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Autore: Nana_13    10/11/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 23

 

Fine dei giochi


“Io capisco l’importanza del suo lavoro e che vivere sotto lo stesso tetto con Mark la faccia stare male, ma non può sparire così, senza dire una parola!” 

Juliet e Claire percorrevano a grandi passi la strada che portava alla tenda di Laurenne, dove contavano di trovare Rachel, come di consueto alle prese con la pozione. Era dalla sera della festa che non si faceva vedere e, sebbene all’inizio avessero concordato di lasciarle i suoi spazi nella speranza che prima o poi si sarebbe fatta viva, ora iniziavano a preoccuparsi. Per quanto fosse decisamente ubriaca, Juliet ricordava bene la delusione provata nell’apprendere che lei e Mark si erano lasciati. L’ultima cosa che avrebbe mai immaginato potesse succedere. Rachel si era rifiutata di parlarne, ma che fosse a pezzi era evidente e la sua fuga non aveva fatto altro che confermarlo. Nei giorni successivi si era informata sul suo stato tramite Laurenne, durante i turni in infermeria, ma la sciamana le aveva ripetuto sempre la solita solfa su quanto la pozione la tenesse impegnata, che aveva bisogno di tenerla sotto costante osservazione, eccetera, eccetera... In un primo momento se l’era anche fatto bastare, ma più passava il tempo e più l’ostinato isolamento di Rachel le faceva saltare i nervi! Da quando la conosceva, cioè da ben oltre metà della sua vita, non le era mai capitato di vederla reagire in quel modo di fronte alle difficoltà. Era semplicemente fuggita, allontanando tutti coloro che avrebbero potuto sostenerla e darle conforto. Un atteggiamento più tipico di Claire in realtà e che forse in circostanze diverse avrebbe cercato di comprendere, ma che ora faticava addirittura a giustificare, complice probabilmente il nervosismo causato dalla partenza di Dean.

“Calmati, sei troppo su di giri stamattina.” la rimbeccò Claire pacata. 

“Su di giri? Io? Ma se sto benissimo.” mentì, consapevole di non ingannare nessuno. La verità era che non ne andava dritta una negli ultimi tempi. Come se i problemi con Rachel e il pensiero dei suoi genitori prigionieri non bastassero, Dean se ne era andato all’alba, dopo averla svegliata per un saluto e un mezzo tentativo di infonderle sicurezza sulla sua incolumità senza farlo suonare come una promessa. 

-Non temere- le aveva sussurrato sulla soglia della tenda. –Ho un’ottima ragione per tornare vivo

Afferrato il senso delle sue parole, Juliet era riuscita giusto ad abbozzare un sorriso per nulla convinto mentre lasciava che le baciasse delicatamente il dorso della mano, per poi guardarlo allontanarsi intristita. Al momento l’ultima cosa che sentiva di poter sopportare era stargli lontana, ma non aveva scelta. Se solo fosse stata anche lei una guerriera, magari avrebbe potuto seguirlo e partecipare all’azione. Ma sapeva che la sua sarebbe rimasta una fantasia e che andare con lui era fuori discussione. Gli sarebbe stata solo d’intralcio.

L’amica arricciò le labbra, lanciandole un’occhiata scettica ma evitando di replicare. Al contrario suo, Claire aveva un aspetto decisamente sereno, quasi zen, cosa che andava avanti almeno dalla sera della festa. Incredibile come nel giro di poco tempo i ruoli si fossero ribaltati. 

“Tu invece? Ti trovo bene.” osservò allora, con una punta di malizia nella voce. “Per caso c’entra qualcuno il cui nome inizia per C?” Che il rapporto tra lei e Cedric si fosse evoluto non c’erano dubbi e in quei giorni Juliet aveva avuto modo di osservarli, intuendo da ogni gesto d’intesa e da ogni sguardo languido che si scambiavano che doveva essere successo qualcosa. Come sempre riservata su certe questioni, Claire l’aveva lasciata a bocca asciutta, ma lei era sicura di non sbagliarsi e moriva dalla voglia di conoscere i dettagli. 

Un sorriso sornione appena percepibile comparve sul volto dell’amica, segno che avesse colto l’allusione. “Non so di cosa parli.” tentò di glissare.

Faceva la preziosa, ma se pensava di cavarsela con così poco si sbagliava di grosso. “Non prendermi per fessa. Ho visto come vi guardate ultimamente, sembra sempre che stiate per saltarvi addosso. Perché non mi racconti tutto e la facciamo finita?” 

