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Autore: moira78    09/11/2021    4 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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O mio Signore
In questo mondo
Io non ho avuto tanto
Eppure sono contento
Sono contento

O mio Signore
Io ti ringrazio
Di ogni cose che ho avuto
Grazie per tutto quello
Che tu hai fatto per me, per me

Però se questa sera
Posso farti una preghiera
Fa che domani
Fa che domani
Lei ritorni da me

(......)
Fa che domani
Fa che domani
Lei ritorni da me

(Oh, mio Signore - Vianello-Mogol)
***
When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we'll see
No, I won't be afraid
Oh, I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me

 
So darling, darling
Stand by me, oh stand by me
Oh stand, stand by me
Stand by me

 
If the sky, that we look upon
Should tumble and fall
And the mountain should crumble to the sea
I won't cry, I won't cry

No, I won't shed a tear
Just as long as you stand, stand by me

 
And darling, darling
Stand by me, oh stand by me
Oh stand now, stand by me
Stand by me

 
(Stand by me - Ben E. King)
 
(Quando cadrà la notte
e la terra sarà buia
E la Luna è l'unica luce che vedremo
no, non avrò paura
oh, non avrò paura
finché tu sarai con me, sarai con me

Quindi cara, cara
stai con me, oh stai con me
oh stai, stai con me, stai con me

Se il cielo che noi guardiamo
dovesse crollare e cadere
e le montagne dovessero sbriciolarsi nel mare
non piangerò, non piangerò
no, non verserò una lacrima
finché tu sarai con me, stai con me

Quindi cara, cara
stai con me, oh stai con me
oh adesso stai, stai con me
stai con me

Quindi cara, cara
stai con me, oh stai con me
oh adesso stai, stai con me, stai con me
Ogni volta che sei in difficoltà non vuoi stare con me
oh stai con me, non vuoi stare adesso
stai con me)

 
 
Speranze nell'oscurità

Donald Martin lasciò cadere l'anello magico con cui stava giocherellando nel suo momento di pausa e rimase a fissare le due persone sulla soglia: sapeva che Candy e Albert sarebbero arrivati a breve, ma non si aspettava di vederli così presto.

Si alzò dalla sedia, andando loro incontro, un po' frastornato nel riconoscere ben poco della sua efficiente infermiera in quella donna così seria e con i capelli tagliati fino alle spalle.

"Salve. È un piacere rivedervi, come state?", chiese facendoli accomodare.

"Bene, grazie. A quanto pare la tempesta qui non ha fatto grossi danni", disse Albert guardandosi intorno. Anche Candy lo stava facendo, ma con aria più circospetta che interessata.

"Abbiamo dovuto riparare quella finestra, ma per fortuna ci è venuto ad aiutare Tom", spiegò indicando il vetro nuovo alle sue spalle.

"A proposito, come va alla fattoria?", chiese avvicinandosi per guardare l'operato.

Donald si strinse nelle spalle: "Meno male che i giornali hanno avvisato, altrimenti credo che avrebbero perso la maggior parte del bestiame. Tom dice che le mucche hanno muggito per ore e i cavalli scalpitato come se fossero spaventati a morte".

Albert tornò sui suoi passi: "Beh, sono contento che sia tutto a posto. Più tardi passerò a trovarlo. Ti ho parlato di lui, Candy?".

Lei scosse la testa. Sembrava molto tesa: "No, ma me ne hanno parlato Jimmy e suor Lane. Dicono che... è stato Tom a sentire me e Annie piangere, quando ci hanno trovate".

Nella stanza calò il silenzio e Donald si diresse all'armadietto dei medicinali dove teneva il suo asso nella manica. Chissà se avrebbe avuto l'effetto desiderato!

"Albert, figliolo, che ne dici di assaggiare del buon whisky con me?". Vedendolo impallidire, gli fece l'occhiolino, sperando che capisse. "Oh, so quello che hai passato, ho letto i giornali, ma questo è a uso personale. Mio uso personale, nello specifico", sottolineò scoccando un'occhiata a Candy.

