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Autore: Exentia_dream2    18/11/2021    3 recensioni
L'hanno portata giù nelle segrete che gronda lacrime dagli occhi.
Qualcosa gli si agita nel petto - è la prima volta: l'ha vista persa, felice, soddisfatta, determinata, triste, ferita, arrabbiata, delusa, sempre sul punto di farsi esplodere gli occhi troppo lucidi, ma di piangere non l'ha vista mai.
E quella sensazione nello sterno diventa macigno chi s'inclina e gli fa scricchiolare le costole, quando le guance della Granger si striano di rosso e nel momento in cui lui abbassa lo sguardo e si rende conto che la verità è diversa da quella che gli hanno raccontato, che il sangue è sangue ed è uguale per tutti, che la differenza tra chi è come lui e chi è come lei sussiste in quello che custodiscono dentro: non hanno mai avuto niente in comune eppure adesso hanno un marchio addosso che li accomunerà per sempre - traditore lui, sanguesporco lei - , opposti e speculari, due facce della stessa medaglia; il braccio è arrossato, le lettere incise sulla pelle un giorno saranno cicatrici, magari sarà lei stessa ad abbruttire quegli sfregi; lui solleva la manica della camicia per vedere quello che resta di un marchio che ha desiderato più di ogni altra cosa e gli si rivolta lo stomaco
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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É il silenzio ad assistere alla caduta nel vuoto di Albus Silente: nessuno osa fiatare, non il minimo mormorio, ma se le ossa che tremano potessero far rumore, allora Draco sarebbe l'unico a emettere il suono che sente rimbombare in ogni angolo dentro di sé.

Se ne sta fermo, gli sembra di vedere ancora la figura del vecchio preside e chissà cosa avrà pensato quando s'è trovato di fronte un ragazzo con più terrore che intenzione.

Draco, tu non sei un assassino, ma se quella frase è verità, allora sarà responsabile di morti che non avrebbe mai voluto portarsi sulle spalle — morirà anche lui e allora forse aver deciso di porre fine alla vita di sua madre peserà di meno.

Il Marchio Nero si avvolge intorno al braccio e stringe e duole: é fresco, Draco riesce a sentire ancora il puzzo della carne bruciata dall'incantesimo; i mesi trascorsi a elaborare un piano per permettere ai Mangiamorte di entrare a Hogwarts non gli hanno dato modo di prendersene cura, il rossore e l'infezione sono arrivati quasi alla clavicola.

Ha perso sonno, spensieratezza, amici, persino Pansy s'è allontanata e non vuole avere più niente a che fare con lui: il gioco non vale mai la candela, gli ha detto, basta un soffio di vento e non esisti più.

Draco ha pensato che il moccolo può essere acceso di nuovo, che la candela torna a bruciare, ma lei gli ha risposto che no, non sarà più lui la fiamma che arde, sarà un altro come te, perché non sei indispensabile, sei soltanto una pedina.

Ha giocato a scacchi tante volte e in questa partita s'è creduto torre, s'è messo a difesa e l'arrocco ha permesso a Voldemort di muoversi di due caselle: Albus Silente è morto, Draco Malfoy anche (è stato solo un pedone).

Sono stato scelto, ha detto. Ha capito soltanto adesso a quale scopo — essere il punto debole di una famiglia che ha deluso il proprio padrone, la vittima sacrificale per espiare colpe e peccati che non sono suoi — mentre ha ancora negli occhi lo sguardo vuoto di chi gli ha teso un aiuto che non ha saputo accettare, l'espressione rassegnata ma comunque speranzosa sul viso di Silente che esala l'ultimo respiro.

È l'urlo folle di Bellatrix a fargli scattare qualcosa dentro; qualcuno gli stringe una spalla e allora prende le scale e scappa, maledizione, mettiti in salvo.

Non lo fa, non subito almeno: diventa pietra di fronte allo spettacolo di centinaia di bacchette sollevate al cielo, l'avrebbe alzata anche lui se avesse potuto, ma il Marchio Nero duole e brucia e la rabbia di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato gli stringe la pelle come spire di serpente.

E se avesse avuto il coraggio, l'avrebbe nominato, maledetto e maledetto ancora.

Draco, però, il coraggio non ce l'ha.

Si nasconde tra quelle pareti che chiama casa — non più sua, Lord Voldemort ne è il proprietario adesso — dopo una corsa che gli ha fatto accartocciare i polmoni e tremare le gambe; Narcissa lo accoglie in silenzio e cala lo sguardo: tutti sanno che Draco ha fallito, nessuno sa cosa c'è in serbo per lui.

"Draco" gli tremano le viscere a sentire quei sibili che gli rimbombano dentro. "Vieni qui."

Abbassa il capo, il passo lento di chi cerca di rimandare l'inevitabile epilogo di una vita vissuta all'ombra di chiunque, tranne quella di se stesso.

"La morte sarebbe un bel lieto fine, non trovi?" Lord Voldemort è spettro di carne quando inclina il viso a tre quarti e l'obbliga a guardarlo.

Mormora un sì e il suo cuore smette di battere nel momento preciso in cui il raggio verde gli sfiora la spalla e s'infrange dietro di lui: sua madre giace sul pavimento e non respira più.

Non gli hanno dato nemmeno il tempo di pensare d'essere orfano né di versare una lacrima o di capire d'essere ancora vivo, l'hanno rinchiuso nelle prigioni di casa sua, gli hanno concesso un perdono bugiardo come la sua lealtà al Signore Oscuro.

"Questo è peggio della morte" ha detto a Lucius mentre lo conduceva nelle segrete della villa.

"È il prezzo da pagare per il tuo fallimento."

C'è Luna Lovegood laggiù, Dean Thomas, il folletto della Gringott di cui non ricorda il nome e Olivander.

Non vede il fabbricante di bacchette da quando aveva undici anni, si chiede cosa pensi adesso a vederlo rinchiuso insieme a loro, come un prigioniero qualsiasi e non il figlio di Lucius Malfoy o il Mangiamorte più giovane dei ranghi del male; si chiede quanto quell'uomo abbia dubitato del crine di unicorno presente nella sua bacchetta, ma non del legno con cui è stata costruita — una bacchetta insolita e contraddittoria, ricca di paradossi esattamente come l’albero che l’ha generata: i fiori e le foglie hanno poteri curativi, mentre i rami tagliati odorano di morte, esattamente come Draco, che è un biancospino senza radici, senza poteri curativi e si porta addosso il puzzo di cadavere come fosse un mantello.

~•~


L'hanno preso per le braccia e l'hanno trascinato nel salone come fosse un sacco di sterco, l’hanno inginocchiato di fronte a un viso e gli hanno chiesto se quello fosse Potter (è lui, ne è certo), ma quando s'è fatto inutile perché io non… non sono sicuro, è stato tirato indietro, lontano e allora giù, di nuovo al buio, in compagnia sì, eppure da solo.

Sente soltanto le grida della follia e quelle del dolore che si sovrappongono in un frastuono che gli spacca i timpani e non sa dove cominciano le prime e dove le seconde, ma riconoscerebbe la voce della sanguesporco nel caos più totale — cattivo, piccolo scarafaggio malvagio!

Si sente proprio così adesso, mentre pensa che ha salvato il Trio dei Miracoli di nuovo e che le sue parole questa volta non hanno fatto ridere nessuno e magari (magari!) avesse potuto dirle di scappare perché i Mangiamorte stavano cercando i babbani, magari avesse potuto dirle in un modo tutto suo di mettersi in salvo: nessuno avrebbe visto le mutande di Hermione Granger, ma l'anima sì, quella l'avrebbero vista tutti attraverso il coraggio che ha di restare in vita, quando chiede per favore, per favore basta!

Weasley si dimena come un matto, continua a urlare e a urlare e a urlare: “Lasciatela, prendete me! Hermione! HERMIONE!”

Gli fa strano sentire il suo nome: l’ha sempre vista come un corpo da odiare, nervi in cui illecitamente scorre la magia, sangue putrido che ha spezzato tradizioni secolari e generazioni in cui i maghi sono nati dai maghi, e nient’altro. Fino a quando non ha sentito il suo nome strepitato come un coro e lei ha assunto le fattezze di una persona reale.

