Epilogo
«Cosa sto dimenticando?» Stiles si
aggirava con ansia e sospetto per tutta la camera padronale, il letto ancora
sfatto e parte di vestiti inutilizzati buttati sopra, la sveglia segnava un
orario proibito rispetto a quello a cui si era abituato in quelle dodici
settimane.
«Niente» disse Derek con certezza,
seguendolo per le scale e fin dentro lo studio, guardandolo raggiungere la
cassaforte e digitare il codice di sicurezza, estraendo la pistola in dotazione
e inserendola nella fondina; il distintivo era già dentro il taschino interno
della giacca scura.
Gli occhi d’ambrosia scandagliarono
tutto quello che aveva intorno, i documenti letti e riletti sul tavolo da
lavoro, gli evidenziatori colorati e le innumerevoli penne inserite nel loro
apposito contenitore, non c’era niente fuori posto. «Sicuro?».
«Sicuro» confermò il lupo mannaro,
allungando le mani e strizzandogli le spalle per rilassarlo, stando ben attento
a non sgualcirgli il vestito elegante che indossava come se fosse una divisa.
Stiles sospirò già esausto e ancora
non aveva attraversato l’ingresso principale per lasciare l’abitazione,
dirigersi in auto e metterla in moto, l’angoscia che sentiva dentro non
riusciva a scacciarla via. «C’è qualcosa che mi frena».
«È del tutto normale» asserì Derek
senza alcun stupore, le dita meticolose che scioglievano i nodi che il giorno
precedente l’umano non aveva. «Sindrome da distacco».
Il detective gli soffiò contro con
dispetto e noia, assestandogli un’occhiataccia. «Ti diverte, vero?».
«Un po’» Derek gli rifilò il suo
sorriso affascinante che tirava fuori in rare occasioni, principalmente per
deriderlo.
«Hai tutto sotto controllo? Ti serve
una mano?» lo ignorò l’umano, tempestandolo di domande e facendo emergere
l’ansia perpetua che lo caratterizzava, ma che giunti al quel punto si
mischiava con l’apprensione genitoriale: con connubio letale.
«Ho tutto sotto controllo, va tutto
bene» proferì per nulla turbato la creatura della notte, la pazienza che si
palesava a prendere il sopravvento. «Tranquillo».
«Sarò tranquillo quando Corine inizierà a frequentare l’asilo» non trovava proprio
pace davanti alla prospettiva che non potesse occuparsi a tempo pieno della
cucciola, di doverla lasciare ogni mattina a se
stessa, sprovvista completamente della compagnia dei fratelli e di lui, ma con
solo Derek a badare a lei. Il lupo poteva non avere delle ore lavorative fisse,
ma aveva molti progetti che lo coinvolgevano, persone da incontrare,
appuntamenti a cui partecipare, commissioni di ogni genere e luoghi da ispezionare,
aerei da prendere e visite fuoriporta, faticava a comprendere come avrebbero
fatto a far coincidere i loro orari ed i turni per averla sempre sotto i loro
occhi; Derek non sarebbe stato sempre disponibile e Stiles sapeva che avrebbe
dovuto cominciare ad organizzare la sua agenza mattutina e fare numerosi
sacrifici, chiedere favori e contraccambiarli. Sapeva anche che, laddove in
città Derek fosse sicuro, se la sarebbe portata con sé ovunque fosse andato.
«Sono soltanto un paio di mesi, ce la
caveremo» lo quietò il mutaforma, la ragionevolezza
dalla sua parte, come se non vi fosse alcuna preoccupazione che lo turbasse.
Era una fortuna che nella coppia ci
fosse qualcuno pragmatico, che non si facesse sopraffare dall’agitazione
dell’ignoto e delle troppe incognite che quella situazione avrebbe potuto
portare. «Sì, hai ragione» se la cavavano sempre, tuttavia l’attenzione del
figlio dello sceriffo riprese a girare per tutta la stanza come se non fosse
persuaso, finché gli occhi non brillarono davanti alle tre piccole figure che
li osservavano dalla porta, i baffi di latte e indossando per metà ancora i
pigiami dalle fantasie complesse, non lasciando una buona impressione che le
cose stessero funzionando poi così bene e due di loro sarebbero dovuti già
essere pronti per essere condotti all’istituto scolastico; purtroppo non aveva
tempo per occuparsi di quello, di sorvegliarli mentre terminavano di lavarsi e
vestirsi, l’orologio ticchettava e non poteva permettersi di essere in ritardo
il suo primo giorno di rientro a lavoro. «Ehy, tesori
miei».
I bambini videro i lunghi arti
superiori di Stiles spalancarsi, invitandoli ad accorrere verso di lui per
ricevere l’abbraccio di augurio di buona giornata e quelle coccole dovute solo
a loro; si illuminarono a loro volta.
«Alt» li fermò tempestivamente Derek,
parandosi davanti all’umano, la voce autoritaria che riecheggiava per le
pareti, bloccando la loro corsa già avviata e ricevendo tre paia d’occhi, più
una extra, confuse ed interrogative, non capacitandosi di dove avessero
sbagliato. «Mostratemi le mani pulite, Stiles non ha tempo di cambiarsi».
I pargoletti fissarono inorriditi le
loro mani come se li avessero traditi senza metterli al corrente, trovandole apparentemente
immacolate, ma con evidenti tracce di briciole e dita inzuppate di liquido
bianco; lo guardo severo di Derek non ammetteva repliche. Lanciarono delle
occhiate colpevoli e corsero a raggiungere il bagno più vicino, quello
collocato al piano terra.
«Uao, dei
perfetti soldatini» proferì Stiles con evidente stupore. Era un po’ ingiusto,
erano dei bambini obbedienti che difficilmente ritrattavano, seguendo le
direttive con molta cura e Derek sapeva di certo il fatto suo, era un bravo
genitore scrupoloso.
«Come ho detto: è tutto sotto
controllo» affermò con fermezza il licantropo, voltandosi verso di lui con la
sua aura austera ed impossibile da battere.
Stiles gli dedicò una curva rilassata
e fiera sulle labbra, protendendosi appena per adagiargli un bacio a stampo.
Derek ne pretese uno decisamente più approfondito.
I lupetti si presentarono in fila
scoordinata e movimentata nel soggiorno che i due coniugi avevano raggiunto,
l’ingresso ancora serrato e allo stesso tempo pronto per essere varcato,
precipitandosi in direzione dell’unico umano della famiglia e gettandogli le
braccia che l’avvolgevano ovunque riuscissero ad arrivare; Erick
rimaneva ancora un passo indietro, limitandosi ad assistere all’affetto che le
sue sorelle stavano manifestando.
Stiles aveva un sorriso per tutti
loro di puro apprezzamento e contentezza, dispensando baci alle lupacchiotte e
prendendole a turno in braccio per dedicare maggiore attenzione. Nessuna
preferenza, era tutto distribuito in egual misura ed Erick
non riusciva proprio ad ignorarlo.
Stiles si era liberato dalle sorelle
che gli artigliavano le gambe e si presentava fermo davanti a lui, le iridi
furbe che lo guardavano attente e la bocca in una smorfia accattivante
d’attesa; gli appariva molto più alto e posato di quanto non l’avesse visto da
quando li avevano accolti in casa propria. «Ciao, lupetto» disse benevolmente,
le dita di una mano che andavano ad arruffargli con simpatia la chioma dorata,
tutto il suo calore che l’attraversava in ogni cellula. «Torno presto».
L’impulso fu irreprimibile e gli arti
corti andarono ad accerchiare i fianchi dell’umano, stringendo e stringendo, il
viso immerso nella camicia immacolata e la giacca che presentava già qualche
piega; contrariamente a quanto si aspettasse, non lo rimproverò nessuno.
La stretta fu ricambiata ed Erick non aveva alcuna intenzione di scioglierla. «Ti
voglio bene» gli disse Stiles con autenticità, infondendogli totalmente
l’amorevolezza che provava.
Il cuore del lupetto si riempì e
sgorgò, provocando uno scoppio che era certo non avesse percepito soltanto
l’udito perfetto del licantropo adulto; la diga che conteneva tutte le sue
emozioni era stata distrutta dai due uomini che l’avevano accolto combattendo
contro e per lui.
Per Stiles fu quasi infattibile
uscire da quella casa ad un orario decente, la vera vittoria consistette nel
riuscire a mettere un piede fuori dall’uscio.
«Papà, puoi aggiungere le gocce di
cioccolato nei miei?» Laura era ancora molto assonnata e mezza addormentata, le
sinapsi non si erano ancora attivate del tutto e continuava a strofinare gli
occhi stretta nel suo pigiamino giallo, sbadigliando di tanto in tanto,
trascinandosi in cucina guidata dal profumo dei pancake caldi che venivano
cotti al momento dalle mani sapienti di Derek, arrampicandosi su uno degli
sgabelli incassati all’isola che sostava in mezzo alla stanza principale e che
venivano utilizzati per pasti veloci o, per la maggior parte delle occasioni,
per intrattenere conversazioni. Fu seguita dai fratelli insonnoliti che privi
di peso si gettarono sulle sedie adibite per il tavolo della colazione.
Un silenzio indicativo calò su tutto
l’ambiente, il risveglio repentino di tutte e tre le creaturine e Stiles che
era rimasto con il buongiorno incastrato nella gola mentre attraversava
la porta e si accomodava tra Erick e Corine. Derek si paralizzò sul posto, la fiamma accesa con
il manico stretto tra le dita, le frittelle di farina e uova che sfrigolavano
sulla superficie antiaderente.