“Che vuoi che ti dica? Tanto hai già capito, no?”

Esasperata, a quel punto Juliet si arrese. “Va bene, tieniti i tuoi segreti.” sentenziò con finto disappunto. “E pensare che fino a pochi mesi fa non volevi saperne.” In realtà, provava sincera soddisfazione nel vederli finalmente insieme, felici e affiatati, ma allo stesso tempo nel profondo cercava di reprimere un pizzico di invidia. C’era un abisso tra la chimica che si percepiva tra loro due e quella che lei aveva con Dean, soprattutto di recente. Dal punto di vista sessuale poi… neanche a parlarne.

Claire allora ridacchiò, ignara delle sue elucubrazioni mentali. “Mesi fa non capivo un accidente.” concluse senza vergognarsi. 

Juliet sapeva già che per ora quello era il massimo che avrebbe ottenuto e comunque ormai erano arrivate a destinazione. 

“Okay, ci siamo.” disse Claire, fermandosi davanti all’entrata della tenda di Laurenne. “Mi raccomando, vacci piano. Già non si fa viva da giorni, se poi la aggredisci rischiamo che si chiuda a riccio e tanti cari saluti.”

“Hai ragione.” annuì, prima di fare un bel respiro di preparazione e seguire l’amica. 

Non appena entrarono, vennero assalite da una puzza acre, così forte da costringerle a coprirsi il naso. L’ambiente semibuio era avvolto da una fitta nebbia e solo quando i loro occhi si adattarono alla semioscurità, riuscirono a individuare Rachel. Era china sul suo grimorio, circondata da ogni tipo di boccette vuote, resti di erbe tritate e altri ammennicoli non ben definiti. Sbuffava e borbottava qualcosa, portandosi indietro i capelli arruffati e sfogliando le pagine in maniera frenetica, talmente concentrata da non notare la loro presenza.

“Ray?” Juliet dovette sventolarle una mano davanti agli occhi per far sì che si accorgesse di loro e, quando finalmente Rachel alzò gli occhi dal libro, le fissò come intontita. “Da quanto siete lì?”

Non aveva un bell’aspetto, era pallida, dimagrita e due cerchi viola si intravedevano da sotto le lenti degli occhiali, segno che non dormisse da giorni.

Juliet prese posto su uno sgabello. “Siamo appena arrivate... Tutto bene?” le domandò titubante, lanciando un’occhiata preoccupata prima a lei e poi al pentolone che borbottava nell'angolo. Claire aveva fatto lo stesso e avvicinandosi arricciò il naso. Era chiaro che la fonte di quell’odoraccio provenisse da lì e i suoi sensi più sviluppati glielo confermarono. Più che una pozione somigliava a un minestrone andato a male. “Io non sono certo un’esperta, ma sei sicura che debba puzzare così?” 

“No, non dovrebbe puzzare affatto e neanche avere quel colore!” esclamò Rachel esasperata, chiudendo in malo modo il grimorio e portandosi le mani sul viso.

Intuito quale fosse il suo stato d’animo, Juliet si scambiò una rapida occhiata con Claire, prima di alzarsi e avvicinarsi cauta all’amica. “Che ne dici se adesso usciamo e ci facciamo una passeggiata?” le propose con fare rasserenante.

Lei, però, non sembrava dello stesso avviso. “Vuoi scherzare?” esclamò, infatti, riemergendo all'improvviso dalle mani. “Prima di tornarsene a casa loro, alcuni capi tribù sono venuti a vedere a che punto fosse questa dannata pozione e quando ho detto che ci stavo ancora lavorando non l’hanno presa molto bene. Vogliono che la finisca il più presto possibile, non ho tempo di passeggiare!” Sottolineò, come se la sola idea fosse del tutto ridicola.

“Chi se ne frega dei capi tribù! Ray, guardati. Sei in uno stato pietoso, te la meriti una pausa.” affermò Claire con decisione per convincerla a desistere.

