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Autore: Ghostclimber    14/11/2021    2 recensioni
Gokudera ha passato due mesi in Italia nel vano tentativo di dimenticare il Decimo.
Ora è di ritorno, e dovrà decidere se continuare a fingere o guardare in faccia la realtà.
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Genere: Demenziale, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Creation's gone crazy,
TV's gone mad,
now you're the only sane thing
that I have.






“Tsuna nii!” Lambo chiamò. Tsuna alzò la testa per prestargli attenzione e Lambo continuò: “Lo zio Kyoya...” Tsuna smise di sentirlo, per fare spazio ad un legittimo attacco di panico.

“Lambo! Se Hibari san ti sente che lo chiami così, lui... lui... lui...” si impappinò. Lambo lo fissò come se fosse diventato deficiente e disse: “Veramente mi ha detto lui di chiamarlo così.” Tsuna lanciò un urlo e andò istintivamente a ficcarsi sotto al letto.

Quando trovò il coraggio di uscirne, più o meno una mezz'oretta dopo, trovò due bigliettini sul tavolo della cucina.

Il primo era di Nana, che gli annunciava che avrebbe passato due giorni in vacanza con Oregano. Quella santa donna lo informava che aveva provato a parlargli, ma lui era nascosto sotto al letto e si rifiutava di interagire. Aggiungeva la richiesta di essere chiamata al telefono e una piccola nota in cui lo informava che non aveva nulla in contrario se Hayato si fosse fermato a dormire. Tsuna arrossì e appallottolò il biglietto in un attacco di isteria.

Il secondo biglietto era di Hibari, che lo informava che avrebbe tenuto Lambo e I-Pin per la nottata: era il compleanno di Lambo e lui e Dino gli avevano organizzato una festicciola. Tsuna, che stava a sua volta organizzando una festa per l'indomani, dovette rileggere il biglietto una mezza dozzina di volte per capire il concetto: a casa sua, “Hibari Kyoya” e “festa” nella stessa frase erano parole che non avevano il minimo senso.

Poi, una certa consapevolezza gli piombò addosso: Nana era fuori per due giorni. Lambo e I-Pin avrebbero trascorso la notte a casa di Hibari. Bianchi aveva annunciato il giorno prima che si sarebbe assentata fino al sabato, senza specificare il motivo. Fuuta era temporaneamente rientrato in Italia per dare consulenza al Nono. Reborn si era dato... beh, non malato, ma aveva chiesto che non gli fossero rotte le palle per qualche giorno dopo la disavventura di Lambo con il Consiglio, anche se aveva promesso che sarebbe ricomparso in tempo per la sua festa di compleanno.

Tsuna mollò il biglietto di Hibari sul tavolo, prese il telefono e inviò un messaggio a Gokudera: “Vieni qui a casa mia. Subito. Se non porti dei preservativi mi arrabbio.”

Dieci minuti dopo, probabilmente evocato dai suoi pensieri ossessivi, Mukuro si materializzò nel salotto e disse: “Sawada Tsunayoshi. Non ho la minima intenzione di cancellare la memoria di Gokudera Hayato, tanto più che li ha già comprati. Sta arrivando, accendi qualche candela che fa atmosfera.” senza aspettare una risposta da parte di Tsuna, Mukuro scomparve di nuovo, lasciandolo con l'atroce sospetto che qualcuno li avrebbe spiati, probabilmente con in mano un secchio di pop-corn.

Poi, Gokudera suonò il campanello e ogni altra cosa perse di importanza.

 

“Vivi, forse è il caso che torni a casa, per oggi.” disse Chiara, un'altra ragazza che lavorava alla vigna con Viola, “Mi sembri un po' pallida.”

