Alla sua ex studentessa ci vollero due minuti netti per buttare fuori Lee e Tenten tra gli inchini di ringraziamento dell’altro iryō-nin.

Kakashi attese ancora appollaiato sul suo albero, il suo Icha Icha in mano, mentre Sakura tornava nella stanza a più riprese ed usava il suo chakra sulla gamba destra di Gai. Ogni volta la ragazza lanciava un’occhiata fuori dalla finestra e scuoteva il capo e Kakashi pensò un paio di volte che l’avesse scoperto… ma non era possibile, aveva soppresso completamente il suo chakra, no?

Quando Sakura lasciò la stanza per l’ultima volta, quasi un’ora dopo che aveva allontanato Lee e Tenten, Kakashi chiuse il suo libro e con una mezza dozzina di balzi atterrò sul muro accanto alla finestra; lì rimase, il chakra che scorreva nei suoi piedi che gli impediva di cadere, e bussò lievemente al vetro.

All’istante Gai, che stava scribacchiando qualcosa su un quaderno, voltò la testa e quando lo vide il sorriso che gli fiorì sulle labbra era così luminoso che avrebbe potuto accecarlo. Prendendolo per un invito, Kakashi fece scorrere di lato la finestra ed entrò nella stanza, chiudendola poi dietro di sé per evitare che il freddo di novembre potesse causare qualche problema al suo amico.

«Sai, non dovresti entrare dalla finestra», gli fece notare Gai mentre chiudeva il quaderno e si sporgeva un poco per appoggiarlo sul comodino accanto al letto. «Sono sicuro che Sakura-san farebbe un’eccezione per te, anche se l’orario di visita è terminato».

«Probabile», convenne lui mentre prendeva una sedia e l’avvicinava al letto. «Ma poi dove starebbe il divertimento?»

Gai rise. Almeno quello non era cambiato.

«Ah, il mio adorato Rivale e la sua avversione per le porte. Così figo, non potevo aspettarmi nulla di meno», affermò. «Allora, cosa ti porta qui, Kakashi?»

Già, perché era lì?

Kakashi non odiava gli ospedali ma ovviamente non gli piaceva particolarmente entrarci probabilmente perché il più delle volte era perché era stato ferito in missione (svegliarsi in un letto d’ospedale era sicuramente una delle cose che odiava di più) o perché qualche compagno di squadra era ferito o era morto. Perciò no, stare in ospedale era una cosa che non gli piaceva e di solito ci capitava solo per cause di forza maggiore.

Eppure era lì, di sua spontanea volontà. Perché?

La risposta era semplice: per Gai.

Si conoscevano da tutta la vita e sebbene all’inizio Kakashi fosse stato riluttante nell’accettare quello strano ragazzino che continuava a sfidarlo (ah! come se potesse mai batterlo in una qualunque disciplina da ninja) infine la caparbietà di Gai aveva distrutto ogni muro che Kakashi aveva accuratamente costruito lungo gli anni.

E questo l’aveva salvato, in molti modi.

Gai era stato lì per lui quando suo padre si era ucciso e poi quando Obito era morto (bè, non-morto) e anche quando Rin si era tolta la vita sul suo Chidori e persino più tardi ancora, quando anche Minato-sensei l’aveva lasciato solo, o quando Itachi, il suo kohai, il ragazzino che aveva giurato di aiutare e proteggere dall’oscurità degli ANBU aveva sterminato il suo intero clan. E tutto questo nonostante lui continuasse a respingerlo in ogni modo possibile (sì, era un ragazzo stupido). E Kakashi aveva ricambiato il favore quando Dai aveva sacrificato la sua vita per permettere a Gai di fuggire dai Sette Spadaccini. Un’inezia rispetto a ciò che Gai aveva fatto per lui, vero, eppure per il sé stesso dell’epoca era stata una cosa difficilissima.

Col passare del tempo aveva anche iniziato ad apprezzare le loro sfide perché sapeva che più Gai diventava abile e potente, più sarebbe stato difficile che si aggiungesse all’elenco di persone che aveva perso nel corso degli anni. Perciò aveva smesso di sfuggire quando Gai si presentava da lui urlando “Kaaakaaaashiiii! Ti sfido!” (ok, ad essere onesti doveva ammettere che qualche scena la faceva ancora, ma solo per il gusto di infastidire l’amico). Ed ogni volta che Gai doveva partire per una missione particolarmente difficile, la sera precedente andava da lui e gli lanciava un’ennesima sfida. Di solito si trattava di qualcosa in cui era un po’ più debole rispetto a Kakashi e di solito perdeva quelle sfide per poi giurare e spergiurare che al suo ritorno avrebbe avuto la rivincita. E Kakashi lo sapeva, lo sapeva che quello era il modo di Gai di promettergli che lui non sarebbe stato il prossimo nome sulla lista, il prossimo tra le persone amate di Kakashi a lasciarlo per sempre.