Juliet le si accodò per darle manforte. “Esatto. Devi riposare e mangiare qualcosa. Tutto questo stress non ti fa bene, soprattutto nel tuo stat…”

“Va bene!” capitolò alla fine Rachel, interrompendola prima che andasse troppo oltre. In quei giorni si era espressamente vietata di pensare anche al suo “stato” e non voleva farlo proprio ora. Aveva già fin troppi problemi. Buttò un’occhiata sconsolata alla sbobba verde che continuava a sobbollire nel pentolone e sospirò affranta. “Ma sì, una pausa posso anche concedermela. Tanto ormai questa roba è da buttare.” Con un gesto automatico delle dita spense le fiamme e seguì le altre fuori dalla tenda.

Era una bella mattinata di sole e tutta quella luce per poco non l’accecò, costringendola a schermarsi gli occhi. “Credo di essere rimasta lì dentro un po’ troppo, in effetti.” ammise, sorridendo alle amiche.

“Per questo siamo venute a salvarti.” scherzò Claire, tornando poi subito seria. “Davvero Ray, non starai esagerando? Guardati, sembri uno straccio.”

Rachel sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Ecco che si ricomincia…”

“Sono l’ultima persona che vorrebbe farti una predica, ma…”

“E allora non farlo.” la zittì glaciale. “Forse non ve ne rendete conto, ma non posso permettermi il lusso di riposare. Almeno finché non raggiungo un risultato a malapena decente. È già la seconda volta che mi tocca buttare tutto e sto finendo alcuni ingredienti. Quella non è roba che trovi al supermercato.” si sfogò, riavviandosi i capelli esasperata. Come facevano a non capire? Tutti contavano su di lei per quella pozione, come poteva pensare a dormire o mangiare quando l’esito della guerra dipendeva dalla riuscita o meno del compito assegnatole da Margaret?  “È un disastro. A volte penso che non ce la farò mai…” mormorò afflitta; poi le guardò con aria stanca, quasi implorante. “Perciò vi prego, sono già stressata di mio, non vi ci mettete anche voi.”

Juliet odiava vederla in quello stato. Sembrava il fantasma di sé stessa. “Non dire così. Siamo solo preoccupate per te. Non ti vediamo da giorni, poi veniamo qui e ti troviamo a pezzi.”

“A proposito. Hai deciso di trasferirti definitivamente da Laurenne poi?” indagò Claire, prendendola in contropiede.

Restia a rispondere, Rachel abbassò lo sguardo in imbarazzo. “Ho pensato fosse la soluzione migliore, dato che ero già quasi sempre qui per controllare la pozione. E poi con la storia di Mark…”

“Quindi è proprio finita tra voi?”

Lei sospirò, prima di annuire leggermente.

Juliet non riusciva ancora a capacitarsene. “Ma… perché? Non ci hai più detto niente.” 

“È stato un insieme di cose…” Non aveva molta voglia di mettersi a spiegare i motivi che l’avevano spinta a quella scelta, tutti troppo diversi e personali perché potessero comprenderli a pieno. “Possiamo parlare di altro, per favore? Sono stanca…”

“E no, ora basta!” Juliet cominciava a non sopportare più quel suo atteggiamento. “Tu adesso ci spieghi che cosa ti sta succedendo. Ci conosciamo da sempre, siamo cresciute insieme, eppure da qualche tempo ci tratti come delle estranee. Sfogati con noi, le amiche servono a questo, no?”

A quel punto, Rachel si irrigidì e smise di camminare, lo sguardo imbronciato. “Ne sei proprio sicura?” domandò poi tagliente.

“E questo che vorrebbe dire?” Claire si mise le mani sui fianchi, in attesa di spiegazioni.

Lei distolse lo sguardo con aria nervosa. La verità era che da quando aveva scoperto chi era davvero e quello che aveva dovuto fare la sua maestra per permetterle di trovarla, un tarlo le si era insinuato nella testa. Aveva provato a reprimerlo, ripetendosi che fosse insensato, ma più passava il tempo e più si faceva strada nel tunnel dei suoi pensieri. Avrebbe preferito continuare a passeggiare, piuttosto che affrontare anche quell’argomento, ma ormai il danno era fatto e c’era un solo modo per uscirne. Chissà, magari quel confronto le avrebbe chiarito le idee. 

“Non ricordi cosa ha detto Margaret, vero?” chiese a Juliet, che non smetteva di guardarla con aria sempre più confusa. “Lei ci ha manipolate!” gridò spazientita. “Se non avesse messo dentro di voi le anime delle sue sorelle, non saremmo mai state amiche. È stata tutta una finzione, una montatura sin dall’inizio.” Si girò verso Claire. “Perché credi che io e te non andassimo sempre d’accordo? Margaret ed Elizabeth non si sopportavano e l’unica capace di mettere pace tra loro era Cordelia. Non vi ricorda niente?”