“Ho solo un po' di mal di schiena, non è nulla.” ribatté lei, ma dentro di sé sperò che Chiara insistesse ancora un po'. Era da quel mattino che la parte bassa della schiena era un'unica palla di dolore atroce, e in effetti si sarebbe volentieri risparmiata di passare la giornata china a strappare erbacce. Ma era un lavoro a giornata, e stava cercando di mettere da parte il più possibile: dal momento in cui avrebbe partorito a quando non fosse stata in grado di lavorare di nuovo, non avrebbe visto un soldo bucato. Le suore erano tanto buone e si sarebbero prese cura di lei, ma Viola non voleva essere un peso.

Avvertì uno strano senso di bagnato tra le gambe, e Chiara urlò, correndo verso di lei.

Viola guardò giù, fece un paio di rapidi calcoli e sbottò: “Oh... CAZZO.”

 

“VOOOIII!” urlò Squalo, tagliando senza pietà la gola all'ennesima guardia.

Si voltò per monitorare l'area, consapevole che a breve Levi avrebbe sovraccaricato i sistemi elettrici per friggere un bel po' di gente, e si disse vagamente che un tale dispiegamento di forze per difendere una base era un chiaro sintomo di coscienza sporca.

Persino loro, i Varia, la Squadra Assassina dei Vongola, non avevano una squadra di protezione così vasta. Lui da solo aveva fatto fuori quindici uomini, e non stava neanche attaccando apertamente: la sua era una mossa di copertura, pensata per distrarre le difese e permettere a Levi di avere accesso indisturbato al contatore. Se quelle erano le forze di riserva, Squalo non osava immaginare come fossero quelle principali.

Belphegor apparve al suo fianco, sghignazzando, seguito da Fran: “Ushishishishi, Squalo. Io e il Ranocchio siamo qui per pararti il culo.”

“VOI, ho appena sterminato mezza squadra, non mi servite.”

“Veramente ci sono cinquanta uomini in arrivo, Squalo senpai.” disse Fran, sempre con quella sua terrificante voce piatta e monotona.

“VOI! Cinquanta?”

“Ushishishishi, non preoccuparti, ci pensiamo noi...” come al solito, il tono di voce di Belphegor avrebbe fatto arricciare le orecchie a chiunque non fosse stato stupido come la merda. Ma, sapendo che la sua furia si sarebbe abbattuta altrove, Squalo si sentì assurdamente protetto.

 

“Tsuna.” disse Gokudera, e il sorriso svanì dalle labbra di Tsuna, ancora sulla soglia.

“Hayato?” ribatté, terrorizzato.

“Tu vuoi fare l'amore. Io voglio fare l'amore. Ma a una condizione.”

“Dimmi. Anzi, per prima cosa entra.” Tsuna si fece di lato, ma Gokudera non si mosse, anzi: scosse il capo, come per rifiutare. Ormai Tsuna era sull'orlo di un attacco di panico.

“No, prima prometti. Mi lascerai stare sotto.” Tsuna fissò Gokudera. Negli occhi verdi del suo ragazzo c'era un fiera decisione, una forza che lui non sarebbe mai riuscito a scalfire. Sapeva perché lui gli stava imponendo quella condizione e se ne sentì commosso: non solo perché, dalla sua prospettiva, Gokudera si stava quasi letteralmente immolando al posto suo, ma anche perché gli stava dando tutta la propria fiducia.

“Lo prometto, Hayato, adesso entra, per favore. Non c'è nessuno in casa.” Gokudera fece un coraggioso passo avanti, e Tsuna si lanciò tra le sue braccia.

 

“Cazzo, cazzo, cazzo. Cazzo, QUALCUNO CHIAMI UN'AMBULANZA!” urlò Chiara. Si avvicinò a Viola, che si lasciò sostenere da lei. Era indecisa se tentare la vecchia tattica dei minatori, partorire in piedi reggendosi a qualcosa, oppure se gettarsi a terra e fregarsene del fatto che di certo non stava sdraiata su un lettino sanitizzato.

Una delle colleghe più anziane, Ornella, corse verso di loro: “Che succede?” chiese.

“Vivi sta partorendo! Si sono rotte le acque!” gemette Chiara.