Potter se ne sta immobile con la fronte appoggiata alle sbarre, sembra che stia pregando: ma quale Dio o essere rivolto a un bene superiore permette tali scempi?

Credi davvero che il nostro destino sia scritto nelle stelle? Ti confido un segreto, Draco: il destino è tutto bianco, sei tu che decidi di sporcarlo con le tue azioni, gli ha detto Pansy una sera che l’ha aspettato sveglia perché anche a lei facevano repulsione i Babbani, ma nessuno meritava di morire.

Ci pensa, adesso, e ha l’impressione che non ci sia un angolo bianco nel suo destino: è tutto chiazzato di errori, fallimenti, paure e diventa sempre più nero e nessun dettaglio a cui appoggiarsi, perché ci si abitua alla mancanza di luce, ma nel buio i particolari finiscono per perdersi.

Luna Lovegood impugna un chiodo come fosse un coltello, libera i due Grifondoro e sorride come se avesse salvato il mondo intero, ma non ha salvato proprio nessuno e se possono muovere le mani non è certo grazie a un chiodo arrugginito.

Li guarda da lontano, sembrano tutti dannati, poi sposta lo sguardo e la luce dell’aggeggio di Weasley rivela un’altra presenza all’interno della cella: Dobby s’è materializzato tacitamente, corre alle spalle del Prescelto e gli dice ch’è venuto a salvarlo; porta con sé alcuni dei prigionieri e poi torna a riprendere gli altri.

L’elfo non lo vede, lui nemmeno s'immagina quanto il suo ex servitore somigli alla libertà che tanto agogna, allora si raggomitola su se stesso: Draco Malfoy si è perso nei corridoi di Hogwarts, nelle ore trascorse a studiare tattiche per far entrare i Mangiamorte nella scuola, per riparare l'Armadio Svanitore, per non morire.

Quando resta da solo, si chiede cosa sia la pietà, perché Dobby, dopo averlo cresciuto, non s’è fermato a dirgli che sì, avrebbe salvato anche lui.

Non sa rispondersi: non l’ha mai provata, se non per se stesso e per sua madre.

Si dice che sarebbe stato facile capirlo, che la pietà poteva essere un calzino usato con cui liberare un elfo, sollevarlo da ogni incarico e punizione autoinflitta e, forse, adesso, non starebbe da solo a sentire l’umidità dei sotterranei che gli deteriora lo scheletro.

Se avesse potuto tornare indietro, gli avrebbe regalato la più preziosa delle sue camicie, perché la salvezza avrebbe potuto avere un prezzo molto più alto.

Dopo è uno stridio continuo di voci e incantesimi e crepe che s’aprono un po’ ovunque, fino a quando tutto finisce in un fracasso di cristallo che si abbatte da qualche parte all’interno della Villa.

S’alza di scatto quando le sbarre della cella urtano contro le pareti, resta immobile nella speranza che i mantelli neri e le maschere orride che gli occupano casa possano dimenticarsi di lui: sua madre è morta, suo padre non ha versato una lacrima e lui… lui vorrebbe soltanto non respirare più.

“Avanti, ragazzina” dice una voce che non riesce a riconoscere, poi il corpo della Granger viene spinto e giace sul pavimento freddo, le braccia aperte e sembra più morta che viva, ma continua a sussurrare frasi che lui non riesce a capire.

L’hanno portata giù nelle segrete che gronda lacrime dagli occhi.

Qualcosa gli si agita nel petto — è la prima volta: l'ha vista persa, felice, soddisfatta, determinata, triste, ferita, arrabbiata, delusa, sempre sul punto di farsi esplodere gli occhi troppo lucidi, ma di piangere non l'ha vista mai.

E quella sensazione nello sterno diventa macigno chi s'inclina e gli fa scricchiolare le costole, quando le guance della Granger si striano di rosso e nel momento in cui lui abbassa lo sguardo e si rende conto che la verità è diversa da quella che gli hanno raccontato, che il sangue è sangue ed è uguale per tutti, che la differenza tra chi è come lui e chi è come lei sussiste in quello che custodiscono dentro: non hanno mai avuto niente in comune eppure adesso hanno un marchio addosso che li accomunerà per sempre — traditore lui, sanguesporco lei — , opposti e speculari, due facce della stessa medaglia; il braccio è arrossato, le lettere incise sulla pelle un giorno saranno cicatrici, magari sarà lei stessa ad abbruttire quegli sfregi; lui solleva la manica della camicia per vedere quello che resta di un marchio che ha desiderato più di ogni altra cosa e gli si rivolta lo stomaco quando si rende conto che l’infezione gli ha scorticato l'osso del gomito.

Sono bestie marchiate, condannate a stare rinchiuse in un recinto ostile, niente di più.

Quando lei chiama il nome dei suoi migliori amici, lui si ferma e la osserva mentre s’alza come se non fosse mai stata torturata, gira su se stessa e inciampa; si muove come se non vedesse e Draco capisce che è così: non vede niente, non i pilastri, non le pareti, non i solchi sul pavimento.

Non vede niente, ha le mani a coprire i bulbi oculari e allora Draco s’avvicina appena.

Se la trova a un palmo dal viso, quando Hermione comincia ad agitarsi e cerca a occhi chiusi una via di fuga: tocca il muro, lo prende a calci e poi si porta le mani al petto; ha il respiro pesante e parla da sola, non s’accorge della sua presenza fino a quando non sente un rumore secco dietro di lei.

"Chi c'è?" chiede, la mano che impugna una bacchetta quasi senza vita: non può saperlo, ma nelle celle di Villa Malfoy non c'è posto per la magia che s'attorciglia tutta intorno a un incantesimo che non lascia alcuna speranza, alcun sogno se non quello che vede il bene trionfare sul male, perché c’è un modo per uscire, ma prevede che Voldemort lasci il posto vacante e torni a essere cenere – a diventarlo davvero, questa volta.

Draco non risponde, non lo ammette di essere un perdente in una guerra che non ha voluto, un soldatino che si è sottomesso a un potere soltanto per rispettare la tradizione di una famiglia purosangue che vuole debellare quelli come lei, prendendo ordini da chi rinnega se stesso, che l’hanno rinchiuso come i peggiori dei carcerati e lo trattano come fosse feccia — perché non sei indispensabile, sei soltanto una pedina.

Forse, è la prima volta che la guarda davvero: non ha più quell’espressione fiera di chi è dalla parte giusta, né l’aura di onniscienza che l’ha sempre resa quasi irreale, gli sembra di leggerle addosso tutte le emozioni che la fanno tremare: il senso di abbandono, la solitudine, la paura di aver lottato per niente.

Cade sulle ginocchia, non un gemito a cominciare il pianto, solo una domanda che ripete in continuazione, perché?
La vede cadere in ginocchio, sotto una croce che pesa di speranze che si sgretolano sotto le sue ossa e le scartavetrano la gabbia toracica.
Non ha il coraggio di guardare, non lo hai mai avuto e si rintana nell'ombra dell'angolo più remoto delle segrete.
La Granger questa volta urla e si graffia le pareti della gola per capire che è ancora viva, che quella situazione è reale, urla e non la smette.
Tutto ciò che li circonda assiste al crollo della migliore amica di Harry Potter, Draco si volta dall’altra parte.

~•~


I giorni passano, sembrano infiniti: non ha idea di che ore siano, se è giorno o notte fonda. È stanco, immagina mille modi per evadere e altri mille per morire, ma le uniche cose che riesce ad ammazzare sono le idee che gli girano per la testa.

La Granger continua a muoversi alla cieca, a volte inciampa nei suoi stessi passi e lui non riesce nemmeno a ridere: avrebbe pagato oro per vederla scaraventata al suolo, in ginocchio, sporca com’è sporco il suo sangue, eppure.

Eppure adesso lo sa, che si somigliano più di quanto abbia mai voluto credere in un passato che sembra appartenere a un’altra vita.