In effetti, le affinità tra loro e le sorelle Danesti erano evidenti, ma Juliet non ci si era mai soffermata più di tanto. Si somigliavano, certo, ma questo non significava che fossero le stesse persone.

“Okay, ma… questo cosa c’entra? Noi non siamo loro.” Sentì domandare da Claire, che diede voce al suo ragionamento come se le avesse letto nel pensiero. “E poi sia Cordelia che Elizabeth non sono più dentro di noi, ma questo non ci impedisce di preoccuparci per te e considerarci tue amiche.”

Rachel scosse la testa spazientita. “Continuate a non capire… Noi non siamo mai state realmente amiche! Ho sempre pensato che fosse assurdo che due tipe come voi trovassero interessante una secchiona sfigata… come me. E adesso so il perché.” Abbassò gli occhi pieni di lacrime. Quello era forse uno dei suoi segreti più profondi. A causa delle sue insicurezze aveva iniziato a pensarlo già molti anni prima, ma non lo aveva mai detto per paura di sembrare paranoica e aveva assunto un’aria altezzosa come maschera dietro cui nascondersi. “Era tutto pilotato.” 

Sopraffatta dalla disperazione, si lasciò cadere a terra. Tutte le emozioni represse in quelle ultime settimane riaffiorarono all’improvviso, esplodendo in un pianto che non riuscì più a trattenere. Mai come in quel momento si era sentita così sola. Aveva perso tutte le sue certezze e, anche se le persone che amava di più erano proprio di fronte a lei, le sentiva lontane migliaia di chilometri.

Juliet era senza parole, quella confessione l’aveva spiazzata. Vedere quanto l’amica stesse soffrendo le procurava un dolore indescrivibile e anche i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma riuscì a bloccarle prima di seguirla a ruota. Con la coda dell’occhio notò lo stesso sguardo triste sul volto di Claire, che concesse a Rachel un momento per riprendersi; poi con passo sicuro le si avvicinò e piegandosi alla sua altezza le sollevò il viso, in modo che i loro occhi si incrociassero. “Okay, ti sei sfogata. Adesso però basta fare la vittima.” disse in tono deciso.

“Claire!” la rimproverò Juliet basita. Come poteva essere così insensibile?

Lei allora si voltò di scatto nella sua direzione. “È ora di piantarla, Juls! La Rachel che conosco da quando avevo sei anni, quella che non si è mai arresa con me, che mi faceva studiare finché i concetti non mi entravano in testa e mi rimetteva in riga quando facevo uno sbaglio, che mi ha sempre consolato, dandomi ottimi consigli che poi puntualmente non seguivo, e che ha persino preso a pugni una cheerleader solo per difendermi… Quella Rachel non si comporterebbe così.” concluse decisa.

Juliet iniziava a capire a che gioco stesse giocando e decise di darle corda. “Hai ragione, sai. La mia amica Rachel” iniziò, sottolineando con enfasi la parola con la “a”. “Non si piangerebbe addosso. Lei è una donna forte, sempre pronta a sostenerti nelle difficoltà e accettare di seguirti anche se ti impunti nel voler andare a uno stupido ballo che ti incasinerà la vita. Anche quando pensi che abbia una cotta per il ragazzo che ti piace, lei si farebbe da parte pur di vederti felice, perché non rinuncerebbe alla vostra amicizia per nulla al mondo. Ti rimarrebbe accanto, anche quando cambi personalità…”

“O se diventi un mostro.” aggiunse Claire, spostando l’attenzione di nuovo su Rachel, che nel frattempo aveva smesso di piangere e le guardava con stupore, realizzando quanto fosse stata stupida. Quelle non solo erano le sue amiche, erano le sorelle che non aveva mai avuto e si diede dell’idiota solo per aver dubitato di loro e del legame che le univa. 

Juliet accennò un sorriso. “Nessuno ti conosce meglio di noi, Ray. Pilotata o no, la nostra è un’amicizia vera, fattene una ragione.”

Era vero. Si era lasciata influenzare dalle sue paranoie e per poco non aveva rischiato di perdere le uniche persone su cui poteva sempre contare. “Io… Ragazze, mi dispiace tanto.” balbettò, tirando su col naso e asciugandosi le lacrime che erano scese di nuovo a rigarle il viso.