“Viola, come ti senti? La schiena? La pancia?” in tutta risposta, Viola lanciò un lungo gemito di dolore. Ornella chiamò: “Alice! Alice, vieni qui a darci una mano! Non c'è tempo di chiamare un'ambulanza! Vi, capisci quello che dico?” Viola annuì.

Alice accorse; era una ragazza cresciuta nei bassifondi, che aveva qualche vaga competenza medica dovuta dal fatto che spesso non era stata in condizione di chiamare un ospedale, e Viola si sentì più a suo agio solo per la sua presenza. Alice sbottonò i pantaloni di Viola, e senza attendere un permesso li abbassò insieme agli slip, poi allungò una mano senza parlare e decretò: “Sento la testa. Alla prossima contrazione prova a spingere.”

“Dobbiamo farla sdraiare?” chiese Chiara.

“No, reggetela e assecondatela quando si china. Se si sdraia qui adesso, si becca il tetano.”

“Coraggio, Vivi, ce la puoi fare.” disse Ornella con voce tremante.

 

Squalo ci mise un attimo a capire cosa fosse successo.

Dal suo punto di vista, c'era solo una piccola macchia sulla sua camicia. Niente di che, giusto un puntolino rosso... no, ma ecco che si stava allargando a una velocità allarmante.

Sotto la gabbia toracica, a destra... parte alta dell'addome. Merda. Il fegato.

Fran gli si avvicinò e chiese: “Lo sapevi che gli assorbenti interni sono stati inventati per tamponare i fori di proiettile?”

“VOI! Cosa cazzo stai...?” un dolore lancinante, come se qualcuno stesse effettivamente ficcando un assorbente interno nel foro di proiettile che lo trapassava parte a parte. Squalo ebbe il tempo di chiedersi cosa ci facesse Fran, all'ultimo censimento sprovvisto di vagina, con un assorbente interno, poi svenne.

 

I vestiti erano rimasti dietro di loro, uno dopo l'altro.

Ora, Tsuna e Gokudera erano sdraiati, pelle contro pelle, sul tappeto: non ce l'avevano fatta a percorrere quell'ultimo paio di metri fino al letto.

Tsuna trovò il coraggio di staccarsi dalla bocca di Gokudera e chiese: “Cosa devo fare?”

“Niente di che, Tsuna.” rispose Gokudera, poi arrossì appena “Io... io mi sono già preparato prima di venire qui.” Tsuna si intenerì.

Effettivamente, si era sentito in imbarazzo all'idea di mettere le dita proprio lì, anche se era certo che un po' di coraggio per farlo l'avrebbe trovato: quello era Gokudera Hayato, il suo ragazzo, e Tsuna avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non fargli del male. Ma ancora una volta, ecco che lui lo precedeva e gli spianava la strada. Tsuna disse: “Un giorno riuscirò a fare per te quello che tu fai per me...” bisbigliò, inginocchiato tra le sue gambe divaricate.

Gokudera, che si era girato per prendere un profilattico, si voltò e lo fissò con aria interrogativa.

“Sei... tu rendi sempre tutto più facile, mi fai ragionare, mi fai sentire al sicuro... un giorno voglio riuscirci anch'io per te.” Gokudera, con gli occhi lucidi, non riuscì a ribattere. Aprì la bustina di un profilattico e aiutò Tsuna ad infilarlo. Mentre le loro mani erano intrecciate sul membro di Tsuna, quest'ultimo aggiunse: “Ti amo così tanto, Hayato...”

 

Era come morire. Viola spinse più che poteva, augurandosi di svenire e di smetterla di sentire tutto quel dolore. Ormai non sentiva più le incitazioni delle colleghe, aveva dimenticato l'imbarazzo di essere mezza nuda nel bel mezzo della vigna, aveva dimenticato tutto tranne una sola cosa: quel bambino voleva nascere, e lei doveva aiutarlo.

