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Autore: _uccia_    16/11/2021    0 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                                                 ---------------VITTORIA-----------------

 
Studen, era chiamato. Personalmente Vittoria lo riteneva rivoltante.
Gelatina di brodo di carne raffreddata con zampette e testa di suino bollito e aromatizzato.
Solitamente le zampe contenevano gelatina naturale in quantità sufficiente da solidificare il tutto in un ammasso torbido e tremolante.
"Cucina tradizionale", aveva detto Babushka. Ma in Italia roba del genere sarebbe stata buttata nel cassonetto.
Durante i tre giorni che passò in quella casa, Vittoria capì che c'era da annotarsi una nuova  importante cosa nella lista delle nozioni base da imparare in Russia:  lì, la popolazione adorava mettere tutto in gelatina.
Per non parlare della panna acida, compariva a tradimento all'interno di innocenti involtini di cavolo o accostata a qualsiasi tipologia di carne.
Tutto era affogato nella panna acida, sempre.
Babushka era una brava cuoca. Ci metteva sentimento in ciò che preparava, perciò Vittoria non se la sentiva di farle notare quanto il cibo tradizionale proprio non le andasse giù.
"Non mangi, bambina". Si dispiacque l'anziana, all'ora di pranzo: le due del pomeriggio.
Persino l'orario dei pasti era del tutto diverso a ciò che Vittoria era abituata.
"Non respiro in questa casa". Mugugnò la ragazza, allontanando leggermente da sé il piatto di Studen servito al tavolo della cucina. "Se potessi anche solo uscire cinque minuti...".
"E' pericoloso là fuori, non è posto per una straniera". Le rispose Babushka sedendosi accanto a lei.
In quella casa lei era 'libera', ma limitatamente.
Dopo la prima notte passata in bianco a rinchiudersi in camera sua e a tendere l'orecchio a ogni singolo rumore provenire dal corridoio, Vittoria aveva cominciato a prendere appunti mentali su ciò che le accadeva o la circondava.
Per esempio, il suo carceriere non passava mai la giornata o la notte in casa. Cosa che dava alla ragazza grande sollievo.
Vasilj Volkov preferiva presentarsi alle prime ore del mattino, svaligiare il frigorifero accuratamente rifornito da Babushka, fare una veloce capatina nella sua stanza e poi ripartire verso luoghi ignoti nel mondo all'esterno.
Vittoria quindi sfruttava i momenti in cui la sua personale secondina era impegnata nelle faccende domestiche, per esplorare l'abitazione.
Aveva capito che tre porte erano tenute a chiave:
ovviamente il pesante ingresso, poi la porta che conduceva allo scantinato e la inutilizzata camera da letto di Volkov.
Non c'erano altre porte sul retro o finestre non sbarrate.
L'unica via di fuga rimaneva l'ingresso davanti alle scale.
Le chiavi le aveva Babushka, la vedeva iniziare la sua giornata da governante entrando in casa ogni mattina alle sette e finire il suo dovere ogni sera alle dieci.
Doveva essere ben remunerata, non si lamentava mai e Vittoria non era riuscita in tre giorni a intaccare la sua fedeltà a Volkov.
Aveva provato a impietosirla e a pregarla, aveva provato a instillarle il dubbio che l'uomo la sfruttasse facendole fare un lavoro noioso e a tempo pieno per troppe ore al giorno, aveva cercato di capire se in qualche modo Volkov la minacciasse ... ma ancora non c'erano segni che l'anziana volesse cederle le chiavi.
Vittoria non voleva arrivare a tanto, ma l'unica altra opzione era quella di stordirla e rubargliele.
Era una brava donna. Le preparava il cibo, le lavava la biancheria e le lenzuola. Puliva e rassettava la casa.
Non si meritava una aggressione.
"Ho detto al Signor Volkov che mangi solo cracker e qualche contorno, da quando sei arrivata". Annuì pensierosa Babushka, accanto a lei.
"A lui interessa di me?", borbottò Vittoria punzecchiando la gelatina con la forchetta.
Babushka  fece una smorfia. "Beh, lui non chiede ma io gli dico ugualmente tutto".
Vittoria mugugnò indistintamente, martoriando ancora di più il suo pranzo. "Non dovresti, non gli importa di me. Mi evita".
L'anziana decise che evidentemente anche per quel giorno la sua cucina era stata sacrificata abbastanza e si sbrigò a levarle il piatto da sotto il naso per andare a riporlo in un contenitore a chiusura ermetica.
"Da quanto conosci il Signor Volkov?", le chiese Vittoria all'improvviso.
