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Autore: flyerthanwind    18/11/2021    1 recensioni
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La vita di Sam è quanto di più normale esista: ha una gemella che la conosce meglio delle sue tasche, un fratello con cui condivide la passione per il calcio e una squadra a cui tiene più della sua media scolastica –ma questo non ditelo alla madre!
Eppure, dal giorno in cui un vecchio amico di suo padre si trasferisce in città, la situazione prende una strana piega. Innanzitutto, le motivazioni del trasferimento appaiono strane, suo padre è strano e i sentimenti sono strani. Questo perché il figlio del tipo di cui sopra ha uno strano potere attrattivo nei suoi confronti.
Ottimi presupposti per una bella dose di disagio, non vi pare?
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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La prima amica in città

L'unica spiegazione plausibile che Amelia era riuscita a propinarmi per la scenetta in mensa era che stava mettendo in atto una tattica per me. Per me. Che poi chi le aveva chiesto aiuto?! Io no di certo.

Sosteneva che se gli avesse semplicemente detto di essere la Miller sbagliata in lui non sarebbe scoppiato l'interesse; tuttavia, ignorandolo e rifiutandolo così apertamente, nella sua mente si sarebbe innescato un meccanismo di protezione dell'orgoglio ferito.

Ovviamente era solo una sciocca dato che Austin aveva creduto che lo stessi semplicemente evitando e di conseguenza aveva iniziato a fare lo stesso con me. I suoi giochetti da psicopatica non attaccavano con lui e non potei che essere felice di rinfacciarle quell'atteggiamento, anche se ciò ci costò una plateale discussione fraterna.

«Perché le gemelle continuano a ignorarsi?» domandò papà a cena, incurante del fatto che le due dirette interessate erano sedute intorno alla tavola.

Quando si trattava dei nostri litigi, lui e la mamma tendevano a non volerne sapere mai nulla, timorosi di incappare nelle nostre vendette da gemelle psicopatiche, come le chiamava Lucas quando si schierava dalla parte di una e poi l'altra gliela faceva pagare.

«Non ho ben capito, penso che Amelia abbia fatto la scema con il ragazzo di Sam» spiegò Lucas mentre due identici sguardi assassini gli piombavano addosso.

Potevamo anche essere sul punto di aggredirci con le forchette, ma quando qualcuno si immischiava riuscivamo a deporre le armi giusto il tempo di annientarlo, e Lucas evidentemente non aveva imparato bene la lezione.

«Io non ho un ragazzo» ringhiai contro mio fratello, che ovviamente non aveva capito un tubo della nostra discussione e che ovviamente era giunto a conclusioni affrettate.

A volte avevo l'impressione che parlare a sproposito fosse la sua attività preferita e questo intervento non faceva che dimostrare la proporzionalità inversa tra il suo cervello e i suoi muscoli.

Dannatissimo scimmione, se non fosse stato così enorme gli sarei già saltata al collo per strozzarlo in via definitiva.

«E io non faccio la scema» lo fulminò Amelia con un’espressione sconvolta. In effetti lei non aveva bisogno di fare la scema affinché i ragazzi ci provassero, lo facevano anche se li ignorava, e il fatto che Lucas avesse anche solo potuto pensare che un ragazzo fosse la causa dei nostri litigi offendeva profondamente anche me.

Insomma, tecnicamente avevamo discusso per un ragazzo, ma la questione non era semplicistica come lui l'aveva descritta. E in più io e Amelia non avremmo mai permesso a qualcuno di mettersi tra noi, se dovevamo scannarci lo facevamo per questioni di maggiore rilievo.

Tipo chi aveva rotto l'ennesimo diffusore del phon o quale serie tv era la migliore dell'anno. Quelle erano le cose davvero importanti!

A quel punto mamma decise di intervenire, domandando chi volesse altra insalata prima che le sue figlie attentassero alla vita del suo primogenito; dopo il pessimo intervento di Lucas, l'alleanza tra me ed Amelia era praticamente stata sancita, bastava metterlo fuori gioco e poi pensare a quale bottiglia sbattere sulla testa della mia gemella per tramortirla.

Semplice, no?

«Siamo contenti se hai un ragazzo» s'intromise papà, rivolgendosi direttamente a me. Faceva continui riferimenti al fatto che passavo molto tempo con i compagni di Lucas e mi aveva chiesto diverse volte se avessi una relazione con uno di loro.

Mi rendevo conto che il mio atteggiamento poteva essere frainteso, ma Kate aveva una cotta per Lucas e io preferivo di gran lunga la sua compagnia rispetto a quella di altri studenti. Ciò non implicava che dovessi necessariamente avere una tresca con uno di loro.

«Io non ho un ragazzo» affermai ancora, questa volta rivolgendomi direttamente a lui e riservandogli il miglior sguardo persuasivo che avevo ereditato da Maeve Miller.

«O anche una ragazza» aggiunse immediatamente, sebbene gli apprezzamenti che avevo rivolto fin dalla tenera età a Zac Efron e non a Vanessa Hudgens fossero ben poco fraintendibili. D’altra parte, a lei ci pensava già Amelia.