E nel corso degli anni Kakashi si era abituato a quella sensazione, a sapere che nonostante tutto Gai sarebbe stato sempre lì. Era strano pensarlo, e no, mai e poi mai l’avrebbe detto ad alta voce, ma il pensiero di Gai col tempo era diventato rasserenante.

Perciò quando il suo amico aveva comunicato, sul campo di battaglia, che avrebbe aperto l’Ottava Porta qualcosa in Kakashi si era spezzato. Perché nonostante tutto, nonostante il suo pretenzioso distacco, il disdegno con cui a volte accoglieva le uscite di Gai, o il suo fuggire alle sfide, nonostante tutto questo l’idea di perdere Gai era la cosa peggiore che potesse capitargli.

Perché Gai non era solamente qualcuno che lo spronava a migliorarsi, che lo costringeva ad uscire dal suo isolamento autoimposto e ad avere contatti umani. Gai era una persona che sapeva farlo ridere, che era sempre lì per lui (anche e soprattutto quando era lui a non volerlo lì); la sua casa era un luogo sicuro in cui Kakashi poteva andare a rifugiarsi quando era esausto dopo una missione o per ubriacarsi quando i ricordi diventavano troppo.

In sostanza doveva a Gai la sua vita.

Kakashi non aveva un fratello, sua madre era morta prima che potesse dargliene uno, eppure in qualche modo era sicuro che era quello che si provava ad averne uno.

Perciò sì, aveva intenzione di rimanere in quella stanza d’ospedale per tutto il tempo di cui Gai avesse avuto bisogno, anche a costo di subire l’ira di Tsunade e Sakura.

«Ho bisogno di un motivo per passare a trovare un amico?» rispose infine, cercando di nascondere l’imbarazzo di quella dichiarazione.

Non aveva mai detto a Gai di volergli bene, figuriamoci, perciò alle sue orecchie quelle sembrava più che mai una dichiarazione d’affetto… o così la pensavano le sue stupide guance che si stavano arrossando ad una velocità allarmante.

Gli occhi di Gai si sgranarono comicamente facendolo assomigliare più che mai al suo allievo prediletto e Kakashi dovette trattenere una risatina che mascherò in un colpo di tosse.

Ma si conoscevano davvero da troppo tempo e il sorriso che si spiegò sulle labbra di Gai dicevano che non gli era sfuggito.

«Certo che no, mio Rivale», confermò l’uomo. «Sei sempre il benvenuto a casa mia… o per meglio dire, nella mia stanza d’ospedale», aggiunse ridacchiando un po’ della sua stessa battuta. «Allora, il tuo occhio…»

La mano di Kakashi scattò automaticamente al suo occhio sinistro. L’occhio che ormai non aveva più lo sharingan. Per qualche giorno dopo la fine della Guerra, dopo che Naruto aveva in qualche modo impiantato nella sua orbita vuota un occhio funzionante dopo che Madara glielo aveva letteralmente strappato via (e no, Kakashi non avrebbe mai ammesso di avere incubi in cui riviveva quel momento), Kakashi aveva continuato a tenerlo chiuso e coperto con la stoffa dell’hitai-ate, più per abitudine che per necessità (sia Sakura che Tsunade l’avevano esaminato ed avevano garantito che era perfettamente funzionante). Dopotutto aveva dovuto tenerlo coperto per vent’anni, letteralmente. Iniziava ad abituarsi a vedere con due occhi, a come questo avesse cambiato molti aspetti della sua vita (Kami-sama, prendere la mira era completamente diverso con entrambi gli occhi scoperti, per non parlare della percezione della profondità! A volte si chiedeva come avesse fatto a combattere contro Kaguya in quelle condizioni).

E c’era stato anche il distacco emotivo, ovviamente. Perdere l’occhio che il suo amico gli aveva donato si era unito al dolore della scoperta che quell’amico era la causa non solo della Guerra in cui migliaia di ninja erano morti ma anche della morte di Minato-sensei. Sapeva che per il suo fisico quella era la cosa migliore, lo sapeva da anni, eppure una parte di lui stava ancora piangendo la perdita di quella parte che l’aveva collegato ad Obito, Rin e Minato in modo così fisicamente tangibile.

«È una lunga storia», disse, la voce più sottile di quanto volesse. «Sicuro di farcela? Non ti addormenterai a metà?»

«È una sfida?» chiese Gai, il sorriso che ora aveva una piega comprensiva che Kakashi conosceva molto bene. «Accetto!»

E Kakashi iniziò a raccontare.

  
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