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Autore: Akemichan    21/05/2005    9 recensioni
Non c'è nulla da fare... Dovunque vada, con chiunque stia, qualunque aspetto abbia... Le sue mani saranno sempre sporche di sangue... Le abbiamo sporcate noi... E lei sa bene che questa è la sua realtà. la sua vita, il suo destino... Non è forse vero, Sherry...?
Genere: Azione, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Heiji Hattori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La partita era iniziata da pochissimo tempo quando Conan arrivò alla porta della palestra, affannato per la corsa, con il sudo

 

La partita era iniziata da pochissimo tempo quando Conan arrivò alla porta della palestra, affannato per la corsa, con il sudore che gli appiccicava i ciuffi castani sulle tempie. Non si fermò nemmeno un minuto a prendere fiato. Grazie alla sua bassa statura riuscì a passare inosservato alla biglietteria, dove vi era ancora una coda interminabile per i biglietti, e ad arrivare fino a bordo campo, scavalcando le guardie che controllavano la porta inferiore a destra, poiché quelle erano totalmente concentrate sulla partita. Davvero un buon lavoro, non c’è che dire. Non si poteva biasimarle nemmeno troppo, in fondo. Il loro lavoro era proteggere i giocatori dai tifosi, non dai killer.

 

Il parquet tremava leggermente sotto i colpi dei palleggi esperti, mentre Conan, cercando di dimenticare la confusione dei tifosi che gli entrava nelle orecchie facendo confondere le sue cellule, osservava noncurante il campo, dove dieci giocatori bianchi e verdi si sfidavano a grande velocità. Individuare Ai, specie se travestita, in mezzo alle tribune sarebbe stata un’impresa degna di Superman, perciò Conan optò per sventare prima l’omicidio del giocatore. In fondo, quella situazione avrebbe portato la chiamata della polizia e all’Organizzazione sarebbe convenuto scappare e lasciare stare Haibara.

 

Conan era esperto di calcio, non di basket, ma capiva che in entrambi gli sport era molto difficile che un giocatore rimanesse fermo tanto a lungo per permettere al killer di sparare, senza contare che questi avrebbe dovuto avere una posizione che gli permettesse una rapida fuga. Gli unici immobili erano quelli seduti in panchina, ma questa era coperta da una vetrata di plastica scura che impediva la visuale da qualunque lato della palestra, tranne che dal campo, perciò era impossibile colpire qualcuno seduto.

 

Doveva scoprire il momento in cui in campo tutti i giocatori si sarebbero fermati per un tempo sufficiente. Paragonando i due sport, quale poteva essere un momento in cui i calciatori, tralasciando il portiere, restavano fermi? Nei rigori o nelle barriere. Cosa portava ai rigori e alle barriere? I falli. Conan cercò di ricordare. Esistevano anche nel basket delle specie di rigori? Rifletti, rifletti… Si, esistevano! Quando un giocatore faceva fallo su un altro mentre quest’ultimo tirava. Si chiamavano “tiri liberi”, se non ricordava male. In cosa consistevano i tiri liberi? Conan osservò le linee colorate che attraversavano il parquet chiaro. Il giocatore che aveva subito fallo si disponeva sulla lunetta, con gli altri attorno, fermi, che aspettavano il tiro. Nessuno poteva intervenire per bloccare la palla. Tutti fermi, immobili.

 

Osservò il pubblico. Durante il primo dei due tiri liberi, sarebbe stato sicuramente silenzioso, ma se il giocatore avesse segnato, dalle tribune sarebbe partito un boato spaventoso. E a quel punto, chi avrebbe sentito lo sparo? E mentre tutti avrebbero cercato di capire perché uno dei giocatori era caduto a terra, il killer sarebbe scappato indisturbato. Guardò la lunetta del campo assegnato nel primo tempo al Kitagawa. Colpire il giocatore che tirava era la mossa migliore, ma da dove? Conan alzò lo sguardo sempre più in alto, fino ad arrivare alle vetrate semicircolari giusto sotto il tetto. Si mise una mano davanti agli occhi, accecato. Il sole stava tramontando giusto da quella parte. Premette il pulsante sui suoi occhiali, quello che gli faceva da binocolo elettronico, e avvicinò lo sguardo. Tra la luce rosso fuoco del sole calante, poteva notare una figura nera, col fucile puntato verso la lunetta.

