La partita era iniziata da pochissimo tempo quando Conan arrivò alla porta della palestra, affannato per la
corsa, con il sudore che gli appiccicava i ciuffi castani sulle tempie. Non si
fermò nemmeno un minuto a prendere fiato. Grazie alla sua bassa statura riuscì
a passare inosservato alla biglietteria, dove vi era ancora una coda
interminabile per i biglietti, e ad arrivare fino a bordo campo, scavalcando le
guardie che controllavano la porta inferiore a destra, poiché quelle erano totalmente
concentrate sulla partita. Davvero un buon lavoro, non c’è che dire. Non si
poteva biasimarle nemmeno troppo, in fondo. Il loro lavoro era proteggere i
giocatori dai tifosi, non dai killer.
Il parquet tremava leggermente sotto i colpi dei
palleggi esperti, mentre Conan, cercando di
dimenticare la confusione dei tifosi che gli entrava nelle orecchie facendo
confondere le sue cellule, osservava noncurante il campo, dove dieci giocatori
bianchi e verdi si sfidavano a grande velocità. Individuare Ai, specie se
travestita, in mezzo alle tribune sarebbe stata un’impresa degna di Superman,
perciò Conan optò per sventare prima l’omicidio del
giocatore. In fondo, quella situazione avrebbe portato la chiamata della
polizia e all’Organizzazione sarebbe convenuto scappare e lasciare stare Haibara.
Conan era esperto di calcio, non
di basket, ma capiva che in entrambi gli sport era molto difficile che un
giocatore rimanesse fermo tanto a lungo per permettere al killer di sparare,
senza contare che questi avrebbe dovuto avere una posizione che gli permettesse
una rapida fuga. Gli unici immobili erano quelli seduti in panchina, ma questa
era coperta da una vetrata di plastica scura che impediva la visuale da
qualunque lato della palestra, tranne che dal campo, perciò era impossibile
colpire qualcuno seduto.
Doveva scoprire il momento in cui in campo tutti i
giocatori si sarebbero fermati per un tempo sufficiente. Paragonando i due
sport, quale poteva essere un momento in cui i calciatori, tralasciando il
portiere, restavano fermi? Nei rigori o nelle barriere. Cosa portava ai rigori
e alle barriere? I falli. Conan cercò di ricordare.
Esistevano anche nel basket delle specie di rigori? Rifletti, rifletti… Si,
esistevano! Quando un giocatore faceva fallo su un altro mentre quest’ultimo tirava. Si chiamavano “tiri liberi”, se non
ricordava male. In cosa consistevano i tiri liberi? Conan
osservò le linee colorate che attraversavano il parquet chiaro. Il giocatore
che aveva subito fallo si disponeva sulla lunetta, con gli altri attorno,
fermi, che aspettavano il tiro. Nessuno poteva intervenire per bloccare la
palla. Tutti fermi, immobili.
Osservò il pubblico. Durante il primo dei due tiri
liberi, sarebbe stato sicuramente silenzioso, ma se il giocatore avesse
segnato, dalle tribune sarebbe partito un boato spaventoso. E a quel punto, chi
avrebbe sentito lo sparo? E mentre tutti avrebbero cercato di capire perché uno
dei giocatori era caduto a terra, il killer sarebbe scappato indisturbato.
Guardò la lunetta del campo assegnato nel primo tempo al Kitagawa.
Colpire il giocatore che tirava era la mossa migliore, ma da dove? Conan alzò lo sguardo sempre più in alto, fino ad arrivare
alle vetrate semicircolari giusto sotto il tetto. Si mise una mano davanti agli
occhi, accecato. Il sole stava tramontando giusto da quella parte. Premette il
pulsante sui suoi occhiali, quello che gli faceva da binocolo elettronico, e
avvicinò lo sguardo. Tra la luce rosso fuoco del sole calante, poteva notare
una figura nera, col fucile puntato verso la lunetta.