«E non ce l'avrai se non mi dai ascolto» replicò lei, scoccandomi un'occhiata sapiente e ignorando del tutto nostro padre. Se non l'avesse fatta finita in quel momento esatto le avrei tirato un piatto in testa, risparmiando il vino che i nostri genitori stavano bevendo.

O magari le avrei versato direttamente il vino in testa, così ci saremmo risparmiati un giro al pronto soccorso e una denuncia per aggressione.

«Non lo voglio» digrignai i denti, guardandola negli occhi. Poteva esserci uno specchio in mezzo a noi dato che ci osservavamo con la stessa espressione: un misto di rabbia, stupore e rassegnazione.

«Mi erano mancate le faide familiari durante i pasti» ci interruppe di nuovo la mamma, con un sorriso gioviale che ebbe il potere di scacciare la tensione e riportare l'allegria con una sana risata.

***

A scuola avevo cercato in tutti i modi di intercettare Austin per scusarmi del comportamento di Amelia, invano; la sorte sembrò improvvisamente girare a mio favore quando me lo ritrovai nel laboratorio di scienze

Se ne stava seduto tutto solo su uno sgabello, col capo chino sul banco da lavoro e i riccioli a ricadergli intorno al viso come una cortina impenetrabile di spighe d'oro.

Presi posto accanto a lui con un sorriso, richiamando la sua attenzione con un casuale quanto studiato colpo di spalla che gli fece piegare il volto e arricciare le labbra con una spontaneità inaspettata.

Decisi di parlargli prima che il professore arrivasse. «Ti devo delle scuse per Amelia» iniziai, passandomi una mano tra i capelli senza sapere bene come continuare.

A scuola era risaputo che mia sorella non aveva un bel carattere: non era cattiva, semplicemente odiava perdere tempo e dunque si cercava di non infastidirla con quelle che lei reputava scemenze, per cui io non ero abituata a scusarmi per il suo comportamento... ordinario.

«Figurati... Penso di non esserle molto simpatico» azzardò, stirando il sorriso e trasformandolo in una smorfia a causa del naso arricciato.

«Oh no, quello è il suo modo di rapportarsi agli sconosciuti» tentai invano di giustificarla, sapendo che in realtà aveva esagerato per tentare di accendere in lui una scintilla. Aveva una mente decisamente contorta.

«Sei sicura? Aveva l'aria di una che voleva uccidermi con gli occhi» spiegò abbassando il tono mentre il docente faceva il suo ingresso in classe e iniziava le presentazioni di rito.

«Beh lei... è un po' particolare» risposi lasciandomi sfuggire una risatina. Particolare era decisamente un aggettivo che si addiceva ad Amelia. «Ma puoi stare tranquillo, non ha ancora imparato ad uccidere con lo sguardo!»

«Questo mi rassicura» rise anche lui, iniziando poi a prestare attenzione all'uomo col papillon che sedeva dietro alla cattedra e aveva iniziato a illustrare il programma di scienze.

Austin non era come me l'ero immaginato sulle scale: non era un riccone annoiato che tentava di nascondersi a una festa, ritenendo gli altri ospiti indegni della sua presenza.

Ci avevo avuto ben poco a che fare, per lo più in compagnia di altre persone e in ambienti neutrali quali un soggiorno con i nostri genitori e un campo da calcio, passione comune, ma non mi sarebbe dispiaciuto conoscerlo meglio dal momento che mi sembrava piuttosto simpatico.

E poi era bello, c'era da ammetterlo: i capelli biondi gli ricadevano in morbidi boccoli chiari fin sopra le spalle, sbeccando gli spigoli della mandibola squadrata e il naso pronunciato; le labbra, gonfie e rosee, contribuivano ad alleggerire i lineamenti duri, e gli zigomi definiti catalizzavano l'attenzione sui lapislazzuli cobalto che aveva al posto degli occhi.

«Come mai vi siete trasferiti qui?» domandai, mentre il professore si voltava per disegnare strutture alla lavagna. Volevo saperne qualcosa in più su quel ragazzo dato che, come aveva sottolineato Amelia al centro commerciale, conoscevo solamente il suo ruolo nel calcio.

«Bella domanda» rispose con una nota di risentimento nella voce. Supposi fosse un argomento di cui non aveva intenzione di parlare, per cui, nonostante la curiosità dilagante, mi limitai a tacere e lasciargli un sorriso di circostanza.

Il professore ormai parlava ininterrottamente da un po' quando Austin mi lanciò un'occhiatina di sbieco, assicurandosi di avere ancora la mia attenzione; probabilmente voleva anche accertarsi che la sua risposta brusca non mi avesse turbato.

Me ne accorsi solamente perché avevo il capo voltato nella sua direzione per recuperare una penna rotolata sul banco, così gli rivolsi un sorriso di circostanza e tornai a prestare attenzione al docente.

«La versione ufficiale è che papà ha ottenuto una promozione, un lavoro in uno studio molto importante a cui è impossibile rinunciare» sussurrò con voce leggera, lasciandomi intendere che quelle parole per lui contassero ben poco.