"A volte mi pare una eternità", rispose di getto la donna per poi voltarsi imbarazzata verso di lei. "Oh, non intendevo... Per favore, non dirgli che...".
Vittoria ridacchiò brevemente. "Non temere, il tuo segreto è al sicuro. Non lo verrà a sapere da me".
Babushka cominciò a lavare le stoviglie nel lavello, silenziosa come sempre.
Per Vittoria era giunto il momento di saperne di più.
"Parlami di lui. Come lo hai conosciuto?".
L'anziana non smise di strofinare e sciacquare. "E' una storia triste".
Vittoria non voleva turbarla, ma parlare con la donna era l'unico svago che poteva permettersi di fare. "Scusa", le disse. "Non volevo rattristarti...".
"No, va bene". La interruppe lei. "Parlarne, mi fa bene".
Poi chiuse il getto d'acqua del rubinetto e, asciugandosi le mani con uno strofinaccio, si voltò verso la ragazza.
"Avevo una nipote di più o meno la tua età", raccontò. "Una splendida giovane donna, l'orgoglio mio e del mio povero defunto marito. Olga, si chiamava.
Vivevamo a Londra, lei studiava per poter diventare infermiera. Olga era una guerriera, aveva perso i genitori eppure il suo rendimento scolastico non vacillava.
Faceva il tirocinio all'ospedale della città per poter un giorno laurearsi".
Vittoria incrociò le dita sopra il tavolo, in ascolto.
Il racconto continuò:
"E' stato proprio durante il tirocinio nelle corsie dell'ospedale, che incontrò lui".
"Volkov?". La incalzò suo malgrado, Vittoria. Sembrava proprio il tipo d'uomo che finiva per rovinare la vita a una fragile studentessa.
Babushka scosse vigorosamente il capo. "No, qualcun'altro".
"Venne ricoverato d'urgenza durante un turno di notte, dopo che l'ambulanza lo aveva raccolto dalla strada. Aveva lividi e il volto tumefatto dai postumi di una feroce scazzottata. I presupposti c'erano tutti perché non fosse il tipo d'uomo raccomandabile a qualsiasi persona per bene, ma... Olga era pur sempre una ragazzina, anche se intelligente".
"Il fascino del cattivo ragazzo". Commentò in un soffio, Vittoria.
Questa volta Babushka annuì tristemente. "Cominciarono a frequentarsi, Olga iniziò a mancare dalle lezioni. Io continuavo a chiederle di portarlo a casa per farmelo conoscere ma Olga diventava sempre più scostante e nervosa. Rischiava di non riuscire a completare gli studi ed era tutta colpa di quel disgraziato, sapeva far leva sulle fragilità di mia nipote. Le fece il lavaggio del cervello a tal punto da farle credere che solo lui capisse il suo dolore per la perdita dei genitori, quando anche io persi un figlio e mia nuora quel triste giorno".
La voce della donna si fece tremula. "Una brutta domenica, me lo ricordo ancora, mi disse che sarebbe partita con Andrey. Avrebbero preso un aereo l'indomani per una fuga d'amore nella patria di lui, San Pietroburgo.
Non potevo impedirle di farlo, era maggiorenne. Perciò presi la decisione repentina di mollare tutto e seguirla fino a quì".
Vittoria le rivolse un piccolo sorriso. "Sei stata coraggiosa".
"Ma non servì a molto", le rispose l'altra. "Presi un piccolo appartamento nella periferia della città, cercando di stabilirmi più vicino possibile a dove credevo che Olga vivesse con Andrey.
Io finalmente conobbi lui ma non mi dissero mai l'indirizzo esatto di dove stavano, sapevo solo che si trovavano dall'altra parte della città rispetto a dove siamo ora. Per lo meno, una zona molto più rispettabile di questa ma non per questo esente da pericoli".
"Che cosa le accadde?". Chiese a bassa voce Vittoria, come se la domanda facesse meno male se detta in un sussurro.
"Smise di rispondere alle telefonate. Smise di venirmi a trovare. Svanì dalla faccia della terra e io mi recai dalla polizia fuori di me dalla preoccupazione. L'avevo persa, lo sentivo. La mia piccola, sciocca Olga".
Babushka strinse forte fra le mani lo strofinaccio e abbassò lo sguardo, piena di angoscia come se fosse ancora quel giorno.
"Nessuno seppe aiutarmi, avevo solo delle foto di mia nipote per iniziare le ricerche e di Andrey conoscevo solo il nome e la probabile zona in cui risiedeva. Il sistema marcio di questo paese protegge farabutti come Andrey, non fecero nulla per ritrovare la mia bambina! Decisi che l'avrei trovata io, in questa vita o nell'altra!".