L’arbitro fischiò, assegnando due tiri liberi al Kitagawa. Come lui aveva anticipato, il pubblico si fece
silenzioso, nemmeno un respiro interrompeva quella quiete che si era
improvvisamente creata. Il giocatore numero 4 si posizionò sulla lunetta,
mentre l’arbitro gli passava la palla. Gli altri si disposero nelle posizioni a
loro assegnate. Conan poggiò a terra il suo pallone.
Doveva lanciarlo subito, a costo di essere scoperto.
Il giocatore fece due palleggi, quindi afferrò la
palla e la sistemò sopra la testa con un movimento rapido, pronto a tirare.
Prima che potesse farlo, però, uno sparo proveniente dal corridoio sopra le
tribune attraversò la palestra, infrangendosi contro la vetrata sottile del
pannello elettronico segnapunti, agganciato sulla parete opposta, infrangendola
e interrompendo il flusso di corrente. Senza pensarci un attimo, Conan attivò le sue scarpe da ginnastica e lanciò una
cannonata contro la finestra dietro cui vi era il killer, rompendo in mille
pezzi il vetro e colpendo l’uomo, che volò all’indietro e sparì dalla vista,
probabilmente perché cadde dalla piattaforma su cui si era sistemato.
Fu solo allora che Conan
si voltò nella direzione in cui tutti, pubblico, arbitro e giocatori guardavano
in religioso silenzio, sopra le tribune. La vide. Una ragazza, ancora con la
pistola puntata verso la parete opposta, col viso semicoperto dalla frangetta
bionda e dal basco panna. «Haibara…» Se lei non
avesse sparato, impedendo al giocatore di tirare, sarebbe forse riuscito a
colpire il killer?
«Conan! Cosa sta
succedendo?» Dalle tribune, verso di lui era appena sceso un uomo, seguito da
una giovane e bella donna.
«Aah!» esclamò Conan con
un’espressione innocentina in viso. «Avete visto
tutti che bravo il tenente Takagi, che ha fermato il
killer con una pallonata?» E così dicendo, indicò la vetrata da lui stesso
infranta.
«Che? Quale killer?» balbettò Takagi,
mentre i giocatori, un po’ stravolti, si dirigevano verso di lui. «Ma non c’era
una ragazza…?»
«No, c’era un killer là!» ribattè
Conan, lasciando perdere i gesti bambineschi. «Andate
a controllare»
Takagi non avrebbe mai potuto
immaginare che dietro l’aspetto di Conan Edogawa si nascondesse in realtà Shinichi
Kudou, ma ormai sapeva che si poteva fidare delle
deduzioni di quel bambino. «Sato, io vado a
controllare dietro la palestra» disse rivolgendosi alla giovane donna che lo
seguiva. «Tu chiama i rinforzi» Si fece largo tra la folla che, dopo il momento
di stupore silenzioso, si stava radunando, numerosa e rumorosa. «Permesso,
polizia»
Conan passò sotto le gambe di
tutti, attento a non farsi calpestare, e si diresse nella direzione opposta
alla fiumana, nel corridoio sopra le tribune. Naturalmente Haibara
era sparita chissà dove. Su questo non la poteva certo biasimare, ma sparare di
fronte a tutti! Con il suo vero aspetto! Sebbene avesse funzionato, non era
stata una grande idea.
Dalla porta del bagno uscì una donna. Anche lei
aveva i capelli biondi, ma molto più lunghi di quelli di Haibara;
il comportamento era più sensuale. «Cool guy» lo chiamò vedendolo. «Dovresti andare» Indicò la porta
di sinistra, socchiusa. «Non dirò nulla, tranquillizzala… Ripago solo il mio
debito»
«Chi sei?» disse pericolosamente Conan.
Non conosceva quella donna, anche se gli sembrava di averla già vista da
qualche parte. Strano che lui non ricordasse un simile particolare. Forse,
quella volta, era concentrato su qualcosa di molto più importante.