Intenerita, Claire l’aiutò a tirarsi in piedi. “Ora che abbiamo messo le cose in chiaro, la smetti di fare la nevrotica e ci racconti perché cavolo di motivo hai mollato Mark?”

Lei guardò i volti delle sue migliori amiche e scoppiò a ridere. Una risata liberatoria, vera e contagiosa, tanto che tutte si strinsero in un abbraccio e non ci fu bisogno di aggiungere altro.

-o-

 

In quello che ormai era un riflesso condizionato, Juliet scostò con due dita uno dei lembi della tenda e diede una rapida occhiata fuori, senza vedere nulla di diverso dal solito esattamente come due minuti prima. La calma era di nuovo scesa sull’accampamento da quando gran parte dei capi tribù con rispettivi seguiti l’avevano lasciato per tornare ognuno nella propria terra d’origine. Ora giravano solo persone comuni e di tanto in tanto i pochi guerrieri che non erano partiti per la Siria con il grosso degli uomini di Najat. -Già- pensò. –Quindi non vedo perché portarsi anche Dean- Si poneva la stessa domanda da giorni, prima di ricordare puntualmente a se stessa che l’aveva voluto lui. 

“È inutile, Juls. Non credo che torneranno prima di sera.” 

Claire rispose alla mossa di Samir senza alzare lo sguardo da quella specie di dama a cui stavano giocando, ma con la coda dell’occhio doveva averla vista sbirciare fuori.

“Cosa? No, lo so…” si affrettò a replicare, intuendo si riferisse a Rachel e Laurenne, che quella mattina stessa avevano lasciato il villaggio per recuperare un ingrediente che le serviva per la pozione. Una partenza improvvisa quanto inevitabile, a sentire Rachel. Ad ogni modo, la sciamana aveva assicurato che sarebbero rientrate al massimo per l’ora di cena, così lei e Claire si erano offerte di badare a Samir fino al suo ritorno. 

Notando la sua espressione assorta, Claire allora sembrò capire. “Ah, non sono Rachel e Laurenne a preoccuparti, giusto?” chiese in tono vago, apparentemente distratta dal gioco. 

Sul momento Juliet rimase interdetta. Poi, non sapendo cosa rispondere sospirò affranta, abbandonandosi su un cuscino nelle vicinanze. “Come l’hai capito?” La sua era più una domanda retorica.

“Perché ti conosco. Quando sei un fascio di nervi in genere il motivo può essere uno solo.” rispose l’amica, ridacchiando.

Juliet storse la bocca con disappunto. “Sono così prevedibile?” 

“Dipende. Se si tratta di chi so io, sì.”

“Beh senti, non è colpa mia.” ribatté seccata. “È lui che ha deciso di andare a fare l’eroe, malgrado non sia compito suo. Io non capisco, sembra che ci provi gusto a rischiare la vita.”

Claire alzò gli occhi al cielo, sospirando paziente. “Non pensi di esagerare? È un vampiro, Juls. Per quanto pericolosa possa essere la missione, la sua vita sarà sempre meno a rischio di quella di una persona qualunque.”

Aveva ragione, se ne rendeva conto, ma il fatto di saperlo più forte e resistente di un uomo normale non aveva impedito all’ansia di spingerla a controllare ogni cinque minuti nella speranza di vederlo comparire fuori dalla tenda. “Comunque stavolta voglio mantenere il punto. Sono stanca di essere sempre io quella accomodante.” sentenziò determinata.

Quando fu il suo turno di muovere la pedina, Claire si concesse un attimo per studiare la scacchiera, mentre Samir la fissava con una buffa espressione di sfida mista a concentrazione stampata in faccia. “Premesso che ti voglio bene e che sarò sempre dalla tua parte, posso essere del tutto sincera?” esordì, dopo aver fatto la sua mossa. 

Juliet annuì, pur avvertendo uno strano senso di inquietudine alla bocca dello stomaco. 

“Hai mai pensato che forse potrebbe essere la differenza di età a rendere complicato il vostro rapporto?”

“In che senso?” le chiese confusa, aggrottando la fronte. Tutto si sarebbe aspettata, fuorché un’osservazione del genere. 