 

L’arbitro fischiò, assegnando due tiri liberi al Kitagawa. Come lui aveva anticipato, il pubblico si fece silenzioso, nemmeno un respiro interrompeva quella quiete che si era improvvisamente creata. Il giocatore numero 4 si posizionò sulla lunetta, mentre l’arbitro gli passava la palla. Gli altri si disposero nelle posizioni a loro assegnate. Conan poggiò a terra il suo pallone. Doveva lanciarlo subito, a costo di essere scoperto.

 

Il giocatore fece due palleggi, quindi afferrò la palla e la sistemò sopra la testa con un movimento rapido, pronto a tirare. Prima che potesse farlo, però, uno sparo proveniente dal corridoio sopra le tribune attraversò la palestra, infrangendosi contro la vetrata sottile del pannello elettronico segnapunti, agganciato sulla parete opposta, infrangendola e interrompendo il flusso di corrente. Senza pensarci un attimo, Conan attivò le sue scarpe da ginnastica e lanciò una cannonata contro la finestra dietro cui vi era il killer, rompendo in mille pezzi il vetro e colpendo l’uomo, che volò all’indietro e sparì dalla vista, probabilmente perché cadde dalla piattaforma su cui si era sistemato.

 

Fu solo allora che Conan si voltò nella direzione in cui tutti, pubblico, arbitro e giocatori guardavano in religioso silenzio, sopra le tribune. La vide. Una ragazza, ancora con la pistola puntata verso la parete opposta, col viso semicoperto dalla frangetta bionda e dal basco panna. «Haibara…» Se lei non avesse sparato, impedendo al giocatore di tirare, sarebbe forse riuscito a colpire il killer?

 

«Conan! Cosa sta succedendo?» Dalle tribune, verso di lui era appena sceso un uomo, seguito da una giovane e bella donna.

 

«Aah!» esclamò Conan con un’espressione innocentina in viso. «Avete visto tutti che bravo il tenente Takagi, che ha fermato il killer con una pallonata?» E così dicendo, indicò la vetrata da lui stesso infranta.

 

«Che? Quale killer?» balbettò Takagi, mentre i giocatori, un po’ stravolti, si dirigevano verso di lui. «Ma non c’era una ragazza…?»

 

«No, c’era un killer là!» ribattè Conan, lasciando perdere i gesti bambineschi. «Andate a controllare»

 

Takagi non avrebbe mai potuto immaginare che dietro l’aspetto di Conan Edogawa si nascondesse in realtà Shinichi Kudou, ma ormai sapeva che si poteva fidare delle deduzioni di quel bambino. «Sato, io vado a controllare dietro la palestra» disse rivolgendosi alla giovane donna che lo seguiva. «Tu chiama i rinforzi» Si fece largo tra la folla che, dopo il momento di stupore silenzioso, si stava radunando, numerosa e rumorosa. «Permesso, polizia»

 

Conan passò sotto le gambe di tutti, attento a non farsi calpestare, e si diresse nella direzione opposta alla fiumana, nel corridoio sopra le tribune. Naturalmente Haibara era sparita chissà dove. Su questo non la poteva certo biasimare, ma sparare di fronte a tutti! Con il suo vero aspetto! Sebbene avesse funzionato, non era stata una grande idea.

 

Dalla porta del bagno uscì una donna. Anche lei aveva i capelli biondi, ma molto più lunghi di quelli di Haibara; il comportamento era più sensuale. «Cool guy» lo chiamò vedendolo. «Dovresti andare» Indicò la porta di sinistra, socchiusa. «Non dirò nulla, tranquillizzala… Ripago solo il mio debito»

 

«Chi sei?» disse pericolosamente Conan. Non conosceva quella donna, anche se gli sembrava di averla già vista da qualche parte. Strano che lui non ricordasse un simile particolare. Forse, quella volta, era concentrato su qualcosa di molto più importante.