«A
secret makes a woman woman» rispose
lei sorridendo. Lo superò e lo lasciò indietro. Purtroppo, questa
volta lui non aveva il tempo di ragionarci sopra.
Ai era scappata per la porta di sinistra, ma poi
aveva usato le scale di emergenza, finendo per ritrovarsi nel vicolo poco
frequentato dietro la palestra. Non le importava, poichè
la cosa che le premeva di più era allontanarsi prima che Shinichi
potesse rintracciarla. Vermouth sapeva del loro legame, ma finora non aveva
rivelato nulla, perciò vi era la possibilità, seppur remota, che se l’avessero
uccisa adesso, da sola, lui si sarebbe salvato.
Quasi con un gesto involontario risistemo meglio il
caricatore della sua pistola automatica, che teneva ancora stretta nella sua
mano sudata. Che caldo che aveva! Alzò lo guardo davanti a sé, ma non ebbe il
tempo di capire chi le fosse davanti, perché sentì un dolore lancinante alla
spalla destra, giusto all’incrocio delle ossa. Il respiro divenne ancora più
affannoso, mentre il dolore si spandeva a macchia d’olio su tutte le singole
fibre del suo corpo. Le tempie pulsavano incessantemente, mentre il sudore che
colava dalle ciocche bionde le faceva bruciare gli occhi. Una larga macchia si
allargò da sotto la sua maglietta panna, scivolando lentamente lungo il braccio
fino alla pistola, e gocciolando a terra come un rubinetto che perde.
«Ti ho spezzato le ossa della spalla» disse la voce
fredda dell’uomo che le stava di fronte. «Non riuscirai ad usare quell’arma»
«Mi hai risparmiato la fatica di farlo» sorrise lei
cercando di rimettersi in posizione eretta, poiché il dolore l’aveva fatta
incurvare.
«Sembra che la morte non ti spaventi affatto,
Sherry» replicò lui, avanzando di un passo verso di lei, ancora con la pistola
puntata nella mano sinistra.
«Temere la morte è inutile. Quando ci sarà lei, non
ci sarò più io…» commentò semplicemente lei.
«Allora, perché non hai lasciato che ti uccidessi
tempo prima, in quel bellissimo scenario innevato? Non è paragonabile a questa
viuzza sudicia…»
«Ti rivelerò un segreto…» mormorò scherzosamente Ai.
«A me la neve non piace» Intanto, invece che tenersi la spalla ferita, preferì
spostare la mano sinistra accanto alla destra.
«Se preferisci così, ti accontenterò» concluse lui.
«Allo stomaco, come tua sorella…»
E poi, lo sparo.
Sangue scuro schizzò a terra dalla gamba sinistra,
sporcando anche i pantaloni neri con invisibili macchie. Ai strinse la pistola
con la mano sinistra e, ignorando il dolore che le impediva totalmente di
muovere il braccio destro, li alzò entrambi e mirò, aiutandosi con l’arto sano.
Mirò alla pistola che l’uomo aveva abbassato, sorpreso da quella pallottola che
lo aveva colpito alla gamba. Sparò, così come aveva fatto con Vermouth, e
riuscì a disarmarlo.
Lui non cadde nemmeno a terra, nonostante il
proiettile infilato nella carne. Anzi, sorrise.
«Gin!» esclamò dietro di lui la voce che aveva
sparato. Era Nagisa, con i capelli rossi spettinati,
e un vestitino rosa con i bottoni non ancora allacciati del tutto. «Ci siamo,
finalmente»
«E’ stato un mio errore» mormorò Gin voltando
leggermente il viso verso di lei. «Avrei dovuto ucciderti direttamente in
ospedale. Avrei dovuto terminare il lavoro che avevo fatto investendoti»
«Si, è stato un tuo errore» confermò duramente lei.