Claire allora parve realizzare di averle posto la domanda un po’ troppo a bruciapelo, così lasciò perdere la scacchiera per un attimo e la guardò. “Non so, ho l’impressione che tu lo veda sempre come un nostro coetaneo, quando in realtà c’è un abisso tra noi e lui. Ormai, dopo centodieci anni, sarà abituato a prendere decisioni per conto suo e solo perché ora sta con te non puoi pretendere che cambi modo di pensare da un giorno all’altro, ti pare?” 

Il suo ragionamento non faceva una piega ed ebbe il potere di farle aprire gli occhi. Per la prima volta Juliet realizzò di aver sempre considerato Dean un ragazzo di diciannove anni, anche se certamente più maturo. Non era mai riuscita ad andare oltre il limite dell’apparenza e capire che i lati del suo carattere che più la infastidivano erano legati gioco forza agli anni che aveva sulle spalle. C’era un intero secolo a dividerli e lei non costituiva che una minuscola parte di quel periodo di tempo.

Mentre ci rifletteva, Claire dovette accorgersi di averla messa in crisi, perché la sua espressione si fece preoccupata. “Ecco, lo sapevo. Dovevo tenermelo per me.” 

Juliet allora si riscosse. “No, anzi. Hai fatto bene a dirmelo, invece.” si affrettò a rassicurarla. “Sai, mi rendo conto che a volte quando si tratta di lui perdo la capacità di ragionare. Perciò grazie se ogni tanto tu e Ray mi aiutate a recuperarla.” scherzò, cercando di nascondere la malinconia dietro a un sorriso. 

Ridacchiando divertita, Claire le fece capire che comprendeva, prima di assecondare le lamentele di Samir perché continuasse a giocare. A quel punto fece la sua mossa, ma con scarsa attenzione, giusto per accontentarlo. Ormai erano alla terza partita e quel gioco Jurhaysh sembrava non avere fine. “Figurati. Se non ci si aiuta tra n…” Non riuscì a finire la frase perché quasi nello stesso momento realizzò cosa fosse successo. “Oh no, hai vinto di nuovo!” 

Il bambino proruppe in un grido di giubilo, dando sfogo alla propria felicità.

“Bravo, Samir!” si complimentò Juliet con un largo sorriso. 

Claire annuì, fingendosi delusa. “Mi ha stracciato.”

Lui allora, forse sentendosi in colpa, frenò l’entusiasmo e le si avvicinò, circondandole il collo con le piccole braccia nel tentativo di confortarla. “La prossima volta vinci tu.” sentenziò e Juliet rimase così colpita dalla sua dolcezza che sentì stringersi il cuore. 

Per qualche istante si fermò a guardarli intenerita e in un primo momento non fece nemmeno caso allo strano trambusto che intanto fuori stava dilagando. Dapprima furono rumori appena percepibili, niente di diverso dal solito viavai di gente per l’accampamento; poi, però, il grido improvviso di una donna fece loro capire che qualcosa non andava e in meno di un attimo le grida si moltiplicarono, facendosi man mano sempre più vicine alla tenda di Laurenne, dove si trovavano con Samir. 

Lo sguardo disorientato di Juliet si posò d’istinto sull’amica, che ricambiò. Probabilmente entrambe si stavano ponendo la stessa domanda, ma nessuna ebbe il tempo di fiatare, perché un altro urlo di terrore troncò ogni intento di aprire bocca. Subito dopo un grido strozzato, quasi un lamento, seguito da un tonfo sordo. Sentendosi gelare il sangue nelle vene, la sua prima preoccupazione fu di avvicinare Samir e stringerlo a sé. “Ma che sta succedendo?”

Claire, però, non rispose e, alzatasi anche lei, la afferrò per le spalle, inchiodandola con un’espressione decisa. “Ascoltami bene. Ti devi nascondere.”

“Claire, io… non capisco…”

“Non c’è tempo per discutere, fa come ti ho detto. Nasconditi.” insistette, ignorando l’ennesimo grido di qualcuno che sembrava essere andato incontro a un destino orribile. 

Juliet invece trasalì nel sentirlo e la sua attenzione si concentrò tutta verso l’esterno della tenda, prima che l’amica la costringesse con uno strattone a darle di nuovo retta. 

“Juls!” 

A quel punto, tornò a guardarla. “I ragazzi!” realizzò all’improvviso, sgranando gli occhi. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma il pericolo riusciva ad avvertirlo a pelle. “Mark e Cedric sono là fuori, dobbiamo…”

“Ci penso io!” la interruppe Claire spazientita. “Vado io da loro. Tu trova un posto dove nasconderti e non uscire finché non sarà finita.” Detto ciò, le voltò le spalle e uscì dalla tenda senza neanche darle il tempo di protestare. 