Vittoria si alzò e andò dalla piccola, grande donna. Le strofinò una mano sulla spalla, non era molto e lei non era brava in quel genere di rassicurazioni ma sperò che servisse per darle un minimo conforto.
"Passai settimane a setacciare notte e giorno i quartieri a nord di San Pietroburgo, i quartieri di Andrey. Poi, una notte... la pura fortuna.
Lo vidi uscire da un enorme stabile, uno di quelli con la palestra all'ultimo piano che si affaccia sulla strada attraverso immense vetrate. Era tardi e il bastardo aveva appena finito la sua sessione di allenamenti intensivi, ci teneva al suo aspetto da gangster.
Io lo guardavo dal marciapiede dall'altra parte della strada, lui si accese una sigaretta e si buttò in spalla il suo borsone. Ricordo che a un certo punto doveva per forza avermi visto, ma non mi riconobbe nemmeno!
Stavo per attraversare e andare da lui, molto probabilmente mi avrebbe ignorata o alla peggio mi avrebbe stesa con un pugno. Ma non potevo farmelo sfuggire, dovevo sapere dov'era la mia Olga!".
Vittoria le strofinò ancora la spalla e le chiese: "Cosa ti trattenne?".
Il sorriso folle che si stampò sul volto di Babushka fu inquietante.
"C'era qualcun'altro che lo stava cercando". Ne rise tetramente. "Quando ero a circa metà strada, un ombra uscì da dietro l'angolo. Cappuccio della felpa calato sul volto, mani nelle tasche davanti. Postura inarcata e passo svelto di chi ha una missione da compiere.
Quando il sicario arrivò davanti ad Andrey, questi non ebbe nemmeno il tempo di soffiare fuori la nuvoletta di fumo.
Il sicario gli sparò un colpo all'altezza del petto. Poi quando Andrey cadde disteso a terra, il sicario gli sparò dall'alto un altro colpo proprio in mezzo agli occhi".
Vittoria poteva immaginarselo. "Una esecuzione", disse.
Babushka annuì, lo sguardo sempre perso sul strofinaccio che stritolava. "Credetti di essere spacciata. Ero diventata improvvisamente testimone di un omicidio, mi avrebbe uccisa sicuramente.
Invece, il sicario si voltò in mia direzione. Parve valutarmi un istante e poi... passò oltre, dileguandosi nell'oscurità.
Io rimasi paralizzata solo per qualche secondo, poi decisi anche io di scappare più velocemente che potevo".
"Conoscevi quell'uomo? Il sicario, intendo". Incalzò ingenuamente la ragazza. Per poi rendersi conto, quando Babushka si voltò a guardarla. "Oh, era Volkov. E' questo quello che fa? Uccide per professione?".
"Per commissione", la corresse Babushka. "La mia fortuna fu che il Signor Volkov prende sempre alla lettera le commissioni che gli vengono date. Come mi raccontò solo recentemente, per quella notte aveva ricevuto ordini di uccidere solo Andrey. Non un'anziana capitata casualmente come testimone".
Vittoria aggrottò le sopracciglia. "Mah, non ha senso. Perché non eliminare un testimone?".
Babushka le prese una mano e la guardò dritta negli occhi. "Così facendo mi risparmiò la vita. Decise di spontanea volontà di risparmiare un'innocente. Il suo codice lo obbliga ad eseguire sempre gli ordini impartiti da un superiore, ma per tutto quello non menzionato lui può agire liberamente".
Il resto della storia non fu meno straziante.
Nei mesi successivi, Babushka scoprì che Andrey non era altri che un pesce piccolo della 'Brigata del Sole'. Una delle più potenti organizzazioni criminali russe con un numero di affiliati imprecisati, considerando che molti tendevano a vantarsi di farne parte anche se non ne avevano nulla a che fare. Solo per incutere timore.
La 'Brigata del Sole', all'epoca come in quei giorni, si contendeva al Vory V Zakone l'intera città di San Pietroburgo.
La faida era cominciata anni prima e periodicamente veniva messa da parte con patti, matrimoni dinastici o cospicue donazioni di denaro.
Ma il sangue versato non veniva mai dimenticato e i nipoti finivano per vendicare le morti degli antenati. Generazione dopo generazione.
Il giro di affari faceva troppa gola, il business non poteva essere condiviso.
"La morte di Andrey fu commissionata dal capo del Signor Volkov". Spiegò Babushka.
Poi, come un fiume in piena incapace di arrestarsi, continuò raccontando come per mesi non avesse mai smesso di chiedere alla polizia di aiutarla a trovare Olga. Ma il fatto che Andrey fosse uno della 'Brigata' complicava notevolmente le cose e ormai Babushka si era informata.
