Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _uccia_    06/11/2021    0 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                                                          ---------------VASILJ-----------------

 
"Ancora un minuto". La guardia controllò l'orologio al polso.
Vasilj afferrò i bordi della vasca e contò i secondi nella sua testa. Ogni muscolo del corpo che bruciava per il freddo.
"Di nuovo", ripeté la guardia.
Vasilj snocciolò gli ingredienti per le bombe che gli avevano mostrato durante le lezioni. Si rivide davanti agli occhi il libretto americano, scritto in lingua inglese ma che aveva memorizzato come se fosse stato in cirillico.
I suoi secondini gli facevano leggere libretti di istruzioni sia nella loro lingua che quella estera, perciò cominciava ad avere una prima rudimentale dimestichezza con l'inglese. Dicevano che la 'Guerra Fredda' non era finita, dicevano che quei maiali di occidentali si erano impigriti e che solo i russi erano rimasti valorosi.
Il suo respiro si era fatto ansimante ma avrebbe dato anche il sangue per qualcosa di grande.
Quelle parti gli venivano facilmente. Le liste, ricordare le cose.
Poteva farlo, i secondini dicevano sempre che aveva buona attenzione per i dettagli.
La guardia annuì in segno di approvazione e poi indicò l'arma appesa a una spalla.
Vasilj elencò i passaggi per assemblarla e poi li ripeté al contrario.
"Tempo scaduto", gridò la guardia.
Il ragazzo balzò fuori dal bagno di ghiaccio e quasi crollò.
"Continua a muoverti", disse prontamente la guardia. "Molto bene, ora nella fossa".
Vasilj si bloccò e scosse la testa.
"Rallegrati, Siberiano. Sarete più larghi laggiù, sta notte ne è morto un altro".
Le sue parole costrinsero il ragazzo a muoversi e a seguirlo.
La guardia aprì la botola della fossa e, sebbene il suo corpo non volesse entrare, la mente stava già eseguendo gli ordini.
Prima di scendere giù, gli diedero una pillola. Poi lo rinchiusero, sacrificandolo all'oscurità.
Non era il buio il problema, si era abituato a vivere nell'oblio. Era l'incertezza di ciò che poteva accadere, a devastarlo.
Ogni mese, passava ad una nuova fase dell'addestramento e ogni visita alla fossa poteva concludersi solo in un modo.
Uccidere almeno un altro ragazzo.
Da lì a momenti avrebbero fatto lampeggiare le luci e lui avrebbe potuto vedere i suoi avversari per brevi sprazzi di nitidezza tra un lampeggio e l'altro.
Uccidere o essere uccisi.
Lui uccideva sempre.
Poi lasciavano i cadaveri con i sopravissuti. A volte per giorni.
Uscivano fuori i topi. Anche gli insetti.
Il fetore.
Ma non era nemmeno la cosa peggiore. Erano i rumori a non piacergli, quelli che sentiva sempre.
In quel momento gli altoparlanti si accesero e Vasilj si coprì le orecchie prima che il rumore iniziasse.
Ma non faceva differenza, lo sentiva comunque.
L'urlo, una colonna sonora infinita di lamenti. Singhiozzi di tortura e pianti di bambini.
Il cuore gli batteva troppo forte e troppo velocemente, stava per esplodere.
Le luci presero a lampeggiare e nella fossa riuscì prima a distinguere, poi perdere, poi di nuovo a vedere un gruppo di altri cinque adolescenti all'incirca della sua età.
Le teste rasate e nudi proprio come lo era lui.
I muscoli tesi e le vene gonfie di un colore violaceo. Le pupille dilatate dall'effetto delle pillole.
Vasilj sapeva che erano proprio come lui.
I lamenti diventarono un'assordante ruggito a tempo di dura musica Metal.
Si accucciò in posizione, cercando di anticipare colui che lo avrebbe attaccato.
Un ragazzo, con una lacrima tatuata sotto all'occhio destro, lo stava fissando rabbiosamente mostrando i denti gialli come un animale.
