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Autore: MissAdler    11/11/2021    4 recensioni
ATTENZIONE: Occorre aver visto i primi tre episodi della serie Loki.
TRAMA: E se Loki non si rassegnasse al suo destino? Se trovasse un modo per tornare indietro e riprendersi la sua vita? Se una volta messo di fronte al suo destino capisse finalmente chi è e cosa conta davvero?
Non so da dove mi sia venuto tutto ciò, e soprattutto come mi sia partita questa ship, ma tant'è. Buona lettura!
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Oltre I Confini Del Tempo

 
Parte prima





 
Midgard, 2019




La luce del tardo pomeriggio tingeva di rame la superficie appena increspata del lago. Una brezza leggera gli accarezzava le guance, portando con se l'odore acre dei crisantemi e il ronzio delle libellule.
Loki se ne stava in disparte, ben nascosto tra le auto parcheggiate, il portale già chiuso dietro di lui. Osservava quella folla nera e malinconica cercando smanioso e impaziente i capelli dorati e gli occhi chiari che conosceva così bene.
Si chiese distrattamente se per lui la Terra fosse un luogo sicuro. Anche se per lui era trascorso a malapena un giorno, per coloro che si trovavano in quel punto esatto della linea temporale erano passati già sette anni dall'attacco dei Chitauri. Forse avevano dimenticato quella sua disastrosa sortita. Eppure, ciò nonostante, la sensazione di essere ancora un acerrimo antagonista di quel pianeta sembrava fin troppo vivida in lui.
Il suo Loki non si era redento, non aveva sacrificato se stesso in un ultimo, disperato tentativo di sconfiggere Thanos e salvare la sua gente, non aveva avuto addosso le lacrime calde e salate di Thor. I suoi polsi dolevano ancora per le manette che proprio suo fratello gli aveva stretto ai polsi, dopo l'umiliante sconfitta a opera di quegli stessi Avengers che ora rivedeva lì, uno accanto all'altro, anch'essi vestiti di nero.
Il soldato, l'arciere, il tizio dello Shield e la sua inutile aiutante, il Dottor Banner, la donna di Tony Stark, e uno stuolo di facce che non gli dicevano assolutamente niente. Avvertì comunque un leggero brivido sulla schiena.


“È un funerale” sentenziò Sylvie accanto a lui, facendolo trasalire.
Per un attimo pensò che fosse una domanda ma poi capì che si trattava di una costatazione. Quando si voltò a guardarla lei fece spallucce come se avesse appena pronunciato un'ovvietà.
“Il marito di quella donna” spiegò facendo un cenno in direzione di Pepper Potts, che con gli occhi arrossati adagiava sull'acqua una corona di fiori, “è il suo funerale, mi sembra evidente.”
“Tony Stark?” domandò lui con voce acuta e un'espressione incredula. “È morto?”
“Se quel Thanos era davvero così potente la sua sconfitta deve aver avuto un costo molto alto.” Sylvie osservava la scena con una strana espressione sul volto, infine aggiunse a bassa voce, come se parlasse a se stessa: “non puoi vincere se non accetti di sacrificare qualcosa.”


Loki pensò al se stesso che aveva visto spirare sullo schermo della TVA, ai suoi arti scossi dagli spasmi mentre il titano gli stringeva le dita intorno alla gola, al suo corpo senza vita tra le braccia di Thor, i cui singhiozzi rabbiosi facevano tremare l'immagine.
Anche il suo era stato un sacrificio per un bene superiore? O si era trattato di un gesto assolutamente inutile che nessuno, in questa linea temporale, ricordava già più?
Aveva programmato il TimePad per il giorno successivo alla sconfitta di Thanos e l'aveva fatto per una ragione ben precisa. Non poteva negare che vedere se stesso morire per mano di quell'essere lo avesse scosso nel profondo e che la sola idea di incontrarlo nuovamente gli era intollerabile.
Ricordava ancora le torture subìte diversi anni prima, dopo essere precipitato dal Bifrost, quando il titano lo aveva scovato, catturato e rinchiuso. Ricordava quelle notti di torture interminabili, le ferite inferte un colpo dopo l'altro, ancora e ancora, il suo cervello che veniva spremuto, svuotato e rivoltato come uno straccio logoro e sporco. Assecondare quel folle piano, fingersi suo alleato e attaccare la Terra per rubare il Tesseract, in fondo avrebbe fatto comodo anche a lui. Ed era ciò che lo aveva tenuto in vita, dettaglio non trascurabile.
Era stato un vigliacco? Probabile. Aveva fatto il possibile per sopravvivere? Ovviamente. E lo avrebbe fatto anche ora, evitando di imbattersi in Thanos o in qualunque Avenger che non fosse suo fratello.
Si infilò in tasca il TimePad e una tenue luce verdastra percorse magicamente il suo corpo dal basso verso l'alto, dandogli le sembianze di un vecchio canuto con gli occhiali da sole. Fece segno a Sylvie di restare dov'era, mentre lui avanzava tra la folla.