Laura si tappò la bocca imbarazzata
con le manine, il rossore che le chiazzava il viso costellato di lentiggini e
le iridi azzurre che schizzavano da ogni parte come per chiedere aiuto o
accertarsi di qualcosa per l’errore che aveva commesso. Erano passati dei mesi
da quando l’aveva pronunciato l’ultima volta e anche prima, in una notte di
luna piena.
«Tesoro, non devi vergognarti»
proferì Stiles quando comprese il suo disaggio e il senso di colpa che la
copriva da ogni parte, il danno che pensava di aver arrecato. «Non è un
problema, va tutto bene».
«No?» farfugliò incerta a labbra
serrate, i grandi occhi che divenivano ancora più giganti ed i capelli biondi
che tentavano di nasconderla.
La padella sul fuoco fu agitata e
Stiles seppe che suo marito stava tentando di portare avanti l’incombenza di
preparare il pasto principale per quell’inizio di giornata che, secondo il
calendario stilato dall’umano, ricadeva su di lui. «No, se è quello che senti»
scivolò dalla sedia allo sgabello che sostava proprio davanti a lei,
sfiorandole teneramente la punta del naso e sorridendole candidamente. «Puoi
chiamarci come vuoi, non ci sono limiti o divieti, non devi qualcosa a noi o a
qualcun altro. Sei libera di usare qualsiasi appellativo o nome che desideri,
qualsiasi cosa ti faccia stare bene».
La lupacchiotta si strinse su se stessa, lasciando fluire le mani che le coprivano la
bocca e abbracciandosi di riflesso, come se non ne potesse farne a meno, messa
completamente a nudo ed incapace di formulare qualsiasi cosa le attraversasse
la mente. Le gemme di zaffiro si posavano su quattro identiche alle sue,
combattuta contro la propria persona e quelle con cui condivideva il patrimonio
genetico, torturandosi con gli incisivi il labbro inferiore. «È quello che
sento» bisbigliò con voce spezzata, ma piena di intensità, arrivando forte e
chiara alle orecchie di entrambi i coniugi.
Stiles le dedicò la sua curva
incantevole, stracolma d’affetto e le accarezzò una tempia su cui adagiò un
piccolo bacio. «Va bene, allora».
Laura rimaneva tutta impettita sulla
sua seduta, i fili dorati che venivano spostati malamente dalla vista,
voltandosi appena verso il piano cottura ed incontrando la schiena ampia e
forte dell’uomo che non aveva ancora proferito parola, ma che si era limitato
ad ascoltare senza intervenire. Si chiedeva se fosse veramente interessato o se
non gli importasse affatto, eppure sapeva che sarebbe sempre accorso per lei,
qualsiasi insieme di lettere avrebbe deciso di usare per chiamarlo. «Papà».
Il fiato venne trattenuto da tutti
gli abitanti all’interno di quelle mura e un piatto pieno di pancake con gocce
di cioccolato appena cotti le fu offerto, fumanti e perfettamente impilati.
«Ciao, fanciulla» fu tutto quello che Derek proferì con voce piena di calore,
l’espressione felice che gli sporcava la bocca.
Le iridi oceaniche si inumidirono e
il lupo le scostò i capelli dal viso, incastrando le ciocche ribelle dietro le
orecchie a liberarla totalmente da qualsiasi maschera potesse adottare e
frapporsi tra loro. Laura strinse forte il braccio che la vezzeggiava con
entrambi i suoi, tenendolo ancorato e godendosi appieno quel contatto così
intimo e privato, familiare. Quello era il suo papà. Derek era il suo
papà.
«Anch’io» le gambe di una sedia
sussultarono, un piccolo tornado schizzò per la cucina, girando intorno al
tavolo e all’isola, portandosi davanti al licantropo adulto ed attaccandosi
alle gambe chilometriche, stropicciando i pantaloni della tuta che indossava.
«Anch’io voglio chiamarti papà, Der Der».
Derek la guardò sorpreso, per qualche
attimo con il linguaggio azzerato, totalmente riflesso sugli occhi del mare che
lo guardavano speranzosi ed un minuscolo broncio di chi si sentiva privato di
qualcosa, ma Stiles non era per nulla stupito. «Certo che puoi, principessa».
Corine gli regalò il sorriso più bello del mondo e il lupo nero la prese tra le
braccia dopo essersi separato con consenso da Laura, cullandola dolcemente e
schioccandole un bacio pieno di dolcezza su una guancia paffuta.
«Anche Stils»
approdò la cucciola, facendo sentire la sua autorità e indicando l’umano che se
li stava mangiando con gli occhi, godendosi appieno quella scenetta smielata,
tirando il mutaforma per una manica per condurlo verso
di lui. «Anche Stils voglio chiamare papà».
«Cucciola, credo che ci sarebbe un
po’ di confusione con tutti questi papà» sarebbe stato molto divertente
all’inizio e avrebbe riscaldato il cuore sia al lupo che alla volpe, ma il
figlio dello sceriffo era sicuro che ci sarebbero stati troppi fraintendimenti.
«Puoi continuare a chiamarmi Stiles o in qualsiasi altro modo».
«Non è giusto» si dimostrò in
disaccorto la piccola di casa, le iridi che fiammeggiavano dispiaciute e per
nulla arrese, stringendo i pugnetti ad enfatizzare quanto impegno ci stesse
investendo. «Anche tu sei il mio papà».
Laura annuì con convinzione, unendosi
alla battaglia della sorellina, ignorando totalmente i bei pancake caldi caldi che Derek aveva cucinato di proposito per lei. «Sì, è
vero, anche tu sei il nostro papà».
Il cuore di Stiles stava diventando
improvvisamente troppo debole e facilmente attaccabile da tutto quell’amore
smisurato delle sue belle lupacchiotte. «Mi onorate» ma davvero, non sapeva
come evitare di deludere le sue piccole.
«Io so come chiamare Stiles»
sopraggiunse in un miraggio Erick che era rimasto
perfettamente in silenzio per tutto il tempo, pietrificato sul posto e con il
piatto ancora vuoto, spettatore del nuovo atto che stava prendendo vigore,
concretizzando qualcosa che gli era stato sottratto in un tempo remoto, ma non
dimenticato.
Su di lui si concentrarono le
attenzioni di quattro teste, gli occhi assetati di sapere delle bambine che lo
fissavano stupefatte ed incredule, non sapendo minimamente cosa aspettarsi da
lui. «Come?» chiese Corine, il nasino arricciato e
sporgendosi dalla presa ferrea di Derek, invitandolo a metterla giù e correndo
con i suoi piedini verso il fratello maggiore, le pupille lievemente dilatate,
come se fossero stuzzicate da ulteriori raggi solari che attraversavano la
vetrata che dava sul giardino privato. «Come chiamiamo Stils?»
«Papa» l’accento francese sostituì
completamente quello americano, defluì come se non avesse mai pronunciato
niente di diverso da quei suoni sconosciuti ai due sposi, c’era anche un enorme
languore che si intersecava tra quelle poche e singole sillabe.
Gli occhi di Laura si sgranarono,
stentando a credere alle sue orecchie e Corine lo
guardò come se non riconoscesse minimamente l’essere che aveva le fattezze di
suo fratello. «Davvero?».
Il coro delle cucciole sbigottite
arrivò dritto e chiaro alle orecchie degli adulti esclusi che non sapevano come
approcciarsi alla grande rivelazione che era arrivata alle figlie, ma che per
loro era del tutto sconosciuta. «Che significa?».
«Non guardare me, niente francese»
disse Derek quando le iridi d’ambrosia si puntarono su di lui come se fosse in
possesso di tutte le nozioni di cui necessitava. «Conosco lo spagnolo».
«Quello lo conosco anch’io» ribatté
annoiato Stiles, l’insinuazione non tanto velata che il suo consorte non
servisse proprio a granché quando se ne aveva seriamente bisogno.
«Mh,
passabile» lo sminuì con sarcasmo miscelato la creatura della notte dal pelo
scuro, punzecchiandolo con grazia.
Il figlio dello sceriffo lo accigliò
sconvolto e scandalizzato, la bocca semiaperta e il fuoco che era pronto a
divampare. «Scusami tanto se non sono un madrelingua come te».
Derek gli sorrise ilare e con un
doppio scopo ben evidente, la burla accattivante che cancellava tutto il resto.
«Posso darti ripetizioni tutte le volte che vuoi».
L’umano gli soffiò contro con risentimento
e l’offesa ben evidente, cancellata trionfo da un bacio a cui Stiles si ritrovò
a ricambiare suo malgrado. Succedeva veramente, in quei dieci anni speso e
volentieri si era esercitato con la lingua ispanica in cui era risultato
piuttosto arrugginito con Derek, strumento che gli sarebbe stato molto utile
nel suo lavoro sia nelle forze dell’ordine che soprattutto nell’FBI; più di una
volta l’aveva utilizzata in diversi casi.
«Possiamo davvero davvero
chiamarlo papa?» nel frattempo la conversazione tra i pargoli continuava
con prepotenza ed incredulità, Laura si era perfino volatizzata dalla sua
postazione ed aveva raggiunto Erick e Corine, la domanda che ripeteva sorda alle sue stesse
orecchie. «Pensavo ci fosse vietato, che non volevi più usarlo».