Ecco, chi avrebbe ucciso per primo.
 
------
Vasilj appoggiò la fronte contro il legno della porta.
Dall'altra parte, sentì la ragazza chiudersi dentro con un doppio giro di chiave nella serratura.
Era completamente andato.
Era bella la sua futura moglie, con quei capelli bruni sempre acconciati in una coda o chignon.
Un viso a cuore con carnose labbra rosse naturali, senza rossetto. Delle lunghe ciglia a incorniciare delle iridi color del caramello fuso.
Per non parlare di quel schianto di corpo, tutta curve con seni gonfi e bacino ampio. Avrebbe dato alla luce dei tori come figli.
Il suo culo... Vasilj sospirò contro il legno della porta.
Poteva esistere un culo così tondo e alto?
Sentiva il membro tirare contro il tessuto dei pantaloni della tuta.
Poteva prenderla quando voleva, nessuno si sarebbe opposto. Già gli apparteneva e quella lingua lunga andava domata.
Si massaggiò l'uccello strofinando vigorosamente, a occhi chiusi.
L'idea di domare quella femmina lo esaltava. Aveva un caratterino focoso e pensare che lui poteva sottometterla al proprio volere gli provocava una dura erezione.
Una donna come lei, accanto a un uomo come lui.
Se non fosse stato per il titolo che da lì a giorni gli avrebbero dato, una come lei non avrebbe mai guardato un sicario sfregiato da cicatrici e sudicio come lo era lui.
Diventare Vor gli avrebbe permesso anche quello, avrebbe potuto possedere qualsiasi donna d'onore.
Donne pulite e affascinanti. Erano costrette a vederlo finalmente, non lo avrebbero più evitato come un lebbroso.
Quando erano andati alla rimessa per aerei, Titov gli aveva detto che poteva pure prendersela subito ma doveva aspettare che prima ci parlasse lui.
Quando l'aveva vista redarguire uno dei suoi uomini sul come andavano recuperati i panetti da dentro una statua, aveva avuto un brivido lungo la schiena.
Era meravigliosa, alta e flessuosa.
Quando l'aveva vista la prima volta durante il rapimento a New York non l'aveva veramente esaminata, aveva altro per la testa. Ma in quell'istante, nella rimessa... era rimasto folgorato.
Non riusciva a crederci, gli avevano dato in pasto una donna che non avrebbe mai potuto trovarsi da solo.
L'avevano costretta, lo sapeva, ma non gli importava.
La bramava voracemente.
Quando era uscita dall'ufficio dell'hangar con alle spalle un Titov compiaciuto, l'aveva vista puntare verso di lui a passo di carica.
L'avrebbe presa al volo, era pronto. Avrebbe tanto voluto possederla proprio lì davanti a tutti. Come un uomo delle caverne che reclama la propria donna di fronte al resto del clan.
Era sua. Tutta... sua.
Vasilj gemette sentendo della viscosità nelle mutande, fece un passo in dietro dalla porta e sospirò.
"Il segreto di un buon matrimonio è una moglie felice". Gli aveva detto Babushka una sera quando lui e Ivan erano seduti al tavolo della cucina a cenare, con lei che li serviva.
"Da retta a una donna che è stata sposata con il proprio uomo per trent'anni".
Ivan aveva preso a succhiare rumorosamente la sua minestra, gocciolandosi sul mento.
"Sarà solo una firma", aveva detto Vasilj con una alzata di spalle.
"Prima scopatela e poi liberatene", lo aveva avvertito Ivan. "Le donne portano solo guai e in più è tutta una idea di Titov. Non mi piace neanche un po'".
"Gli italiani dovranno credere che la terrò al sicuro, almeno finché non riusciremo a bypassarli e a trattare direttamente con gli honduregni senza intermediari". Aveva spiegato Vasilj prima di prendere anche lui d'assalto la sua bollente minestra.