Hermione passa istanti lunghissimi stesa sulla schiena, non può vedere quante volte Draco Malfoy si soffermi a guardarla, a disegnarle il resto del corpo e del viso quando una parte di questi è coperta dall'ombra del muro; non vede quante volte lui si fermi con il passo sospeso, quando sente un respiro più pesante che ha il sapore della solitudine, dell'indifferenza di chi non si è mai presentato tendendo la mano, nemmeno durante una prigionia che nessuno dei due merita; non vede nemmeno quante volte lui si passi una mano tra i capelli a sbrogliare pensieri e domande e a chiedersi se è vero che alcune famiglie di maghi sono migliori di altri — aveva ragione, ma anche torto.

Hermione non vede nemmeno le volte in cui le gira intorno e la guarda come fosse una creatura mitologica che fa paura anche da ferma — con i piedi incrociati e le braccia spalancate, crocifissa su un pavimento impolverato e senza nessun chiodo a tenerla ferma e gli sembra il Gesù Cristo di cui parlano le scritture che lui non ha mai compreso fino in fondo, uomo e figlio di Dio, che si è sacrificato per un popolo diviso come le acque del Mar Rosso tra chi lo ha osannato e chi lo ha rinnegato, chiamando in causa il suo nome con la stessa intensità nel tempo che serve per effondere una bestemmia.

Hermione non vede niente, ha ancora le schegge del lampadario del salone di Villa Malfoy conficcate nella retina e gli altri sensi sono spenti: non sente il fruscio dei piedi di una compagnia muta né il suo fiato che non scalda oltre il disegno delle labbra; non ha olfatto che richiami l'attenzione sugli avanzi di cibo che le vengono sistemati di fianco; non ha più tatto con l'epidermide consumata sulle punte delle dita e i calli sul palmo a causa una bacchetta tenuta saldamente — non posso perderla, Harry. Non possiamo perderla.

Adesso non stringe niente, ha il vuoto tra la linea della vita e quella dell'amore e l'umidità della propria lingua che lecca la pelle pur di capire di non aver perso anche il senso del gusto, ma polvere e pelle hanno lo stesso sapore e allora capisce — di aver perso, di aver fallito e di essere caduta troppi metri sotto il pavimento su cui è stata torturata dopo aver salvato la vita al suo migliore amico, al Salvatore del Mondo Magico e allora lode a te, Hermione Granger e così sia.

Draco s'avvicina piano, le prende il braccio e l’appoggia con le spalle al muro, tiene una distanza che sembra troppo banale, ma non si sposta.

Sussurra, la voce bassissima perché teme che qualcuno possa sentirlo: “sono Malfoy.”

Lei non risponde, trattiene il fiato e stringe le labbra, protrae il silenzio in un modo che lui non riesce a concepire: a cosa serve tacere?

"Cos'è successo?" le chiede, nel petto la sensazione di aver sbagliato tutto credendo di essere nel giusto.

"Il lampadario. Harry e Ron sono riusciti ad andare via" gli dice e dopo racconta di come Bellatrix l'abbia trascinata con sé nella caduta per evitare che le schegge di cristallo la ferissero.

Hanno ferito la strega più brillante della sua età e se qualcuno non le toglie quei frammenti dagli occhi la cecità sarà irreversibile.

La lascia andare come fosse vetro che gli taglia la pelle e d'istinto le volta le spalle per non farle vedere il turbamento che indossa — ma Hermione è cieca e lui è troppo spaventato per rendersene davvero conto.

Quando lei comincia a piangere sommessamente, Draco pensa che sarebbe stato meglio se le avessero reciso le corde vocali, così non avrebbe sentito i suoi lamenti.

~•~


Il tempo non ha consistenza: si dilata, si restringe, un'ora sembra un minuto, un secondo dura un giorno.

Ne ha perso la cognizione o forse non l'ha mai avuta, nemmeno quando c'era la Lovegood che parlava troppo e arrivava la cena subito dopo il pranzo: un tozzo di pane, un po' di frutta marcia e una brocca d'acqua
da condividere.

Ha imparato a centellinare ogni cosa: una mela poteva bastargli anche per due giorni, o almeno credeva fosse così ( sarebbero potute essere tranquillamente due ore soltanto); ha imparato a gestire la sete, a non provare più fastidio per la gola secca che gli impediva di parlare — non avrebbe parlato comunque: cosa aveva da dire a chi stava dall'altra parte della barricata? E soprattutto, cosa poteva mai controbattere quando la Corvonero cominciava a parlare di animali strani e assurde teorie sulla fortuna che
portavano i tappi di Burrobirra?

Ha imparato a fare tante cose, ma non a tenere conto dei giorni che passavano, soprattutto da quando gli altri prigionieri sono riusciti a evadere.

É tornato a casa per le festività, ma fuori probabilmente adesso è estate o addirittura inverno inoltrato.

Non saprebbe dire da quanto tempo è rinchiuso lì, ma ha l'impressione che da quando ci sia anche la sanguemarcio con lui, qualcosa è cambiato: lei non ha nessuna teoria assurda su cui rimuginare, nessun animale inesistente da immaginare e ha sempre poche parole e troppi sospiri.

Si chiede cosa significhino quegli affanni, cosa racchiudano i pensieri che tiene per sé e un attimo dopo si dice che non gliene importa niente, che se li tenga dentro, tutti i pensieri che le aggrovigliano i capelli.

Sobbalza nel bel mezzo di un sogno, ha la fronte madida di sudore e sente il cuore in gola.

Draco, anni fa ho conosciuto un ragazzo che ha fatto tutte le scelte sbagliate e se quel ragazzo non è lui c'è qualcosa in quelle parole che fa riflettere la sua immagine in uno specchio che non esiste: ha desiderato essere l'erede di Serpeverde e poi s'è ritrovato a sognare di essere nato Babbano, di non avere nelle vene quella purezza che gli cola dal braccio e insozza di pus e sangue la parte alta dei pantaloni — che spreco!

Il Marchio Nero adesso è sfondo di brandelli di carne lacera e imputridita, Draco Malfoy ha diciassette anni e una spada di Damocle che gli fa piegare la testa, un giorno in più di vita concesso durante il quale prega che il sonno eterno sopraggiunga presto.

Io devo ucciderla. Devo farlo o lui ucciderà me, ma alla fine s'è condannato a morte da solo e non ha nemmeno il coraggio di suicidarsi e risparmiarsi il dolore.

Forse è questo che lo spinge a guardare nella direzione in cui Hermione Granger piange lacrime che non fanno rumore: é lei quella che è stata smistata a Grifondoro, il coraggio e la forza d'animo l'hanno fatta sopravvivere alle torture di Bellatrix e allora uccidimi, ti prego! Fallo tu al posto mio.

Uccidimi tu perché io non so come farlo, perché merito una punizione ben diversa da quella che mi ha inflitto il Signore Oscuro e mio padre merita un'umiliazione peggiore di quella di cui mi ha fatto vittima e quale offesa più grande se non di sapere morto il proprio figlio purosangue da una come te.

Hermione ha gli occhi lucidi e le labbra screpolate, il freddo delle celle l'ha resa un ammasso informe di vestiti ossa capelli, raggomitolata su un fianco con le braccia attorno alle ginocchia e lo guarda come fosse l'ultimo dannato sulla faccia della terra: non vede, ma i suoi occhi sanno ancora giudicare.

"No" gli dice e infossa la testa dentro se stessa, si nasconde dietro la tenda di quei capelli che sembrano rovi di spine e rami intricati.

Vorrebbe toccarli, invece le elenca tutti i motivi per cui lei dovrebbe ammazzarlo — le parole che l'hanno prima ferita dentro e ora sono segno indelebile sulla pelle sporca.

"Ti perdono" sussurra lei, senza più sollevare le testa, restando nel suo angolo di mondo. "Io lo so, che hai tremato quando hai pensato di uccidere Silente."

Harry è vivo grazie a te, vorrebbe aggiungere, eppure non dice nient'altro.

~•~


Hermione piange spesso, lui ha imparato a sopportare quei gemiti e a farseli bastare come compagnia: lei non parla, non dice mai niente, trascorre giorni interi ad asciugarsi le lacrime e poi si tira su come se fosse pronta a combattere, si risiede poco dopo perché non può andare da nessuna parte.