La 'Brigata' non aveva mai abbandonato l'antica via della vendita di esseri umani. Donne e bambini da prostituire erano la loro merce più ambita.
"Una sera uscii per l'ennesima volta dalla caserma con le lacrime agli occhi", raccontò la donna. "Ma quella volta c'era qualcuno ad aspettarmi alla fermata dell'autobus".
A Vittoria parve di vedere la scena davanti ai propri occhi:
Volkov la attendeva seduto alla panchina della pensilina.
Un uomo cupo, molto più alto di lei, con pantaloni della tuta e pesante giubbotto imbottito.
Sedeva a gambe divaricate, i gomiti appoggiati alle ginocchia, il capo chino rasato di fresco.
Faceva scontrare il pugno sul palmo della mano destra, poi il pugno della mano destra sul palmo della mano sinistra, poi di nuovo di ritorno.
Un gesto svogliato, giusto per impegnare le mani tatuate.
I marchi dell'Organizacija ben riconoscibili che fecero tremare le ginocchia alla donna.
Sapeva che era lui, il sicario che aveva ucciso Andrey.
Forse aveva cambiato idea ed era venuto ad accertarsi che non parlasse più con la polizia.
La donna si sedette sulla panchina, il più lontano possibile da lui.
Non la finiva più di far scontrare il pugno prima su un palmo e poi sull'altro, a ripetizione.
Lei stava per svenire.
"Non ho parlato di te, lo giuro". Biascicò dopo un po' lei, nel silenzio.
La strada era silenziosa.
Erano soli.
"Lo so'". Rispose semplicemente Vasilj Volkov, il Lupo dell'Organizacija.
"Torna a casa, a Londra. Eri sicuramente più felice lì".
Sapeva ogni cosa su di lei, la seguiva. La controllava.
"Non posso, non senza mia nipote". Cercò di farsi forza.
"E' morta", tagliò corto lui senza preamboli. "E' stata venduta da Andrey a un compratore. Ho visto le ragazze i quel compratore, nessuna di loro ce l'ha fatta".
 
Vittoria si portò le mani alla bocca. "Oh, Babushka. Mi dispiace così tanto".
Si sentiva morire per lei, per la sua angoscia e per tutto quel dolore che doveva ancora patire nonostante il tempo trascorso.
In risposta Babushka le raccontò, come rispose a Volkov, di non sentire alcun bisogno di tornare in Inghilterra. Un paese che l'aveva sempre trattata da straniera e in cui non aveva nessuno a cui dedicarsi.
"Se è qualcuno a cui dedicarti che cerchi...", le aveva detto Volkov. "Nel rione di Kozlov si patisce parecchio. C'é una associazione statale che si occupa dei sbandati, pagano poco ma è un lavoro onesto. Se vuoi rimanere da queste parti ti conviene restare dove io ti possa vedere".
Babushka fece una alzata di spalle, un gesto appena accennato giusto per scrollarsi di dosso la tensione e ricominciò a dedicarsi al lavaggio delle stoviglie.
"Fu' così che cominciai  dedicarmi ai più bisognosi, che praticamente vuol dire dedicarsi a tutto il quartiere. Divenni Babushka, solo Babushka.
Un nuova identità, un nome che mi ha fatto voltare pagina. Cerco solo di guardare avanti... sempre"
 
---
 
Qualche ora più tardi, Vittoria si ritrovò a riflettere sulla storia che aveva ascoltato.
Non poteva fare del male a Babushka, quella donna proprio non se lo meritava.
Senza contare che se fosse scappata l'avrebbe messa nei guai perché sarebbe stata responsabile delle chiavi rubate.
Vittoria non poteva sapere come un uomo dal dubbio onore come Volkov avrebbe reagito, per punirla.
In quel momento si trovava nella propria camera da letto. Stesa sopra le lenzuola, caviglie incrociate e sguardo perso sulle immagini del grande televisore a schermo piatto che aveva davanti.
Non capiva un discorso completo di russo.
Un conto era sentir scandire lentamente parola per parola, un conto era sentir parlare un lingua madre.
Comunque poteva provare a intuire.
Per esempio, in quel momento sicuramente stava guardando un notiziario.
Tanto per cambiare c'era una biondona dietro a un bancone, lo schermo luminoso dietro di lei e delle scritte in cirillico che correvano veloci sotto.
La presentatrice passò la parola a un suo inviato che si trovava all'aperto, nel giardino di una lussuosa villa in stile classico, in compagnia di una bella donna dagli occhi gonfi di pianto.