La prima cosa che notò, guardandolo da dietro, furono le crocs sopra i calzettoni di spugna. Storse la bocca e gli uscì una risatina, sulla punta della lingua una frecciata assolutamente spassosa pronta da scoccare. Poi però avanzò di qualche passo, bloccandosi lì accanto e trovandosi costretto a ingoiare quella stupida battuta, insieme a un groppo dal gusto troppo amaro.
Quell'uomo, che se ne stava seduto su una panchina lungo la sponda del lago, che ingurgitava tartine scadenti e guardava il vuoto senza espressione, quello non poteva essere suo fratello.
Gli si accostò ancora un po', protetto dalla menzogna di quelle anonime sembianze, osservandolo da vicino e con più attenzione. Dov'era l'oro dei suoi capelli? Cosa era successo all'elettricità che permeava i suoi muscoli, che faceva vibrare l'aria attorno a lui profumandola di pioggia? Ora le sue braccia forti scomparivano nella stoffa infeltrita di una giacca troppo larga, i capelli opachi e crespi gli nascondevano il viso come un sipario semichiuso su un palcoscenico vuoto. E gli occhi, quegli occhi che avevano avuto dentro il cielo in tempesta, ora a malapena si intravedevano, sotto quell'ammasso di nodi color cenere, rivelando solo una placida indifferenza.
Gli balenò in testa un mattino d'estate, i giardini del palazzo reale, risate di bambini che echeggiavano tra gli alberi, spade di legno e una folta chioma bionda. Un piccolo se stesso che osservava incantato quei fili dorati intrecciati con mille raggi di sole.


“Thor?” si era lasciato sfuggire dalle labbra, senza nemmeno accorgersene.
E suo fratello doveva averlo sentito, perché si era voltato pigramente verso di lui e gli aveva rivolto un sorriso vacuo, mandando giù l'ennesima tartina al salmone.
“Sì?” biascicò mantenendo le labbra arricciate in una smorfia quasi innaturale. “Ci conosciamo?”
Loki cercò dentro la propria bocca quella lingua scaltra e bugiarda che lo aveva sempre contraddistinto, ma fallì miseramente e restò in silenzio senza sapere bene cosa rispondere.
“Sei asgardiano?” gli venne in soccorso quel Thor così diverso, a malapena riconoscibile.
“S- sì, ovviamente” rispose. E fu felice di non essere costretto a mentirgli.
“Ci saremo incontrati a Nuova Asgard allora! Siediti vecchio, prendi una di queste... non so bene cosa siano in realtà” borbottò tra sé, rigirandosi una tartina davanti alla faccia, “i mortali dicono che il cibo è una balsamo per l'anima dopo un lutto.”
Loki gli si era avvicinato con passo incerto, mentre Thor si scostava per fargli posto accanto a lui.
E fu solo in quel momento, a una distanza così ravvicinata, che si accorse che quelli non erano i suoi occhi, non entrambi almeno, e che uno era stato sostituito da un bulbo meccanico con un'iride color miele. Per una frazione di secondo pensò a suo padre, alle ultime parole che aveva rivolto all'altro Loki sul maxischermo della TVA, prima di dissolversi nell'aria salmastra. Un motivo in più per invidiare quel se stesso, il quasi eroe che lui non sarebbe diventato mai.
“E gli dei?” domandò abbassando lo sguardo sull'addome gonfio e sformato di suo fratello. “Loro come affrontano la morte di coloro che amavano?”
Thor lo fissò in silenzio poi prese a guardare la distesa d'acqua davanti a sé per un tempo che gli parve infinito.
“Perdonami, mio re, non intendevo mancare di rispetto” si giustificò frettolosamente, non sapendo come cancellare quella domanda troppo sbagliata. Non voleva metterlo in difficoltà, non voleva farlo andare via.
Per tutta risposta Thor scoppiò in una risata roca e senza allegria.
“Non sono un re, vecchio mio. Non più.” Si pulì la barba incolta dalle briciole e batté stancamente una pacca sulla spalla di quel vecchio indiscreto. “Sarete in buone mani, amico, tu e tutti gli altri giù a Nuova Asgard, te lo garantisco” poi, come se si fosse già dimenticato della sua presenza, si voltò di scatto agitando la tartina per aria, “ehi, Banner! Dove hai preso quella birra?”
Due secondi dopo colui che una volta era il dio del tuono era già scomparso, lasciandolo a fissare il nulla, con una tartina di salmone a mezz'aria.