«Sto realizzando che un latino e un
polacco cresceranno tre bambini francesi» dichiarò il detective colpito dalla
rivelazione dei continui accenti che variavano senza che ne avesse davvero
preso coscienza.
«Il potere di un mondo globalizzato e
fondato sull’immigrazione» proferì Derek come se la questione non lo toccasse
minimamente, benché fosse abbastanza evidente.
«Io pensavo più al genocidio» rettificò
l’umano perfidamente, ma con la leggerezza di esternare un dato di fatto.
«Che ragazzo cupo e cinico» osservò
il licantropo moro con scherno a imbrattargli il tono vocale, fissandolo
dall’alto con intensità. «Credevo fosse una mia caratteristica».
Stiles gli mostrò la bocca sardonica
che prendeva destrezza, non lasciandogli scampo. «Non ho mai avuto una
personalità solare».
Derek sbuffò non avendo nulla da
ribattere.
«Non esiste persona più adatta di
Stiles» affermò univocamente il lupetto, rispondendo alle domande stupefatte
delle sorelle che sembravano essere pronte a scoppiare a piangere da un momento
all’altro e né Derek né Stiles ne capivano la reale motivazione.
«Possiamo conoscere il segreto?» si
intromise Stiles con moderazione, con l’ansia crescente che si elevava a mano a
mano, preoccupato e non certo di voler davvero conoscere il responso di una
tale manifestazione di turbamenti contrastati, si sentiva in sospeso ed in
profonda apnea. «Cosa significa?».
I tre bambini si mutarono e le iridi
azzurre si indirizzarono tutte in contemporanea sull’umano, provocandogli un
momento di disagio e un nodo di saliva difficile da ingoiare. «Papà» lo informò
Erick con un’emozione inclassificabile che prendeva
forma, l’aria tesa e un profondo magone che sentiva all’altezza dello stomaco.
Si aprì completamente ai sentimenti positivi che provava per lui. «Papa
significa papà».
L’universo di Stiles implose ed
improvvisamente non era più certo di dove si trovasse e cosa stesse facendo,
con chi avesse a che fare. «Oh».
Due piccoli terremoti femminili biondi
gli si abbatterò addosso e una litania di papa fu pronunciata in un coro
scoordinato con toni acuti e teneri, l’accento francese che faceva da padrone e
le manine che afferravano gli arti inferiori lunghi, sovrastandolo e
ritrovandosi improvvisamente a perdere l’equilibrio, precipitando con il sedere
per terra e venendo avvinghiato dalle braccine che lo circondarono, saltandogli
addosso mentre ridacchiavano entusiaste ed estasiate, perseverando a chiamarlo papa.
«È così che chiamavamo il nostro
papà» enunciò Erick frastornato, ma del tutto dedito
alla causa quando si ritrovò ad un passo dal groviglio che erano le sue sorelle
e Stiles, rendendolo partecipe di una nozione di cui era all’oscuro.
Stiles credette che tutti i neuroni e
le sinapsi lo abbandonassero in contemporanea, decedendo, lasciandolo totalmente
incapace di reagire e comunicare un qualsiasi pensiero, l’intensità di quella
rivelazione privata che rimbombò per l’intera scatola cranica che avrebbe
potuto definire momentaneamente vuota.
Stiles lo agguantò per un braccio
tirandoselo addosso, obbligandolo a gettarsi su di lui e stringendolo forte
forte contro di sé, stritolandolo insieme alle bambine che non volevano cedere
il loro posto nemmeno di un millimetro.
Non avrebbe mai creduto possibile di
provare un’emozione indefinita ed incalcolabile come quella che lo stava
investendo, prendendolo in pieno petto, lasciandolo completamente senza aria ed
incapace di emettere qualsiasi forma di suono. La stoccata definitiva arrivò
quando Derek avvolse tutti loro tra le sue braccia forti, consacrando l’attimo
più importante della loro vita familiare, la fiducia indiscussa che quei tre
piccoli esserini sfortunati stavano indirizzando totalmente verso di loro.
Il viaggio da Washington a Triangle non aveva subito difetti ed era proseguito senza
incidenti di alcuna sorta, non era un tragitto eterno, senza traffico un’ora
abbondante era più che sufficiente, ma era la prima gita fuori porta che
facevano tutti insieme, caricati sulla grande auto familiare, il bagaglio
traboccante dei loro averi calcolati per i tre giorni che li avrebbero visti
lontani dalla grande capitale. C’era esaltazione da tutte le parti e perfino la
musica per l’attraversata era stata scelta dai pargoli, le cinture di sicurezza
ben allacciate su ogni passeggiero, non transigendo affatto su quello.
La prima tappa ovviamente era stata per la piccola villetta che possedevano
da quelle parti, il giardino grande quasi quanto quello presente nella casa
principale, ma un po’ meno curato ed addobbato, niente laghetti o alberi a fare
da paravento, ma c’era verde ovunque posassero gli occhi. Vi erano soltanto tre
camere da letto, di cui si appropriarono automaticamente, e le misure di tutti
gli altri spazi abitabili erano più contenute, ma era molto calda ed appartata;
riscosse molto successo.
Ma in quel momento erano da tutt’altra parte, il sole alto nel cielo,
cosparso da latitanti nuvole bianche, una leggera brezza che spettinava le
chiome di tre figure sedute su un’enorme tovaglia da picnic a fissare
l’orizzonte boscoso, in attesa di veder scorgere qualcosa. Gli alberi erano
alti e secolari, non riuscivano a vederne le cime, il terriccio insieme
all’erba selvatica li accerchiava in ogni parte, alcune foglie secche a
ricoprire le parti scoperte e sentieri che erano stati tracciati dai loro
predecessori; non vi era una sola anima che potesse disturbarli.
Corine si arrampicò tra le gambe di Stiles, piazzandosi proprio al centro e
lasciandosi circondare dal suo abbraccio, mentre Laura si avvicinava di qualche
centimetro chiedendosi se da quella postazione si adocchiasse qualcosa di più,
strizzando gli occhi e sforzando di notare qualcosa di nuovo. Non vide nulla.
Poi qualcosa accadde lì al Chopawamsic Backcountry Area, un essere a
quattro zampe si palesò lentamente davanti a loro, il folto pelo del miele
miscelato a fili dorati, la consistenza morbida e il desiderio di strapazzarlo
fortemente, camminando verso di loro con perplessità e ritrosia. «Erick!» esclamò con entusiasmo vivo la cucciola
della famiglia Hale-Stilinski, agitandosi dalla presa dell’umano e sbattendo le
manine contenta, aspettando che si avvicinasse a loro, incitandolo con la
felicità che strabordava da ogni poro. Laura rise alla visione e Corine scappò dalle braccia di Stiles, fiondandosi sul
giovane lupo dalle iridi gialle luminose e aggrappandosi all’immenso collo,
ridacchiando sulla pelliccia e affondandovi completamente, con Stiles che
sorrideva cordialmente. Non vi era nessuna apprensione o inquietudine da parte
sua, il plenilunio era passato da due giorni e conosceva bene le fatiche che
avevano visto protagonista il lupetto in quei lunghi mesi in cui Derek gli
aveva insegnato ogni cosa sul controllo, sull’essere un lupo vero, come
muoversi, ascoltare e trovare le tracce, a rafforzare l’ancora che l’aveva
tenuto intero per due immensi anni e sul dominare la luna stessa.
Erick soffiò con finto fastidio, trascinandosi una sorellina molto incollata a
lui, i piedini sospesi e la vocina che emetteva versetti deliziati, la presa
che si faceva più intensa per non rischiare di cadere e il totale affidamento
che riponeva in lui. Difatti il canide si avvicinò con adagio, fermandosi
esattamente davanti all’unico umano a distanza di chilometri e lasciando che la
riprendesse con sé, ma nessuno dei due si mosse, al contrario Laura abbandonò
il suo posto comodo, mollando la presa sul piccolo borsone che conteneva un
cambio di vestiario per ognuno dei due lupi della famiglia, per accarezzare il
manto dorato, adulandolo. «Ciao, bel lupetto» fu il modo in cui l’accolse
Stiles, la curva indomita sulle labbra carnose e lo scintillio da volpe furba
che emergeva incontrastata. Era la prima volta che si presentava davanti a lui
sotto quella forma da quella fantomatica luna piena pericolosa, aveva sempre
evitato finché non sarebbe stato certo di sapersi domane come avrebbe dovuto,
pensando che gli sarebbe servito molto più tempo per adeguarsi e accettare
tutte le emozioni contrastanti che gli vivevano dentro, ma Derek un giorno gli
aveva dato il suo benestare e non gli serviva una conferma diversa da quella,
era stato Erick a ritardare ancora un pochino.
Corine sciolse il legame, i piedini che toccavano nuovamente terra, muovendosi
per volergli salire in groppa e le zampe della creatura si mossero un po’ più
in avanti, premiata delle dita affusolate di Stiles che gli accarezzarono il
pelo morbido, immergendole totalmente e completando il contatto. Fu
un’esperienza senza precedenti per entrambi. «Sei proprio un bravo lupetto» tutta
l’anima di Erick vibrò a quelle parole e
l’accettazione fu imprescindibile, si sentiva proprio al posto giusto con le
uniche persone che avrebbero mai potuto capirlo.
«Papa, quello è papà?» domandò
con stupore immenso Laura, le cure che stava riservando al fratello che si
bloccarono, richiamata da un'altra figura che sorgeva dai rami, il manto di
puro inchiostro nero e due gemme blu elettriche a farne da padrone.