Il microfono le venne messo davanti al viso e con voce tremula cominciò a parlare a raffica guardando dritto in telecamera.
Sollevò una fotografia, a favore di obiettivo.
Ritraeva un uomo distinto, barba rasata, capelli ben pettinati e completo in giacca e cravatta.
Quell'uomo sorrideva nella foto, ma Vittoria intuì che dovunque si trovasse ora, aveva smesso di farlo.
Vittoria non comprendeva ma sicuramente la moglie angosciata stava dicendo qualcosa del tipo: "Torna a casa, ti stiamo aspettando tutti".
Triste, davvero una cosa triste.
Dal piano di sotto giunse il rumore del pesante ingresso aprirsi e una voce maschile rimbombò risalendo le scale.
Vittoria spense immediatamente il televisore e buttando i piedi giù dal materasso, rimase in ascolto.
Non era la voce di Volkov, questa era più squillante e gioviale.
Lo sentì ridere e salutare Babushka, che si trovava in salotto a spolverare.
La ragazza agì d'impulso, si arrischiò ad aprire lentamente la porta della sua camera per poi sgattaiolare fino a metà scala.
Fece bene attenzione a non far scricchiolare nulla, trattenne persino il respiro mentre si accucciava e spiava dall'alto verso il salotto.
Un ragazzotto era giunto a trovarle, doveva aver superato da poco i vent'anni.
Aveva un grazioso naso a patata e un viso tondo da bambino ma... le caratteristiche rassicuranti finivano lì.
Era molto alto e allampanato, come se durante l'adolescenza il fisico gli si fosse sviluppato tutto d'un tratto in una notte.
Con la testa sfiorava la traversa della porta del salotto, le spalle erano ben larghe e i bicipiti gonfi.
Indossava un maglione verde scuro che gli tirava sui pettorali e i jeans erano a vita bassa, portati alla maniera del ghetto.
Si sedette sul divano marrone, girando le spalle alla scala dell'ingresso.
Vittoria lo vide svuotare sul tavolino davanti a lui, una busta carica di mazzette.
Cominciò a contare lestamente rublo per rublo, leccandosi di tanto in tanto il pollice della mano destra.
Babushka gli sferrò un buffetto sulla nuca e lui, fingendosi dolorante, rimise subito i contanti nella busta.
Fu in quel momento che una brezza gelida solleticò le caviglie nude di Vittoria.
A lei quasi venne un colpo per la sorpresa.
Il gigantesco e pesante ingresso era stato lasciato socchiuso.
"Signorina Vittoria?", la chiamò Babushka rivolgendosi verso il soffitto.
Non l'aveva notata accucciata sui gradini della scala.
"Per favore scendi, voglio presentarti uno dei ragazzi di tuo marito".
Vittoria partì di corsa, fece un balzo per coprire gli ultimi cinque gradini che quasi si ruppe una caviglia, ma fu alla porta in un battito di cuore.
Con la forza che solo l'adrenalina poteva infonderle, riuscì con uno spintone a spalancare l'uscio e subito si precipitò sul marciapiede all'esterno.
Dietro di lei, sentì Babushka urlare e il rumore del divano che veniva spostato con un urto.
Aveva pochi secondi di vantaggio e non aveva neanche pensato cosa avrebbe fatto una volta all'esterno.
La via era gelida e grigia.
L'aria frizzantina preannuncia l'arrivo di una nevicata e lei era partita senza il giubbotto.
Per lo meno aveva ai piedi delle scarpe sportive.
Partì di corsa verso la fine della via, dove sapeva che svoltando a sinistra e andando sempre dritto avrebbe raggiunto a un certo punto i quartieri più raccomandabili della città.
Il respiro le bruciava in gola, il fiato usciva dalla bocca in nuvolette di condensa, sentiva che aveva gli occhi strabuzzati e un'espressione folle in volto.
Ma non si fermò, nemmeno quando da dietro di lei sentì una voce maschile urlarle: "CTON! Stop!".
C'erano delle persone in strada.
Alcuni si fecero da parte, altri li dovette schivare lei.
Persone senza volto, insignificanti nel loro squallore e grigiore.
Uno scooter, con abbordo un ragazzo senza casco, salì improvvisamente di traverso sul marciapiede sbarrandole la strada.
Lei si arrestò spaventata, tremante dal freddo e dalla corsa.
Lo sconosciuto le fece l'occhiolino e lei seppe di essere persa.
Il suo inseguitore la raggiunse un momento più tardi e, quando le fu abbastanza appresso, parve oscurare il timido sole invernale.