 

«A secret makes a woman woman» rispose lei sorridendo. Lo superò e lo lasciò indietro. Purtroppo, questa volta lui non aveva il tempo di ragionarci sopra.

 

 

Ai era scappata per la porta di sinistra, ma poi aveva usato le scale di emergenza, finendo per ritrovarsi nel vicolo poco frequentato dietro la palestra. Non le importava, poichè la cosa che le premeva di più era allontanarsi prima che Shinichi potesse rintracciarla. Vermouth sapeva del loro legame, ma finora non aveva rivelato nulla, perciò vi era la possibilità, seppur remota, che se l’avessero uccisa adesso, da sola, lui si sarebbe salvato.

 

Quasi con un gesto involontario risistemo meglio il caricatore della sua pistola automatica, che teneva ancora stretta nella sua mano sudata. Che caldo che aveva! Alzò lo guardo davanti a sé, ma non ebbe il tempo di capire chi le fosse davanti, perché sentì un dolore lancinante alla spalla destra, giusto all’incrocio delle ossa. Il respiro divenne ancora più affannoso, mentre il dolore si spandeva a macchia d’olio su tutte le singole fibre del suo corpo. Le tempie pulsavano incessantemente, mentre il sudore che colava dalle ciocche bionde le faceva bruciare gli occhi. Una larga macchia si allargò da sotto la sua maglietta panna, scivolando lentamente lungo il braccio fino alla pistola, e gocciolando a terra come un rubinetto che perde.

 

«Ti ho spezzato le ossa della spalla» disse la voce fredda dell’uomo che le stava di fronte. «Non riuscirai ad usare quell’arma»

 

«Mi hai risparmiato la fatica di farlo» sorrise lei cercando di rimettersi in posizione eretta, poiché il dolore l’aveva fatta incurvare.

 

«Sembra che la morte non ti spaventi affatto, Sherry» replicò lui, avanzando di un passo verso di lei, ancora con la pistola puntata nella mano sinistra.

 

«Temere la morte è inutile. Quando ci sarà lei, non ci sarò più io…» commentò semplicemente lei.

 

«Allora, perché non hai lasciato che ti uccidessi tempo prima, in quel bellissimo scenario innevato? Non è paragonabile a questa viuzza sudicia…»

 

«Ti rivelerò un segreto…» mormorò scherzosamente Ai. «A me la neve non piace» Intanto, invece che tenersi la spalla ferita, preferì spostare la mano sinistra accanto alla destra.

 

«Se preferisci così, ti accontenterò» concluse lui. «Allo stomaco, come tua sorella…»

 

E poi, lo sparo.

 

Sangue scuro schizzò a terra dalla gamba sinistra, sporcando anche i pantaloni neri con invisibili macchie. Ai strinse la pistola con la mano sinistra e, ignorando il dolore che le impediva totalmente di muovere il braccio destro, li alzò entrambi e mirò, aiutandosi con l’arto sano. Mirò alla pistola che l’uomo aveva abbassato, sorpreso da quella pallottola che lo aveva colpito alla gamba. Sparò, così come aveva fatto con Vermouth, e riuscì a disarmarlo.

 

Lui non cadde nemmeno a terra, nonostante il proiettile infilato nella carne. Anzi, sorrise.

 

«Gin!» esclamò dietro di lui la voce che aveva sparato. Era Nagisa, con i capelli rossi spettinati, e un vestitino rosa con i bottoni non ancora allacciati del tutto. «Ci siamo, finalmente»

 

«E’ stato un mio errore» mormorò Gin voltando leggermente il viso verso di lei. «Avrei dovuto ucciderti direttamente in ospedale. Avrei dovuto terminare il lavoro che avevo fatto investendoti»

 

«Si, è stato un tuo errore» confermò duramente lei. «E gli sbagli si pagano»

 

Il respiro di Ai divenne sempre più rapido e irregolare, sia per il dolore, che aumentava in conseguenza al maggior tempo che passava in quella scomoda posizione, sia per le insolite vampate di calore che le partivano dal cuore, e le annebbiavano la vista, come se fosse in preda alla febbre.