«Papà?» domandò in una eco immediata Corine, l’attenzione che si spostava dal lupetto al canide
adulto che procedeva a passo spedito verso di loro.
Stiles non aveva bisogno di
adocchiare l’animale maestoso che trotterellava nella direzione in cui si erano
accomodati aspettandoli, conosceva ogni suo centimetro, i riflessi della luce
che si posavano su di lui donandogli nuove tonalità e il portamento reale che
assumeva privo di qualsiasi sforzo, tuttavia spostò comunque le iridi sul nuovo
arrivato, senza stancarsi mai di ammirarlo. «È proprio il vostro papà».
Le lupacchiotte rimasero interdette per
qualche attimo, indecise sul da farsi, ma Derek era già lì, maestoso e
catturava tutta l’attenzione, statuario e immobile nella sua posa
rappresentativa. Era la prima esperienza anche per loro.
Entrambe gli si gettarono addosso
senza guardarsi indietro. «Papà, sei davvero bellissimo» affermò Laura
completamente soggiogata, abbracciandogli il collo enorme e soffice, stringendo
più forte.
«Sì, sì, bellissimo, papà» confermò
la cucciola con vigore, riuscendo ad ancorarsi solo al petto e parte di una gamba
zampata, ma non meno disposta a manifestare quanto fosse colpita e quanto bene
gli volesse in qualsiasi forma assumesse.
Stiles sorrise per niente
impressionato, conosceva perfettamente l’effetto che suo marito suscitava sotto
quelle sembianze, rimanerne immuni sarebbe stato un peccato capitale. Schioccò
un piccolo bacio sul muso di Erick, accerchiandogli
la testa con un solo braccio e poggiandovi il capo su un lato. «Anche tu sei
bellissimo, hai tanta luce con te».
Il lupetto non riuscì a frenare la
sua contentezza, strofinandosi contro di lui dove lo toccava ed esibendosi in
qualcosa fin troppo simile alle fusa; Stiles curvò le labbra verso l’alto in
automatico, ma non infierì in alcuna maniera.
La situazione procedette pacifica per
diversi minuti, finché le bambine non si buttarono nuovamente su Erick e lui si spostò per iniziare a giocare con loro,
seguito dalle loro risatine divertite ed estasiate, invogliato a scatenarne
ancora di più, abbandonando completamente Stiles che si limitò ad osservarli
allontanarsi, stando ben attento che non uscissero dal suo campo visivo. Ma era
evidente che un certo lupo nero avesse degli altri progetti, l’umano si ritrovò
assaltato dalla bestia che amava, spinto sull’enorme tovaglia variopinta,
l’ombra della sua stazza che si abbatteva su di lui e le quattro zampe che
sostavano alzate sopra il suo corpo, a scrutarlo attentamente dalla posizione
privilegiata in cui si trovava.
Stiles impiegò qualche secondo di
troppo a metterlo a fuoco, disteso e con l’immensità accecante dell’Astro
d’Apollo che lo accecava volutamente, ma anche con quello svantaggio, riusciva
comunque a comprendere tutto lo splendore che racchiudeva; ne era
inverosimilmente incantato. «Sei sempre magnifico, Sourwolf».
Il lupo si chinò a leccargli la
faccia e Stiles scoppiò in una sonora risata. Fu il suo turno di agguantarlo
per il collo peloso e lucido, a tenerlo legato fortemente a sé nella posa più
scomoda che potessero escogitare.
Fu una giornata ricca di sorprese e
le bambine si divertirono fino allo sfinimento ad inseguire quelle meravigliose
creature della notte, totalmente disposte a cedere alle loro attenzioni. Fu uno
spettacolo a cui assistere senza pari e non importava affatto se
all’avvicinarsi del crepuscolo, Stiles e Derek avrebbero dovuto portare i
pargoli in braccio – Laura stretta all’umano, mentre Corine
ed Erick avviluppati al licantropo –, privi di forza
e addormentati, per l’intero tragitto verso casa; quando l’ora di cena sarebbe
passata e loro si sarebbero ridestati nel cuore della notte, fiondandosi nel
lettone matrimoniale e tenendo i due adulti svegli fino ad ore proibite, finché
non sarebbero collassati tutti insieme, avvolti da un connubio di arti
protettori.
Era irrealisticamente e interamente
vero.
Il campanello alla porta d’ingresso
risuonò per tutta Villa Hale-Stilinski e Stiles si precipitò ad aprire al suo
nuovo ospite. «Papà!» esclamò colmo di entusiasmo, mostrando un sorriso a
trentadue denti e abbracciandolo nell’immediato. Era passato davvero troppo
tempo da quando l’aveva visto l’ultima volta, dal matrimonio a fargli da
testimone, non c’erano state altre occasioni con il tempo speso con i bambini
ed era troppo presto per costringerli ad attraversare l’intero stato; rivederlo
gli appariva come una visione.
Lo sceriffo se lo strinse forte al
petto, beandosi finalmente della sua vicinanza fisica e non della sola voce che
attraversava la linea telefonica o delle videochiamate che di tanto in tanto
riuscivano a strapparsi in mezzo agli orari sballati e lavorativi che avevano,
insieme al fuso orario che non gli rendeva le cose affatto semplici. «Ciao,
figliolo».
«Tutto bene? Il viaggio è stato
faticoso?» domandò Stiles a raffica, sciogliendo la presa e guardandolo dritto
nelle iridi azzurre, così simili a quelle dei suoi bambini, ma anche
incredibilmente diverse.
«Tutto bene» lo rasserenò Noah con un
piccolo sorriso sulle labbra, non era cambiato assolutamente nulla nel suo
comportamento espansivo ed apprensivo.
«Papa» un piccolo uragano
dorato si precipitò verso di lui con energia con qualcosa che fremeva di
condividere con lui, ma si piantò dietro una sua gamba quando notò la nuova
figura che sostava davanti l’uscio di casa, nascondendosi appena. «Chi è?».
Una mano di Stiles andò a
scompigliarsi affettuosamente i fili biondi, scacciando il leggero timore ed uno
dei rarissimi episodi di timidezza che l’aveva appena colpita. «È il mio papà».
Gli occhi della cucciola divennero
giganti e lo stupore crebbe inesorabilmente. «Oh, il tuo papà».
Lo sceriffo notò bene come la bambina
si fosse aggrappata ad un arto inferiore del figlio, il leggero scetticismo che
era volato via e il rifugio che per lei rappresentava. «Ciao, sono Corine» eppure ne uscì con coraggio, la manina che gli
porgeva per presentarsi e il velo di imbarazzo che stava mettendo via con tutte
le sue forze.
L’uomo più grande le sorrise
calorosamente. «Ciao, Corine, mi chiamo Noah» le
strinse la manina che gli offrì, trattandola da sua pari.
«Oppure potresti chiamarlo nonno»
fece la sua incursione una figura femminile piuttosto simile nei colori e nel
portamento a quelli di un certo lupo nero.
«Cora!» la accolse Stiles con
inaspettata sorpresa, benché non ce ne fosse davvero ragione, ma nemmeno lei
vedeva dal giorno del matrimonio.
«Stiles» si limitò a salutare la
minore degli Hale, una piccola valigia che portava appresso, insieme
all’evidente jet lag. «Allora cosa abbiamo qui?» tutta la sua attenzione fu
rivolta alla creaturina che sostava vicino all’uomo etichettato come il papà
di Stiles e da un’altra che silenziosa si era avvicinata, nascondendosi
anch’ella dietro le gambe del figlio dello sceriffo.
Stiles non si stupì affatto
dell’approccio diretto di Cora, niente convenevoli e giri di parole. «Corine, Laura, questa è Cora, la sorella del vostro papà» a
quelle presentazioni un braccio scese sulla schiena della lupacchiotta a
confortarla, se Corine aveva dimostrato della
titubanza timida, con Laura le cose si triplicavano, aveva bisogno di più tempo
per accettare nuove persone nella sua sfera personale.
«Potete chiamarmi zia Cora» le punzecchiò
dritta al sodo la nuova arrivata, ammiccando spudoratamente, come una lupa
pronta a mangiarle.
«Cora, potresti smetterla di forzare
le mie figlie» la richiamò all’ordine Derek quando varcò la porta ancora
aperta, carico di qualche altro bagaglio e di sacchi della spesa, depositando i
primi al lato dell’ingresso e bisognoso di lasciare il resto in cucina.
«Papà!» si erse un coro femminile, le
bambine che si fiondarono dai loro posti per raggiungerlo e richiamare tutta la
sua attenzione, abbracciando strettamente le sue gambe lunghe. Era qualcosa di
adorabile vederle correre per ricoprirlo d’amore, come se non lo vedessero da secoli
quando in realtà erano passate una manciata di ore, ma accadeva anche con
Stiles, veniva investito dalla medesima festa nel momento in cui rincasava dopo
infiniti turni di lavoro laceranti e colmi d’orrore.
Ricevettero un ehy
di saluto pieno di calore, ma Stiles notò bene quanto fosse in difficoltà in
quel momento. «Lupacchiotte, che ne dite di accompagnare il mio papà nella
camera degli ospiti?» propose loro venendo in soccorso del marito.