Una volta gli ha detto che s'è abituata a scattare a ogni rumore, anche il più piccolo, e lui nemmeno li sente, i cigolii che a lei fanno rizzare i peli sulle braccia.

"Quando sei bersaglio è così: ti si accappona la pelle, i muscoli si muovono prima ancora che tu possa pensare di farlo."

"Come vi hanno catturati?"

"Ci hanno circondati" non scende mai nei particolari, ma Draco immagina la scena e pensa che hanno vissuto la stessa esperienza, che accanto a lui c'era chi urlava il tradimento mentre sua madre giaceva a terra priva di vita.

Si guarda intorno, disegna ghirigori astratti in mezzo alla polvere sul pavimento e urta una piccola linea di ferro che si piega non appena la prende tra le mani.

"Potrei provare a toglier-"

"No" lo interrompe.

Draco fa una smorfia, imita in silenzio il verso della Granger, ma lei gli occhi ce li ha anche se è cieca.

"Il fatto che non ti veda, non vuol dire che non ti senta" gli dice e lui s'immobilizza e smette ogni caricatura. "Io ti sento, Draco."

È la prima volta che lo chiama per nome e lo stomaco gli s'attorciglia come fosse una corda legata in un nodo particolarmente difficile da sciogliere.

Non sa perché, ma glielo dice, vorrei che tu mi vedessi.

Hermione si solleva lenta, la cecità le ha sottratto la sicurezza dei movimenti e inciampare è ancora un problema che spesso le impedisce di muoversi, ma avverte una forza dentro che la trascina all'ombra del corpo di Malfoy e le fa appoggiare le mani sul suo viso.

"Hai gli occhi chiusi" gli dice, mentre le dita accarezzano in semicerchio gli spigoli degli zigomi. "Non… non ti agitare, per favore."

I polpastrelli lasciano le proprie impronte sulla pelle sporca di Draco — e nell'anima, in un punto indefinito del cuore — , la sua voce trema appena in quel suono dolcissimo che è paura e coraggio, che è tutto quello che è lei.

Disegna le guance e risale l'arcata delle sopracciglia, scivola sul naso e s'imprime nella memoria epidermica il disegno della sua bocca: il fiato caldo le solletica le guance e, se fossero stati in un altro contesto, forse avrebbe riso.

Ci prova lo stesso, solleva in un accenno l'angolo delle labbra e lo fa crollare in una linea dritta quando lui le stringe il polso.

"Sei cieca, Granger, non vedi altro che buio" le dice e l'allontana quel tanto che basta per toglierle dal viso il proprio fiato.

"È vero, ma questo buio non ti somiglia. Tu sei altro, adesso. L'essenziale è invisibile agli occhi, Malfoy."

Hermione fa un passo in avanti e azzera la distanza che lui ha creato facendone uno indietro, un continuo rincorrersi durante il quale ha imparato a distinguere il peso di quel silenzio in cui si dicono mille parole.

Solo che… solo che ora lei non ha spalle abbastanza forti per reggere una gravità che non abbia come suono le loro voci e rimanere in silenzio è una tortura che le fa prudere la gola.

"E cos'è, l'essenziale?"

Sei tu, vorrebbe dirgli, l'unica mia via di fuga, l'unica voce che non mi fa perdere la ragione, e invece.

"Quella sera, quando Gazza ti ha denunciato a Lumacorno… ho sentito tutto. Da cosa ti proteggeva Piton?"

"Da tutto questo" risponde lui, in uno slancio di sincerità che non sa più come ingoiare.

Non lo sa se è il respiro pesante della sanguesporco, se è il calore della sua pelle sulla propria, ma di parole per dirle di allontanarsi proprio non ne ha.

Quando le stringe di nuovo le mani, si difende da ogni potere che la Granger ha su di lui; si chiede cosa ci sia in lei che lo attrae come se fosse un porto sicuro e allo stesso tempo gli fa provare repulsione per se stesso: è perché ha trascorso tanti anni a difendere la propria idea di purezza del sangue, immaginando i modi più atroci per ucciderla e cancellarla dal Mondo Magico, ed è bastato pochissimo affinché lei gli deragliasse i pensieri e gli facesse vedere il proprio riflesso in occhi che non vedevano e gli dicesse che la verità è sempre stata a portata di mano — che il sangue è sangue ed è uguale per tutti, che la differenza tra chi è come lui e chi è come lei sussiste in quello che custodiscono dentro.

Trattiene ancora le mani sul suo polso, ascolta i battiti del suo cuore attraverso le vene che fluiscono lì dove lui stringe.

E’ così vicino adesso… esita soltanto per un istante, poi lo spazio tra di loro si deforma e il freddo li divide come fosse un muro invalicabile; forse si toccheranno ancora, si dice. O forse non lo faranno mai più.

“Cosa farai dopo?” gli chiede.

Non ha più pensato alla vita che avrebbe voluto una volta finita la guerra, ai suoi sogni e alle sue ambizioni, fino a quando non è stata lei a ricordargli che lui esiste, aldilà del Marchio Nero, oltre gli errori e gli orrori.

Lui esiste. E la consapevolezza gli quasi venire la nausea: esistere e sentirsi niente, se non una pedina. “Non credo ci sarà, un dopo.”

~•~


Il primo sprazzo di magia arriva involontario e, nel momento esatto in cui se ne rende conto, sussurra il primo incantesimo che gli viene in mente: “Petrificus Totalus.”

Lei s’agita in qualche modo e il fatto che per la prima volta da quando sono lì non possa parlare lo fa sorridere.

“Adesso ascoltami, farà male” le dice, chinandosi su di lei e aprendole maggiormente le palpebre: ha trascorso giorni a piegare una linea di ferro fino a trovare la forma perfetta, una sorta di pinza con cui estrarle le schegge di cristallo dagli occhi.

“Fermati, Malfoy, maledizione!”

Lui sussulta appena, ma torna a parlare: “Vuoi uscire da qui… vuoi andartene in giro a cercare gli amici che ti hanno lasciato indietro, a salvare la gente, a farti uccidere, sì? Allora devi fidarti di me: se vuoi combattere hai bisogno di poter vedere.”

S’affaccia, prova a non farle ombra sul viso e, quando estrae l’ultimo frammento, si sofferma a guardare la patina che le ricopre le pupille.

Si chiede se davvero riuscirà ancora a vedere.

Quando lui mormora la fine dell’incantesimo, Hermione chiude gli occhi e li lascia lacrimare: brucia tutto, le sembra di andare in fiamme e si porta d’istinto la mano a coprire la cicatrice.

“Io non… non volevo farti mal-”

Lei solleva la mano e interrompe ogni flusso di coscienza che Malfoy le sta rigettando addosso, va bene così, passerà, poi, raccoglie l’aria nei polmoni e si chiude nel proprio silenzio.

~•~


S’alza come Lazzaro dopo il miracolo e s’avvicina all’angolo buio dove il suo compagno di prigionia trascorre più tempo: è stato strano tornare a vedere, cogliere le ombre e le linee di luce che a volte interrompono l’oscurità delle segrete e, mentre ha provato ad abituarsi di nuovo alle forme di tutto ciò che la circonda, s’è chiesta se gli altri sensi avessero smesso di stare in allerta − polvere e pelle hanno lo stesso sapore.

S’avvicina e gli si inginocchia di fronte, osservando con ancora un po’ di fatica il disegno che lui sta impiastricciando sul pavimento sporco; lo vede socchiudere gli occhi quando gli prende la mano e se la porta sul viso, ne odora il palmo e poi lo bacia, leccandosi la bocca un attimo dopo: Malfoy odora di sudore e la sua pelle ha il sapore delle macerie cadute e morte di un dolore che non può essere capace di avere un tocco così leggero.

“Sei impazzita, Granger?”

“Avevo bisogno di provare una cosa.”

Draco non risponde, ma lascia incompiuta la sua opera d’arte e allunga le gambe nella sua direzione.