“Sul serio? Tutto qui?”
Sylvie apparve alle sue spalle facendolo trasalire, poi gli si sedette accanto, sistemandosi il mantello con fare nervoso.
“Non ti avevo detto di restare nascosta? Non è esattamente un abito da funerale, il tuo!”
“Ah, ti prego! Hai finto che il TimePad fosse rotto per trascinarmi in questo... folle viaggio della speranza! E questo ridicolo scambio di battute deprimenti è tutto quello che sei riuscito a ottenere?”
“Non è così semplice” si difese lui fiaccamente.
“Okay, dammi quel coso.”
“Quale coso?”
“Il TimePad, dammelo!”
“Scordatelo, resterei bloccato qui e al momento non penso sia una buona idea.”
“Ascolta” iniziò lei abbassando il tono di voce e assumendo un atteggiamento condiscendente, “sono venuta con te perché non avevo scelta, non volevo morire su Lamentis. Ma ero anche curiosa di vedere la tua realtà, le persone a cui eri legato, quindi ti ho assecondato senza troppe storie. Ora però devo finire quello che ho iniziato e tu puoi scegliere di venire con me o restare qui, ma dammi quel dannato aggeggio o lo prenderò in un modo che non ti piacerà.”
Si alzò in piedi e gli tese la mano, sostenendo il suo sguardo mentre lui cercava una soluzione che andasse bene a entrambi, una che non fosse troppo rischiosa e che gli concedesse un po' di tempo in più. Si rese conto con una punta di irritazione che non esisteva.
“Ti vedranno.”
“Non mi vedrà nessuno. Anzi, se proprio vuoi saperlo” indicò distrattamente le persone vestite a lutto ancora nel paraggi, “loro credono che tu stia parlando da solo.”
“Ma se la TVA mi trovasse...” la incalzò alzandosi a sua volta, senza badare a quello che lei aveva appena detto.
“Se avrò successo non accadrà. Fidati di me” lo rassicurò arricciando il naso in un sorriso furbo.
“E se sarò io a fallire? Se scoprirò che mio fratello è perso per sempre?”
Si maledì quasi subito perché quella domanda non sarebbe potuta suonare più patetica. Poi, con un gesto arrendevole, porse il TimePad a Sylvie, osservandola mentre vi digitava rapidamente delle coordinate, preparandosi a scomparire nel portale che si era aperto dietro di lei.
“Niente è perso per sempre.”
Fu l'ultima cosa che le sentì dire, prima di ritrovarsi lì da solo, con una tartina molle e maleodorante ancora tra le dita.




 
§




Era iniziata con una lite. Con un combattimento vinto grazie a un inganno durante uno dei loro allenamenti condivisi, con un giovane dio del tuono imberbe che gli gridava contro furente, le guance rosse, le tempie sudate. Era stato il terrore misto a qualcos'altro, nel momento in cui Thor gli si era gettato sopra bloccandogli i polsi e schiacciandolo col suo peso, sul terreno arso dal sole estivo. Era stato un bisogno sconosciuto, brutale, che aveva percorso come elettricità il suo corpo di adolescente, scaldandolo e facendolo fremere, togliendogli il fiato per la violenza con cui quel desiderio si era impadronito di lui.
Erano stati i capelli di suo fratello, umidi e profumati di mare, ricaduti sul suo viso come fili dorati, i palmi bollenti stretti sui suoi polsi, il peso di quel corpo agile su di sé, i muscoli ancora acerbi che si tendevano sotto la pelle abbronzata.
Più avanti c'era stato un sorriso, uno di quelli che Thor dispensava a chiunque come se ne possedesse una scorta infinita. C'era stata una sera d'inverno, un fuoco scoppiettante nel silenzio della reggia addormentata, un momento in cui si era sentito pericolosamente debole. C'era stato il modo in cui suo fratello l'aveva guardato, sollevando gli angoli della bocca senza staccare gli occhi dai suoi come se potesse leggervi dentro, curiosare negli antri più oscuri della sua anima. Loki sapeva che nessuno avrebbe mai potuto farlo, che era lui quello esperto nei giochetti psicologici, eppure, per un istante, si era sentito nudo, scoperto, disarmato. Un cervo in trappola di fronte al suo cacciatore.
Mille giorni e mille notti di desiderio misto a senso di colpa, pulsioni indesiderate, conflitti con se stesso. Perché doveva essere così disgustoso? Cosa c'era in lui che non andava?
E poi quel pomeriggio di fine estate, galoppare fianco a fianco nel bosco di querce, il sole che splendeva tra i capelli intrecciati di suo fratello, il vento fresco sulla faccia, il cuoio che gli si appiccicava addosso nell'eccitazione della corsa. L'aveva visto spogliarsi con foga, abbandonare stivali e mantello sui sassi coperti di muschio, i polpacci immersi nell'acqua gelida del lago, la schiena arrossata per le cinghie troppo strette della corazza, l'espressione di sfida che gli aveva rivolto mentre lui se ne stava ancora rigido in groppa alla sua giumenta, a stritolare le redini fino a farsi male. Non sarebbe mai riuscito a togliersi dalla testa quell'immagine, quella sensualità ingenua e un po' rozza, la barba bionda e rada che gli era da poco spuntata sulle guance, il petto nudo che fremeva di affanno e risate mentre lo schizzava gridandogli di raggiungerlo, di non essere noioso, di non fare il cacasotto.


Era iniziata un giorno qualunque, o forse era sempre stata lì, quella brama eterna e insaziabile, che l'aveva fatto sentire un mostro ancor prima di scoprire di esserlo davvero.
Aveva desiderato suo fratello e l'aveva fatto in un modo violento, disperato e indecente che lo aveva reso marcio fino al midollo. Era stato un principe, un dio, e tra tutte le cose che avrebbe potuto pretendere nei Nove Regni, lui aveva scelto l'unico frutto proibito e irraggiungibile, un sogno impossibile che era rimasto tale anche quando aveva scoperto di non condividere lo stesso sangue di Thor. Non avrebbe ottenuto nulla, perché qualcosa tra di loro si era ormai spezzato, allontanandoli inesorabilmente. La vanità del legittimo re di Asgard aveva generato distanza e indifferenza. Il desiderio frustrato di Loki si era confuso con l'invidia, la gelosia, la recriminazione, finché l'odio e l'ambizione avevano consumato il dio dell'inganno, rendendolo l'antieroe di quella grottesca tragedia familiare.
Eppure la sua follia non era mai cessata davvero. Il desiderio di lui era sempre lì, vivo e incessante, e Loki sapeva bene che, nonostante la rassegnazione, non sarebbe mai riuscito a liberarsene.