La ragazza si accigliò, ma non disse nulla. Fu il suo ex paziente a parlare, con tono stupito: "Ma non è ancora mezzogiorno! Forse è un po' presto per iniziare a bere...".

"Uhm, non hai tutti i torti. Che ne pensa la mia vecchia infermiera?", domandò apertamente.

Candy, che ancora si stava guardando attorno, lo fissò: "Penso che un medico che beve sul lavoro dovrebbe vergognarsi. Quante volte le ho detto...", s'interruppe, sbattendo le palpebre.

Donald sorrise e bloccò con un gesto della mano Albert, che aveva emesso un ansito strozzato e stava per dire qualcosa: "Quante volte mi hai detto... cosa?".

"Niente", scattò lei, sembrava furiosa. "Non mi ricordo niente, non so perché mi è uscita quella frase. Possiamo uscire di qui? Fa molto caldo".

L'espressione delusa di Albert gli strinse il cuore. "Peccato, mi sarebbe piaciuto parlare con te", tentò.

Lei strinse i pugni, guardando verso l'uscita con tale intensità che l'uomo al suo fianco le disse: "Vai pure avanti, Candy, ti raggiungo fra poco".

Non se lo fece ripetere due volte e se ne andò: era stata lì dentro per pochi minuti ma Donald già aveva chiara la situazione. Candy non aveva alcuna intenzione di ricordare.
"Da quanto tempo è in queste condizioni?", domandò ad Albert accennando con il mento all'entrata.

"Da quasi sei mesi", ribatté lui passandosi una mano tra i capelli e sedendosi su una sedia con un movimento che trasudava stanchezza.

"E tu da quanto non fai un pasto decente?", chiese alzando un sopracciglio.

Lui lo guardò dritto negli occhi: "Se mi avesse visto qualche settimana fa sarebbe stato peggio, mi creda".

Donald fece un respiro profondo. Per fortuna quella era una giornata tranquilla, tanto più che in estate i malanni diminuivano drasticamente. Prese a sua volta una sedia e vi si mise a cavalcioni al contrario, poggiando le braccia sullo schienale: "Bene, che ne dici di raccontarmi più nel dettaglio le cose?".

E Albert lo fece.
 
- § -
 
Tom vide la Clinica Felice in lontananza e tirò le redini del cavallo per rallentare. Proprio lì fuori, c'era una donna con i capelli biondi.

Sulle prime non la riconobbe.

Tutto in lei, dalla lunghezza della chioma alla postura, era sbagliato. Persino l'abito che indossava era di un verde troppo scuro e non brillante come le piaceva, eppure...
Eppure era Candy, la bambina che lui aveva sentito piangere quando era poco più di un poppante, insieme ad Annie. Le si accostò al trotto e la guardò dall'alto.

Lo sguardo... il suo sguardo gelido...

"Candy... sei proprio tu?". Gli sembrava una persona completamente diversa da quella che aveva accompagnato alla stazione di gran carriera solo alcuni mesi prima.

Sapevo che era cambiata, ma non ero pronto a questo.

"E tu chi sei?", gli chiese accigliata.

Tom si ritrovò con la gola secca. Candy era arrivata il giorno prima, da quel che gli avevano riferito, e si domandò come avessero reagito gli altri, specialmente Jimmy.
Facendosi coraggio, scese dal cavallo e le tese la mano, presentandosi. Il viso di Candy si rilassò un poco: "Tu sei quello che ci ha trovate alla Casa di Pony", disse stupendolo.

"Te lo ricordi?", chiese spalancando gli occhi.

Lei scosse la testa: "No, ma me l'hanno raccontato". Si appoggiò sul muretto esterno della clinica e cominciò a massaggiarsi le tempie come se le dolesse la testa.
"Sei qui perché stai poco bene? Vuoi che ti accompagni dal dottor Martin?", domandò chinandosi e mettendole una mano sulla spalla.