“Cosa dovevi provare?” le chiede quando compare l’ennesimo catino d’acqua e due tozzi di pane ammuffito.

“Quando si è ciechi, tutti gli altri sensi si acutizzano per compensare la mancanza della vista. Dovevo provare che fosse tornato tutto come prima. Non… non credo succederà.”

Non lo crede ed è sicura del fatto che nessun sapore sostituirà quello che ha ancora sulla punta della lingua, che l’odore che le riempie il naso resterà nella memoria dei polmoni e la sua pelle brucerà sempre, forse resterà il segno, nei punti in cui ha appoggiato le dita di lui.

“Io sono polvere” gli dice.

Se tu sei polvere, sanguesporco, io cosa posso essere se non il residuo dell'ombra che tu hai lasciato sulla terra che hai calpestato di coraggio e in cui mi sono nascosto per giocare a esser grande, a essere eroe battuto in una guerra che mi ha portato via l'amore di mia madre senza darmi la possibilità di dirle grazie per esserti presa le mie colpe, mi dispiace, perdonami se non sono stato in grado di salvarti.

Se tu sei polvere, vuol dire che sei stata qualcosa e poi t'hanno consumata, sei esistita e porti ancora i segni sul braccio a forma di lettere bugiarde che dicono chi sei.

Se tu sei polvere e quindi sei esistita, allora vuol dire che io non l'ho fatto, che non sono niente.

“E io? Che sapore ho?”

“Il sapore delle macerie.”

Polvere e macerie sono figlie della stessa catastrofe, lo sanno perché gli eventi naturali, i crolli e loro stessi lo hanno testimoniato più volte, ma polvere e macerie posso anche diventare cemento e ricostruire laddove c’è bisogno di chiudere crepe e rafforzare pilastri pericolanti. Forse per questo o per chissà quale altro motivo, Hermione gli sfiora il disegno del Marchio Nero e lo ripassa con le dita per imprimerselo nei buchi della retina che ancora le fanno affaticare gli occhi.

Draco le poggia le mani sulle spalle, scivola con le dita lungo le linee delle clavicola e sfiora la pelle del busto senza mai toccarla davvero; riempie gli spazi tra le dita con la carne dei suoi fianchi e anche lì riesce a sentire il battito di un cuore che non si è mai preso cura di conoscere, che ha scandito i propri ritmi piegandosi alle emozioni che ha provato in tutti quegli anni in cui lui ha cercato di colpire, ferire, uccidere.

È sempre sopravvissuto, il cuore della Granger, non ha mai smesso di battere e adesso sembra un forsennato pronto a sfondarle lo sterno e Draco non lo sa che quei palpiti accelerati per Hermione non sono regola, ma eccezione.

È così vicina che guardarla fa male, perciò quando chiude gli occhi e avverte soltanto il suo fiato a pochi centimetri dal viso, Draco allunga la mano e le stringe i capelli dietro la nuca, fili aggrovigliati in cui perde le dita e il flusso del sangue accelera la sua corsa e gli batte ovunque nel corpo, fino a quando non poggia le labbra su quelle di Hermione e il caos che ha dentro si placa.

È un tocco accennato, delicato e deciso al contempo, la lingua sfiora appena il labbro inferiore e quando lui s'allontana, la bocca della Granger è leggermente schiusa di meraviglia e terrore.

Dovrebbe provare di tutto, tranne quello che prova: fastidio, nausea, schifo, tutto, tutto, ma non l'emozione che gli sconquassa i muscoli e il cervello.

Gli trema la voce quando ricomincia a parlare.

"Non sei polvere, Hermione" sei ossa e carne e sangue.

~•~


"Questa guerra non è tua, Granger."

"Nemmeno tua, eppure stiamo combattendo entrambi" gli dice con la voce che trema.

"Stiamo combattendo?" Draco ha il tono sarcastico di chi gioca a ridere quando ha bisogno di piangere. "A me pare che siamo chiusi in una maledetta prigione. Stiamo marcendo."

"Anche essere ostaggi vuol dire combattere."

Hermione non ammette repliche, gli regala la schiena e si allontana dalla luce debole delle torce: vorrebbe tornare a essere cieca, a vedere solo buio per immaginare che negli occhi di lui ci sia una flebile scia di speranza, ma non c'è mai e allora lei vorrebbe tornare a essere cieca.

"Potremmo provare ad andare via" gli suggerisce.

"Non è possibile: il Cavea Proditorum blocca la magia di chiunque venga rinchiuso qui dentro."

Quando lei inclina il viso a tre quarti, Draco si rende conto di aver imparato il linguaggio del suo corpo e cuce quella nuova scoperta sui ricordi che ha di lei durante i primi anni a Hogwarts e riesce a dare un senso a istanti di vita che prima non poteva a comprendere: gli sono chiari alcuni sguardi, l'incrinatura tra le sopracciglia quando qualcosa non la convinceva, la tensione dei muscoli pronti a scattare per offrire ai professori risposte precise alle domande poste a un'intera classe di studenti, il modo in cui s'atteggiava guardandolo come fosse stato un verme, quando primeggiava e riceveva lodi e complimenti.

Adesso, però, ha davanti la curiosità di chi riesce ancora a stupirsi del fatto che ci sia qualcosa che non conosce; quasi gli sembra di sentirla mentre chiede a se stessa se è stata una sua distrazione o se quell'incantesimo non è scritto in nessun libro di testo.

"È un incantesimo vecchio come il mondo, ma nessuno ne parla. È magia oscura: ti scava delle sacche sottopelle che si riempiono con i tuoi poteri e li annulla, così sei totalmente indifesa. Se si è prigionieri a breve termine è facile recuperare la propria magia, ma a lungo termine i danni sono irreversibili."

"Ci dev'essere un modo."

Draco annuisce, poi si ricorda che s'è rintanato nell'ombra e che lei non può vedere i suoi movimenti, e allora comincia a parlare: “L’unico modo per uscire è che il mago che ha lanciato l’incantesimo muoia o, almeno, s’indebolisca.”

Parlano della guerra e di nient'altro — le parole sulle cicatrici che li sfigurano restano ingabbiate nelle pareti del cervello, sono tabù e allora zitta, non dirmi che uno sfregio non mi racconti meglio di chiunque altro.

Malfoy le spiega tutto da un'altra prospettiva: le dice che le guerre iniziano quando qualcuno crede di essere dalla parte della ragione (ma chi decide quale delle due fazioni lo sia davvero?), che sono tutte uguali, che ci sono vincitori e vinti e che nessuno dovrebbe porsi il problema di usare armi e maledizioni se servono a scampare la morte, l'istinto di sopravvivenza è insito nell'essere umano, Granger.

Ci pensa, mette sulla bilancia le guerre Babbane e quelle dei maghi e i piatti restano perfettamente in equilibrio; si chiede se anche gli ebrei avessero avuto la stessa paura di morire o se avessero accettato la morte come una conseguenza logica di una guerra in cui i vincitori alzavano la mano destra in segno di saluto e onore al regime e li dichiaravano colpevoli dell'esistenza che avevano condotto fino a quel momento, del fatto che fossero usciti dall'utero delle madri e avessero vagito alle porte di un mondo che li avrebbe sempre visti inferiori, indegni, buoni soltanto a essere carne da macello e cavie da laboratorio.

Cosa c'è di diverso, si chiede, in questa guerra in cui le armi sono bacchette e in cui la vittoria del male è un teschio di nuvole e fumo?

Draco non sa rispondere ai dubbi che lei si porta sulle labbra, balbetta respiri e parole, si domanda dove sia finita quella parte di sé che credeva possibile che il mondo potesse essere un luogo migliore, se soltanto fossero riusciti a estirpare e bruciare come erba secca quelli come la sanguemarcio — indegni, impuri.

Un boato improvviso li fa appiattire contro le pareti, ma Hermione sorride: è rinchiusa nelle segrete di Villa Malfoy e le sembra di essere nella foresta di Dean e lo sa, è successo: Harry ha distrutto il Medaglione.

Malfoy le ha spiegato tutto da un’altra prospettiva, ha provato a rendere ancora più tetri i racconti, ma le ha anche dato la speranza che sì, anche il bene può vincere, anzi deve vincere a ogni costo.