Si sentiva lacerare, dentro e fuori. Scoppiò a piangere e registrò vagamente Alice che le passava un lembo di stoffa sul viso, poi tanti piccoli baci sulle guance. L'amore che le sue colleghe, che le sue amiche le stavano donando, le diede la forza per un'ultima, poderosa spinta.

Udì qualcosa che si staccava da lei, la pelle che smetteva di essere così tesa e si ammorbidiva, poi il pianto di un bambino. Mani che la spingevano a sdraiarsi, stoffa fredda e bagnata sotto di sé, il peso di qualcosa di vivo e agitato sul petto. Qualcuno la aiutò a sollevare la maglietta, e una boccuccia sdentata trovò il suo capezzolo.

 

“Il Boss ci ammazza tutti stavolta.” disse Lussuria. O almeno, Squalo credeva fosse Lussuria, gli parve di riconoscere il suo tono affettato e sollecito.

“Non se fai quel che devi fare e glielo rattoppi prima che torniamo a casa.” grugnì Levi in risposta.

Squalo perse conoscenza prima di poter commentare alcunché.

 

Non fu facile.

Tsuna scivolò dentro ad Hayato con estrema delicatezza, ma la preoccupazione di fargli male era tale da fargli avere difficoltà a mantenere l'erezione.

“Ti... ti piace, almeno un po'?” chiese. Gokudera aprì gli occhi, lucidi di lacrime, e annuì.

“Se ti faccio male me lo devi dire, va bene?” Tsuna quasi urlò.

“Amore mio...” rispose Gokudera, passandogli una mano tra i capelli, “Non mi fa male, è solo strano. Non preoccuparti per me.”

“Sì che mi preoccupo per te!” sbottò Tsuna, “Stai piangendo!”

“Solo perché è così bello che non mi sembra vero.” c'era una tale sincerità, nel tono di Gokudera, che Tsuna si convinse. Diede un piccolo, lento colpo di reni e affondò ancora un po'.

Il piacere che gli procurò quel movimento gli fece recuperare tutta la perduta durezza, ma vacillò quando una lacrima scese lungo la guancia di Gokudera.

“Hayato?”

“Ti amo, Tsuna, Dio quanto ti amo.” rispose lui, poi lo prese per i fianchi e lo trasse a sé, facendolo affondare completamente. La sensazione di caldo attorno al membro era così bella, così confortante, che Tsuna smise di farsi problemi. Gokudera era lì con lui, lui aveva l'Iper Intuito e sarebbe stato in grado di accorgersi se per caso Gokudera avesse deciso di negare il dolore per non interromperlo.

Tutto sarebbe andato per il meglio.

Tsuna indietreggiò appena, poi si sospinse di nuovo in avanti. Si sentiva goffo e imbranato, un po' scomodo con le ginocchia che sfregavano contro il tappeto, ma al contempo era come essere al centro del mondo.

Per ritardare l'orgasmo, cercò di ripensare a tutto quel che aveva letto sul sesso tra due uomini. Ricordò che il punto di maggior piacere era in corrispondenza della prostata, e con una bella manciata di coraggio passò le mani sotto ai fianchi magri di Gokudera per sollevargli il bacino.

“Tsuna, cosa... OHH!” Gokudera rovesciò la testa all'indietro e Tsuna capì di averci visto giusto.

Continuò ad insistere su quello stesso punto, mentre la voce di Gokudera si alzava in gemiti rotti di piacere e le sue dita artigliavano il tappeto.

Quando Gokudera venne, eruttando un fiotto di sperma che bagnò entrambi, Tsuna smise di opporre resistenza all'orgasmo: eiaculò a sua volta, poi si accasciò sul petto di Gokudera.

 

Viola era a letto, e il suo bambino, Robin, si era appena addormentato su di lei, dopo aver bevuto una quantità di latte davvero allucinante.