L’aveva lasciata sola e in più con la responsabilità di proteggere Samir. Il panico la assalì. Non sapeva cosa fare, ma sentiva che se non si fosse sbrigata a trovare una soluzione presto avrebbero fatto una brutta fine. “Tranquillo…” disse al bambino con voce malferma. “Andrà tutto bene, ci sono io con te. Andrà tutto bene.” Lo ripeté quasi meccanicamente e facendo respiri profondi, forse più per convincere se stessa, anche se in realtà non ci credeva nemmeno lei.

 

Davanti agli occhi di Claire regnava il caos. L’accampamento era ormai ridotto a un grande campo di battaglia, dove i vampiri di Nickolaij imperversavano, aggredendo chiunque e mettendo a soqquadro qualsiasi cosa intralciasse il loro cammino, ostacolati soltanto dallo sparuto gruppetto di guerrieri che Najat aveva lasciato a difesa della sua gente. Una precauzione che in un’eventualità del genere si stava rivelando praticamente inutile. Il resto degli abitanti si componeva di umili mercanti, donne, bambini e anziani, del tutto impreparati ad affrontare quella forza distruttrice. Perciò c’era chi scappava, chi cercava di mettere in salvo i bambini e perfino qualche coraggioso che provava a proteggere i più deboli parandosi davanti a loro, ma nella maggioranza dei casi finiva molto male se un guerriero esperto non accorreva in tempo per aiutarli. La furia dei vampiri si abbatteva sui malcapitati, nessuno escluso, e nei loro occhi non c’era traccia di pietà o rimorso, anzi, provavano piacere nell’infliggere sofferenza. 

La corsa di Claire nel bel mezzo di quel delirio procedeva a rilento, spesso interrotta dalla fuga scomposta delle persone che sfuggivano agli inseguitori e puntualmente le venivano addosso, o dal tentativo di qualche vampiro di aggredire anche lei. Molti, infatti, non la riconoscevano, pur dovendo sapere della sua presenza lì, perché presi dalla foga o con più probabilità perché non sapevano che faccia avesse. Per quanto possibile, cercò di evitare lo scontro diretto e concentrarsi solo sulla meta da raggiungere: il campo di addestramento. Tuttavia, quel giorno sembrava più lontano che mai. 

Mentre faceva lo slalom tra tende rovesciate, oggetti di vita quotidiana sparsi un po’ ovunque e anche diversi cadaveri, vide un vampiro uscire da una tenda trascinando per i capelli una donna, che urlava e si dibatteva nel disperato quanto vano tentativo di liberarsi. Una volta fuori, con il minimo sforzo la sollevò finché non fu alla giusta altezza, per poi afferrarla per il collo e con uno scatto rapido e preciso azzannarla alla giugulare. La prese così alla sprovvista che non gridò nemmeno, anzi, il fiato le si mozzò in gola e morì dopo un paio di spasmi convulsi. Il tutto durò una manciata di secondi, prima che il vampiro lasciasse il corpo accasciarsi al suolo. 

Difficile dire se qualcun altro, a parte Claire, avesse assistito alla scena, ma lei cercò di non pensarci e proseguì. Il campo era ormai a pochi metri e, quando finalmente arrivò, non trovò altro che una distesa di terra circondata dai resti spezzati dei ceppi che formavano la recinzione. Prima dell’attacco diversi guerrieri erano lì per allenarsi e ora cercavano come potevano di respingere i nemici, ma l’essere stati colti di sorpresa aveva limitato e reso inefficace la loro reazione. Molti erano già caduti e i pochi che restavano in piedi facevano fatica a contrastare i vampiri, più numerosi oltre che resistenti.

In un angolo a qualche metro di distanza, un po’ isolato dalla mischia, Claire vide anche Mark. Era solo, di Cedric nessuna traccia. Cercava di difendersi come poteva, ma era chiaro come il sole che non fosse minimamente in grado di sostenere uno scontro aperto con un vampiro. A maggior ragione nell’istante in cui Claire, aguzzando la vista, si accorse che quello contro cui combatteva non era un vampiro qualunque. Di spalle non lo aveva riconosciuto, cosa che invece le riuscì immediatamente quando si girò e poté distinguerne il volto dalla pelle scura e i tratti rudi. Era Tareq. 