~•~


Quando gli dice che s'è innamorata, Hermione ha le guance scavate e le occhiaie che la stanno inghiottendo: sembra un cadavere, con i capelli imbrigliati e sporchi, e lui non l'ha mai vista più bella di così — nemmeno al Ballo del Ceppo.

Draco ormai conosce ogni suo segreto, ogni suo sogno e s'accorge dalle pieghe della sua voce quando sta raccontando una bugia, ma quella è verità: s'è innamorata davvero e lui si chiede se ne uscirà viva, se riuscirà a completare gli studi, a colmare quelle lacune che non ha potuto riempire in nessun modo.

"Non sei in vacanza, sanguesporco" le hanno detto quando lei ha chiesto con voce piccola di poter avere qualcosa da leggere ché il silenzio pesa di meno quando nel cervello scorrono parole che non hanno come sfondo la guerra.

Avrebbe voluto chiederle che senso aveva quella richiesta, che tanto nemmeno poteva leggere se non voleva affaticare gli occhi e recuperare la vista il prima possibile, avrebbe voluto dirle che la guerra ci sarebbe stata lo stesso e i boati li avrebbero raggiunti fin laggiù e invece ha abbassato lo sguardo, Hermione l'ha saputo leggere — in quel silenzio in cui si dicono mille parole — e gli ha risposto che quello è l'unico modo che conosce per evadere.

"Vuoi evadere? Allora, tiraci fuori davvero da questa merda."

"È colpa tua se siamo qui: sei stato tu a trascinarci in questa merda" gli risponde.

È innamorata, sì, ma non sa dimenticare e forse non sa nemmeno perdonare ed è per questo che, alla fine, si arrende e scivola contro la parete, chiude gli occhi e s'inventa un viaggio nel tempo per tornare indietro e rimangiarsi tutte le accuse.

Non sa perdonare, Hermione Granger, e infatti non si perdonerà: non lo sa ancora, ma le parole che ha appena pronunciato le scaveranno un vuoto dentro che tra qualche anno sarà una camera umida e buia di cui non ricorderà i contorni, ma lo sguardo che le rivolge Draco — deluso, stanco, ferito — no, non lo dimenticherà mai.

Non sono bastate le favole che lei ha raccontato a entrambi, narrando imprese eroiche e viaggi in luoghi meravigliosi, amori che sbocciano nonostante le avversità, bestie che si trasformano in uomini e ladri che diventano principi, sirene che non vogliono la propria coda e burattini di legno che mutano in bambini veri e bambine che trovano l'ingresso del Paese delle Meraviglie, poveri che rubano ai ricchi e sguattere che si ribellano alla schiavitù, soli che tramontano e risorgono; non è bastato descrivere nei dettagli quello che c'è nel mondo babbano, tecnologie precluse ai maghi che si ostinano a depredare vite che non somigliano alla loro, dovresti andare in un cinema e guardare un film comico, prendere il bus e visitare la città, comprare regali nei mercatini di Natale.

Qualsiasi cosa lei abbia provato a rendere immagine non è bastata, non è servita – ogni parola, gesto, respiro è stato seguito da una tortura subita a denti stretti dopo cui entrambi cadevano a pezzi e si davano le spalle.

Se c'è ancora qualcosa di bello nel mondo, nessuno dei due riesce a vederlo.

Nemmeno quando la via di fuga si spalanca davanti ai loro occhi.

~•~


"Di chi?" le chiede, sembra passato un secolo e forse un secolo dura un'ora, un minuto, una manciata di secondi talmente piccola che non può essere quantificata - il tempo non ha consistenza.

Hermione gira in tondo e non risponde, non ha parole per dirglielo e il coraggio che l'ha vestita di rosso e oro chissà che colori ha adesso che non esiste più: è paura autentica ogni volta che apre gli occhi e si scopre viva e la voce le esce in un pigolio strozzatissimo quando lo chiama per vedere se anche lui lo è — se esiste ancora.

"Weasley non ti merita" le dice quando urta un'altra volta contro il muro del suo silenzio.

"Tu non sai niente, Malfoy, certe cose non puoi capirle."

E invece le capisce, perché se non è amore quello che gli fa muovere la testa ogni volta che vede l'ombra della Granger spostarsi, allora non sa proprio cosa sia: i muscoli si tendono senza che lui li comandi e gli occhi la cercano come fosse insieme la strada e le prove che portano alla Fonte della Buona Sorte, e il cuore non lo sa in che modo, ma si sposta dal petto e batte nelle corde vocali.

Draco non replica e di nuovo il silenzio racconta favole che lui non conosce.

La porta delle segrete è scattata in un cigolio sinistro e il marmo e la pietra non sono più interrotti dall'ombra delle sbarre che li hanno reso prigionieri, eppure nessuno dei due muove un passo per salire al piano di sopra e uscire da quelle maledette celle.

O forse lo fanno insieme.

~•~


Villa Malfoy puzza del sangue versato a ogni tortura, se ci pensa le viene quasi da ridere: provare tanto odio verso il sangue sporco e avere il coraggio di sprecare quello purissimo delle famiglie delle Sacre Ventotto.

Hermione vorrebbe dirglielo, che è tutto così assurdo… invece stringe le labbra in una linea dritta e s'avvicina alla finestra.

C'è il mondo lì fuori e lei l'ha quasi dimenticato: nel momento in cui ha ricominciato a vedere, ha creduto che l'unico universo esistente fosse fatto di pareti di pietra e buio.

Pensa che la colpa possa essere addossata alla cecità temporanea, ma l'unico colpevole è un reietto senza viso che ha scelto di diventare spettro di se stesso pur di non accettare la sconfitta.

Voldemort le ha tolto tutto ciò che le era caro — mamma, papà, io… mi dispiace. Tornerò a prendervi, ve lo prometto — e ha aggiunto emozioni nuove e paure che le debellano il cervello e le bloccano i ricordi in cui un tempo si vedeva felice.

La sensazione di essere stata bene è ancora lì, l'avverte da qualche parte dentro di sé, ma è talmente sbiadita che sembra essere soltanto un'illusione. Quando si sforza e si affaccia su se stessa, riesce ancora a intravedere qualche sorriso, ma di replicarlo no, non se ne parla proprio — da quanto tempo non ridi, sanguesporco? E tu?

Solleva di nuovo la testa, stringe le maniche della felpa tra le dita e si tortura la lingua a morsi per non urlare: c'è il mondo lì fuori e le manca l'aria alla sola idea di averci poggiato i piedi, una volta.

"Da quanto tempo?"

"Non lo so, non riesco a ricordare" le dice con voce bassa, eppure le pareti sembrano tremare al minimo spostamento d'aria.

Si muovono lentamente, come se avessero paura di crepare gli equilibri instabili di una casa che si regge in piedi da più di cent'anni senza barcollare mai.

Draco guarda il camino e l’orologio che lo abbellisce, lei non riesce a vedere altro che l’ombra di Bellatrix Lestrange che le scrive sulla carne con un coltello a cui ha chiesto nell’oblio delle pareti della sua mente di lasciarla morire.

“Tre settimane.”

Hermione non risponde, c’è qualcosa tra la gola e lo stomaco che le blocca le parole e le fa pesare dentro come macigni.

"Puoi… puoi provare a usare la magia, se vuoi" suggerisce lui.

Hermione, però, tiene la bacchetta bassa e guarda fuori; non s’accorge che Malfoy le è vicino fino a quando non sente il calore del suo fiato sulla punta del naso.

“Andrà bene” dice ancora e, per la prima volta, s’accorge che gli occhi della Granger non hanno fine: quando lei si volta a guardarlo e lui s'avvicina di qualche passo e poggia la testa sulla sua spalla capisce d'aver sbagliato, che l'ha toccata e non l'ha fatto bene, che Hermione non è ossa e carne e sangue — un corpo da odiare, nervi in cui illecitamente scorre la magia, sangue putrido che ha spezzato tradizioni secolari e generazioni in cui i maghi sono nati dai maghi, e nient’altro.