Fui costretta a drizzare le orecchie per evitare di perdermi qualche sillaba tanto il suo tono era flebile, ma data la delicatezza dell'argomento non me la sentii di fargli ripetere qualcosa che non avevo udito.

Ero indecisa se rispondere o meno quando fu lui a continuare. «Peccato che fosse un socio di maggioranza del suo vecchio studio e adesso è un semplice avvocato del Kolman Team» soffiò infine, serrando i denti.

Era chiaro che non si fidava minimamente delle parole gli erano state propinate, tuttavia io conoscevo lo studio, anche mio padre lavorava lì, e sapevo quanto fosse complicato anche solo ottenere un colloquio. Sapevo inoltre che il grande capo, il signor Kolman, aveva studiato nello stesso college di papà e del signor Rogers, dunque non faticavo a credere che avesse scelto un ex compagno di studi come nuovo dipendente.

«Anche mio padre lavora lì, è uno degli studi più importanti dello Stato» provai a convincerlo. Di sicuro molte erano le cose che non gli tornavano e che l'avevano portato a dubitare della veridicità delle parole dei suoi genitori, ma almeno su quello erano stati sinceri.

«Ho fatto le mie ricerche, so quanto è prestigioso, ma non per questo molli di punto in bianco i tuoi colleghi e non dai possibilità di metabolizzare alla tua famiglia» sputò velenoso, stringendo i pugni. La vena del braccio si gonfiò, pulsante, e il bicipite guizzò dalla stoffa della maglietta scura che indossava, mentre i suoi occhi si scurivano e la sua mascella si irrigidiva.

Non avevo la minima idea di cosa avrei dovuto fare per cercare di calmarlo – in effetti non comprendevo nemmeno se la sua fosse rabbia vivida o nervosa agitazione – per cui mi limitai ad allungare il braccio accanto al suo e stringergli la mano. La sua pelle era bollente a causa della temperatura settembrina piuttosto elevata, ma le dita che si avviticchiarono intorno alle mie erano appena tiepide e non sudate.

Gli sorrisi di sbieco mentre il professore prendeva di nuovo posto dietro la cattedra e per un po' tra noi aleggiò un silenzio tranquillo.

«Non so nemmeno perché te ne sto parlando» biascicò infine, sciogliendo la presa tra le nostre dita per grattarsi nervosamente la nuca.

«Ovviamente perché sono un'ottima confidente e tu vuoi far decollare il mio futuro da psicologa» spiegai risoluta, sollevando le sopracciglia con espressione eloquente e strappandogli una risatina.

Il professore rivolse un'occhiataccia nella nostra direzione, ma poiché non poteva presumere con esattezza chi stesse ridendo non ce ne preoccupammo molto.

«Sì, sono certo che alle serata di beneficenza tu abbia potuto studiare diversi esemplari di casi umani, sarai già a buon punto» rispose, tenendomi il gioco e sorridendo, questa volta più apertamente. «Poi io sono un ottimo caso clinico dato che sono mesi che non parlo con qualcuno.»

Non immaginavo nemmeno lontanamente come potesse sentirsi a essere catapultato in una città nuova, in una scuola nuova, senza il dovuto preavviso o le giuste spiegazioni. Non sapevo come ci si sentisse a ritrovarsi isolato e lontano dagli amici, dagli affetti che aveva costruito magari con fatica, per cui preferii tacere piuttosto che rivolgergli qualche frase di circostanza che sicuramente non sarebbe servita a nulla.

«Mio padre si è trasferito subito e ha iniziato a cercare casa, io e Kimberly abbiamo voluto terminare l'anno e nel mentre mia madre ha sistemato tutti i documenti; a luglio anche noi ci siamo trasferiti qui, in quella casa isolata fuori città da cui non abbiamo contatti con la civiltà.»

Ormai la sua era divenuta una confessione e in effetti Austin aveva l'aria di uno che non parlava apertamente con gli altri da un parecchio tempo. Probabilmente dopo il trasferimento improvviso aveva avuto delle discussioni con i suoi genitori e immaginavo che la sua sorellina non fosse esattamente la confidente adatta.

 «Mi stai dicendo che sono la persona più interessante con cui parli da luglio? Sei messo piuttosto male» gli dissi sarcastica, colpendogli la spalla con la mia e strappandogli così un'altra risatina.

Ero contenta di potergli essere utile in qualche modo, anche solo ascoltando la sua storia o facendo dell'ironia, e il fatto che lui reggesse il gioco rendeva interessanti le conversazioni.

«Beh, non ho molti vicini» continuò infatti storcendo il naso e confermando i miei pensieri pregressi.

Aggrottai la fronte con un finto cipiglio annoiato, nascosi l'occhiolino tra i capelli mossi e finsi di prestare attenzione alla lezione nel tentativo di non fargli percepire il sorrisetto che le parole che stavo per pronunciare mi avrebbero fatto spuntare a tradimento sul viso.

«Sei fortunato, hai appena trovato la tua prima amica in città.»

   
 
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