"Ehi, Siberiano", lo aveva richiamato Ivan battendo due colpi sul tavolo con le nocche. "Che non ti venga in mente di mandare tutto in malora per una donna, io e Nico ci siamo quasi presi una pallottola in testa l'ultima volta che ti sei fatto traviare da lei".
Il telefonino di Vasilj trillò fastidiosamente e l'uomo ritornò con la mente al presente.
Diede una occhiata al monitor del suo Samsung e alzò gli occhi verso il soffitto.
"Dammi una tregua", supplicò a nessuno in particolare.
Al pian terreno, incontrò Nicolaj proprio davanti alla porta che conduceva da basso nello scantinato.
Aveva un borsone in spalla, contenente tutta l'attrezzatura di cui aveva avuto bisogno. "Ho installato le telecamere e le ho collegate ai monitor giù". Lo aggiornò, il ragazzo.
Vasilj annuì accompagnandolo all'ingresso. "Molto bene ma ora dovrai occuparti tu di fare il giro delle piazze, per oggi. Io ho del lavoro da fare".
Il giovane Nicolaj alzò il mento orgogliosamente. "Ci penso io!".
Quando entrambi furono in strada, Vasilj richiuse a chiave l'uscio dietro di sé.
"Ah, Siberiano". Lo chiamò il ragazzo stampandosi in faccia un gran sorriso. "Congratulazioni!".
Vasilj lo incenerì con un'occhiataccia. "Per cosa?".
Il ragazzo esitò e il suo sorriso andò rapidamente a scomparire. "Per... per il...", iniziò a dire. "Con la..." e indicò la finestra murata in alto, sopra di loro, quella della camera dell'italiana.
"Và a lavoro!", borbottò Vasilj di cattivo umore.
Il ragazzo se la diede subito a gambe lungo il viale.
Dei bambini si rincorrevano ridendo lungo i marciapiedi, attraversando la strada e nascondendosi dietro alle auto in sosta.
"BUM-BUM!", mimava uno di loro mentre teneva in mano un ramoscello a mo' di pistola.
I suoi compagni urlarono divertiti e fecero finta di cadere tutti a terra, vittime di una sparatoria.
Vasilj si affrettò a salire in auto.
La giornata continuava ad annunciarsi nuvolosa e cupa. Proprio come il suo umore quando parcheggiò davanti a un immenso complesso di appartamenti, quindici minuti più tardi.
Quella mattina, quando era in macchina con l'italiana, aveva visto uno dei suoi uomini ricevere della roba non autorizzata da un tizio in bicicletta proprio sotto il suo naso.
In quelle strade era lui che comandava, a lui andava chiesto il permesso anche per andare al cesso figurarsi azzardarsi a spacciare roba di qualcun'altro.
Aveva immediatamente scritto a Ivan in modo che se ne occupasse lui, finché sistemava la questione donna in ostaggio.
Quando batté il pugno sulla porta dell'appartamento, sapeva già chi avrebbe aperto.
"Alla buon ora". Lo accolse burbero, Ivan. "Ti ho scritto di venire quì una vita fà, ancora un po' e sarei andato fuori di testa!".
Vasilj gli diede una spallata e si fece largo all'interno del puzzolente e desolante appartamento. Tutte le persiane erano calate e l'ambiente era quasi totalmente in ombra, tranne che per una lampada accesa sul tavolino del salotto.
C'era il fetore di cibo rancido e puzza di calzini sporchi.
"Da quant'é che non pippi?", chiese Vasilj. "Sei fastidioso quando non lo fai".
Ivan tirò sù forte col naso e se lo grattò con forza. "Da troppo tempo, per questo ti ho detto di fare in fretta. Questa è la casa del coglione, pensavo di trovarlo con la roba di qualcun'altro presentandomi all'improvviso senza annunciarmi ma ho trovato qualcosa di ben peggiore".
Gli fece cenno di seguirlo lungo il corridoio e i due si ritrovarono nel cucinino dell'appartamento, altrettanto logoro e desolante.