Vittoria si voltò lentamente, dovette alzare il mento per vedere il ragazzo dritto in faccia.
A una prima stima doveva sfiorare i due metri buoni.
Era impressionante, un muro di muscoli.
"Casa", disse il ragazzo montagna. "Volkov torna, ora".
 
---
 
La sveglia sul comodino ticchettava inesorabile.
Un rintocco ritmico che nel silenzio suonava come una tortura psicologica.
Il suo carceriere sedeva su una seggiola accanto alla porta della camera da letto, come una sentinella a guardia dell'uscita.
Era teso ma cercava di non darlo a vedere, mentre sfogliava cupamente una rivista di elettronica piena zeppa di accessori e attrezzatura per computer.
Faceva di tanto in tanto frusciare le pagine ma il suo sguardo rimaneva fermo, sembrava che non stesse veramente leggendo. Solo... aspettando.
Il ragazzo non aveva tutti i tatuaggi di Volkov.
Non gli si avvicinava minimamente.
Forse per la giovane età, il Vory non lo aveva ancora onorato di particolari marchi.
Dalla sua postazione appollaiata sul letto, a gambe rannicchiate al petto e le braccia che le avvolgevano strette, Vittoria riuscì solo a individuare cinque guglie sulla mano destra del ragazzo. Una per ogni dito.
Lui portava le maniche del maglione arrotolate fino ai gomiti e la ragazza individuò un altro tatuaggio su quella pelle diafana altrimenti ancora immacolata.
Una Madonna dall'inchiostro bluastro, grande quanto tutto l'avambraccio sinistro. Circondata da una raggiera a simularne la luminosità e tatuata in vecchio stile, con mani giunte davanti al volto in espressione beata.
"Tra quanto sarà quì?", chiese Vittoria.
Non c'era bisogno di specificare a chi si riferisse.
La tensione era palpabile nell'aria. Tutto era immobile e presagevole, come i minuti che precedono uno Tsunami. L'acqua del mare che si ritira improvvisamente, il vento che si alza e gli uccelli che prendono improvvisamente il volo in stormi.
Non ricevette risposta.
Il suo carceriere preferì continuare a far finta di leggere la sua rivista. Divaricò le gambe, portò la caviglia destra sul ginocchio della gamba sinistra e continuò a ignorarla.
Vittoria si decise a iniziare a pensare veramente come le si conveniva, invece che lagnarsi e cercare di trovare una via di fuga inesistente.
Cosa aveva creduto di fare?
Anche se fosse riuscita a sfuggire dalle grinfie dei russi che cosa contava di ottenere? Correre a caso per San Pietroburgo?
Una persona normale avrebbe chiesto aiuto alla polizia ma lei non era una persona normale e solo l'idea di parlare con un poliziotto le si rivoltava le viscere.
Era cresciuta in un ambiente dove le forze dell'ordine erano considerate alla stregua dei cani. Docili se ammaestrati e sfamati a dovere, ma pronti a rivoltarsi contro alla prima dimostrazione di debolezza.
Vittoria non aveva dubbi che lì la polizia si comportasse come a Boston con la 'Ndrangheta. Quelli che non erano sul libro paga del Vory, avevano una taglia sulla testa o venivano minacciati.
Se l'avessero vista parlare con un poliziotto? Sarebbe stata bollata come 'infame'.
Mai!
Era una donna d'onore, lei.
Eppure cosa le rimaneva da fare dall'altra parte del mondo rispetto a casa sua, come straniera in terra straniera?
Pensò a Volkov e a come l'aveva portata in quella casa.
Non l'aveva minacciata particolarmente, non le aveva fatto del male e non aveva cercato di approfittarsi di lei.
Erano passati tre giorni in cui lui poteva farsi aventi senza che qualcuno gli si potesse opporre, eppure non lo aveva fatto.
Non ancora per lo meno e rilassarsi troppo su questa debole consapevolezza era pericoloso.
In che modo poteva essergli utile?
Se avesse avuto qualcosa con cui scambiare la sua libertà sarebbe stata a cavallo ma le era chiaro che per Volkov valeva di più come moglie in gabbia che come 'alleata'.
Avrebbe ottenuto 'le stelle'. Avrebbe ottenuto un nome e una moglie con l'aggancio giusto per instaurare una nuova narco-rotta.
Se non aveva nulla con cui scambiare, Vittoria rifletté su che arma potesse avere.
La risposta le stuzzicava l'angolo della mente ma lei si rifiutava di darle ascolto.
Era troppo pericoloso giocare in quel senso.
Vittoria aveva alle spalle abbastanza storie con uomini per aver sviluppato una certa bravura nel valutare e stuzzicare il mondo maschile.