Le bambine lo guardarono con un lieve
scetticismo, ma poi Corine annuì, prendendo lo
sceriffo per mano e conducendolo verso la scalinata, mentre Laura con
incertezza li seguiva, non prima di aver dato un’ultima stretta prolungata a
Derek, segno che non avesse alcuna intenzione di separarsene. «Andiamo papà del
mio papa» lo incitò la cucciola di casa, mentre l’uomo riuscì a stento a
prendere la propria valigia al seguito che Derek aveva trasportato al posto
suo. Prima di salire sul primo gradino sentirono un io sono Laura
tentennante, ma stracolmo di buona volontà e le cose proseguirono da sole.
«Aspetta un attimo» si espose Cora a
quella presentazione silenziosa e si fermarono tutti esattamente dov’erano,
senza capire a chi si riferisse. «Tu sei Laura, vero?».
Il terzetto si bloccò all’inizio
delle scale, Corine già sul secondo gradino a
trascinarsi lo sceriffo, che sostava sul primo, e Laura che si approcciava a
seguirli. Quest’ultima in automatico annuì confusa e anche in soggezione,
ritrovandosi improvvisamente al centro dell’attenzione, evento che in genere le
procurava agitazione.
Derek e Stiles videro Cora armeggiare
con la valigia, aprire la cerniera quanto bastava e afferrare qualcosa alla
cieca, attirando l’attenzione dei presenti ed estraendo un piccolo libro
vissuto, dalle pagine ingiallite e dalla copertina leggermente rovinata agli
angoli. «Questo è per te» disse a quel punto la lupa, mentre raggiungeva
lentamente la lupacchiotta e le metteva tra le mani l’oggetto.
Laura lo accettò senza davvero
capire, restia e sorpresa, rivolgendo uno sguardo di panico ai suoi genitori
che, invece, le influivano coraggio e sicurezza. Quando le dita presero
confidenza con il volume, quello che si limitò a leggere fu il titolo:
lupacchiotta va in città.
«Era uno dei libri di mia sorella» spiegò
Cora, come se quello rendesse tutto chiaro e colmo di ogni senso.
Laura la guardò con occhi giganti,
come se lei avesse capito esattamente il valore di quel tesoro nascosto, e le
manine corsero a sfogliare la prima pagina, incontrando una firma impeccabile.
In tutta la sua eleganza vissuta il nome Laura Hale spiccava sul
giallognolo, imprimendosi sulla retina. «Grazie».
Cora asserì con il capo, quasi in una
riverenza, e la lupacchiotta strinse a sé il libro, abbracciandolo forte e
precipitandosi a percorrere le scale da cui fu seguita subito dopo.
Sia Stiles che Derek erano sicuri che
quel tomo non facesse parte dei numerosi pacchi che avevano spedito più di un
decennio prima alla sua dimora, eppure in qualche modo esisteva.
«Non guardarmi così, Derek» proferì
Cora quando intercettò i loro sguardi bisognosi di conoscenza, la cerniera del
trolley che veniva richiusa. «È stato con me per tanto tempo. Non so perché, ma
era l’unica cosa che avessi di voi a quel tempo» chissà quando e per quale
ragione Laura glielo avesse ceduto, ma non se ne era mai separata dopo la
tragedia.
Derek la guardò con visione rinnovata
e lei se lo fece scivolare addosso, come se la questione fosse conclusa. Non
c’era nulla da rivangare. «Dov’è il terzo?» chiese allora la lupa mannara mentre
si guardava intorno e percependo la mancanza di un tassello. Derek tergiversò
ancora qualche attimo prima di decidere di filarsela per poter quantomeno
posare la spesa effettuata prima di andare a prendere Cora e lo sceriffo
all’aeroporto.
L’umano rimasto riservò un occhio di
riguardo verso il marito, sapeva che in un certo modo fosse scosso, ma quei due
erano degli autentici Hale ed erano programmati per essere frigidi e lontano
dal parlarsi con il cuore in mano. «Scott l’ha sequestrato» disse semplicemente
sorridendo bonariamente, perché non si aspettava niente di buono da quella
accoppiata. Scott, accompagnato da Malia, li avevano raggiunti la sera
precedente, collocandosi nella dépendance e procedendo molto a tentoni con le
piccole creature che non avevano mai incontrato prima di allora. Era stata una
serata molto movimentata e un’ottima anteprima di ciò che sarebbe accaduto il
giorno dopo, nel lungo e fortuito weekend del Ringraziamento.
Cora annuì a nulla di particolare,
posando gli occhi sul cerchietto dorato che adornava l’anulare sinistro di Stiles,
gemello a quello che suo fratello indossava e con cui si era presentato
all’aera riservata agli arrivi già in compagnia di Noah Stilinski; aveva
assistito in prima persona quando quei due scellerati se li erano scambiati in
un giorno di piena estate soltanto un anno prima, con tanto di promesse al
seguito non necessarie alla cerimonia di stato e lei a far da testimone a Derek.
Sentiva su entrambi cinque odori miscelati perfettamente. «Tre bambini, eh»
sottolineo con peculiarità la follia, ma era davvero stupita da quello che
Stiles e Derek erano riusciti a fare da quando erano diventati da ben undici
anni una coppia ufficiale. «Hai incastrato per bene mio fratello» fu in quel
momento che Derek ritornò nel soggiorno in un pessimo tempismo.
Stiles sbuffò, non sentendosi
colpevole affatto dell’accusa che gli veniva mossa. «Non ho incastrato proprio
nessuno».
«Oh, andiamo, sappiamo benissimo che
Derek non ti negherebbe niente» lo provocò con audacia la cognata,
strizzandogli un occhio giocoso. «Farebbe di tutto per te».
Stiles posò uno sguardo eloquente sul
marito e il mannaro si limitò a scuotere le spalle. «È vero».
L’umano lanciò una mala occhiata ad
entrambi gli Hale. «Sono sempre io il cattivo della storia?».
«Sì» risposero all’unisono i fratelli
e Stiles roteò gli occhi molto e troppo esasperatamente.
«Voi Hale siete davvero estenuanti ed
insopportabili» abbaiò piccato il detective, profondamente colpito a tradimento
dal suo consorte che si stava burlando di lui in buona compagnia della
consanguinea. Era un bene che suo padre non fosse lì, avrebbe dato loro man
forte.
Cora scoppiò a ridere con autentico
divertimento fragoroso e sardonico. «È proprio per questo che ne hai sposato
uno».
«Stiles» soffiò pacifico Derek, agguantandolo
per un avambraccio e tirandolo verso di sé, tenendolo ben stretto. «Amo la mia
vita con te».
Le iridi di miele brillarono di
meraviglia e tutto il risentimento per quella leggera burla verso la propria
persona evaporò, la fronte che si abbandonava con leggerezza su quella del mutaforma. «La amo anch’io».
Derek gli depositò un tiepido bacio
sotto l’occhio, lambendogli sopraffino il setto nasale con la punta del suo.
«Credo proprio che andrò a cercare il
mio angolino nella dépendance» dichiarò Cora a nessuno in particolare,
piuttosto certa che non fosse udita dai due padroni di casa, ma per quanto li
amasse entrambi non aveva voglia di vederli amoreggiare in ogni momento della
giornata per quanto fossero una gioia per il cuore. Lo facevano già negli anni
passati, quando lei era ritornata da Derek, in modo passivo-aggressivo e molto
testardi; nel momento in cui aveva saputo che avevano finalmente abbassato le
armi e che avevano ufficializzato il loro stare insieme, avrebbe tanto voluto
sparare giochi d’artificio nel cielo di tutto il globo. La vetta massima della
sua felicità per l’anima tormentata del suo caro e unico fratello arrivò quando
annunciarono la loro intenzione di convogliare a nozze ed impegnarsi per
allargare la famiglia; tutto si sarebbe aspetta, ma mai che avrebbero portato
sotto il loro tetto in un’unica volta tre piccoli lupetti. Quelli erano i
grandi eventi che erano in grado soltanto loro di far nascere e funzionare
perfettamente.
«Perché c’è una batteria nella
dépendance?» chiese la voce forte e confusa di Malia che tratteneva da qualche
tempo, ma che per una serie di ragioni aveva scartato in una parte periferica
della sua mente, entrando dalla vetrata della cucina e penetrando nelle stanze
del piano inferiore.
Stiles e Derek ridacchiarono e
sorrisero, sospirando un po’ e Cora si chiese se ci fosse davvero un posto per
lei in quella casa enorme con ogni centimetro quadrato assegnato, finché non
scoprì che i suoi oggetti personali furono sistemati nella camera di Erick, occasionalmente datale in prestito.
Arrivata la sera quel branco mal
assortito era piuttosto su di giri e lo sceriffo preferì allontanarsi dal
clamore che creavano con piccola Laura che gli dormiva beatamente tra le
braccia, stretta nella sua presa mentre proseguiva per la scalinata, stando
attendo a non farla scivolare e di non provocare una caduta per entrambi,
atterrando sul corridoio indegne che conduceva alla sua stanza e proseguendo
verso la porta socchiusa. Stiles uscì dalla propria camera da letto proprio in
quell’istante. «Papà, aspetta, ti aiuto».
«No, ce la faccio» Noah interruppe la
corsa di suo figlio che si precipitava da loro, gli arti superiori già
lievemente spalancati per prendere la lupacchiotta con sé.