Una ragazza in evidente crisi di astinenza, si dondolava catatonica seduta sulla seggiola a capotavola.
Sembrava sconvolta, con un occhio pesto e il trucco tutto sbavato per le lacrime versate.
In piedi, accanto a lei, si mangiava le unghie un uomo. Lo stesso che quella mattina aveva scambiato con il tizio in bicicletta.
Sembrava terrorizzato, tremava e batteva i denti. I capelli neri erano unti, la fronte era imperlata di sudore e non la smetteva più di far vagare lo sguardo dappertutto come se non ci stesse del tutto con la testa.
Ivan si diresse verso l'enorme congelatore addossato su un lato della stanza, uno di quelli rettangolari con sportello che si apriva come una bara. Fatto per conservare grandi quantità di provviste.
Aprì lo sportello e si fece da parte in modo che Vasilj vi ci guardasse dentro.
"E questo, chi diavolo é?". Esclamò interdetto.
Ivan gli si affiancò ed entrambi presero ad esaminare il cadavere congelato dall'alto, in una involontaria scena comica.
Il corpo aveva evidentemente subito un grave trauma da corpo contundente sul lato del cranio, teneva gli occhi e la bocca aperta in un silenzioso urlo di aiuto. Gli arti erano stati piegati in angolature impossibili, in modo che ci stesse a stento nella cella frigorifera.
Era stato quasi del tutto sepolto da piselli surgelati, patatine fritte e sacchetti di alette di pollo.
Il pazzoide unticcio prese la parola. "Non é nessuno, te l'ho detto Ivan. Nessuno!".
Ivan diede un calcio a una sedia, mandandola a rotolare in corridoio. "Col cazzo che è nessuno! Volkov, guarda com'é vestito. E' un fottuto 'colletto bianco'!".
Vasilj lo aveva già notato. Il cadavere dell'uomo era vestito di tutto punto, giacca e cravatta annessi.
Proveniva dalla società per bene e per giunta aveva famiglia, da come si deduceva dalla fede all'anulare sinistro.
"Ci sarà una inchiesta, giornalisti che andranno a intervistare la vedova. Piagnistei in televisione dove si pregherà la vittima di tornare a casa e polizia in ogni angolo!", si disperò Ivan portandosi lei mani ai capelli.
Era sempre così tragico quando non pippava.
Vasilj afferrò il bordo del congelatole e corrugò le sopracciglia, riflettendo. "Dobbiamo farlo sparire".
Il disperato unticcio riprese coraggiosamente la parola unendo le mani come in preghiera. "Ci penso io, non è niente. Ci penso io".
Vasilj scattò come un serpente e gli piazzò un poderoso pugno allo stomaco, l'uomo boccheggiò senza fiato e cadde in ginocchio ai suoi piedi.
"Le cose quì non funzionano più come ai tempi di Kozlov. Ora il capo sono io, quì tutti vivono e muoiono secondo il mio volere!".
Lo afferrò per la collottola e lo inchiodò di faccia sul piano del tavolo con un tonfo, proprio di fronte alla ragazza in catalessi che finalmente smise di dondolare.
Mentre gli premeva una mano in faccia e con l'altra gli teneva un braccio girato dietro la schiena, Vasilj continuò implacabile: "Ogni cosa và fatta solo dopo la mia autorizzazione, nessuno è al di sopra di me. Ti é chiaro?".
"Voleva la mia donna!", piagnucolò quell'essere rivoltante.
Vasilj lanciò un'occhiata alla ragazza seduta a capotavola. Era ridotta a uno schifo.
"Quel 'colletto bianco' voleva fottersi tutte le meglio ballerine del locale! Non potevo lasciarglielo fare, quelle donne sono di proprietà dei 'Ragazzi del Vicolo'".
Ivan rovistò nelle ante sopra al lavello, tirò fuori un bicchiere e si prodigò a caricarlo di ghiaccio ripescato fra le gambe del cadavere in cella. "Come no", sbuffò. "Quelle se le fottono tutti, idiota. E' il loro lavoro!".