Gli uomini, per quanto desiderosi di dimostrarsi più forti o più intelligenti della massa rimanevano... primitivi.
Per pungolarli bastava saper individuare i loro desideri più profondi ma, altrettanto importante, bisognava sempre accettare quando un uomo era troppo instabile, tossico o pericoloso.
Vittoria credeva di aver inquadrato a grandi linee Volkov e quello che aveva capito non le piaceva.
Le sue capacità di seduzione non erano mai state messe in pratica per salvarsi la vita, perciò la ragazza aveva paura di arrivare a tanto.
Che cosa sapeva di lui?
Era un killer su commissione, molto probabilmente aveva passato molti anni in carcere tanto da sentirsi minacciato dalle finestre.
Questo la diceva lunga sulla sua psiche instabile.
Era un uomo segnato da cicatrici, questo indicava violenza e probabili torture. Ne sarà stato in qualche modo irrimediabilmente rovinato e questo lo poneva su un piano impossibile a Vittoria.
Quello degli spezzati, degli instabili, degli imprevedibili.
Non poteva approcciarsi a lui in quel modo, poteva innescargli una violenza improvvisa e lei ne sarebbe stata totalmente succube.
Al piano di sotto, la pesante porta d'ingresso alla casa si aprì con uno schianto e un ruggito dalla voce paurosamente profonda risuonò fino in cima la scalinata. Giungendo a Vittoria e il suo carceriere.
"NICOLAJ!". Chiamò a gran voce Vasilj Volkov.
Nicolaj saltò in piedi lanciando la rivista per aria, come se fosse appena stato punto al culo da una vespa.
Si precipitò in corridoio e poi giù per le scale, snocciolando una serie di frasi scomposte che a Vittoria ricordarono il capitolo del libricino di grammatica russa intitolato: "Come si chiede scusa in Russia?".
Da come i toni si scaldarono subito sul pianerottolo, Volkov non parve volerne sapere delle dimostrazioni di rammarico del giovane Nicolaj.
Preannunciato da schianti e tonfi, Volkov si lanciò verso le camere da letto come un bufalo in piena carica.
"So' io come sistemare lei!".
Lo si sentì sbuffare a denti stretti.
Vittoria era pronta. Un suo aspetto da sempre elogiato dal padre era che aveva una grande prontezza d'animo.
Si gettò sul suo cuscino ed estrasse dalla imbottitura il lungo coltello da cucina, che aveva rubato qualche giorno prima.
Corse a sistemarsi d'un lato della porta.
Volkov quando sarebbe entrato non l'avrebbe vista, non se lo sarebbe aspettato.
Vittoria ebbe solo il brevissimo sentore che un'alta ombra scura era entrata in camera sua, che lei lestamente partì all'attacco fendendo l'aria ad altezza del costato.
Volkov fece un balzo in dietro con i riflessi di un gatto e il fendente andò a mancarlo miseramente.
L'uomo la trucidò con lo sguardo e alzò il gomito sinistro con aria furente. La camicia nera era stata strappata e il gomito esibiva un leggero taglio che si stata lentamente macchiando di rosso scarlatto.
"Ahia!", esclamò scioccato.
Era vestito come se fosse di ritorno da una riunione di lavoro.
Per la prima volta, Vittoria lo vedeva in un abbigliamento che non comprendesse tute o bomberini.
Indossava dei pantaloni gessati neri, con costose scarpe lucide a punta e cintura coordinata.
La camicia altrettanto nera era sbottonata per i primi bottoni come da vero cafone, ma era ben stirata e di qualità italiana.
Con tutti quei tatuaggi, sul collo e mani, e quell'espressione tenebrosa sembrava un fottutissimo signore degli inferi.
Il suo corpo era muscoloso, senza essere troppo ingombrante e, quando si muoveva, la camicia gli si aggrappava agli addominali distendendo il tessuto.
Era qualcosa che le era sempre piaciuta guardare in un uomo.
La forma quadrata dei fianchi... si chiese come sarebbero stati senza quei vestiti.
Vittoria alzò il mento con aria spavalda ed emise uno sbuffo impettito: "Ti avverto so' come difendermi!".
Gli occhi leggermente a mandorla dell'uomo lampeggiarono di nervosismo.
"Io no tempo per insegnare te!", sbuffò.
Vittoria gli puntò il coltello dritto in faccia, indietreggiando ad opportuna distanza di sicurezza.
"Mi hanno insegnato bene!".
E partì con un altro fendente, lui fece una piroetta su sé stesso e la aggirò facilmente.
Lei andò a sbattere contro il muro opposto della stanza.
