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Autore: ArielSixx    08/11/2021    1 recensioni
In una società post-moderna in cui guerre e carestie dilagano una società segreta porta avanti dei misteriosi esperimenti utilizzando dei ragazzi come cavie. Selena è una di loro e si ritroverà per necessità ad avere a che fare con un esperimento che cambierà per sempre le sorti della sua vita.
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo posto non ha più un nome, è il residuo di quella che un tempo chiamavano terra. Le risorse si sono esaurite anni fa e quelle alimentari non sono più organiche ma chimiche, i laboratori riproducono tutto ciò che ci occorre per tenerci in vita con le stesse sostanze che pian piano ci deteriorano i tessuti. La mortalità si aggira alla soglia media dei cinquant’anni e la povertà ha raggiunto il 90% in certe zone. È un pianeta di giovani perché si ha appena il tempo di diventare adulti, ma sono quelli che ancora rimangono a dettare le leggi. Anche le nazioni hanno fatto il loro corso per essere sostituite dai distretti: sei grandi aree che si spartiscono i territori a suon di granate. Ogni distretto è diviso a sua volta in tre divisioni, per un totale di diciotto micro-fazioni ognuna delle quali governata da un generale del rispettivo esercito. Non tutte le aree sono uguali, ognuno ha scelto di vivere in modo diverso in base ai propri principi e a quell’unica risorsa che gli è toccata nella spartizione iniziale. Ogni distretto è chiamato per numero da 1 a 6 per importanza decrescente e le divisioni all’interno di ogni distretto si suddividono sempre in Alfa, Beta e Omega. 

Non è difficile intuire i due punti della piramide: Distretto 1, Divisione Alfa – Distretto 6, Divisione Omega. E, per ironia della sorte, quell’ultima ruota del carro è esattamente la visuale che scorgo davanti a me in questo preciso momento. Qui sono relegati i progetti non abbastanza validi, quelli a cui non si può dire di no ma sui quali non vorrebbero scommettere nemmeno un centesimo. Impacchettati e spediti nell’ultima delle fosse, dove chi non riesce a sopravvivere farebbe di tutto per un minimo di speranza. Poco importa dove sei nato o quali sono le tue condizioni, se hai denaro arrivi in cima. Ma, al contrario, se sei orfano o non hai un lavoro abbastanza redditizio questo è il posto in cui ti ritrovi. 

Le prime luci della sera iniziano a intravedersi striando il cielo di rosso, manca ancora un’ora al suono delle campane.

Scendo a due a due i gradini del viale principale – devo fare in fretta – e mi dileguo tra i vicoli dove risiede chi probabilmente non arriverà a vedere un’altra alba. Quando busso al portone che mi ritrovo davanti devo aspettare qualche minuto prima di ricevere risposta. Quasi mi tremano le gambe, sarà il freddo che si insinua nelle ossa. Il piccolo spiraglio che si apre è abbastanza per lasciarmici sgattaiolare attraverso, non mangio qualcosa di sostanzioso ormai da giorni. 

“Non ti avevo detto di non farti vedere prima di tre giorni? I documenti non sono ancora pronti”, madama Gus mi canzona in modo severo. È lei a occuparsi del mercato nero, un soldato semplice che fa quel che può per aiutare chi ne ha più bisogno. Non a titolo gratuito ovviamente, ma pagare lei è sempre più conveniente che racimolare qualsiasi cosa altrove. 

“Non posso ancora permettermeli quelli, mi servono gli antibiotici”, commento. 

“Hai cambiato idea?” mi chiede, consapevole che per un prezzo del genere c’è un solo posto in cui puoi recarti. 

“No”, ammetto “ci vorrà solo più tempo”.

“Ti hanno fregata quindi” dice, mentre tira fuori la confezione di antibiotici di cui ho bisogno. Il mio silenzio basta a far capire tutto. “Sono sette dollari”, annuncia porgendomi l’involucro che devo nascondere dentro al maglione di un materiale che è tutto tranne che lana.

“Stai attenta, non c’è molto tempo”, mi ripete mentre vado via con un tono più deciso del solito. 

“Non c’è mai stato”, le sussurro senza sapere se mi sta ancora ascoltando. 

Il campanile della piazza principale segna le 19:30, mi rimane ancora mezz’ora per ritornare agli alloggi. Tutti gli orfani fino ai diciassette anni hanno diritto a una branda in una delle camerate comuni, il resto delle stanze è per chiunque possa permettersi una quota minima a ogni luna piena. Per tutti vale la regola delle dodici ore: dodici dentro e dodici fuori. Se non rientri entro i rintocchi delle campane non hai più possibilità d’entrata e lì fuori in piena notte non sai mai cosa potrebbe capitarti, pochi sono quelli vissuti tanto a lungo da poterlo raccontare. Girano certe leggende per spaventare i bambini, ma anche i più grandi non hanno il coraggio di accertarsene di persona. È meglio non rischiare di notte quando vi è già il giorno a essere pieno d’insidie. 

Mi faccio largo tra la gente in fila per entrare e sgattaiolo lungo i tunnel di questo posto che non mi piace chiamare casa, un ammasso di ferraglie sotterranee in cui ogni angolo il tuo riflette il tuo stesso viso. È difficile dimenticarti chi sei qui dentro, ma non impossibile. Molti di noi non l’hanno neanche mai saputo, si sono dati un nome e un’età da soli, si sono inventati la propria storia. 

Per me, il nome è l’unica cosa che ancora mi lega al passato. 

Per la prima volta dopo due giorni mi guardo di nuovo allo specchio: i capelli raccolti in una coda scombinata con un taglio fatto da una ragazza molto più piccola di me in cambio di qualche caramella, il viso sporco di fuliggine per i fumi della superficie, le labbra sottili e spaccate per il freddo. E gli occhi, gli stessi occhi nocciola di Kyle, che adesso sembrano un profondo pozzo nero. 

   
 
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