Vasilj liberò la faccia dell'uomo dalla sua presa ma tenendolo sempre bloccato con un braccio all'indietro, tirò fuori il suo fidato pugnale dalla lama lunga.
"Mano libera sul tavolo, subito!". Ruggì in un ordine perentorio.
La sua vittima prese a singhiozzare e a sputacchiare muco e saliva, in una smorfia resa folle dalla paura. "No, ti prego. Te lo giuro, sistemerò tutto io. Abbi pietà!".
Supplicò e sputacchiò ancora, perdendo ogni traccia di dignità umana.
Vasilj gli ringhiò nuovamente nell'orecchio. "Che cosa credi che sia questa se non pietà, mano libera sul tavolo. Muoviti!".
Lui fece finalmente come gli era stato ordinato. La sua donna, seduta lì accanto, rimase a guardare attentamente.
"Io vorrei anche fidarmi...", parlò lentamente Vasilj. "Il punto è che non posso proprio permettermelo!".
Piantò la lama di taglio sul piano del tavolo facendogli saltare via anulare e mignolo della mano sinistra.
L'uomo urlò come un maiale e pianse come un bambino, mentre fissava la pozza di sangue scarlatto allargarsi sul piano e poi gocciolare sul pavimento.
Le due dita mozzate sembravano due grassi bruchi.
"Ripeti dopo di me, razza di coglione!". Urlò Vasilj sopra i lamenti. "Io sarò leale al mio Vor, signore e padrone. Ripetilo!".
L'uomo ripeté singhiozzando e mangiandosi le parole ma si poteva capirne il significato.
"E ora, ascoltami", lo minacciò Vasilj. "Te ne andrai da questa città, portati via pure la tua donna se ti aggrada".
La ragazza singhiozzò brevemente, non sembrava molto entusiasta all'idea.
"Non rimettere mai più piede nel mio rione o ti mozzerò qualcos'altro di più vitale, la prossima volta".
Dopo di che, lo lasciò libero di rialzarsi.
Ivan raccolse le due dita tranciate e le depose nel bicchiere pieno di ghiaccio che aveva recuperato. Glielo porse e disse: "Corri in ospedale, se farai abbastanza in fretta magari riusciranno a riattaccarteli".
L'uomo e la ragazza fuggirono prendendo la via per l'uscita, l'uomo con stretto al petto il bicchiere con le dita.
Ivan e Vasilj rimasero soli a contemplare il corpo ibernato.
"Chiamo 'il Turco'?". Chiese dopo un po', Ivan.
Vasilj si stava già prodigando ad estrarre il cadavere irrigidito dal freddo e dal rigor. "Chiama il 'il Turco'", gli fece eco grugnendo dallo sforzo.
 
----
 
Colui che chiamavano 'il Turco', lo era per davvero. Un turco.
Gestiva una macelleria nel quartiere alle porte di San Pietroburgo, una zona rispettabile abitata da brava gente ignara.
'Il Turco' era un uomo fidato di Vasilj, un individuo che conosceva da quando aveva appena iniziato a lavorare per Kozlov. Quindi sapeva che quando veniva chiamato era per smaltire corpi.
Dopo aver fatto una fermata al supermercato lungo la strada per comprare due asciugacapelli, arrivarono finalmente davanti alla macelleria.
Vasilj spense il motore e si apprestò a scendere, ma accanto a lui Ivan aveva qualcos'altro da fare prima.
Tirò forte prima con una narice, poi con l'altra, la lunga striscia di polverina bianca che si era preparato sul cruscotto dell'Audi di Volkov.
"Idiota, non nella mia fottuta macchina!", lo redarguì Vasilj tirandogli una manata sulla nuca.
Ivan si prodigò a leccarsi un dito e a ripulire ogni traccia di bianco sul cruscotto nero. "Ecco fatto, come nuova".