"No, vengo da lì dentro. Il dottore sta parlando con Albert e io avevo bisogno d'aria", spiegò con gli occhi chiusi, senza smettere il suo movimento circolare con le dita.
"Oh...", fece lui poco convinto.

Albert si sta occupando di lei?

Non sapeva cos'altro dirle. Avrebbe voluto abbracciarla, chiederle tante cose, ma rimase lì, imbarazzato e a disagio come uno sciocco.

Fortunatamente, qualche istante dopo uscirono proprio il dottore e Albert, traendolo d'impaccio. Si salutarono con cenni brevi e Albert gli strinse la mano, chiedendogli come stava suo padre: "Sta bene, ma lavora troppo. A volte vorrei tenerlo legato con il lazo...".

Il lazo...

"Ehi, Candy, ti andrebbe di provare?", le domandò, colto da ispirazione improvvisa.

Lei alzò la testa e lo fissò per un attimo come se avesse qualcosa in faccia: "Non dirmelo... lo facevo in passato, vero?".

Tom alzò le spalle: "Sì, ed eri anche molto brava! Ma se non ti va non importa". Senza darle modo di protestare, tirò fuori da sotto la sella il suo lazo e cominciò a farlo roteare in aria. Si guardò attorno, individuò un ramo basso già spezzato e lo afferrò, tirando.

Il dottor Martin batté le mani e Albert sorrise a Candy: "Vuoi tentare anche tu?", le domandò. "Solo per vedere se ti riesce ancora".

Lei si alzò: "Mi fate sentire come una bambina idiota a cui state proponendo un gioco. Dai qua, vediamo un po' se vi faccio divertire", disse allungando una mano.

Tom le diede volentieri la corda e lei la studiò per un po' prima di alzare il braccio destro per imitare i suoi movimenti. Sulle prime, il cappio sembrò prendere vita come ai vecchi tempi, ma poi perse velocità e Candy tentò un lancio maldestro che finì sull'erba. Abbassò la mano, non sembrava molto frustrata e disse: "A quanto pare ho dimenticato anche come funziona il lazo. Mi spiace, non ho superato l'esame".

"Non volevo metterti sotto esame, Candy. Tentavo solo di aiutarti", disse in tono contrito. "Perdonami".

Lei rimase a guardarlo senza espressione, trasmettendogli un brivido lungo la schiena: "Non fa niente. Ora possiamo tornare a casa, per favore? Ho un po' di mal di testa", chiese rivolta ad Albert.

Quest'ultimo annuì, li salutò e l'accompagnò all'auto parcheggiata poco distante. Una volta, Candy avrebbe fatto la strada che la separava dalla Casa di Pony a piedi, correndo senza scarpe.

Si accostò al dottor Martin, che li guardava andare via a sua volta: "Lei che ne pensa?".

L'uomo sospirò e chiuse gli occhi: "I miei colleghi di Chicago e i suoi amici hanno fatto tutto quello che era in loro potere. Ma se Candy si rifiuta di ricordare non c'è modo di aiutarla".

Tom era stralunato: "Perché dovrebbe rifiutare di ricordarsi di noi?", domandò allargando le braccia in un gesto esasperato.

"Ho parlato un po' con Albert, prima. Si tratta di una situazione complessa che riguarda i suoi sentimenti", Martin si voltò per squadrarlo, "ma il segreto professionale m'impedisce di approfondire con te".

"Come? Come sarebbe a dire?! Io sono praticamente suo fratello maggiore! E poi so che c'è stata Annie con lei, a Chicago", protestò seguendolo mentre si accingeva a rientrare.

L'uomo gli mise una mano su un braccio e rispose in tono comprensivo: "Figliolo, so che tieni a Candy. Tutti lo facciamo, ma credimi se ti dico che l'unica che può tirarsi fuori da questa nebbia è proprio lei. Nemmeno Albert ci è riuscito".

"Ha a che fare con Terence?", chiese cominciando ad avere dei sospetti.