 

«Perdonami, Shihochan» disse Nagisa. «Non volevo usarti così, ma pensavo che uccidendo Gin, anche per te sarebbe andata meglio…»

 

«Povera ingenua…» disse Gin, infilando una mano sotto l’ampio cappotto nero. «Adesso, l’unica cosa che puoi fare, è lasciare che sia lei…» Tornò a guardare Ai. «Non resisterai ancora per molto… Cosa aspetti? Hai davanti a te l’assassino di Akemi Miyano»

 

«Sei proprio scemo» commentò Nagisa.

 

Ai cercò di rendere il suo respiro più regolare possibile, mentre stringeva la presa attorno alla pistola scivolosa. Sarebbe bastato così poco! Tirare indietro il grilletto e sarebbe tutto finito. Il mondo sarebbe stato liberato da un assassino e lei… Anche lei sarebbe stata libera. Oneechan non sarebbe morta invano. Intanto i minuti passavano, e il ticchettio del sangue che colava a terra scandiva i secondi come un orologio in piazza: ed erano rintocchi rochi, tenui, flebili, come ovattati fuori dal tempo che dovevano indicare. Uccidi! Uccidi! Uccidi! Questo sembravano indicarle. Ma prima che le sue dita insanguinate potessero premere il grilletto, le venne in mente Shinichi. Avrebbe saputo poi sopportare il suo sguardo accusatore? Lei stessa, avrebbe potuto guardarsi allo specchio ancora una volta? «La morte è troppo poco, per te» Lentamente, per limitare al massimo gli effetti di quel movimento, abbassò la pistola. Ucciderlo avrebbe solo sporcato ancora di più la sua anima. Non le avrebbe restituito sua sorella.

 

Con un gesto rapido, Gin estrasse un’altra pistola da sotto il soprabito nero e sparò con il braccio che Nagisa puntava verso di lui, sfiorandolo ma aprendole un’ampia ferita dalle nocche delle dita fin dopo il gomito. Liquido rosso iniziò a colare fuori a guisa di cascatelle, mentre lei tratteneva un gemito, cercando di non muovere il braccio.

 

«Hai visto quanto è debole un’amicizia?» mormorò Gin. «Per una sua debolezza, morirete entrambi»

 

«Se Shihochan avesse sparato…» Nagisa sorrise con le sue labbra rosse e carnose, il sorriso ampio e luminoso di una bella ragazza. «L’avrei uccisa io stessa» E gli occhi verdi rifletterono ancora una volta i prati di Hokkaido.

 

«Come?» Gin non capiva il senso di quelle parole.

 

«Domandati prima perché il cielo è azzurro» scherzò lei.

 

Un’altra vampata di calore e due battiti forti. Ai capì cosa le stava succedendo. Non poteva! Non poteva trasformasi in quel luogo, davanti a Gin. Doveva andarsene! No, non poteva… Lasciare Nagisa sola? Per salvare lui? Per nasconderlo ancora un pochino…  No! Non sapeva cosa fare. Chi scegliere? Lei o lui? Lui o lei? E intanto il calore aumentava, e con esso il dolore, l’ansia, la paura.