 
§




“Thor, aspetta!”
L'aveva visto allontanarsi in direzione delle auto parcheggiate, chiedere un passaggio a chiunque gli capitasse a tiro, barcollando impercettibilmente con una bottiglia in mano. Aveva accelerato il passo per raggiungerlo, senza badare al fatto che il vecchio di cui aveva preso le sembianze non avrebbe mai potuto muoversi in quel modo.
“Ehi, nonnetto!” lo notò infine. “Hai visto il Dottor Banner? Cerimonia molto sentita ma ora ho proprio bisogno di tornarmene a casa.”
Era smanioso e insofferente, un velato nervosismo trapelava dalla voce e dal modo scattoso con cui tendeva il collo per cercare Banner tra la folla. Loki si chiese incidentalmente a quale casa si stesse riferendo, dopo l'apocalisse di Ragnarok.
“Thor, devo parlarti” ritentò scacciando ogni altro pensiero, cercando le parole più appropriate nel suo vasto repertorio di dialettica. Non voleva che li vedessero, che occhi estranei assistessero a quella conversazione, così aveva preso fiato, espandendo il suo incantesimo tutto intorno a loro, facendo svanire le auto, la gente, il chiacchiericcio incessante e l'olezzo stantio dei fiori appassiti. Adesso erano invisibili agli altri e gli altri erano invisibili a loro. Forse la sua illusione più riuscita, si disse ammirando il prato sconfinato che si stendeva a perdita d'occhio, le colline sinuose addormentate ai piedi di immense catene di roccia, mentre l'odore di terra e muschio gli riempiva le narici. Per un attimo gli parve di essere tornato ad Asgard e una fitta di nostalgia gli strinse lo stomaco, mentre tutto ciò che fece suo fratello fu di aggrottare le sopracciglia e squadrare da vicino la bottiglia di birra che teneva mano.
“Per la barba di Odino, questa roba è pessima!” concluse buttando giù il poco liquido rimasto.
Protetto da quella cupola illusoria a Loki non restava altro da fare che riprendere le sue sembianze, dirgli ogni cosa, tentare il tutto per tutto. Ma per qualche motivo continuava a indugiare.
Suo fratello non gli avrebbe mai creduto. E anche se fosse riuscito a convincerlo, che possibilità avrebbe avuto di essere accolto a braccia aperte? E se lo avesse odiato, così come in fondo sentiva di meritare, che alternativa gli sarebbe rimasta? Avrebbe scontato un vero e proprio esilio su Midgard, rifiutato da un popolo che mai l'avrebbe accettato. Solo. Completamente solo. E per un momento rimpianse di non aver seguito Sylvie nella sua folle crociata.
Come poteva spiegargli una cosa tanto assurda?
Si fece coraggio e riportò l'attenzione su Thor, intento a squadrare l'etichetta sulla bottiglia vuota, forse soppesando la gradazione alcolica e la quantità di alcolici trangugiati. A fatica scacciò l'impulso di prenderlo a schiaffi per farlo rinsavire e quello ancora più insistente di passargli le dita tra i capelli aggrovigliati. Piegò la testa da un lato e sospirò forte, come a voler buttare fuori un peso ormai insostenibile, l'ennesimo inganno di cui liberarsi. E infatti la menzogna del suo travestimento gli scivolò letteralmente di dosso, lungo le braccia, le gambe, in un impercettibile luccichio verdastro, fino a svanire tra i fili d'erba. Fu allora, in maniche di camicia e con i capelli scuri che gli ricadevano sul viso, che allargò teatralmente le braccia mimando un ta-daaa di cui si pentì immediatamente, preparandosi a subire l'ira di suo fratello.
Lo vide indietreggiare di scatto, come se avesse appena ricevuto un pugno in faccia, sgranare gli occhi con il terrore di chi ha appena visto un fantasma. In fondo non era poi così lontano dalla realtà, si disse Loki rilasciando le braccia lungo i fianchi, mentre ogni ilarità abbandonava le sue labbra.
Poteva leggere uno dopo l'altro i pensieri che attraversavano come saette impazzite l'unico occhio del dio del tuono: che non poteva essere lui, che l'aveva visto morire, che doveva essere diventato pazzo. Lo sentì farfugliare qualcosa del genere, scuotendo lentamente la testa come se fosse caduto in una specie di trance.
“Fratello” iniziò Loki con cautela, facendo un passo avanti.
“Sta' zitto, sta'... zitto!” Gli puntò contro un indice tremante e indietreggiò ancora. “Tu... tu non sei reale, sei una stupida allucinazione frutto di troppe birre scadenti!” E per rimarcare il concetto pensò bene di scagliargli contro la bottiglia vuota, colpendolo in pieno sulla testa e strappandogli un ahi sarcastico. Loki prese a massaggiarsi il punto offeso e vide l'espressione di suo fratello mutare completamente, le palpebre spalancate e lo sguardo incredulo.
“Tu... non può essere... ho sentito il tuo cuore che smetteva di battere... ti ho tenuto tra le braccia mentre succedeva...”
Il cuore gli si strinse nel petto. Avrebbe disperatamente voluto essere il Loki di cui parlava Thor, quello morto tra le sue braccia, quello che meritava le sue lacrime e il suo dolore, perché se lo fosse stato allora avrebbe potuto restituirglielo, dirgli eccomi, fratello, era solo un trucco, ora puoi insultarmi e prendermi a calci, dirmi che non cambierò mai e che mai più ti fiderai di me. E poi ricominciare tutto da capo, combattere uno contro l'altro e subito dopo fianco a fianco, esattamente come i due principi di Asgard che si sorridevano sullo schermo della TVA.
Ma lui non era quel Loki.
Cosa aveva sperato di ottenere tornando da lui? Non avrebbe mai potuto sostituirsi a quel se stesso così diverso, così compianto, così amato. Sicuramente quel Thor nemmeno si ricordava più del Loki invidioso, sadico e guerrafondaio che sette anni prima aveva riportato a casa in catene. Era un'immagine sbiadita che ai suoi occhi aveva perso rilevanza. Gli eventi che in quegli anni avevano piegato, plasmato e limato la crudeltà del dio dell'inganno, che avevano fatto emergere la sua parte migliore, questo Loki non li aveva ancora vissuti e non li avrebbe vissuti in nessun caso. E se da un lato questa consapevolezza lo sollevava, perché significava risparmiarsi sofferenze insostenibili, come la morte di Frigga, dall'altro lo faceva sentire in trappola, bloccato dentro se stesso, senza speranza di crescere, di evolversi e riscattarsi, di dare un senso alla sua esistenza.
“Perché mi fai questo?” esalò Thor senza voce, afflosciandosi su se stesso e finendo seduto su un prato che in realtà non esisteva. Ma non c'era rabbia in lui, né recriminazione, bensì un sentimento che Loki non seppe identificare, duro e violento come i tuoni che ora squarciavano il cielo sopra di loro e che spinsero la folla fuori dalla loro bolla illusoria a disperdersi.
“Mi hai lasciato credere che fossi morto...”
“Ed è così” mormorò inginocchiandosi cautamente accanto a lui. “Ascolta...”
“Come hai potuto... dopo che...” ma non riuscì a terminare la frase.
“Non c'è un modo giusto per dirlo senza farlo sembrare assurdo, te lo concedo.” Con dita incerte gli sfiorò lo zigomo, sentendo una leggera scossa pungergli i polpastrelli e arrivargli fino al polso. Gli occhi di suo fratello persi nel vuoto. “Io sono... Loki è... lui è stato davvero ucciso da Thanos. E stavolta non tornerà, non così come tu lo ricordi.”
“E allora tu chi sei?”
Ora quell'unico occhio lo fissava con una disperazione disarmante, convincendolo a dirgli ogni cosa.
Gli raccontò di Thanos, del modo in cui lo aveva spinto a invadere la Terra e a rubare il Tesseract, della sua fuga nel 2012, della TVA, di Mobius e Sylvie, della vita che non aveva vissuto e che gli era passata davanti agli occhi come un film proiettato in uno squallido cinema di quart'ordine.
“Io sono tuo fratello, ma non quello che tu...” si interruppe perché non sapeva bene che altro dire, ma anche perché era troppo penoso continuare a spiegare l'inspiegabile.
Quando Thor riportò gli occhi su di lui, Loki riuscì a malapena a reggere il suo sguardo. Era troppo. Desiderò sparire e per un momento pensò di farlo davvero, di usare la sua magia per trasformarsi in una mosca, una rana o un serpente, in qualunque altra cosa potesse portarlo lontano da lì. Ma si diede subito del vigliacco. Aprì bocca e la richiuse mentre la mano di suo fratello gli si posava sulla spalla, stringendola come per avere la certezza che fosse davvero lì, fatto di materia reale, di carne viva e ossa. Non poté fare a meno di sorridere, quando anche le labbra di lui si arricciarono.
“Non può essere vero...”
“No” convenne il dio dell'inganno, “eppure sono qui.”