Alla porta comparvero l'allampanato Nicolaj e una terrorizzata Babushka, fermi a guardare come Vittoria e Volkov cominciavano in quel momento a ruotare in cerchio. Studiandosi a vicenda.
Lui era innervosito ma per nulla preoccupato, unì persino beffardamente le mani dietro la schiena. Sfidandola ad agire.
La ragazza continuava a tenere ben alta la lama davanti a sé.
Era orgogliosa di sé stessa, non le tremava nemmeno la mano.
Cercò di trovare le parole giuste, per perorare la sua causa. Ma era così intimamente spaventata che le uscì solo:
"Non ci si comporta in questo modo. Non mi lasci rinchiusa in una casa per giorni senza darmi spiegazioni per poi sparire! Non si rinchiude la gente, cazzo!".
Lui fu rapido come una vipera, le agguantò il polso e glielo torse dolorosamente.
Lei grugnì ma non mollò, gli sferrò una spallata sullo sterno costringendolo a indietreggiare ma nemmeno lui mollò la presa dal suo polso.
"Lenta", la sbeffeggiò all'orecchio prima di baciarla improvvisamente.
Gli si era avvicinata troppo, gli aveva dato un'occasione per sopraffarla.
Più che un bacio fu lo scontro delle labbra di lui contro le sue. Lei strabuzzò gli occhi mentre ribolliva silenziosamente fra le sue braccia.
Sentiva il calore del corpo di Volkov attraversargli la camicia e passare attraverso la sua misera t-shirt.
Qualcosa le si smosse dentro, qualcosa di non famigliare.
Il suo battito accelerò. Tutto di quell'uomo la spaventava, sapeva cosa stava facendo.
La dominava, le faceva vedere che poteva prendersi tutto quello che voleva senza trovare resistenze degne di nota.
Le narici di lei vennero invase da quel spettacolare profumo di legno di quercia e chiodi di garofano, il profumo di lui. Della sua pelle, dei suoi capelli, dei suoi vestiti.
I seni di lei erano schiacciati contro il petto di lui e riusciva a sentire il cuore di Volkov martellarle contro.
Lui voleva dannatamente quello.
Domarla.
Vittoria cominciò ad emettere gridolini mentre cercava di dimenarsi, ma lui le catturò il labbro inferiore tra i denti. Morse leggermente e la ragazza provò un leggero dolore.
Lui gemette quando Vittoria percepì sulla propria lingua il sapore del rame.
Lui succhiò avidamente il taglio.
Stava esagerando, cominciava a farle male sul serio.
Mollò la presa dal coltello, facendolo cadere a terra, spinse l'uomo a distanza e gli caricò un poderoso schiaffo alla guancia.
Lo schiocco risuonò nel silenzio della stanza e il viso di Volkov venne spinto di lato dalla forza d'urto.
Lei si tastò le labbra gonfie e macchiate di sangue. Il taglio era piccolo ma profondo e le dava un fastidio cane.
"Allora?", gridò Vittoria in preda alla collera. "Hai dimostrato quello che volevi?".
Lui raccolse da terra il lungo coltello e prese a farlo roteare fra le dita con l'abilità di una Majorette con il suo bastone.
Ne sapeva di coltelli. Decisamente molto più di lei.
La sua voce fu aspra e roca quando parlò e Vittoria fece fatica a concentrarsi sulle parole.
"Niet".
"Uh?". Gli rispose lei, stizzita.
"Tu non mangia". Continuò lui tranquillamente. Poi indicò con la lama del coltello, Babushka alla porta.
"Lei dice che tu non mangia, io porto te dove tu mangia!".
Lo disse come fosse un dato di fatto, una legge non scritta.
Poi si avviò a lunghe falcate alla porta, Babushka e Nicolaj si fecero subito da parte.
"Io non vado da nessuna parte con te!", sbraitò Vittoria.
Lui si bloccò in corridoio e si voltò contraendo la mascella. "Tu vuole uscire, dà?"
"Dà!", sbottò lei facendogli il verso.
"Allora io portare fuori te!", sibilò lui. Pareva che avesse una gran voglia di strangolarla.
Babushka si frappose prontamente. "La preparo io, non si preoccupi".
Volkov le disse una sfilza di parole incomprensibili in lingua madre, poi ne ebbe anche per il suo galoppino Nicolaj che era ridotto a bianco come un lenzuolo.
Poi i due uomini si dileguarono in salotto e Vittoria rimase tremante da sola con Babushka.
"Coraggio, cara". Le disse amorevolmente, l'anziana. "Diamo una pulita a quel labbro malconcio, dà?".
 
  
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