Il dottore si limitò a scuotere la testa: "Sì e no. Tom, avremo modo di parlare, un giorno, e magari la nostra Candy sarà di nuovo la stessa. Ma per ora sappi che questa gita alla Casa di Pony rappresenta l'ultimo baluardo prima della resa. Se la sua memoria non tornerà sarà libera di seguire la sua strada e noi dovremo rispettare la sua scelta".

Il ragazzo strinse i pugni: "Vuole dire che se ne andrà via? Senza ricordarsi del suo passato?".

Martin si bloccò sulla soglia: "Ne ha tutto il diritto, Tom. Lo faceva già prima e lo farà ora, se vorrà. In questo non è cambiata molto".

Furono le sue parole di commiato. Nonostante apparisse evidentemente triste per quelle conclusioni, sembrava davvero serio e determinato.

Tom rimase lì davanti, con il lazo in mano e il cavallo che brucava l'erba alle sue spalle, come se una parte del suo mondo gli stesse crollando addosso.

Con estrema lentezza, si voltò giocherellando nervosamente con la cima della corda, l'impulso di lanciarla lontano e mettersi a gridare. Ma non fece nulla di tutto ciò e si limitò a rimontare a cavallo tornando piano verso la fattoria.

In cuor suo, cominciò a pregare che in Candy si compisse un miracolo dopo tanta sofferenza.
 
- § -
 
"Buonanotte, bambini. Fate sogni d'oro", disse Candy dall'uscio della stanza, richiudendo piano la porta sui loro mormorii di saluto.

Aveva cercato di sforzarsi di essere comprensiva e materna, per dare a quei bambini innocenti la sensazione di avere ancora quella specie di sorella maggiore che mancava loro: in realtà, quello era il suo addio.

Qualunque cosa fosse accaduta, almeno avrebbero avuto un bel ricordo di lei: poteva deludere le persone adulte che la circondavano, ma quei piccoli non avevano certo colpa dei suoi problemi.

Tornò nella sala comune, dove Miss Pony e suor Lane stavano sorbendo un tè insieme ad Albert.

"Come è andata?", chiese la donna più anziana.

"Si stanno addormentando. La corsa di stasera deve averli sfiniti", disse sedendosi e versandosi il liquido caldo in una tazza.

Di nuovo, calò tra loro quel silenzio carico di significati e sfumato d'imbarazzo che caratterizzava i loro incontri: "Mi dispiace", disse all'improvviso. Ed era sincera. Erano bastati due giorni perché si rendesse conto che doveva a quella gente almeno un cenno di scuse.

"E per cosa ti dispiace, tesoro?", chiese suor Lane in tono dolce.

Candy strinse la tazza tra le mani, sapendo che stava per riversare su di loro una decisione che forse già immaginavano, ma che forse avevano sperato fino all'ultimo che non prendesse. Con un profondo respiro disse: "Vorrei partire entro dopodomani al massimo", mormorò.

I tre volti si adombrarono, Albert impallidì, ma rimase imperturbabile, almeno all'apparenza.

"E dove andrai? Candy, nelle tue condizioni...", tentò Miss Pony.

"Sono perfettamente in grado di lavorare. Farò la cameriera o la lavapiatti, mi arrangerò. Forse riprenderò persino gli studi di infermieristica. Vi prometto... che se un giorno mi ricorderò di tutti voi tornerò per dirvelo". Bevve un sorso dalla tazza, sperando che nessuno di loro tentasse di fermarla.

"Permettimi di aiutarti, per favore", s'intromise invece Albert. "Anche se legalmente sei maggiorenne vorrei che continuassi ad essere una Ardlay".

"No", disse senza esitazioni. "Voglio essere libera da qualsiasi legame e, anzi, ti prego di firmare i documenti necessari affinché io torni ad essere... com'è che mi chiamavo, prima? Candice White".

Lo vide, il dolore negli occhi dell'uomo, ma cercò di concentrarsi sulla sua decisione. Non ci sarebbero stati passi indietro, inutili e non costruttivi.