«E gli sbagli si pagano»
Il respiro di Ai divenne sempre più rapido e irregolare,
sia per il dolore, che aumentava in conseguenza al maggior tempo che passava in
quella scomoda posizione, sia per le insolite vampate di calore che le
partivano dal cuore, e le annebbiavano la vista, come se fosse in preda alla
febbre.
«Perdonami, Shihochan»
disse Nagisa. «Non volevo usarti così, ma pensavo che
uccidendo Gin, anche per te sarebbe andata meglio…»
«Povera ingenua…» disse Gin, infilando una mano
sotto l’ampio cappotto nero. «Adesso, l’unica cosa che puoi fare, è lasciare
che sia lei…» Tornò a guardare Ai. «Non resisterai ancora per molto… Cosa
aspetti? Hai davanti a te l’assassino di Akemi Miyano»
«Sei proprio scemo» commentò Nagisa.
Ai cercò di rendere il suo respiro più regolare
possibile, mentre stringeva la presa attorno alla pistola scivolosa. Sarebbe
bastato così poco! Tirare indietro il grilletto e sarebbe tutto finito. Il
mondo sarebbe stato liberato da un assassino e lei… Anche lei sarebbe stata
libera. Oneechan non sarebbe morta invano. Intanto i
minuti passavano, e il ticchettio del sangue che colava a terra scandiva i
secondi come un orologio in piazza: ed erano rintocchi rochi, tenui, flebili,
come ovattati fuori dal tempo che dovevano indicare. Uccidi! Uccidi! Uccidi!
Questo sembravano indicarle. Ma prima che le sue dita insanguinate potessero
premere il grilletto, le venne in mente Shinichi.
Avrebbe saputo poi sopportare il suo sguardo accusatore? Lei stessa, avrebbe
potuto guardarsi allo specchio ancora una volta? «La morte è troppo poco, per
te» Lentamente, per limitare al massimo gli effetti di quel movimento, abbassò
la pistola. Ucciderlo avrebbe solo sporcato ancora di più la sua anima. Non le
avrebbe restituito sua sorella.
Con un gesto rapido, Gin estrasse un’altra pistola
da sotto il soprabito nero e sparò con il braccio che Nagisa
puntava verso di lui, sfiorandolo ma aprendole un’ampia ferita dalle nocche
delle dita fin dopo il gomito. Liquido rosso iniziò a colare fuori a guisa di cascatelle, mentre lei tratteneva un gemito, cercando di
non muovere il braccio.
«Hai visto quanto è debole un’amicizia?» mormorò
Gin. «Per una sua debolezza, morirete entrambi»
«Se Shihochan avesse
sparato…» Nagisa sorrise con le sue labbra rosse e
carnose, il sorriso ampio e luminoso di una bella ragazza. «L’avrei uccisa io
stessa» E gli occhi verdi rifletterono ancora una volta i prati di Hokkaido.
«Come?» Gin non capiva il senso di quelle parole.
«Domandati prima perché il cielo è azzurro» scherzò
lei.
Un’altra vampata di calore e due battiti forti. Ai
capì cosa le stava succedendo. Non poteva! Non poteva trasformasi in quel
luogo, davanti a Gin. Doveva andarsene! No, non poteva… Lasciare Nagisa sola? Per salvare lui? Per nasconderlo ancora un
pochino… No! Non sapeva cosa fare. Chi
scegliere? Lei o lui? Lui o lei? E intanto il calore aumentava, e con esso il
dolore, l’ansia, la paura.
«E’ curioso come le persone in fin di vita
straparlino»
«Oh, ma è proprio adesso che io mi sento veramente
viva!» replicò Nagisa. «Io ho solo cose per cui morire,
quindi posso sentirmi libera solo così. Invece, è bene che le persone che hanno
qualcosa per cui vivere, vivano» Abbassò la pistola. «Il passato non può dirci
chi siamo, ma solo chi diventiamo. Vivi, Shihochan,
vivi senza pensare al resto»
Gin spalancò gli occhi insanguinati. Aveva
finalmente capito dove quel discorso andava a parare. Si voltò di scatto, ma
Sherry era già sparita. Non aveva lasciato dietro di sé nemmeno una scia di
gocce di sangue. «Diavolo!» prima che potesse inseguirla, Nagisa
era già comparsa davanti a lui, nuovamente con la pistola puntata, questa volta
con il braccio sinistro. Era infatti ambidestra, proprio perché, un tempo, lo
aveva così tanto ammirato da comportarsi come lui, da diventare addirittura
mancina.