Hermione è qualcosa che si cela negli sguardi incomprensibili che gli regala ogni volta che lui smette di essere Malfoy e rimane solo Draco, è anima e cuore che camminano insieme e si agitano insieme e vivono insieme come fossero un pezzo unico, mai diviso.

Si domanda se per caso un po' di quello che lei è gli sia scivolato nello stomaco e nel cuore quando l'ha baciata e perché ha paura che non sia successo realmente.

Non si sono quasi più toccati da quella volta, lei gli ha detto che stavano sbagliando, forse è soltanto la tensione, il terrore di non saper sopravvivere senza calore umano o di restare qui dentro e morire di stenti.

Ma chiedimi ancora di chi sono innamorata, dirò il tuo nome sottovoce e non saprò se è amore o se è un modo per sentirmi viva; chiedimelo ancora e ti dirò che sei tu, che ti ho odiato e mi sembra di amarti allo stesso modo.

Chiedimi ancora di chi sono innamorata e fammi scoprire che comprendi il mio silenzio.

“Dobbiamo andare a Hogwarts, Malfoy.”

“Ci vado io, tu… tu resta qui” poi si Smaterializza senza ascoltare la sua risposta.

~•~


Draco l'ha capito nel momento in cui la bacchetta non ha risposto ai comandi, c'è poco da fare.

Forse, soltanto morire.

Deve trovare Potter, fare in modo di conquistare la sua fiducia in una frazione di pochi secondi: il tempo non è mai stato a favore di nessuno, ma questa volta spera che il fato sia propenso a fargli compiere l'unico atto di coraggio che è disposto a fare.

O vinci o muori, non ci sono altre alternative, ha detto una volta e spera di vincere, spera di riuscire a combattere il terrore che gli fa stringere convulsamente le dita e gli fa venire voglia di scappare, di mettersi al sicuro come ha provato a fare sulla Torre di Astronomia quando Silente è morto.

La Foresta Proibita gli ha fatto ricordare l'unica notte che ha trascorso tra quegli alberi, quand'era solo un bambino in punizione e Voldemort era inginocchiato a succhiare sangue di unicorno e a diventare l'incubo peggiore delle notti che Draco aveva vissuto da quel momento in poi.

Non ha tempo per fermarsi, per chiedersi come sarebbe andata se, ma corre e i suoi ricordi con lui, fino a quando non scorge le mura del castello.

Vaga per i corridoi della scuola in cerca di un'idea, di qualcosa che lo spinga a reagire, a studiare su due piedi un piano di riserva — qual è il piano B? Non c'è mai stato un piano B: il Signore Oscuro è sicuro di uscirne vincitore.

Zabini e Goyle gli sfilano davanti in una corsa sfrenata, lui li afferra e li trascina con sé.

"Malfoy, ma cosa fai?" chiede uno dei due.

Draco non risponde, ma si blocca un secondo quando Goyle gli dice che Voldemort vuole vedere la sanguesporco decomporsi sotto i colpi di un maledizione.

Non si muove, si sente come se fosse stato pietrificato e il dolore l'assale in un'ondata che non sa contrastare e fa male.

Fa male sentire quella parola che è uno sfregio sulla pelle della Granger, opposto e speculare a quello che gli ha macchiato l'avambraccio per un tempo che non sa quantificare.

La Stanza delle Cose Nascoste è aperta, la varca senza pensare a niente, deciso soltanto a realizzare l'idea che gli è venuta in mente e i giorni persi a studiare un piano per difendere la sua vita e quella di sua madre gli sferzano davanti e lo feriscono come vento gelido, ma fuori il freddo ha smesso e il tempo ha riacquistato il proprio peso e lo scorrere dei minuti è tornato ad avere una parvenza di normalità.

Guarda dritto davanti a sé, pensa che quello che sta compiendo sia il suo più grande atto di coraggio.

Spera di uscirne vivo, spera che gli scudi che ha scelto per proteggersi possano difenderlo in qualche modo: l'istinto di sopravvivenza è insito nell'essere umano e, a volte, sacrificare qualcun altro può essere un modo per conservare intatta la propria vita.

Non sarà più lo stesso se mai riuscisse ad allontanarsi da lì, ma poco importa: l'importante è dare una svolta a questa guerra che se l'è mangiato vivo fino a ridurlo a un sottile strato di pelle che racconta cadute e paure.

Si tocca il braccio, stringe la pelle su cui il suo fallimento è una cicatrice che lo infamerà per sempre e che lo accomuna a chi per anni ha odiato per odio riflesso — traditore lui, sanguesporco lei.

Quando se la ritrova di fronte, qualcosa dentro lui si spezza e si accartoccia.

Weasley l'affianca immediatamente e la stringe come fosse una sua proprietà; la bacchetta tra le mani di Draco vibra impercettibilmente e lei gli rivolge un sorriso che muore in un richiamo muto.

Si riscuote: questa è la sua partita, adesso è una pedina che vuole sabotare il proprio re per vederlo morto e incapace di fare ancora male; è una pedina che deve vendicare una regina che non doveva essere lì e che si è sacrificata per salvare il proprio erede − e Hermione Granger non deve essere altro che quello che è sempre stata: non può permettersi di tremare, di far trapelare dagli occhi quel potere, quel diritto di pretenderla che vorrebbe riversarle addosso e che lei gli ha fatto credere di avere.

Weasley le prende la mano, se la stringe addosso e le cinge le spalle, Draco stringe un po’ di più la presa sulla bacchetta.

Nessuna distrazione, nemmeno – soprattutto – quello che prova a guardare quell’abbraccio protettivo che avrebbe dovuto concederle lui.

Nessuna distrazione, nessuna distrazione, se lo ripete come una poesia imparata a memoria, eppure è tardi quando si rende conto che l’Ardemonio rischia di ammazzarli tutti: Goyle resta indietro, un’altra pedina persa in un gioco di cui nessuno di loro avrebbe dovuto far parte.

Blaise lo trascina su, lungo un ammasso di vecchi mobili e lui pensa che sarebbe davvero assurdo essere sopravvissuto alle torture, alla solitudine, alle segrete di Villa Malfoy e morire in una stanza in cui ha perso l’adolescenza ed è diventato complice di un massacro senza senso.

“Dobbiamo salvarlo, Harry. Tu sei qui perché lui ha mentito” la voce di Hermione sembra superare il rumore delle fiamme e lui crede che sia un’allucinazione, ma Potter torna indietro e gli tende la mano.

Fuori dalla porta della Stanza delle Necessità, il Prescelto corre a prendere le scale, portando Weasley con sé: Hermione resta immobile, non lo ha mai creduto possibile, ma adesso Harry e Ron lavorano meglio in due e il loro rapporto si è solidificato in maniera diversa mentre lei era imprigionata – ti hanno lasciata indietro.

Malfoy scatta in avanti e lei sposta lo sguardo in tempo per vedere che ha bloccato Zabini contro un muro.

"É sempre stato questo?" gli chiede, stringendo forte la bacchetta tra le dita, il bruciore sul braccio che le sta facendo rasentare la follia e le fa venire voglia di strapparselo a morsi.

"Ti avevo detto di non venire, sanguesporco."

Fa di nuovo male sentirgli pronunciare la verità infamante che ha incisa addosso, le sembra di essersi spaccata dopo una materializzazione e non avere alcun incantesimo curativo a cui ricorrere, nemmeno una goccia di essenza di dittamo.

Si morde la lingua per distrarsi da un dolore che non sa gestire e si allontana appena quando lui le stringe il polso — forse si toccheranno ancora, si dice. O forse non lo faranno mai più.

Blaise Zabini ha più domande nello sguardo che aria nei polmoni, se ne sta fermo con una bacchetta puntata in mezzo agli occhi e non scappa, la codardia di chi una guerra non l'avrebbe mai affrontata e s'è visto costretto a scavalcare cadaveri ce l'ha scritta in fronte e sulla bocca che trema: sembra un bambino spaurito a cui la mamma ha lasciato come nascondiglio solo l'orlo della gonnella dopo essersi spogliata per l'ennesimo uomo che sarebbe entrato nel suo letto; un bambino con le guance ricoperte di una leggera peluria, per niente in grado di sostenere il corpo in cui è racchiusa la sua anima.