"Anche in passato mi hai fatto questa richiesta. Ora capisco che è quello che hai sempre voluto... va bene, Candy. Appena tornerò a Chicago avrò cura di occuparmi di tutto, non dubitarne. Però consentimi almeno di darti un minimo di sostegno economico finché non ti sarai sistemata. Consideralo un prestito, se preferisci, anche se vorrei fosse diverso. Non puoi partire senza neanche un dollaro in tasca". Il suo tono vibrava di qualcosa che somigliava alla supplica, ma Candy dovette ammettere che non aveva tutti i torti.

Lui, forse, era abituato a dormire sotto le stelle e magari anche lei aveva fatto cose simili in passato, ma non poteva nemmeno gettarsi a capofitto nel mondo senza paracadute così, all'improvviso. Aver superato l'agorafobia era stato già un vero miracolo. Forse avrebbe scritto a Carter per ringraziarlo, strada facendo.

"D'accordo, vada per il prestito, zio William", disse in tono semiserio. In qualche modo, aveva bisogno di porre quella distanza tra loro già da adesso. Provava una fitta di nostalgia nell'immaginarsi lontana da lui, ma era necessario o non ne sarebbe davvero mai uscita.

Da sola, con i propri sentimenti, avrebbe fatto il suo percorso a ritroso, toccando le tappe di cui aveva bisogno fino a che non fosse stata pronta. Ma le serviva aria da respirare e non il senso soffocante di qualcosa che non era sicura di desiderare o di non temere.

"Non ci hai ancora detto dove andrai...", insisté suor Lane.

Candy capì che non poteva più eludere quella domanda e pensò che non aveva nemmeno senso preoccuparsi del fatto che Albert fosse presente. Doveva la verità a tutti loro, nel bene e nel male: "Vorrei andare a New York".

Alzò lo sguardo per studiare le loro reazioni e vide la comprensione sui loro volti: "Intendi... da Terence?", indovinò la donna anziana.

Candy annuì: "Su quel giornale che ho trovato a Lakewood c'è scritto che risiede lì con la sua compagnia teatrale... e con la sua fidanzata", spiegò rivolgendosi ad Albert. "Non ho intenzione di creargli problemi, ma voglio capire cosa proverei a rivederlo, si tratta di una parte del mio passato che ancora non ho affrontato. Poi me ne andrò altrove, anche se non ho deciso ancora dove".

In realtà, Candy aveva pensato di spingersi fino in Europa, più lontano possibile da lì: anche se non poteva fuggire per tutta la vita dai propri ricordi, poteva evitare fisicamente alcuni luoghi e ricostruirsi altrove. Se e quando avesse provato nostalgia, allora avrebbe deciso di tornare.

Albert si alzò dalla sedia, che fece un rumore un po' troppo forte, come se fosse stato troppo veloce: "Scusatemi, mi ritiro nella mia stanza, ora. Buonanotte signore", disse con un leggero ed elegante inchino. Poco prima di uscire, con una mano già sulla maniglia, aggiunse: "Candy, potrei portarti in un ultimo posto domani, prima che tu decida di andartene?". La voce non era ferma e lei capì che quello era il suo tentativo estremo di farle ricordare e tenerla con sé.

Esitò, con la tazza stretta fra le mani tremanti. Forse lo doveva sia a lui che a se stessa. "Va bene", disse infine, e vide le sue spalle rilassarsi.

Quando la porta fu chiusa, si aspettò che una delle donne le dicesse qualcosa in proposito, ma si limitarono a guardarsi tra loro e a rivolgerle un sorriso sincero, anche se pregno di emozioni.

"Candy, ricordati sempre che questa è casa tua", disse suor Lane. "Puoi tornare qui ogni volta che lo desideri, come hai sempre fatto".

"Sì, e noi e i ragazzi ti accoglieremo sempre a braccia aperte", terminò Miss Pony asciugandosi discretamente una lacrima.

Il loro dolore la raggiunse e non fu affatto piacevole. Allo stesso tempo, si rendeva conto di quanto l'amassero, al punto di anteporre la sua felicità alla loro preoccupazione. Fu una consapevolezza che le scaldò il cuore e che le diede rinnovato coraggio.