Stiles si immobilizzò all’istante, fissando
l’intenzione del padre a non cedere, tenendo saldamente la fanciulla che
continuava a dormire imperterrita persa nei suoi sogni dorati. Era ancora un
uomo perfettamente in grado e in forze da poter mettere a letto una bambina
personalmente senza alcuna fatica, anche arrampicandosi per una rampa di scale
con tutto il suo dolce peso. Stiles non rettificò per nulla la propensione a
volersi godere qualche attimo di più quell’esserino timido che aveva
conquistato facilmente, spalancandogli la porta e conducendolo all’interno,
dirigendosi verso il letto di Laura, accanto alla finestra, e scostando le
lenzuola per facilitarlo nell’impresa.
Lo sceriffo lo seguì senza alcun
problema, adagiando la bella addormentata sul materasso e rimboccandola
accuratamente con le coperte, scostandole dal viso i lunghi fili color del
grano. «È crollata subito».
«Sì» Stiles sorrise ampiamente, il
dorso di alcune dita che le accarezzavano l’attaccatura dei capelli. «È stata
una giornata impegnativa per lei» d’altronde c’era da aspettarselo, le emozioni
e l’adrenalina in quella casa erano state numerose e perduranti; di ospiti
raramente erano stati rallegrati in quei otto mesi e mai talmente numerosi, ma
in quell’occasione di festa una piccola folla si era radunata tra quelle mura,
facce che non avevano incontrato in nessuna occasione e che attivavano la
timidezza che primeggiava sulla figlia di mezzo, triplicando le sue energie per
riuscire a gestirsi e integrassi. Né Stiles né Derek avevano abbassato la
guardia con lei in tutte quelle ore, ma Corine
riusciva a trascinarla abbastanza con sé e suo padre sembrava sapere
perfettamente come prenderla, con lui si era trovata a suo agio quasi subito,
ma con gli altri aveva faticato parecchio.
«Sono delle bambine dolcissime»
osservò Noah, riferendosi ad entrambe le creaturine che gli avevano riempito
l’intera giornata e, in qualche modo, facendogliene quasi lode, come se fosse
merito suo, ma non era nemmeno propriamente veritiero.
Stiles si chinò appena su di lei,
regalandole un bacio pieno di tenerezza su una tempia. «Sono le mie meraviglie,
è difficile separarsi da loro» tuttavia dovevano farlo. Sistemò alla meno
peggio le lenzuola e si premurò di abbassare le veneziane in modo che nel
mattino successivo, le sarebbe entrata meno luce possibile. Invitò anche suo
padre ad uscire dalla stanza.
«Non dovresti metterle il pigiama?»
gli fece notare lo sceriffo un attimo prima che la porta si chiudesse dietro le
loro schiene.
«No, la sveglierei» non era
decisamente un compito che in genere gli spettava, aveva fallito tutte le volte
in cui aveva provato.
Dei passi felpati si distinsero
impercettibilmente e una figura alta ed avvolta dall’ombra proseguiva verso di
loro dall’ultimo gradino, piccole braccine che gli circondavano il collo e una
testolina sonnecchiante adagiata sul bordo dell’incavo di una spalla. «C’è una
riunione di bambine addormentate?» chiese Derek un attimo prima che la maniglia
serrasse la porta della camera delle sue figlie, facendo ben intendere
l’esistenza dell’assembramento sul corridoio, accompagnato dai bisbigli che
aveva percepito nei pochi attimi precedenti.
«Sembra proprio di sì» sussurrò
Stiles, uno schiocco pieno di affetto che adagiò su un pugnetto chiuso della
cucciola, sorridendole intenerito dalle sue ciglia sfarfallanti e al pigolio papa
con cui lo salutò. Voleva strapazzarla di coccole. «Ho il sospetto che anche Erick le affiancherà molto presto» la testa cigolante
l’aveva ampiamente notata, poggiata sulla sedia ad ascoltare assetata di sapere
tutti i racconti che il branco dei suoi genitori snocciolava tranquillamente,
così come gli occhietti che si aprivano e chiudevano in continuazione; stava
dando il meglio di sé per non crollare e perdersi l’esperienza di essere
circondato da quell’innumerevole quantità di creature sovrannaturali
variegate.
Derek si limitò ad annuire con il
colpo secco del capo e l’evidenza di avergli voluto concedere altro tempo prima
di sottrarlo e metterlo a letto sotto le sue probabili proteste. «Che ne dici,
principessa, ci mettiamo il pigiama?» domandò retoricamente il lupo mannaro,
cullandola dolcemente e mormorandole ad un orecchio senza svegliarla più di
quanto non fosse già.
«Papà, sì» borbottò appena con il
sonno che ne faceva da padrone, insinuandosi sotto le palpebre che volevano
serrarsi una volta per tutte, aumentando la stretta sull’uomo che l’ancorava
con accuratezza a sé.
«Anche Laura dovrebbe essere cambiata»
gli fece presente il consorte, aprendogli la porta per facilitare la sua
entrata e rendergli quel compito più semplice, non prima di aver rubato un
altro piccolo bacio a Corine.
«Me ne occuperò» lo rassicurò il
licantropo, inabissandosi dentro la camera delle bambine e avviandosi verso il
letto occupato dalla lupacchiotta abbandonata nel regno di Morfeo.
Lo sceriffo guardò in modo esplicito
suo figlio, la chiara domanda che lampeggiava nei suoi occhi azzurri, la sua
osservazione precedente che era stata stroncata e Stiles non faticò a
comprenderla. «Derek è la persona più scontrosa che conosca, ma anche quella
con il tocco più delicato, non la sveglierà mai» di quegli episodi ne avevano
vissuti parecchi in quegli eterni ed anche velocissimi otto mesi. Stiles per
primo l’aveva sperimentato sulla propria pelle per tutti gli anni in relazione
con il mutaforma. Era un aspetto di cui tutti dovevano
cominciare a fidarsi.
«No, con Erick»
protestò la piccola e testarda lupetta, tirandolo per la maglia come se potesse
fermarlo e guidarlo nella direzione opposta.
«Va bene, ma basta capricci,
signorinella» la accontentò il grande lupo cattivo, rabbonendola allo stesso
tempo, adagiandola lentamente sul suo letto d’appartenenza, le lenzuola vuote che
raffiguravano una quantità notevole di volpi in diverse pose contraddistinte da
pennellate che ricordavano gli acquarelli, e cominciando a spogliarla in modo
aggraziato, rivestendola alla velocità della luce. «Vuoi la tua volpe?» gli
domandò quando ebbe finito, incitandola a coricarsi sulle coperte scostate.
«Sì» gracchiò entusiasta Corine e allo stesso tempo con tono imperiale, come se non
avesse nemmeno dovuto chiederle una cosa simile.
Derek la rintracciò immediatamente
con la sua vista notturna e la cucciola strinse con tutta se
stessa il suo peluche preferito, coricandosi sotto le lenzuola che il suo papà
le rimboccò con meticolosità. «Facciamo in modo di non svegliare tua sorella».
Corine ridacchiò ovattata dal cotone spesso, il viso affondato nella testolina
della volpe di pelo finto, riuscendo a strappare all’essere più brontolone del
pianeta un bacio che le adagiò sulla chioma dorata, accompagnato da un buonanotte stracolmo di calore solo per lei.
Stiles socchiuse la porta un attimo
dopo che il marito raggiunse il letto della lupacchiotta che ronfava
bellamente, per nulla disturbata dalle nuove figure che avevano invaso il suo
spazio di tranquillità. Aveva il cuore in subbuglio ogni volta che poteva
osservare Derek interagire in modo divino e quotidiano con le loro preziose
creaturine. «È bello vederlo così amato e contraccambiare quell’amore» era
un autentico toccasana, lo espresse per la prima volta ad alta voce, la
verità che poteva finalmente condividere con qualcuno di esterno a loro,
l’autenticità che l’universo aveva ancora qualcosa di buono da offrire
all’anima più dannata che avesse incontrato nella sua strada trafelata.
Lo sceriffo l’aveva testimoniato
eccome in quella lunghissima giornata, l’aveva già fatto quando Derek e Stiles
avevano dato inizio alla loro vita di coppia undici anni prima, ne era stato
certo molto prima che ufficializzassero il tutto con il matrimonio ed era
categorico ad un anno da quel giorno mentre si occupavano con l’immenso affetto
che possedevano e che volevano donare a quei tre lupetti. L’amore in quella
casa trasbordava da ogni impercettibile fessura ed era qualcosa di innegabile. «Le
piacciono le volpi?» chiese dopo che assistette in silenzio a tutta quella
scenetta incorniciata dal telaio della porta.
«Oh, sì» enfatizzò suo figlio, un
leggero cipiglio non identificabile che prendeva forma in lui; probabilmente
era rassegnazione per qualcosa che a Stiles proprio sfuggiva, non
raccapezzandosene. «Per questo ad Halloween si è voluta travestire da
volpacchiotta, era davvero adorabile, me la sarei mangiata» rise al ricordo, le
foto che custodiva gelosamente ancora nello smartphone e che aveva tutta
l’intenzione di far sviluppare su pellicola, insieme a tante altre. «Laura
invece è una gran furbacchiona, è andata in giro tutto il giorno con il vestito
da cappuccetto rosso; peccato che Derek non abbia accettato di accompagnarla in
versione lupo, sarebbe stato esilarante ed eclatante» l’avrebbe adorato alla follia,
sarebbe stato il suo momento preferito nella storia, ma Derek non si era
guadagnato il titolo di lupo acido per niente.