 

«E’ curioso come le persone in fin di vita straparlino»

 

«Oh, ma è proprio adesso che io mi sento veramente viva!» replicò Nagisa. «Io ho solo cose per cui morire, quindi posso sentirmi libera solo così. Invece, è bene che le persone che hanno qualcosa per cui vivere, vivano» Abbassò la pistola. «Il passato non può dirci chi siamo, ma solo chi diventiamo. Vivi, Shihochan, vivi senza pensare al resto»

 

Gin spalancò gli occhi insanguinati. Aveva finalmente capito dove quel discorso andava a parare. Si voltò di scatto, ma Sherry era già sparita. Non aveva lasciato dietro di sé nemmeno una scia di gocce di sangue. «Diavolo!» prima che potesse inseguirla, Nagisa era già comparsa davanti a lui, nuovamente con la pistola puntata, questa volta con il braccio sinistro. Era infatti ambidestra, proprio perché, un tempo, lo aveva così tanto ammirato da comportarsi come lui, da diventare addirittura mancina.

 

«No, non la ucciderai» gli disse. «E’ ciò per cui vale la pena morire»

 

«Spostati, stupida!» gridò Gin. «Ti ammazzo!»

 

«E’ così che ho dovuto vivere, da assassina» sorrise Nagisa. «Ma non è così che voglio morire»

 

 

***

 

 

Qui… Dove… Quando…

 

Non sentiva più dolore. Non sentiva più caldo. Non sentiva più niente.

 

Le voci attorno giungevano confuse, attutite, lontane. Ai stessa era avvolta da una nebbia gelida, che le permetteva di vedere solamente qualche metro davanti a sé. Camminava, camminava, senza giungere a niente, senza sentire il bisogno di fermarsi. Perché fermarsi, perché proseguire? Non vi erano risposte, solo nebbia e domande.

 

Poi, la nebbia iniziò a diradarsi, riattivandole la stanza circolazione e provocandogli brividi in tutto il corpo. Eppure, adesso vedeva un giardino, illuminato da una dolce luce primaverile. Cos’era quel freddo che le congelava il respiro in sottili nubi di fumo?

 

Sdraiata sull’erba verde e umida di rugiada, vi era una bambina, dai capelli rosso fuoco raccolti in due treccine alla Pippi Calzelunghe. Sonnecchiava, il viso rivolto verso il sole mattutino.

 

«Imooto-chan!» Accanto a lei si materializzò un bambino, leggermente più grande di lei, con due grandi occhi smeraldo. Probabilmente veniva da quel cottage che era apparso in lontananza, oltre la nebbia, al confine con l’orizzonte bianco e indeterminato. «La colazione è pronta!»

 

Anche lei aprì gli occhi e Ai sobbalzò per la sorpresa. Gli occhi verdi, profondi e scuri come quelli di Nagisa. «Spero, Oniichan, che ci siano i sembeiNagisa. Si, quella era lei da piccola. Come aveva fatto a non riconoscerla prima? E quello doveva essere suo fratello… Non lo ricordava molto, ma se lei lo aveva chiamato “onii”…

 

«Bambini, restate lì» Un’altra voce. Una voce questa volta che Ai riconobbe all’istante. Impossibile dimenticarla. Una voce che aveva avuto bisogno di sentire, ascoltare, tenere a mente… «Aspettiamo che si svegli vostro padre, e poi mangiamo in giardino» Akemi, con i suoi lunghi capelli neri e il suo sorriso luminoso come la lampada che aiuta i viaggiatori dispersi.

 

«Ci saranno anche oba-san e oji-san, vero?» chiese il bambino correndole incontro.

 

«Certo, ci saranno anche mia madre e mio padre» rispose Akemi, abbracciandolo, sempre sorridente.

 

«Onee-chan…» chiamò debolmente Ai. «Onee-chan!!» Ma sua sorella continuava a sorridere a quel bambino, senza curarsi di lei. Le lacrime iniziarono a scenderle veloci lungo le guance pallide, mentre cercava di avvicinarsi e vedeva che il mondo spariva e sfocava man mano che la distanza diminuiva.

 

«Shiho-chan non c’è?» mormorò la piccola Nagisa, seduta per terra ad osservare le gocce stillate lungo i sottili fini d’erba.

 

«No, lei non c’è» rispose grave Akemi. «Shiho è ancora viva»

 

«Perché lei si e noi no?» si domandò il bambino. «Non è giusto»

 

«Non è giusto» ripetè Nagisa.