"Grazie", rispose alzandosi anche lei per andare a dormire. "Ci vediamo domani".

Mentre usciva da quella stanza, Candy capì che era pronta a spiccare il volo da quelle particolari radici e forse lo era sempre stata. Finalmente, era libera di essere quella nuova se stessa con in più un bagaglio di ricordi che, attraverso i racconti di quelle persone, avrebbero fatto maggiore chiarezza sul suo futuro.

Un futuro che sperava luminoso e senza ombre.
 
- § -
 
Sta succedendo di nuovo e io non posso farci niente.

Albert guardò il soffitto con le braccia piegate dietro la nuca, riflettendo seriamente sulla possibilità di rinunciare al suo tentativo. In realtà era una cosa che gli girava in mente già da tempo, ma voleva aspettare che lei fosse pronta, che accettasse la sua compagnia o si sarebbe trattato di qualcosa di fine a se stesso.

Ora che con Candy tutte le carte erano scoperte, non gli restava che quello. Albert sospettò che sarebbe servito a ben poco, arrivati a quel punto, ma voleva dire di aver davvero tentato il tutto per tutto, senza riserve.

Sono un naufrago disperato che cerca di galleggiare aggrappandosi a un tronco marcio.

Nel remoto caso in cui si fosse davvero ricordata di lui in quel modo, comunque, non sarebbe certo dipeso dal singolo evento: sarebbe stato come chiudere un cerchio, un percorso prestabilito da terminare così come era iniziato.

Fuori dalla Casa di Pony, la notte aveva avvolto tutto nel suo manto e Albert vi perse lo sguardo. Senza rendersene conto, cominciò a pregare. A pregare i suoi cari che non c'erano più e quel Dio che più volte lo aveva ricondotto da Candy quando sembrava impossibile. A pregare di non perdersi in quella notte che pareva eterna e di avere la forza di affrontarla senza tremare per il freddo se non ci fosse stato nulla da fare.

Se mi concedi quest'ultimo miracolo, non Ti chiederò altro per il resto della vita. La renderò felice ogni singolo giorno...

Alla fine, le notti insonni e la tristezza di quella che forse era una perdita imminente ebbero la meglio e Albert si addormentò. I suoi sogni furono agitati e colmi di un addio infinito a Candy, dove lei si voltava per non tornare più indietro.

Si svegliò con i primi raggi del sole e ripensò a quello che aveva visto sorgere sulla Collina di Pony in quel mattino in cui non aveva più speranza di vederla. Si ripeté, mentre si sciacquava il viso nella bacinella e si vestiva senza fretta, che sarebbe stato come le altre volte.

Candy era sempre stata uno spirito libero come lui ed era un motivo ulteriore per rispettare quella scelta.

Vuole rivedere Terence. Quanto è saldo il legame con quella Karen? E se volesse ritentare con lei e le cose tra loro si sistemassero?

Se anche fosse accaduto, non poteva farci nulla. La felicità di Candy valeva tutte le lacrime del mondo. Valeva la propria infelicità, la propria solitudine. Sarebbe stato crudele in ogni caso, ma l'importante era che lei vivesse serenamente.

Dio, dammi la forza. Dopo aver sfiorato il Paradiso tornerò in Purgatorio. O all'Inferno.

Rabbrividì, pensando che sua zia gli avrebbe intimato di sposarsi e continuare la tradizione di famiglia con un'altra donna che non fosse quella che amava. Albert seppe che, piuttosto, avrebbe rinunciato a tutto, anche al proprio nome, esattamente come nella tragedia di Romeo e Giulietta pur di non ingannare se stesso. Anche Rosemary aveva fatto la medesima scelta, un giorno.

Il dovere era una cosa, i sentimenti un'altra.

Ma non era il momento di pensare al futuro: aveva un presente di cui occuparsi. Raccogliendo tutto il suo coraggio, prese la borsa e uscì dalla stanza, diretto alla Clinica Felice.

Mancava poco al suo primo e ultimo appuntamento con Candy.
   
 
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