Nessuno dei guerrieri presenti aveva la possibilità di soccorrere Mark, che ben presto finì a terra, con l’aggressore che incombeva sopra di lui. Così, senza pensarci due volte, Claire si fiondò verso i due.

“Tu!” constatò Tareq appena la vide. Sul momento ne sembrò sorpreso, ma si riebbe subito. “Che stai facendo? Dov’è la ragazza?” Di fronte al suo silenzio, la bocca del vampiro si piegò in un ghigno perfido. “Lo sapevo. Gli avevo detto che non c’era da fidarsi della puttana di Jamaal…”

“Parli sempre a sproposito.” lo interruppe lei, senza lasciarsi intimorire. “Perché non agisci, piuttosto?” 

Tareq finse di riflettere sulle sue parole. “È quello che stavo facendo, prima che arrivassi tu a rovinare il divertimento!” Non aveva neanche finito di dirlo che con uno scatto improvviso il suo piede si abbatté con una violenza inaudita sulla gamba sinistra di Mark, le cui urla di dolore furono coperte solo dal rumore raggelante delle ossa che si spezzavano. 

Un secondo dopo Claire gli era addosso e iniziarono a combattere. La differenza di stazza, oltre che di abilità nel corpo a corpo, era notevole, ma dimostrò comunque di sapergli tenere testa. 

Dall’altra parte, Tareq non si fece scrupoli e infierì su di lei come su un qualunque nemico da annientare.

Claire tentò di resistere finché le fu possibile, ma quando si ritrovò faccia a terra, il ginocchio dell’avversario piantato dietro la schiena per tenerla ferma, le sorti dello scontro si fecero più scontate. 

Praticamente sdraiato sopra di lei, il vampiro accostò le labbra al suo orecchio. “Immagina quando saprà che l’hai tradito. Mi viene voglia di lasciarti vivere solo per il gusto di portarti da lui e guardarlo mentre ti uccide, ma questo mi toglierebbe il piacere di farlo personalmente e sarebbe un vero peccato.” le sussurrò maligno. Intanto la sua mano scivolava verso la cintura, dov’era attaccato il fodero del pugnale. In un attimo lo estrasse e sollevò il braccio, con l’intento di conficcarglielo tra le scapole, all’altezza del cuore.

“No!” 

Inaspettatamente, Mark aveva trovato la forza di trascinarsi verso di loro e si era avventato contro Tareq, cercando di strappargli la lama di mano. Lui lo allontanò subito con uno strattone, ma così facendo si distrasse, dando modo a Claire di liberarsi dalla sua presa. 

Con la coda dell’occhio vide l’arma cadere vicino a lei, così non esitò ad agguantarla. Si rimise in piedi e, senza dare a Tareq il tempo di realizzare, gliela conficcò dritta nel petto. Per qualche istante la mano le rimase come incollata al manico e il suo sguardo incontrò quello vacuo del vampiro, che ormai vedeva spegnersi inesorabilmente. Alla fine il pugnale si sfilò da solo per il peso del corpo che ricadde all’indietro e Claire restò impalata a fissare il cadavere dell’assassino di Jamaal finché la voce flebile di Mark non la riportò alla realtà.

“Claire…” la chiamò quasi in un sussurro. Assalito com’era dal dolore alla gamba, riusciva a malapena a parlare.

Destatasi dal torpore, lo raggiunse, chinandosi su di lui per constatare i danni e in effetti era ridotto piuttosto male. Il colpo inferto da Tareq gli aveva rotto ogni singolo osso dal ginocchio in giù ed era impensabile che riuscisse a camminare da solo. “Coraggio, dammi la mano. Ti aiuto ad alzarti.” Gliela offrì e Mark la prese senza dubitare. 

“Non so se ce la faccio…” mormorò, prima di venire interrotto dall’ennesima fitta. Tenendosi a lei, cercò di fare leva sulla gamba sana per rimettersi in piedi e infine ci riuscì, anche se con non poca fatica. A quel punto la guardò, probabilmente aspettandosi che lo sostenesse.

Claire ricambiò lo sguardo ma, invece di offrirgli una spalla perché potesse appoggiarsi a lei, serrò le dita attorno al manico del pugnale e con un gesto secco glielo conficcò nello stomaco. 

 
   
 
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