«No, non la ucciderai» gli disse. «E’ ciò per cui
vale la pena morire»
«Spostati, stupida!» gridò Gin. «Ti ammazzo!»
«E’ così che ho dovuto vivere, da assassina» sorrise
Nagisa. «Ma non è così che voglio morire»
***
Qui… Dove… Quando…
Non sentiva più dolore. Non sentiva più caldo. Non
sentiva più niente.
Le voci attorno giungevano confuse, attutite,
lontane. Ai stessa era avvolta da una nebbia gelida, che le permetteva di
vedere solamente qualche metro davanti a sé. Camminava, camminava, senza
giungere a niente, senza sentire il bisogno di fermarsi. Perché fermarsi,
perché proseguire? Non vi erano risposte, solo nebbia e domande.
Poi, la nebbia iniziò a diradarsi, riattivandole la
stanza circolazione e provocandogli brividi in tutto il corpo. Eppure, adesso
vedeva un giardino, illuminato da una dolce luce primaverile. Cos’era quel
freddo che le congelava il respiro in sottili nubi di fumo?
Sdraiata sull’erba verde e umida di rugiada, vi era
una bambina, dai capelli rosso fuoco raccolti in due treccine
alla Pippi Calzelunghe.
Sonnecchiava, il viso rivolto verso il sole mattutino.
«Imooto-chan!» Accanto a
lei si materializzò un bambino, leggermente più grande di lei, con due grandi
occhi smeraldo. Probabilmente veniva da quel cottage che era apparso in
lontananza, oltre la nebbia, al confine con l’orizzonte bianco e indeterminato.
«La colazione è pronta!»
Anche lei aprì gli occhi e Ai sobbalzò per la
sorpresa. Gli occhi verdi, profondi e scuri come quelli di Nagisa.
«Spero, Oniichan, che ci siano i sembei!»
Nagisa. Si, quella era lei da piccola. Come aveva
fatto a non riconoscerla prima? E quello doveva essere suo fratello… Non lo
ricordava molto, ma se lei lo aveva chiamato “onii”…
«Bambini, restate lì» Un’altra voce. Una voce questa
volta che Ai riconobbe all’istante. Impossibile dimenticarla. Una voce che
aveva avuto bisogno di sentire, ascoltare, tenere a mente… «Aspettiamo che si
svegli vostro padre, e poi mangiamo in giardino» Akemi,
con i suoi lunghi capelli neri e il suo sorriso luminoso come la lampada che aiuta
i viaggiatori dispersi.
«Ci saranno anche oba-san
e oji-san, vero?» chiese il bambino correndole
incontro.
«Certo, ci saranno anche mia madre e mio padre»
rispose Akemi, abbracciandolo, sempre sorridente.
«Onee-chan…» chiamò
debolmente Ai. «Onee-chan!!» Ma sua sorella
continuava a sorridere a quel bambino, senza curarsi di lei. Le lacrime
iniziarono a scenderle veloci lungo le guance pallide, mentre cercava di
avvicinarsi e vedeva che il mondo spariva e sfocava man mano che la distanza
diminuiva.
«Shiho-chan non c’è?»
mormorò la piccola Nagisa, seduta per terra ad
osservare le gocce stillate lungo i sottili fini d’erba.
«No, lei non c’è» rispose grave Akemi.
«Shiho è ancora viva»
«Perché lei si e noi no?» si domandò il bambino.
«Non è giusto»
«Non è giusto» ripetè Nagisa.