Forse erano state le dita ruvide di suo fratello strette sulla sua nuca, il respiro irregolare, gli occhi lucidi, quel sei qui che Thor gli aveva soffiato sul viso e che sapeva di alcol e di sollievo. Forse era stato l'abbraccio rude e sgraziato che l'aveva intrappolato subito dopo, quasi soffocandolo, risvegliando in lui l'antica smania che aveva confinato nel profondo di se stesso per troppo tempo. O più probabilmente era dipeso dalla sensazione della sua carne sotto le dita, dai suoi capelli in bocca, dal suo calore che gli ridava vita, ricordi, speranze. Fatto sta che le parole di Sylvie presero a rimbombargli nella testa come una cantilena fastidiosa.
Niente di vero. Questo era ciò che lei aveva dedotto mentre lui le raccontava ciò che il suo cuore aveva ottenuto in millenni di immortalità, questo era ciò che lui aveva scelto di credere così a lungo. Ma si trattava di una menzogna.
Le braccia che ora lo stringevano goffamente, quell'odore intenso e familiare, il respiro caldo che gli solleticava l'orecchio... tutto questo era vero. Quell'amore così ostinato, capriccioso e senza speranza era reale. Lo era sempre stato. Tutto il resto non aveva più importanza.




 
§




Nuova Asgard era un piccolo agglomerato di casette di pescatori arroccate su un fiordo rigoglioso. L'aria salmastra, profumata di terra e mare, si insinuava sotto la camicia di Loki come una fresca carezza di benvenuto.
“Così ora è questo il tuo regno.”
“Te l'ho già detto, non è il mio regno.”
“Non funziona così, caro fratello, non puoi alzarti una mattina e abdicare come se niente fosse. Nostro padre aveva scelto te, se ben ricordo” sentenziò non senza una punta di sarcasmo.
“Nostro padre mi aveva sopravvalutato. In effetti, tutti l'hanno fatto.”
“Oh, non io. Ho sempre saputo che la sua era una pessima scelta.”
Thor non diede segno di aver colto quella provocazione, si strinse nel maglione infeltrito continuando a fissare il mare, col vento che gli arrossava l'occhio buono.
“Nostro padre non aveva idea di chi sarei potuto diventare. Sono debole, fratello, e un re non può permettersi la debolezza.”
Il modo in cui l'aveva guardato subito dopo, stirando le labbra come a trattenere parole impronunciabili... Loki aveva sentito le viscere contrarsi, le dita stringersi a pugno nelle tasche dei pantaloni. Pensò di trattenerlo, mentre con passo pesante il dio del tuono si incamminava giù per il sentiero ripido e sterrato. Voleva formulare una qualunque obiezione a quelle affermazioni, ma la sua testa era come svuotata. Tacque e lo seguì con passo incerto sui ciottoli sabbiosi, verso le piccole abitazioni erose dal maestrale. Un peso gli gravava sul cuore, un senso di colpa misto a impotenza, perché se lui fosse stato l'altro Loki, il martire tanto compianto, quanto meno si sarebbe potuto prendere la responsabilità di averlo abbandonato crepando come un idiota. Ma nemmeno quello poteva concedersi in fin dei conti.
Adesso era lì, ma non era certo che sarebbe bastato. Poteva davvero recuperare il rapporto con suo fratello? Nella sua linea temporale aveva fatto un casino, in quella attuale era morto dopo una totale riconciliazione. Ripensò all'abbraccio sgraziato di poco prima, non si erano mai stretti in quel modo prima di allora. E tenendosi strette le sensazioni provate tra le sue braccia avvertì una strana e immotivata speranza che si faceva strada dentro di lui.


La catapecchia in cui entrarono li avvolse in un'oscurità polverosa, il puzzo stantio di formaggio fuso e birra gli fece rigirare lo stomaco. O forse era stato il pensiero di suo fratello tra quelle quattro mura ingiallite, a bere e ingurgitare solitudine, a consumarsi nell'apatia giorno dopo giorno.
Lo guardò mentre si sfilava il maglione di due taglie più grande e lo gettava distrattamente sul divano consumato, restando avvolto in un secondo cardigan più attillato ma ugualmente rovinato. Percorse con gli occhi quel corpo curvo e pesante, i capelli arruffati, le mani callose e secche di salsedine, cercando di scacciare il ricordo insopportabile del dio luminoso e possente che era stato un tempo. E in quello stesso momento capì che non poteva arrendersi, che suo fratello era ancora lì, sotto strati di dolore, vendetta e rimpianto, che la sua luce non si era spenta, che lui avrebbe fatto l'impossibile per scorgere di nuovo i lampi squarciare l'azzurro di quell'unico occhio e il sole risplendere tra i suoi capelli.