Vasilj borbottò qualche bestemmia e scese dall'auto proprio mentre 'il Turco' usciva fuori dal negozio per accoglierli.
Ci fu qualche convenevole ma fecero tutto molto in fretta, era ancora pieno giorno e le persone rispettabili non dovevano vedere un individuo come Vasilj con praticamente scritto in fronte mafioso, intrattenere rapporti con il macellaio di fiducia.
Si strinsero la mano alla maniera degli uomini, palmo a palmo in volo e una pacca spalla contro spalla.
Quando Vasilj lasciò andare la mano del macellaio, questo aveva stretto in pugno un rotolo di banconote.
"Andate sul retro, io chiudo bottega e me ne vado". Si congedò 'il Turco'.
Una volta che l'Audi venne portata sul retro, Ivan e Vasilj recuperarono dal bagagliaio il corpo avvolto in un tappeto.
Nella stanza per la macellazione, sbatterono 'l'Involtino Primavera' sul piano in acciaio e lo srotolarono in malo modo.
Collegarono i Phone alle prese elettriche e cominciarono a scongelarlo.
Potevano volerci lunghe, estenuanti, noiose ore.
Ma si sapeva, il crimine non dormiva mai e il loro era un lavoro senza orari fissi.
"Che cosa farai adesso? Con l'italiana, intendo". Urlò Ivan sopra al frastuono dei soffi di aria calda.
La camicia del cadavere si stava sbrinando.
"Non lo so'". Ammise nervosamente, Vasilj. "Non c'ho mai pensato veramente".
"Hai intenzione di evitarla per tutto il tempo?", lo incalzò Ivan beffardamente.
"Ho intenzione di diventare Vor, sposarmela e sedere alla tavola del Vory. Del resto non ha importanza, lei porterà in dote il controllo del commercio con l'Honduras. Non sono obbligato a sopportarla per tutto il giorno, il matrimonio sarà praticamente una farsa".
Come si macella un uomo?
Mica te lo insegnavano in scuole normali una roba del genere, ma indicativamente il processo assomigliava molto allo squartamento di un maiale.
I due sicari erano stati preparati bene. Si spogliarono dei vestiti rimanendo solo in mutande, il resto dell'abbigliamento venne piegato accuratamente in cima allo scaffale più lontano.
In quella sala faceva freddo ma i due uomini quasi non ci facevano caso, mentre giravano in tondo al tavolaccio analizzando da che parte cominciare.
Spogliarono totalmente il cadavere e Vasilj afferrò un inquietante coltello. Ivan fece altrettanto.
Si iniziava praticando un taglio che andava dallo sterno all'inguine. Si pizzicava la pelle al di sotto dello sterno, proprio dove cominciava l'addome, e si tirava la pelle verso se stessi.
Si infilava quindi la lama e si proseguiva dritto attraverso la pancia del corpo, verso il basso ventre.
Si doveva fare molta attenzione a evitare di lacerare gli organi interni e fermarsi quando si era a livello delle gambe.
Vasilj infilò una mano e cominciò a sbudellare con gran lena, Ivan era già pronto con un secchio a portata di mano.
Le interiora erano pesanti e sarebbe stato un attimo riversare tutto quel sangue contro di loro.
La puzza era quasi insopportabile e dal tavolo in acciaio, il sangue gocciolava in una grata posta sul pavimento proprio al di sotto.
Procedettero col dividere lo sterno per separare le costole. Rimanevano gli organi della cassa toracica da rimuovere e si doveva lavorare molto sulla cartilagine.
Vasilj optò per agire brutalmente di seghetto, quando ebbe finito si asciugò la fronte con il braccio e lasciò a Ivan il passaggio successivo.
Rimuovere la testa. 
Si doveva tagliare a partire da dietro le orecchie e lungo la gola, seguendo la mascella. La parte preferita da Ivan era il tagliare la colonna vertebrale con un colpo di mannaia ben piazzato.