«No… Non è vero…» I singhiozzi di Ai soffocavano le
sue parole e rendevano i suoni acidi, terribili. «Io… Non volevo… Non voglio
vivere su di voi…» Nessuno la ascoltava.
«Avete ragione, non è giusto» disse Akemi Miyano.
***
Buio. Dolore. E voci. Voci che venivano dal nulla.
Chi era? Dov’era? Cosa era successo?
Le palpebre dolevano. Erano troppo pesanti per
aprirsi.
«Così mi ha detto che non avrebbe rivelato nulla e
se n’è andata»
«Pensi che fosse dell’Organizzazione e che conosca
il tuo segreto?»
«Forse si. Non so se possiamo fidarci, però… Mi ha
dato questa impressione»
«Come mai?»
«Non saprei dirlo con certezza, ma se quella donna
era veramente Jodie-sensei, allora avrebbe avuto
molte altre occasioni per ucciderci e invece non l’ha fatto»
Voci. Voci fioche e lontane, che, diversamente dalle
altre, si insinuavano nella sua mente debole per il dolore, impedendole un
riposo sereno. Le palpebre diedero un leggero segno di cedimento e lei ne
approfittò per aprirle leggermente e sbatterle, per levare quella patina opaca
che le copriva gli occhi stanchi e doloranti. Riconobbe le figure sbiadite di Shinichi e del Dottor Agasa.
«Ai-kun, ti sei svegliata»
disse quest’ultimo. «Come ti senti?»
Lei girò debolmente lo sguardo, agitando i capelli
biondi. Si trovava sdraiata sul divano, nella casa comoda e familiare in cui
era stata ospitata per tanto tempo. Provò a dire “bene” ma l’aria non le passò
attraverso le corde vocali e la voce non uscì.
«E’ meglio se non ti muovi» continuò Agasa. «Hai una brutta frattura alla spalla, ma per fortuna
niente di mortale. In tre mesi potrai muoverti come prima»
«Ti ho trovata nel vicolo accanto alla palestra,
svenuta» intervenne Conan, visto che lei lo guardava.
«Ti ho portata via in fretta, perché ho sentito dalla strada di fianco la voce
di Gin e non potevo permettere che ti vedesse da bambina»
«Grazie…» mormorò finalmente Ai con voce roca. Alzò
il braccio sano di fronte a lei, osservando la mano. Si sarebbe aspettata di
trovarla ancora macchiata di sangue, invece era bianca e pulita. Piccola.
L’antidoto aveva terminato il suo effetto. Ecco perché tutto sembrava di nuovo
così enorme. «E Nagisa…?»
Agasa scoccò uno sguardo a Conan, poi prese il telecomando e accese la televisione.
- Dopo l’arresto del sospetto – diceva lo speaker. –
La polizia ha trovato nel vicolo retrostante la palestra il cadavere non ancora
identificato di una giovane donna. Dai primi accertamenti sarebbe morta per il
dissanguamento provocato da una ferita d’arma da fuoco allo stomaco. Solo
l’autopsia potrà confermare questa ipotesi – Il viso di Nagisa,
ricostruito al computer, apparve sullo schermo. – Secondo alcuni testimoni
sarebbe la stessa donna incontrata dal corriere arrestato sul treno Tokyo/Osaka
ieri. La tesi più probabile sarebbe quindi un regolamento di conti tra membri
della Yakuza, visto che il presidente del Kitagawa ha confessato il suo legame con una di queste
organizzazioni -
«Non so se sia un bene o un male» disse Conan. «Però adesso la polizia ha già arrestato due membri
dell’Organizzazione e ha iniziato a indagare su di loro»
Ai non rispose. Sentiva solo nausea. Una forte
voglia di sboccare, di vomitare fuori anche l’anima. Dolore, al petto e alla
spalla. E vuoto. Un vuoto immenso in ogni singola fibra del suo essere. Leggere
lacrime cristalline le uscirono dagli occhi verde acqua. Piangere. Solo questo