«Ed Erick?»
chiese il tutore della legge di Beacon Hills sollecitato dalla mancanza della
sua menzione in merito. Alcune foto Stiles gliele aveva mandate in
fibrillazione, cuori e stelle allegati a manifestare il suo entusiasmo. Lo
sceriffo si era ritrovato a salvarne una in cui figuravano in posa perfetta le
due bambine mascherate insieme a suo figlio, con una tunica annessa ad un
grande cappuccio a simulare un maestro Jedi, come sfondo principale del
cellulare – chi sono? gli era stato chiesto da uno dei colleghi di lunga
data quando aveva notato l’immagine illuminarsi. Le mie nipotine, aveva
risposto con fierezza e un languore caldo che l’aveva attraversato da parte a
parte.
Stiles sospirò lievemente, i passi
che scendevano la scalinata con calma. «È voluto rimanere con Derek a casa» non
ne aveva affatto voluto sapere di agghindarsi con qualche costume o una
maschera poco vistosa, aveva preferito passare tutto il pomeriggio seduto
scompostamente sul divano a guardare i suoi lungometraggi animati favoriti e
film sui supereroi pieni di speranza – Stiles si era dovuto rassegnare
malamente alla consapevolezza che i suoi tre preziosi bambini avessero un
debole per la coloratissima Marvel e disdegnassero la tetra ed oscura DC; era
stato un duro colpo da incassare –, con la testa rasserenata abbandonata sulla
spalla del suo papà lupo e sgranocchiando popcorn salati e caldi preparati al
momento. Nessuno dei due adulti avevano protestato alla sua mancata voglia di
partecipazione, c’erano ancora molte cose che apparivano ostiche agli occhi di Erick.
Il padrone di casa si abbandonò
esausto su uno dei divani del salone, preferendo concedersi ancora qualche
minuto prima di raggiungere gli ospiti ancora accomodati sul patio insieme al
suo bambino, le temperature notturne che precipitavano, ma gli unici a
risentire del freddo erano i due Stilinski, circondati da creature sovrumane
che emanavano un calore corporeo decisamente elevato e ben tre di loro potevano
farsi spuntare addosso una comoda e confortevole pelliccia in qualsiasi
occasione.
Noah si accomodò ad un cuscino di
distanza da suo figlio, scrutandolo attentamente e prendendosi più tempo di quanto
fosse necessario. «La pensione si sta avvicinando».
La bomba arrivò dritta dritta su Stiles, prendendolo in pieno e strappandolo
totalmente dalla quiete momentanea a cui si era abbandonato. «Stai già pensando
a quanto ti annoierai?» era consapevole che il pensionamento fosse dietro
l’angolo, che la vita da sceriffo di Beacon Hills stava giungendo al termine,
ma con tutto quello che aveva passato ed affrontato, quella ricompensa gli
spettava di diritto.
«Sto pensando di trasferirmi» proclamò
senza peli sulla lingua, ma dritto al punto. «Qui».
Stiles sgranò gli occhi e le orecchie
stentarono a credere a ciò che avevano udito. «Qui?» poi un sospetto gli
pizzicò la materia grigia. «Perché? Pensi che non ce la stiamo cavando?».
«Affatto» dissentì immediatamente la
massima autorità della loro città natale, scacciando quella pessima idea che
stava stuzzicando la mente distruttiva di suo figlio. «State andando
benissimo».
Stiles lo guardò a lungo con un
interrogativo ben stampato sul volto, la testa leggermente inclinata a tentare
di trovare una prospettiva diversa che potesse illuminarlo sulla questione.
«Allora perché?».
«Non tornerai più a Beacon Hills»
disse privo di giri di parole, letale.
«Certo che tornerò, ho i miei amici
lì, il mio branco e ho te» il neo genitore stava avendo dei seri problemi a
decriptare i messaggi che il padre gli stava lanciando.
«Non è la stessa cosa, tornerai un
paio di volte all’anno» aveva sempre cercato di non fargli pesare quanto la
distanza tra loro fosse enorme e si sentisse separato da lui, in quegli anni
avevano tentato di organizzarsi al meglio delle loro possibilità, ma le cose
erano cambiate nell’ultimo ed i piani d’incontro non più facilmente
realizzabili. «Vorrei essere presente nella tua vita, nella vita dei miei
nipoti».
L’apparato uditivo smise di
funzionare quando la parola nipoti prese suono, era decisamente la prima
volta che la mettevano su quel piano, com’era stato quando la parola figli
gli era sfuggita con Derek, ma non poteva ignorare che le sue meravigliose
creature rappresentassero esattamente quello. «E la casa? I tuoi amici, papà?
La tua vita è lì».
«Non c’è nulla che mi trattenga a
Beacon Hills» tutto quello che gli era rimasto era il lavoro ed i colleghi, ma
a breve avrebbe raggiunto l’età per riscattare la sua pensione ed era
nettamente difficile che i colleghi si frequentassero al di fuori dell’ambiente
lavorativo; forse i primi tempi sarebbe andata bene, ma poi non sarebbe rimasto
nulla e il suo cuore avrebbe reclamato quella parte di sé da cui era stato
reciso. «E la casa non sarà un problema, posso affittarla o vederla» era un
aspetto che non aveva affrontato completamente, ma era sicuro di non volerla
tenere chiusa e disabitata a prendere polvere. In passato aveva creduto che
Stiles l’avrebbe ereditata per viverci con chiunque volesse; anche se aveva
messo in conto che un giorno avrebbe potuto lasciare la città per vivere in
un’altra, non aveva calcolato che avrebbe trovato il suo futuro da tutt’altra
parte, senza alcun segnale che sarebbe tornato a Beacon Hills, meno che meno
aveva ipotizzato che quella vita l’avrebbe condivisa con Derek Hale. «La mia
famiglia è qui».
Stiles fu investito da un tumulto
all’altezza del cuore che gli paralizzò l’afflusso dell’ossigeno. «Certo che è
qui. Mi piacerebbe moltissimo averti con noi».
«Bene» proferì Noah compiaciuto,
rilassandosi sullo schienale e pronto per sganciare qualcosa di nuovo. «Ho già
cominciato a cercare degli appartamenti in zona».
«Cosa?» lo sconcerto nell’agente
dell’FBI fu non trascendibile, come la sua opposizione. «C’è la dépendance a
tua disposizione, puoi trasferirti lì».
«Non andrò a vivere con mio figlio e
suo marito, mantenete la vostra indipendenza» era decisamente l’ultima cosa che
voleva, anche lui voleva mantenere la sua autonomia, ma voleva comunque essere
facilmente rintracciabile e raggiungibile.
«Okay, sì» probabilmente era stato
troppo precipitoso, ma tutta quella storia lo stava prendendo completamente
alla sprovvista. Non aveva mai riflettuto sull’idea che la famiglia che stava
costruendo con Derek e suo padre potessero coabitare nello stesso stato,
figurarsi nella stessa città, ma evidentemente aveva ignorato i desideri
dell’unica figura genitoriale che gli era rimasta e che l’aveva cresciuto con
le sue sole forze. «Almeno fatti aiutare da Derek, è il suo campo».
«Derek me lo comprerebbe un
appartamento» adorava il nato lupo e come rendeva felice suo figlio, ma c’erano
dei limiti che non andavano proprio superati tra suocero e genero. «Non fa
parte dei miei piani» tra l’altro voleva soltanto affittarne uno, non sapeva
proprio cosa farci con una casa di proprietà giunto a quel capitolo della sua
storia.
«Ah» la risata di Stiles uscì
irrefrenabile, la sua mente stava già dipingendo uno scenario che l’avrebbe
divertito fino all’inverosimile. «Mi dispiace dichiararti già perdente per la battaglia
che ti attenderà».
Noah Stilinski si risentì e pentì
allo stesso tempo; la mossa migliore sarebbe stata procedere con il suo
trasloco senza informare nessuno dei fatti e presentarsi davanti l’ingresso
principale all’improvviso, un emozionantissimo e scioccante momento di sorpresa.
«A chi dovrei comprare un
appartamento?» domandò un Derek leggermente appesantito dalla stanchezza, la
confusione che si dipingeva a chiare lettere sul volto accigliato e la
scalinata che veniva abbandonata dietro le spalle larghe.
Un’altra risata piena prese vita da
Stiles e scattò in piedi, stiracchiando le giunture e le ossa che avevano
bisogno di vitalizzarsi, dirigendosi verso la figura del consorte con le
sopracciglia aggrottate e rubandogli un bacio a tradimento con il diletto sulle
labbra. «Ti aspetta una conversazione molto interessante, vado a recuperare il
lupetto del mio cuore» gli stampò un altro schiocco di completa comprensione,
dirigendosi verso l’esterno della casa per prelevare il giovane Erick che andava riconsegnato tra le braccia della divinità
greca dei sogni e soprattutto tra quelle della sua sorellina minore che lo
reclamava con tanto ardore tra le lenzuola stracolme di volpi rosse
acquarellate. «Trovate un accordo, ragionevole».
Derek diresse l’espressione interrogativa
ed eloquente al suocero e lo sceriffo si preparò a prendere quanta più aria
possibile all’interno dei polmoni per affrontare la questione, senza che quella
volpe doppiogiochista sotto mentite sfoglie del suo unico figlio facesse da
arbitro.