Il resto della macellazione venne da sé.
Vennero rimosse gambe e braccia, così che rimase solo il tronco dell'uomo che era stato.
L'enorme trituratore di ossa venne presto azionato.
Le lame cominciarono a sferragliare e il motore a ruggire affamato.
Era ormai notte inoltrata quando Vasilj e Ivan finirono di ripulire con candeggina, e altri prodotti da pulizie, qualunque cosa avessero usato o anche solo toccato.
Erano bravi nel loro lavoro ma quella era roba che richiedeva comunque una giornata intera.
Erano sfiniti.
"Li mollo ad ogni cassonetto che incontro, da quì fino alla campagna". Disse Ivan sollevando i sacchi carichi pieni di carne triturata. Tre per mano.
Il corpo sarebbe stato sparso in un area più ampia possibile, possibilmente in cassonetti di ristoranti e hotel.
Sarebbero stati scambiati per scarti putrescenti da cucina.
"Io torno a casa", si congedò Vasilj mentre si rivestiva. "E' tardi e Babushka sarà andata sicuramente a casa sua. Devo vedere che combina l'italiana".
Vasilj diede un passaggio al compagno fino a dove aveva lasciato la sua auto, poi le loro strade si separarono.
Era appena entrato dalla porta di casa quando sentì un rumore provenire dalla cucina.
Vasilj portò subito una mano dietro la schiena, sollevò la maglietta e strinse l'impugnatura della sua Glock infilata nei pantaloni.
Vide la ragazza girarsi sorpresa verso di lui, in mano stringeva un bicchiere d'acqua e pareva sinceramente sorpresa di vederlo arrivare di corsa dal salotto.
"Ehm, avevo sete". Si giustificò alzando leggermente il bicchiere, l'acqua cominciò a tremolare a ritmo della sua ansia.
Vasilj si rammaricò, non voleva che avesse paura di lui.
Raddrizzò la schiena in una posizione più rilassata e lasciò la presa dalla sua arma, cosa che la ragazza notò e parve rasserenarsi per questo.
Indossava ancora la tuta grigia che aveva quella mattina ed era comunque sexy da morire.
Vasilj non scopava da quell'orgia organizzata alla villa di Titov e pareva che il suo cazzo ne contasse i giorni.
Era completamente in fregola ma cercò di darsi una calmata, non l'aveva mica scoperta in intimo dopotutto. Se reagiva così per un abbigliamento così casto, cosa avrebbe potuto farle la prima notte di nozze?.
Il pensiero lo accese più forte di prima.
"Buona notte", si congedò in un soffio lei. Tenne le spalle rivolte al muro e lo aggirò con fare guardingo.
Lui rimase immobile ma la seguì con lo sguardo come un predatore con la sua preda.
Quando lei fu finalmente alla porta del corridoio la vide arrossire dall'imbarazzo e per un istante il suo sguardo andò casualmente ai piedi di Vasilj.
Ciò che disse poi, lo confuse.
"Dovresti pretrattare quelle macchie", parlò lei indicandogli le Nike.
Lui si controllò subito le scarpe e solo in quel momento si accorse che da bianche erano diventate orribilmente chiazzate di rosso incrostato.
"Il sangue va pretrattato e usa acqua fredda. Buona notte!".
Detto ciò si dileguò velocemente su per le scale, per andare poi a chiudersi a chiave in camera sua.
Vasilj era senza parole.
Rimase nella penombra del salotto a inclinare il capo da un lato mentre rifletteva.
Che razza di strana donna era, quella Vittoria?
Non si era per nulla spaventata da ciò che le sue scarpe insanguinate potevano significare. Era stata, piuttosto, spaventata dal trovarselo improvvisamente in salotto.
Quello era il momento, in cui lei era sulla difensiva.  Ma perché?
Vasilj sospirò quando andando in cucina trovò mancante un coltello dalla collezione infilata nel ciocco in legno.
"Ecco perché", disse amaramente.
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _uccia_