riusciva a fare? «Devo andarmene…» singhiozzò. Si alzò velocemente, ignorando
la pesantezza delle sue gambe da bambina e il dolore alla spalla ferita,
dirigendosi verso la porta. «Devo andarmene…»
«Dove?» Conan le si parò
davanti. «Con quella ferita non puoi andare da nessuna parte. E non potresti
farlo nemmeno se stessi bene. Non hai altro posto dove andare» Pausa. «Hai solo
noi»
«Adesso si, e non voglio perdervi» replicò al
principio calma Ai. «Guarda cos’è successo!» Indicò la tv che Agasa aveva spento. «Io… Volevo solo vederla e…» I
singhiozzi la facevano parlare a balzi. «Onee-chan…
E’ morta per aiutarmi… Nagisa è morta per aiutarmi…
Tu… Se continui ad aiutarmi… Anche tu…»
«Pensi forse di portare sfortuna?» le chiese Conan serio. «Pensa a me. Dovunque vado muore qualcuno»
«Non è la stessa cosa, stupido» ribattè
secca Ai. «Non ce la faccio più, fammi passare… Non potrei sopravvivere con il
rimorso di aver ucciso anche voi…»
«Ascoltami…» mormorò lui paziente. «Se non rimani
nascosta, quelli dell’Organizzazione potrebbero trovarti… Capire che l’APTX4689
rimpicciolisce… Allora davvero verrebbero a cercare anche me. È questo che
vuoi?»
«No…» Lei scosse la testa. «Però… Se prendessi un
altro antidoto… Stavolta non mi farò convincere, non scapperò… E il tuo
segreto-»
Conan la afferrò per un braccio e
la trascinò vicino allo specchio. «Guarda!» esclamò. «Guarda che cosa ti ha
lasciato Nagisa! Vuoi davvero buttarlo via così?»
Ai rimase immobile ad osservare sé stessa riflessa
in quella superficie liscia. Le sue guance pallide, attraversate da sottili
fili di rugiada. I suoi capelli biondi spettinati e disordinati. La fasciatura
alla spalla destra, che la teneva ferma. Il braccio appeso al collo perché non
si muovesse. La maglietta beige, ancora macchiata di rosso, adesso così grande
da farle da vestito. Gli occhi verde acqua umidi e tristi.
«Tu non capisci… Non capisci…» Ai abbassò lo sguardo
per non guardare la sua immagine riflessa, un’altra sé stessa che non esisteva,
un’illusione. «Loro… Loro mi odiano… Onee-chan, Nagisa-chan, anche suo fratello… Mi odiano perché sono
ancora viva…» I singhiozzi aumentarono d’intensità. «Non ho chiesto io di
rimanere in vita…! Non voglio che mi odino… Non voglio…»
«Come potrebbero odiarti?» Conan
la osservò con uno sguardo stupito.
«I-io… Le ho viste… In
paradiso…»
«Stronzate» la contraddì lui. «Che la tua mente ha creato per lo shock»
Sospirò. «Se tu fossi morta nel pullman, tempo fa, mi avresti odiato?»
«N-no…» Ai gli scoccò
un’occhiata umida sotto la frangia bionda. «Perché avrei dovuto…? Era una mia
scelta…»
«Appunto» continuò Conan.
«Se invece tu fossi morta, io mi sarei sentito in colpa come ti senti tu adesso
per essere sopravvissuta a loro. Però tu volevi farlo ugualmente»
«Io…» Ai lo guardò sorpresa.
Conan le appoggiò una mano sulla
spalla. «Ti hanno salvata perché ti volevano bene, quindi non possono odiarti.
Sono state egoiste. Io non lo sarò, e nemmeno tu. La sola cosa che puoi fare
adesso per loro è vivere» Sorrise. «Vivi, Aichan,
vivi»
Ai si voltò ad osservare lo specchio. Al posto della
sua immagine tremolante, vide una bambina dai capelli rossi rossi,
che sorrideva. Dietro di lei, una bella ragazza dai capelli neri. Anche lei
sorrideva. Sorrisi luminosi, che scaldavano le mani gelide. La nausea era
sparita, e con quella anche il vuoto. Adesso, aveva caldo.