 

«No… Non è vero…» I singhiozzi di Ai soffocavano le sue parole e rendevano i suoni acidi, terribili. «Io… Non volevo… Non voglio vivere su di voi…» Nessuno la ascoltava.

 

«Avete ragione, non è giusto» disse Akemi Miyano.

 

 

***

 

 

Buio. Dolore. E voci. Voci che venivano dal nulla. Chi era? Dov’era? Cosa era successo?

 

Le palpebre dolevano. Erano troppo pesanti per aprirsi.

 

«Così mi ha detto che non avrebbe rivelato nulla e se n’è andata»

 

«Pensi che fosse dell’Organizzazione e che conosca il tuo segreto?»

 

«Forse si. Non so se possiamo fidarci, però… Mi ha dato questa impressione»

 

«Come mai?»

 

«Non saprei dirlo con certezza, ma se quella donna era veramente Jodie-sensei, allora avrebbe avuto molte altre occasioni per ucciderci e invece non l’ha fatto»

 

Voci. Voci fioche e lontane, che, diversamente dalle altre, si insinuavano nella sua mente debole per il dolore, impedendole un riposo sereno. Le palpebre diedero un leggero segno di cedimento e lei ne approfittò per aprirle leggermente e sbatterle, per levare quella patina opaca che le copriva gli occhi stanchi e doloranti. Riconobbe le figure sbiadite di Shinichi e del Dottor Agasa.

 

«Ai-kun, ti sei svegliata» disse quest’ultimo. «Come ti senti?»

 

Lei girò debolmente lo sguardo, agitando i capelli biondi. Si trovava sdraiata sul divano, nella casa comoda e familiare in cui era stata ospitata per tanto tempo. Provò a dire “bene” ma l’aria non le passò attraverso le corde vocali e la voce non uscì.

 

«E’ meglio se non ti muovi» continuò Agasa. «Hai una brutta frattura alla spalla, ma per fortuna niente di mortale. In tre mesi potrai muoverti come prima»

 

«Ti ho trovata nel vicolo accanto alla palestra, svenuta» intervenne Conan, visto che lei lo guardava. «Ti ho portata via in fretta, perché ho sentito dalla strada di fianco la voce di Gin e non potevo permettere che ti vedesse da bambina»

 

«Grazie…» mormorò finalmente Ai con voce roca. Alzò il braccio sano di fronte a lei, osservando la mano. Si sarebbe aspettata di trovarla ancora macchiata di sangue, invece era bianca e pulita. Piccola. L’antidoto aveva terminato il suo effetto. Ecco perché tutto sembrava di nuovo così enorme. «E Nagisa…?»

 

Agasa scoccò uno sguardo a Conan, poi prese il telecomando e accese la televisione.

 

- Dopo l’arresto del sospetto – diceva lo speaker. – La polizia ha trovato nel vicolo retrostante la palestra il cadavere non ancora identificato di una giovane donna. Dai primi accertamenti sarebbe morta per il dissanguamento provocato da una ferita d’arma da fuoco allo stomaco. Solo l’autopsia potrà confermare questa ipotesi – Il viso di Nagisa, ricostruito al computer, apparve sullo schermo. – Secondo alcuni testimoni sarebbe la stessa donna incontrata dal corriere arrestato sul treno Tokyo/Osaka ieri. La tesi più probabile sarebbe quindi un regolamento di conti tra membri della Yakuza, visto che il presidente del Kitagawa ha confessato il suo legame con una di queste organizzazioni -

 

«Non so se sia un bene o un male» disse Conan. «Però adesso la polizia ha già arrestato due membri dell’Organizzazione e ha iniziato a indagare su di loro»

 