Eppure non poteva ignorare il modo in cui Thor lo guardava, l'insistenza con cui lo spiava quando lo credeva distratto. Sembrava cercare in lui il Loki che conosceva e che aveva perduto. Faceva male.
“È per la mia morte?” azzardò spezzando il silenzio. E quelle poche parole sussurrate echeggiarono nella stanza come un frastuono di piatti rotti, facendoli sussultare entrambi.
Thor si voltò sfoggiando un'espressione confusa.
Ormai era tardi per rimangiarsi la domanda, pensò Loki, imponendosi di andare fino in fondo. Il tatto non era mai stato il suo forte e comunque da qualche parte doveva pur cominciare!
“È per questo che tu...” fece un gesto evasivo a indicare quella sottospecie di salottino e uno più specifico in direzione di suo fratello, che assottigliò lo sguardo e trattenne il respiro per un momento che parve lunghissimo.
“Vuoi sapere se mi sono ridotto così perché sei morto?” sorrise amaro, scrollando le spalle.
“Contrariamente a ciò che potresti pensare non è per gongolare!
“Davvero?” Di nuovo quell'espressione, quello sguardo penetrante che bucava l'anima.
“Davvero” assicurò lui. E in quell'istante vide i tratti di suo fratello addolcirsi, illuminarsi, farlo somigliare a quello che era stato un tempo. Per un attimo sperò che la risposta fosse affermativa, perché se la sua dipartita era riuscita a privare il figlio di Odino – il possente Thor, il re di Asgard! – di tutta la sua divina potenza, questo avrebbe potuto significare che lo aveva amato. Che magari avrebbe potuto amare anche lui, un giorno! Di un amore fraterno, ovvio, ma ciò sarebbe stato comunque più di quanto avrebbe mai osato sperare.
“Oh, Loki...” Thor sospirò e si lasciò cadere a peso morto sul divano, il tonfo attutito dai cuscini macchiati. “Tutto questo mi sta mandando fuori di testa” concluse nascondendo il volto tra le mani
“Non vuoi che mi senta responsabile? Ti preoccupi per me come quando eravamo bambini?” lo punzecchiò tentando invano di spezzare quella tensione.
Attese una risposta che non arrivò e infine gli si sedette accanto, silenzioso come un gatto nella penombra del tardo pomeriggio. Le mani sulle ginocchia, il cuore a rimbombargli nelle orecchie.
“Mi dispiace, sono uno stronzo, lo sai.” Loki sentiva di star compiendo uno sforzo insopportabile per riuscire a parlare. “So di non essere il fratello che hai perso, ma sappi che se potessi mi scambierei con lui in qualunque momento” con la bocca secca strinse forte le ginocchia tra le dita, “se questo servisse a qualcosa.”
“Vorresti essere morto?” chiese Thor sollevando il viso dai palmi e trafiggendolo di nuovo con lo sguardo.
“Avrei voluto essere il fratello che meritavi.”
“Lo sei stato. E forse io sono riuscito a esserlo per te, prima che Thanos...” prese fiato mentre sembrava cercare le parole giuste, “ Loki, tu non hai idea di quello che significhi per me riaverti qui ora, ma tu non...”
Loki attese il resto della frase, parole che non arrivarono mai.
“Ma io non sono lui?”
“Lo sei. Sì, insomma, sulla carta sei sempre tu, ma ci sono troppe cose che non sai e io non ho idea di come fare a spiegartele...”
“Provaci per Odino!” Il suo cuore prese a battere all'impazzata, un groppo che gli bruciava in gola. “Eravamo fratelli, lo eravamo diventati davvero, l'ho visto sullo schermo della TVA, volevi perfino abbracciarmi. Diamine, è schifosamente sentimentale perfino per te.”
“Oh, non penso che ti abbiano mostrato tutto.”
“Ti prego, dimmi che non ci siamo anche messi a piangere.”
Thor sorrise, ma la patina lucida sul suo occhio non sfuggì a Loki.
“Vuoi davvero saperlo?”
“Sai quanto posso essere curioso.”
Restò in attesa, scrutando l'espressione indecifrabile di Thor.
Cos'era successo in quegli anni? Quali eventi potevano aver fatto appassire suo fratello in quel modo? Quale trauma, forse legato alla venuta di Thanos, l'aveva privato della sua luce calda e accecante?
“Magari più tardi” sentenziò invece l'altro, alzandosi per stappare una bottiglia di birra e lasciando cadere il discorso.
Loki tentò invano di combattere la frustrazione. Non si sarebbe certo arreso. Odiava non sapere tutto, essere tenuto all'oscuro di qualcosa che lo riguardava. E odiava ancora di più vedere suo fratello che in qualche modo lo teneva sulle spine.