«Lupetto, ti vedo riflessivo, che
succede?» chiese Stiles il giorno successivo, alcune ore dopo il pranzo carico
di portate che avevano consumato, trovandolo in cucina da solo seduto su uno
degli sgabelli a guardare dalla vetrata il gruppetto formato dai loro ospiti a
parlucchiare tra loro, accomodati ad un lungo tavolo da esterno sistemato in
giardino, sotto vari piccoli alberi a dare frescura e riparati dall’ombra della
villa, poco lontano dal patio.
Erick posò gli zaffiri su di lui per poi spostarli nuovamente dov’erano prima,
le orecchie rizzate ad ascoltare la tavolata, le parole che quegli sconosciuti
si scambiavano, era indeciso se porgere la domanda che era evidente lo
pungolasse da qualche tempo. «Papà è loro amico?».
Stiles nel momento iniziale apparve
perplesso, non comprendendo appieno quell’indagine, ma poi le iridi ambrate si
spostarono verso l’attenzione che richiamava il bambino, il lupo nero che
sedeva tra Lydia e Scott, il posto destinato a Stiles vuoto, poco più in là suo
padre si intratteneva con le lupacchiotte davanti allo stagno, rallegrandole
senza alcuno sforzo; perfino con Erick era riuscito
nell’intento di conquistarlo subito, quando si era presentato a lui aveva visto
una forma di rispetto prendere vita nelle sue gemme acquatiche verso quell’uomo
che aveva cresciuto il suo papa, che non sapeva propriamente spiegarsi.
«Difficile da identificare, a tuo padre non piacciono le etichette, ma posso
dirti che è sempre accorso e accorerebbe in caso di aiuto per tutti loro».
Erick rimuginò ancora, non comprendendo totalmente ciò che Stiles volesse dire.
«Non sembra a suo agio, ecco» l’unica persona che seguo è Stiles erano
state le parole di Derek, avevano una qualche correlazione?
Stiles sorrise leggermente
instupidito e molto commosso dalla capacità d’osservazione del suo bambino.
Derek poteva apparire rilassato e disinteressato, ma c’era sempre un po’ di
rigidità nelle sue spalle, qualcosa di impercettibile per qualcuno poco
allenato, qualcuno che non lo conosceva come invece sapevano fare loro. «Sai
che è poco socievole, è un musone brontolone» proprio come te. «È stato
solo per tanto tempo, preferisce rimanere per conto proprio, è semplicemente il
suo modo di fare».
«Ma adesso non è più solo, papa»
proferì Erick con fermezza, quasi avesse timore di
essere stato escluso dalla cerchia privata dell’uomo che identificava come uno
dei suoi padri. «Ci siamo noi».
«Amore, lo so benissimo» disse Stiles
con morbidezza e affabilità, scompigliandogli con trasporto la chioma bionda.
«E lo sa anche lui».
Il bambino lo guardò un po’ dubbioso
e con una leggera ansia che gli intricava i tratti facciali, continuando a osservare
oltre il patio, su quel tavolo a cui erano accomodati momentaneamente soltanto
gli adulti. Non appariva per niente tranquillo.
«Non sei convinto» osservò l’umano
con moderazione, la percezione aperta del tutto dedicata alle preoccupazioni
del lupetto.
«Non lo so» fu tutto ciò che Erick riuscì ad articolare, la perplessità confusa che non
riusciva ad indirizzare in nessuna forma, a darle un corpo, qualcosa di
facilmente comprensibile.
A Stiles, al contrario, appariva
chiaro come il sole. «Vuoi combattere per il tuo papà».
Le iridi dell’oceano divennero
enormi, le pupille si dilatarono e una consapevolezza, mista ad un’epifania concreta,
presero vigore, divenendo tutto improvvisamente e spaventosamente limpido.
Stiles gli rispose con un sorriso moderato e comprensivo, sapeva fin troppo
bene cosa si provasse, quanto assiduamente si era battuto per dimostrare e manifestare
l’immenso amore che provava per Derek, di fargli comprendere che non se ne
sarebbe andato e che non l’avrebbe abbandonato per nessuna ragione al mondo. Il
licantropo in numerose occasioni ne era fuggito, non credendoci affatto e
ferendo ripetutamente il figlio dello sceriffo con le sue scelte, con la sua
miscredenza, acchiapparlo e documentargli la verità non era stato minimamente
facile; dubitava che Erick avrebbe mai dovuto
affrontare quel calvario, ma era importante ed abbagliante notare quanto fosse vitale
per quella piccola creatura bersagliata dalla sfortuna e dal dolore, voler
dimostrare quanto tenesse fermamente a quel lupo nero intricato di sofferenze
affini.
Derek varcò l’entrata dalla vetrata
soleggiata pochi attimi dopo, seguito allegramente dalle lupacchiotte che gli
volteggiavano attorno in una danza, non perdendolo di vista nemmeno un momento,
allontanandosi dallo sceriffo di Beacon Hills che si era accomodato al fianco
di Liam, prendendo fiato da quelle bestioline ricche di energie; supponeva che il mutaforma fosse rientrato per ricaricarsi di bevande e
stuzzichini, come se non avessero passato buona parte della giornata a
rifocillarsi.
«Papà» lo chiamò il lupetto in un
momento dal suo ingresso nella cucina, dopo che ebbe preso una sorta di coraggio
e decisione.
Derek posò sul bancone di marmo
chiaro alcune delle bottiglie e dei vassoi vuoti che si era riportato indietro,
sciacquandosi brevemente le mani nel lavabo al lato del piano cottura. «Ehy, ometto».
Un groppo in gola si formò in Erick quando il padre si girò verso la sua direzione, gli
occhi verdi attenti a tutte le sue esigenze e richieste, mentre teneva a freno Corine che voleva uno dei suoi biscotti preferiti
conservati nella credenza nei piani superiori, tirando e stropicciando un lembo
dei suoi jeans. Laura, invece, si lasciava vezzeggiare dalle attenzioni di
Stiles, avvolta da un avambraccio che le massaggiava un fianco; era
estremamente felice immersa in tutto quel calore d’amore, le guance arrossate e
il tiepido sorriso sulle labbra rosee ed Erick voleva
versare il suo.
Si avvicinò all’uomo che gli aveva
insegnato e contribuito a renderlo un lupo ed una persona migliore, il coraggio
e la determinazione che gli scorreva nelle vene, allungando le braccia e
stringendole attorno alla vita, aderendo completamente a lui. «Ti voglio bene,
papà».
Derek posò prima le iridi boscose
spiazzate sul bambino, che mai aveva menzionato quelle parole, e poi le
indirizzò su Stiles che gli concesse una delle sue espressioni sapute, con le
bambine che reagirono allo stupore della scena in egual misura, correndo per
manifestare lo stesso sentimento e anche un abbraccio gemello, Laura incitata
ad abbandonare combattuta la sua postazione da una pacca e un sussurro di
comprensione da parte dell’umano. «Anch’io, anch’io, papà, ti voglio bene» fu
il coro che diedero vita in simultanea, aggrappandosi al grande lupo cattivo
senza permettergli alcuna via di scampo.
«Cos’è successo?» domandò Derek al
marito con confusione, non comprendendo bene da cosa fosse scaturita
quell’improvvisa dimostrazione bisognosa d’affetto, tentando arrancando di
ricambiare quella tripletta d’abbracci.
Stiles gli regalò una curva delle
labbra lungimirante, lo scintillio giocoso e di conoscenza che gli animava le
perle d’ambrosia. «Hai trovato il tuo posto nel mondo».
Le pupille nere di Derek si
dilatarono e rimpicciolirono stuzzicate da quella rivelazione inaspettata,
automaticamente calamitate sui pargoletti che si tenevano ancorati al suo
corpo, investendolo con tutto l’amore di cui erano pregni. Lo scompenso era
enorme per quel cuore martoriato da ogni cataclisma che si era abbattuta su di
sé. «Vi voglio bene anch’io».
La presa fu aumentata da entrambe le
parti e per un lunghissimo momento eterno, tra quelle mura casalinghe esisteva
soltanto quel quartetto con un unico testimone orgoglioso di loro,
successivamente Erick si staccò placidamente,
un’arruffata tra i fili dorati che l’accompagnava, mentre Corine
veniva presa in braccio e Laura intensificava la sua stretta, con la missione
del lupetto di estendere l’identico abbraccio d’affetto che si chiuse intorno a
Stiles una volta che l’ebbe raggiunto, spiazzandolo sul colpo. «Papa, voglio
combattere anche per te. Ti voglio bene».
Le iridi d’ambrosia lo fissarono con
sconcerto, ricevendo segni d’assenso e sillabe affermative dalle cucciole che
rimavano aggrappate al mannaro dal manto inchiostrato, con una sfilza di sì.
Sentiva ogni sentimento ed emozione scaturiti dalle quattro persone che amava
di più nell’universo attraversarlo in ogni centimetro del suo essere,
lasciandolo privo di ossigeno e con il cuore traboccante di quell’amore
inestimabile, con la voce di Derek che si ramificava, rendo l’intera scena
ancora più reale. «Anche tu hai trovato il tuo posto nel mondo».
Questa
è proprio la fine.
Questa
è la storia di cinque persone che si sono trovate nel dolore e si sono amate
senza vincoli; alcune di loro hanno dovuto faticare maggiormente, ma hanno
raggiunto un traguardo impagabile. Possiamo solo sperare che il loro futuro sia
soltanto più radioso.
Vi
ringrazio per avermi e averci seguito fino a qui, per averla apprezzata e amata
insieme a me. Ringrazio chi si imbatterà in lei dopo oggi.
Antys