Ai non rispose. Sentiva solo nausea. Una forte voglia di sboccare, di vomitare fuori anche l’anima. Dolore, al petto e alla spalla. E vuoto. Un vuoto immenso in ogni singola fibra del suo essere. Leggere lacrime cristalline le uscirono dagli occhi verde acqua. Piangere. Solo questo riusciva a fare? «Devo andarmene…» singhiozzò. Si alzò velocemente, ignorando la pesantezza delle sue gambe da bambina e il dolore alla spalla ferita, dirigendosi verso la porta. «Devo andarmene…»

 

«Dove?» Conan le si parò davanti. «Con quella ferita non puoi andare da nessuna parte. E non potresti farlo nemmeno se stessi bene. Non hai altro posto dove andare» Pausa. «Hai solo noi»

 

«Adesso si, e non voglio perdervi» replicò al principio calma Ai. «Guarda cos’è successo!» Indicò la tv che Agasa aveva spento. «Io… Volevo solo vederla e…» I singhiozzi la facevano parlare a balzi. «Onee-chan… E’ morta per aiutarmi… Nagisa è morta per aiutarmi… Tu… Se continui ad aiutarmi… Anche tu…»

 

«Pensi forse di portare sfortuna?» le chiese Conan serio. «Pensa a me. Dovunque vado muore qualcuno»

 

«Non è la stessa cosa, stupido» ribattè secca Ai. «Non ce la faccio più, fammi passare… Non potrei sopravvivere con il rimorso di aver ucciso anche voi…»

 

«Ascoltami…» mormorò lui paziente. «Se non rimani nascosta, quelli dell’Organizzazione potrebbero trovarti… Capire che l’APTX4689 rimpicciolisce… Allora davvero verrebbero a cercare anche me. È questo che vuoi?»

 

«No…» Lei scosse la testa. «Però… Se prendessi un altro antidoto… Stavolta non mi farò convincere, non scapperò… E il tuo segreto-»

 

Conan la afferrò per un braccio e la trascinò vicino allo specchio. «Guarda!» esclamò. «Guarda che cosa ti ha lasciato Nagisa! Vuoi davvero buttarlo via così?»

 

Ai rimase immobile ad osservare sé stessa riflessa in quella superficie liscia. Le sue guance pallide, attraversate da sottili fili di rugiada. I suoi capelli biondi spettinati e disordinati. La fasciatura alla spalla destra, che la teneva ferma. Il braccio appeso al collo perché non si muovesse. La maglietta beige, ancora macchiata di rosso, adesso così grande da farle da vestito. Gli occhi verde acqua umidi e tristi.

 

«Tu non capisci… Non capisci…» Ai abbassò lo sguardo per non guardare la sua immagine riflessa, un’altra sé stessa che non esisteva, un’illusione. «Loro… Loro mi odiano… Onee-chan, Nagisa-chan, anche suo fratello… Mi odiano perché sono ancora viva…» I singhiozzi aumentarono d’intensità. «Non ho chiesto io di rimanere in vita…! Non voglio che mi odino… Non voglio…»

 

«Come potrebbero odiarti?» Conan la osservò con uno sguardo stupito.

 

«I-io… Le ho viste… In paradiso…»

 

«Stronzate» la contraddì lui. «Che la tua mente ha creato per lo shock» Sospirò. «Se tu fossi morta nel pullman, tempo fa, mi avresti odiato?»

 

«N-no…» Ai gli scoccò un’occhiata umida sotto la frangia bionda. «Perché avrei dovuto…? Era una mia scelta…»

 

«Appunto» continuò Conan. «Se invece tu fossi morta, io mi sarei sentito in colpa come ti senti tu adesso per essere sopravvissuta a loro. Però tu volevi farlo ugualmente»

 

«Io…» Ai lo guardò sorpresa.

 

Conan le appoggiò una mano sulla spalla. «Ti hanno salvata perché ti volevano bene, quindi non possono odiarti. Sono state egoiste. Io non lo sarò, e nemmeno tu. La sola cosa che puoi fare adesso per loro è vivere» Sorrise. «Vivi, Aichan, vivi»

 

Ai si voltò ad osservare lo specchio. Al posto della sua immagine tremolante, vide una bambina dai capelli rossi rossi, che sorrideva. Dietro di lei, una bella ragazza dai capelli neri. Anche lei sorrideva. Sorrisi luminosi, che scaldavano le mani gelide. La nausea era sparita, e con quella anche il vuoto. Adesso, aveva caldo.