 
§




Passarono i giorni, l'argomento non venne più nemmeno sfiorato.
Loki iniziava a prendere confidenza con quella cittadina di pescatori, con il silenzio delle notti stellate, con le distese verdeggianti che si perdevano nella nebbia del mattino per gettarsi nelle acque gelide del fiordo. Si sorprese ad apprezzare l'odore di salsedine misto a quello d'erba umida, le imprecazioni dei vecchi giù al molo, le urla divertite dei bambini che giocavano fingendosi guerrieri di Asgard, con spade e martelli di legno.
Thor dormiva sul divano, lui in camera da letto, affondando in un cuscino in cui l'odore di suo fratello era ormai una timida traccia confusa. Doveva aver rinunciato a passarvi la notte molto tempo prima, preferendo le molle poco confortevoli e la puzza di muffa.
Parlavano di argomenti superficiali, del clima rigido che aveva gelato il raccolto l'inverno precedente, della pesca di aringhe, di quei bizzarri alieni goliardici che di tanto in tanto invadevano il salotto per sbronzarsi e giocare a qualche videogame, sprofondando pigramente tra gli stessi cuscini su cui poi Thor avrebbe dovuto passare la notte.
Qualche volta Loki lo accompagnava in paese per certe commissioni. Giusto per accertarsi che non svanisse, ma anche perché sapeva che suo fratello aveva lo stesso identico timore riguardo a lui. Camminavano in silenzio, ben attenti a non sfiorarsi, sospirando di sollievo ogni qual volta incontravano qualcuno che rivolgeva loro la parola, spezzando la tensione.
L'abbraccio al funerale di Tony Stark sembrava un lontano ricordo. Quella commozione, quella gioia, adesso erano state sostituite dalla frustrazione di parole non dette e segreti mai confessati.
“Mi mancano i nostri genitori” aveva mormorato Thor una sera dopo cena, mentre sedevano sotto la tettoia in silenzio, contemplando l'aurora boreale. “Tu pensi mai a loro?”
Loki fu colto di sorpresa. Dopo tanti silenzi e frasi di circostanza non si aspettava una domanda così intima. Ci pensò su, fu tentato di rispondere scioccamente che non erano davvero i suoi genitori, ma poi prese fiato, senza smettere di guardare il cielo, e per una volta disse semplicemente la verità.
“Sempre.”