Gli accarezzò la testolina, già coperta di capelli riccioluti e nerissimi, come quelli della maggior parte dei Bovino appena nati; era un miracolo, ed era stata lei a farlo. Robin aprì gli occhi, ed ecco qualcosa di nuovo: il normale blu scuro delle iridi dei neonati già virava verso un verde brillante. Viola ricordò gli occhi di Gokudera e la nostalgia nei suoi confronti quasi la sconvolse. Cercò di immaginarsi tutti i commentini del cavolo che lui avrebbe fatto per stemperare la tensione, e d'istinto prese la decisione di insegnare a Robin anche il giapponese, oltre all'italiano.

Robin frignò appena e Viola, sconvolta dalla quantità di cibo che il piccolo sembrava in grado di ingerire, lo voltò perché avesse accesso all'altro seno. Mentre lo guardava mangiare, cercò di tradurre la vecchia ninnananna dei Bovino: erano dei pezzi di merda, mentre Suor Aloisia che sarebbe arrivata a breve con un pasto caldo era un amore di donna, ma Viola era vulnerabile e sentiva nostalgia di casa. L'assenza di Dani e quella di Gokudera pesavano come macigni, e Viola si ritrovò a supplicare il destino di farle scorgere qualcosa che appartenesse al suo vecchio mondo, fosse anche quella pazzoide androgina che andava sotto il nome di Skull de Mort.

Ma nulla giunse a lenire la sua nostalgia di casa, e quando Robin decise di aver mangiato abbastanza ricominciò a frignare, riportandola con i piedi per terra: non c'era tempo per soffrire adesso, e non ce ne sarebbe stato ancora per un po'. Ora c'erano solo Viola e Robin, da soli contro il mondo. Mentre si appoggiava il piccolo sulla spalla per fargli fare il ruttino, Viola canticchiò tra le lacrime: “Kimi wa dare da... boku wa Lambo... boku wa dare da... kimi wa Lambo... Lambo, Lambo, naisu no koshi no bomberhead...”

 

“VOOOIII!” Squalo si annunciò, rientrando a Villa Varia.

Lussuria ci aveva messo tre ore e adesso era esausto, ma era in qualche modo riuscito a curarlo alla perfezione. Il fegato per fortuna non era andato completamente, il proiettile aveva lasciato intatto quel tanto che bastava per non costringerlo a sottoporsi ad un altro trapianto di organi, per quanto nei mesi successivi sarebbe senz'altro stato costretto a rallentare il ritmo degli allenamenti.

“Era ora, Feccia.” lo riprese Xanxus, senza nemmeno alzare il culo dall'ufficio. Squalo si sentì smontare come della panna lasciata per troppo tempo a contatto con l'aria aperta, poi Fran gli tirò una manica: “Squalo senpai.”

“VOI! Che c'è?” chiese. Ancora non sapeva come approcciarsi al ragazzino, nonostante fosse con loro da più di cinque anni: e dopo che quel pazzoide gli aveva ficcato un assorbente fatto di illusioni in una ferita aperta, Squalo era ancora più perplesso riguardo le loro interazioni.

“Posso andare avanti io?” Squalo sollevò un sopracciglio, poi si strinse nelle spalle: “Come vuoi.”

“Boss!” chiamò Fran, avviandosi lungo il corridoio. Zoppicava appena: aveva preso a sua volta un colpo all'anca, ma nulla di grave: per di più, quell'aggressione aveva spinto Belphegor ad un'esplosione di collera che aveva lasciato traumatizzato persino Levi, e che aveva garantito ai Varia la vittoria. Vittoria con zero superstiti dall'altra parte.

Di colpo, Squalo si sentì stanco morto.

“Boss, siamo tutti vivi e stiamo più o meno bene, ma Squalo senpai se l'è vista brutta. Secondo me devi dare un aumento a Lu...” Fran si interruppe bruscamente, e Belphegor protestò, ma nessuno dei due riuscì a fermare Xanxus nella sua folle corsa verso Squalo.

Il Boss dei Varia si fermò solo quando ebbe il suo Vice Comandante tra le braccia.