 

«In certi momenti, mi viene davvero da domandarmi se sia giusto salvare una persona che vuole morire…» Conan sorrise. «E tutte le volte la risposta che mi do è “si”, perché si trovano sempre delle buone ragioni per vivere»

 

«Spero che non coincidano sempre con le buone ragioni per morire, vero, Nacchan?» mormorò sottovoce Ai, in modo che nessuno la sentisse.

 

«Sono felice che tu sia ancora viva» Conan la abbracciò, lasciando che lei si sfogasse sul suo petto per qualche minuto, come aveva fatto per la morte della sorella.

 

«Grazie, Kudou» mormorò infine, scostandosi da lui e asciugandosi le lacrime con la manica della maglietta panna. «Ora sto meglio» Sospirò. «E’ vero, non ho altro posto dove andare… E non posso fare a meno di vivere, perché… Aveva ragione Nagisachan, ho una ragione per vivere…» Sospirò ancora. «Kudou-kun… Anzi, no, Shinichi-kun… Tu sei quella ragione…» L’ultimo profondo sospiro. «Tu mi piaci…»

 

«Eh?!» Conan rimase bloccato, fermo, con gli occhi spalancati dalla sorpresa.

 

Ai si voltò verso di lui, sorridendo amabilmente. «Just kidding

 

 

 

Note di Akemichan:

 

La storia è finita! Spero che vi sia piaciuta ^.^

L’ultima scena è leggermente ripresa dall’epilogo (che logicamente la mediaste ha tagliato è_é) di una puntata di Conan, non ricordo il titolo… Era quella allo stadio, dove il cameraman minacciava di uccidere qualcuno se non gli avessero dato dei soldi… Insomma, per farla breve, Conan aveva chiesto ad Ai quanto anni avesse, e lei non era riuscita a rispondergli per tutto il casino che era successo poi. Nell’epilogo lei gli dice “veramente ho 18 anni… sarei perfetta per te” e lui ci rimane… Ma poi Ai aggiunse “stavo solo scherzando…” e se ne va, lasciandolo lì come un fesso ^^

Ho ripreso questa scena perché, a mio parere, non c’era altro modo per finirla ^^

 

 

Mini Dizionario:

 

Immoto: propria sorella minore

 

Oba: propria zia

 

Oji: proprio zio

 

 

Reviews (a quelle per questo capitolo, se ce ne saranno, risponderò nell’angolo recensioni):

 

Mirtilla: Sai, visto che pensavi alter cose rispetto alla verità, significa che tutto sommato la mia storia come giallo non era troppo male…^^ meno male, sono contenta ^.^ Grazie per la recensione, ed eccoti l’ultimo capitolo! Fammi sapere com’è^^

 

Friedryck: No, Vermouth è l’attrice bionda che si vede all’inizio della puntata del sequestro del pullman… Se poi lei e Jodie siano la stessa persona… Su questo punto non mi esprimo ^_- Già, è l’ultimo, ma scrivere di più sarebbe stato superfluo, almeno per questo argomento ^^ Spero che ti piaccia la fine e meno male che Nagisa non è una Mary Sue. Grazie della recensione

 

Melany Holland: Se Nagisa non è una Mary Sue, non posso che esserne contenta, sai, il dubbio rimane sempre quando si crea un personaggio… Grazie dei tuoi complimenti, non sai quanto mi facciano piacere ^///^ C’è suspence, davvero? Di solito, non riesco mai a crearla…^^ Anche se i miei sogni non li consiglierei mai a nessuno, tanto sono incasinati! Non preoccuparti per il ritardo, per me la cosa importante è avere la tua opinione ^^ Spero che questo capitolo ti piaccia ^^

   
 
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