 
§




I giorni divennero settimane, gli scambi di battute si trasformarono poco a poco in discorsi, le commissioni in paese erano diventate lunghe passeggiate che i due facevano insieme prima di cena. Anche la catapecchia dove vivevano sembrava più accogliente, pulita e luminosa.. Il ventre di suo fratello si andava gradualmente sgonfiando. Loki aveva notato che beveva molto meno, che aveva quasi bandito del tutto pizza, patatine e formaggio fuso. Ogni giorno a cena arrostivano il pesce appena pescato e lo mangiavano avvolto nelle alghe e cosparso di miele, proprio come quello che si preparava ad Asgard e che da principi consumavano nel grande salone dei banchetti.
Una mattina Loki notò che la barba di suo fratello era più corta, i capelli meno arruffati, legati in uno chignon dietro la testa. Gli scoccò una frecciata strizzandogli l'occhio, ma lui balbettò qualcosa a proposito di Valchiria e di alcune questioni logistiche urgenti, per poi uscire in tutta fretta sbattendo la porta dietro di sé.
Era a quella donna che Thor aveva affidato il comando di Nuova Asgard, dettaglio che a lui non andava proprio giù. Dopo essersi quasi uccisi a vicenda per quel trono, adesso suo fratello lo cedeva come se si trattasse di una lavatrice difettosa.
Eppure, nonostante non sembrasse contemplare la possibilità di riprendere il suo ruolo di sovrano, il dio del tuono continuava a declinare l'offerta di cinque squinternati che gli avevano proposto una qualche avventura spaziale per cercare una certa Gamora. Per lui sarebbe stato semplice abbandonare quella condizione mediocre e deprimente, ma non sembrava ancora convinto di ciò che davvero desiderava. Oltretutto qualcosa lo tratteneva lì, e Loki sapeva per certo che quel qualcosa era lui.


“Me lo dirai prima o poi?”
“Mh?”
“Quello che non vuoi dirmi.”
Thor stava riparando una gamba del tavolo in cucina, la camicia a quadri slacciata sulla maglia bianca mostrava un barlume del corpo che aveva sfoggiato un tempo. Loki, che leggeva sdraiato sul divano, aveva notato come pian piano suo fratello stesse tornando a somigliare al dio che una volta aveva brandito Mjolnir.
“A cosa servirebbe?” borbottò con un chiodo tra i denti, senza smettere di martellare il legno. “Sei qui adesso. Non basta?”
Loki non rispose, attese che il frastuono cessasse e chiuse il libro sbuffando.
“Semplice curiosità” mentì stiracchiandosi e mettendosi seduto.
“Ne parleremo un'altra volta.”
“Sai che potrei scoprirlo facilmente.”
“Davvero lo faresti?”
No, non l'avrebbe mai fatto. Non a lui. Profanare i suoi ricordi con la magia era un pensiero che perfino il dio dell'inganno trovava deplorevole.
Tacque e abbandonò l'argomento. L'ennesima resa, la stessa identica frustrazione.




 
§




“Tu vuoi che resti?” gli aveva chiesto qualche giorno più tardi, mentre sedevano nello stesso identico punto in cui Odino li aveva salutati per l'ultima volta. Guardavano il mare in tempesta senza parlare, mentre una pioggiarella sottile gli pungeva il viso e le mani.
Lui voleva restare, non c'erano dubbi, ma non avevano mai davvero parlato di questo. Sembrava un continuo rimandare, un far finta di nulla per paura di spezzare quell'equilibrio.
Loki non intendeva certo tornare alla TVA, né vagare da solo per i Nove Regni come un esule. Lui voleva rimanere. Avrebbe soffocato i suoi sentimenti e gli sarebbe stato accanto come il più fedele dei fratelli, ma per farlo aveva bisogno di sapere che anche Thor lo desiderava.
“Certo che voglio” rispose quasi immediatamente. “Ma non posso chiedertelo.”
“Infatti non me lo stai chiedendo.”
“Loki, io non...”
Per un momento sentì freddo. Proprio lui, che al gelo era immune, iniziava a rabbrividire. Non gli piaceva lo sguardo di suo fratello, lo sentiva lontano, irraggiungibile, e temeva che potesse svanire da un momento all'altro nella foschia di quella violenta burrasca.
“Beh, ti ascolto” disse con fermezza, fingendosi indifferente e controllato.
“Dovrai prenderti da solo quello che vuoi.” Poi, scorgendo lo smarrimento sul volto di Loki, gli prese le mani e con un gesto un po' rude se le premette sulle tempie. “Guarda tu stesso.”
Quel contatto destabilizzò lo Jotunn, che si irrigidì non appena i suoi palmi schiacciarono i capelli del fratello, la fronte calda, le vene pulsanti di ricordi e dolori sconosciuti.
“Guarda” ripeté il dio del tuono puntando il suo unico occhio nei suoi. “E se poi vorrai uccidermi o scomparire per sempre giuro che ti capirò.”
Loki sentì il sangue defluirgli dalla faccia. Voleva davvero che lo facesse?
“Sono io che te lo chiedo” mormorò suo fratello come se gli avesse letto nel pensiero. “Non riuscirei mai a dirtelo a parole.”
A Loki non servì altro, perché in realtà voleva farlo con tutto se stesso, l'aveva desiderato dal primo momento e adesso aveva finalmente ottenuto il permesso di prendersi la verità a modo suo.
Chiuse gli occhi e lo vide.






 
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