 

Tsuna e Gokudera si spostarono a letto.

Beandosi della possibilità di poter dormire da soli, per una volta, chiacchierarono a lungo sull'assurdità del fatto che non solo Hibari sembrava aver preso Lambo sotto la propria ala, ma che addirittura gli aveva concesso di chiamarlo “Zio Kyoya”.

Gokudera rise sonoramente a quell'appellativo, e Tsuna cominciò a ripeterlo solo per farlo ridere.

“Dame Tsuna.” chiamò una voce.

“HIIIEEE!” urlò Tsuna, tirandosi le lenzuola a coprire il petto.

Reborn ghignò.

“Dimmi che sei lì da poco.” disse Tsuna, dopo una lunga pausa dovuta all'improvviso sciopero di neuroni. Reborn alzò un sopracciglio, poi parve decidere per un po' di clemenza: “Sono appena arrivato. Volevo solo informarti che il Consiglio è stato smantellato.”

“Oh, bene! Allora adesso possiamo...”

“No.” Reborn si appoggiò allo stipite della porta, mentre anche Gokudera si metteva seduto di fianco a Tsuna.

“Perché?”

“Per ora, non è prudente. Lasciami prima sondare le acque.”

“Reborn ha ragione.” disse Gokudera a bassa voce, “Non mi perdonerei mai se qualcuno ti attaccasse solo per degli stupidi motivi omofobici, Tsuna.” quest'ultimo meditò a lungo, infine annuì.

“Va bene.” concesse, “Ma sappi che non ho intenzione di starmene nascosto nell'armadio per tutta la vita, ok? Amo Hayato e voglio urlarlo al mondo intero.” Reborn non replicò, ma il suo sguardo sembrò essersi intenerito.

“Adesso vi lascio, ho delle cose da fare... Hibari mi ha chiesto di passare da lui per la torta.”

“Già che sei lì, controlla che non sia un clone alieno, per favore.” disse Gokudera, scherzando solo a metà. Reborn sogghignò di nuovo.

“Spero che non abbiate fatto l'amore in ginocchio sul tappeto, Dame Tsuna. Altrimenti tanti auguri per le escoriazioni.” disse, poi sparì, fiero di essersi assicurato l'ultima parola.

 

Un paio d'ore dopo, quando Tsuna aveva già riscontrato quanto gli avrebbe fatto comodo sapere che è meglio non fare l'amore in ginocchio sul tappeto, mentre Gokudera ritirava le pizze ordinate a domicilio alla porta di casa, il cellulare del Decimo Boss dei Vongola vibrò.

Gokudera entrò nel salotto nel preciso istante in cui quel malefico aggeggio finiva di caricare la foto mandata da Xanxus: “HIIIEEE!” urlò Tsuna, poi lo lanciò sul tavolo.

“Ma cosa?!” chiese Gokudera, con della dinamite già pronta in mano. Cosa credesse di farci, lo sapeva solo lui. Guardò il cellulare e commentò: “Ow.”

“Ma perché diavolo si è messo in testa di...” Tsuna osò lanciare un'altra occhiata alla foto e comprese. Con un immane atto di coraggio, si impose di rispondere: “Sono davvero felice per voi! Complimenti, e grazie di tutto.”

“Che succede, Tsuna?” chiese Gokudera, molto perplesso.

“Guarda bene.” Tsuna mostrò la foto a Gokudera.

Ritraeva Superbi Squalo, riverso in un letto dalle lenzuola scure, chiaramente esausto e sulle soglie di un sonno ristoratore. Tralasciando il fatto che di certo la foto era stata scattata dopo un'ardente sessione di sesso, un particolare la rendeva così importante per Xanxus da spingerlo a condividerla con l'unica persona con cui si era aperto: i capelli di Squalo erano fluenti, e gli ricoprivano non solo le spalle, ma anche i glutei e la parte alta delle cosce.

Superbi Squalo era di nuovo se stesso.

   
 
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