«In certi momenti, mi viene davvero da domandarmi se
sia giusto salvare una persona che vuole morire…» Conan
sorrise. «E tutte le volte la risposta che mi do è “si”, perché si trovano
sempre delle buone ragioni per vivere»
«Spero che non coincidano sempre con le buone ragioni
per morire, vero, Nacchan?» mormorò sottovoce Ai, in
modo che nessuno la sentisse.
«Sono felice che tu sia ancora viva» Conan la abbracciò, lasciando che lei si sfogasse sul suo
petto per qualche minuto, come aveva fatto per la morte della sorella.
«Grazie, Kudou» mormorò
infine, scostandosi da lui e asciugandosi le lacrime con la manica della
maglietta panna. «Ora sto meglio» Sospirò. «E’ vero, non ho altro posto dove
andare… E non posso fare a meno di vivere, perché… Aveva ragione Nagisachan, ho una ragione per vivere…» Sospirò ancora. «Kudou-kun… Anzi, no, Shinichi-kun…
Tu sei quella ragione…» L’ultimo profondo sospiro. «Tu mi piaci…»
«Eh?!» Conan rimase
bloccato, fermo, con gli occhi spalancati dalla sorpresa.
Ai si voltò verso di lui, sorridendo amabilmente.
«Just kidding!»
Note di Akemichan:
La storia è finita! Spero che vi sia piaciuta ^.^
L’ultima scena è leggermente ripresa dall’epilogo
(che logicamente la mediaste ha tagliato è_é) di una
puntata di Conan, non ricordo il titolo… Era quella
allo stadio, dove il cameraman minacciava di uccidere qualcuno se non gli
avessero dato dei soldi… Insomma, per farla breve, Conan
aveva chiesto ad Ai quanto anni avesse, e lei non era riuscita a rispondergli
per tutto il casino che era successo poi. Nell’epilogo lei gli dice “veramente
ho 18 anni… sarei perfetta per te” e lui ci rimane… Ma poi Ai aggiunse “stavo
solo scherzando…” e se ne va, lasciandolo lì come un fesso ^^
Ho ripreso questa scena perché, a mio parere, non
c’era altro modo per finirla ^^
Mini Dizionario:
Immoto: propria sorella minore
Oba: propria zia
Oji: proprio zio
Reviews (a quelle per questo
capitolo, se ce ne saranno, risponderò nell’angolo recensioni):
Mirtilla: Sai, visto che
pensavi alter cose rispetto alla verità, significa che tutto sommato la mia
storia come giallo non era troppo male…^^ meno male, sono contenta ^.^ Grazie
per la recensione, ed eccoti l’ultimo capitolo! Fammi sapere com’è^^
Friedryck: No, Vermouth è l’attrice
bionda che si vede all’inizio della puntata del sequestro del pullman… Se poi
lei e Jodie siano la stessa persona… Su questo punto
non mi esprimo ^_- Già, è l’ultimo, ma scrivere di più sarebbe stato superfluo,
almeno per questo argomento ^^ Spero che ti piaccia la fine e meno male che Nagisa non è una Mary Sue. Grazie della recensione
Melany Holland:
Se Nagisa non è una Mary Sue, non posso che esserne
contenta, sai, il dubbio rimane sempre quando si crea un personaggio… Grazie
dei tuoi complimenti, non sai quanto mi facciano piacere ^///^ C’è suspence, davvero? Di solito, non riesco mai a crearla…^^ Anche
se i miei sogni non li consiglierei mai a nessuno, tanto sono incasinati! Non
preoccuparti per il ritardo, per me la cosa importante è avere la tua opinione
^^ Spero che questo capitolo ti piaccia ^^