"Dovevi restare alla Villa."

"Non posso lasciare Harry e Ron."

Malfoy volta la testa, ha la bocca stretta di disapprovazione, ma la voce che gli esce poco dopo è una condanna e una benedizione insieme per chi viene colpito dall'incantesimo.

"Oblivion” pronuncia, poi si volta a guardarla. “Non può ricordare, Lui potrebbe vincere.”

Zabini li guarda come se avesse dimenticato anche i loro nomi.

"Mettiti in salvo, Blaise. Fuori c'è la guerra, se puoi vai via da qui" dice ancora Draco.

Hermione non lo sa, ma c'è davvero un bambino nel corpo del Serpeverde che adesso si alza e corre nell'unica direzione che sembra dargli una via d'uscita: s'è lasciato crescere muscoli e ossa e un filo di barba per sentirsi grande, ma Blaise Zabini avrà sempre cinque anni e continuerà ad avere incubi di sua madre che uccide suo padre con una
Maledizione Senza Perdono e Draco lo accoglierà sempre con carezze sulla testa e parole per quietarlo — era solo un incubo, è tutto finito adesso.

"Per favore, non morire, Hermione."

Lei annuisce appena, non ha mai saputo dare voce alle promesse bugiarde e il silenzio che cala tra loro non è più fatto di mille parole: ci sono addii che restano sospesi tra occhi e cuore, accuse e brividi che non hanno bisogno di essere spiegati e pesano come gocce di destino infatuo pronte a inzupparli da un momento all'altro e farli annegare in tutte le favole che si sono raccontati e che si sono frantumate contro una realtà che avevano quasi dimenticato.

Hermione ha sempre amato la pioggia, ma adesso pensa che quella sotto cui si stanno bagnando è fatta di aghi che li graffiano senza
possibilità di farli poi guarire — non ci saranno più ferri piegati a togliere schegge di lampadario dagli occhi, non ci saranno più carezze che ripassano il disegno delle loro cicatrici.

Non glielo dice, di restare vivo; non
gli dice che non può vederlo soccombere, ché se avesse perso lui avrebbe perso
ogni cosa e che la vittoria non avrebbe avuto alcun senso — sei l'unico appiglio che ho, l'unica cosa che non mi fa venire voglia di morire —, non lo saluta nemmeno quando gli volta le spalle e se ne va.

La guerra è continuata, nessuno li ha aspettati e chi è riuscito a non morire è scappato o si è fermato a combattere, chi è morto giace sul pavimento della Sala Grande e lei non può, non vuole fermarsi a guardare e riconoscere le persone a cui tiene — il conto arriva sempre dopo, Granger, quando credi che sia finita: un attimo prima sei lì a urlare vincitore e l'attimo dopo t'accorgi che per vincere la guerra hai dovuto perdere persone a cui volevi bene. La vittoria è un dato di fatto, ma la conta dei morti ti farà sempre sentire sconfitta.

"Ora, Harry Potter, mi rivolgo direttamente a te. Tu hai consentito che i tuoi amici morissero per te piuttosto che affrontarmi di persona. Io ti aspetterò nella Foresta Proibita. Se entro un'ora non ti sarai consegnato a me, la battaglia riprenderà. E questa volta vi prenderò parte io stesso, Harry Potter, e ti troverò e punirò fino all'ultimo uomo, donna o bambino che abbia cercato di nasconderti a me. Un'ora" strascica la voce del Signore Oscuro e Draco se la sente scivolare sotto l'epidermide allo stesso modo di come Nagini scivolava sul tavolo per ingoiare le proprie vittime.

Eppure quando Voldemort chiama a sé il Salvatore del Mondo Magico, lui capisce che era pedone nero e s'è fatto alfiere bianco, che ha lasciato il proprio re per mettersi di fronte alla donna che era avversaria prima e di cui adesso riflette i colori: è scacco di scoperta e se proprio deve portare sul braccio il segno dei traditori, allora vuole farlo con la dignità dei Malfoy, da voltagabbana che questa volta ha deciso da solo da quale parte schierarsi e rimanere.

Draco Malfoy corre, non avverte il raschiare dell'aria nelle narici né la stanchezza che gli fa dolere le ginocchia.

Corre e corre e corre per.

Per essere stato pedina e nient'altro.

Per essere stato rinchiuso nelle prigioni della propria casa.

Per salvare chi da cieca lo ha costretto ad aprire gli occhi e a vedere la verità.

Per il suo sangue.

Per il coraggio che non ha avuto di voltarsi e guardare il corpo esanime di sua madre che si è sacrificata per il proprio figlio per una religione che appartiene soltanto alle genitrici che cullano e allattano i propri pargoli dal seno sinistro per tranquillizzarli con il battito di un cuore che batte davvero di vita da quando quelle stesse donne sono state ingravidate.

Non sa che Narcissa Malfoy è in ginocchio nella Foresta Proibita a chiedere al Bambino-Che-È-Sopravvissuto di salvare chi è rinchiuso nelle celle di Villa Malfoy; non sa che Harry Potter dice di sì in silenzio e che in quel momento la speranza di una madre diventa coraggio — è morto, mio Signore.

~•~


Draco s'era convinto che il mondo sarebbe stato un posto migliore senza Silente, che fare la guerra a Harry Potter fosse cosa buona e giusta e invece.

Invece i suoi nervi hanno ceduto, le ideologie con cui è stato cresciuto si sono sgretolate sotto il peso di una responsabilità troppo grande per un ragazzino.

La scoperta di non essere in grado, di non voler uccidere nessuno è stato un risveglio brusco dal quale non si è mai più ripreso e per la troppa paura di fallire, alla fine, ha fallito davvero.

E come avrebbe potuto farcela, se anche Potter adesso è senza vita ai piedi del Signore Oscuro?

Come avrebbe potuto vincere una battaglia se sulla scacchiera è stato mandato in pasto a quelli che ha sempre definito nemici?

Adesso, però, mentre tutto intorno è caos e urla, Draco vede soltanto il sorriso stentato di sua madre — è viva, non è morta, respira, respira ancora.

Narcissa lascia la mano del marito, ha gli occhi colmi di lacrime che non libera e un desiderio avverato di fronte a sè — fa' che sia vivo. Fa' che sia vivo! —chiama il nome di suo figlio con voce piccolissima, gli chiede di tornare da lei, a casa e non nelle file di Voldemort, ma Draco non si muove, resta immobile come una statua di marmo e continua a guardarla come se fosse soltanto un miraggio: non capisce, fa migliaia di congetture e gli sembrano una più stupida dell'altra, eppure di fronte a lui sua madre è viva, respira ancora e lo chiama.

Andiamo, Draco, rientriamo a casa gli diceva sempre quando fuori calava la sera, quando un ginocchio sbucciato bruciava, e poi lo medicava con movimenti delicati della bacchetta; avrai tempo, domani ci sarà il sole quando pioveva e lui teneva la sua scopa giocattolo su una spalla e guardava oltre le finestre a immaginare di star volando; sei un dono prezioso, figlio mio, e ti amerò qualunque cosa accada quando lui scriveva pergamene intere di parole e paure e dubbi; torna a casa, io ti aspetterò e sarò sempre qui per te.

Draco non distoglie lo sguardo, la fissa e sembra volerle entrare di nuovo in grembo, forse vorrebbe vederla sanguinare per capire che è lì davvero, che è ossa e carne e sangue.

Vieni a prendermi, mamma, fammi sentire che le braccia che stai tendendo sono davvero le tue, che la tua voce non è solo nella mia testa, che sei viva, che il tuo cuore batte ancora in sintonia con il mio.

Vieni a prendermi, portami in quegli angoli della Villa che solo tu conosci, in cui ci sono i mondi che infinite volte abbiamo creato insieme; insegnami di nuovo a camminare, a parlare.

Insegnami di nuovo a vivere che quando t'ho creduta morta sono morto anche io.

È il boato di voci che esplode improvviso a distrarlo, la testa e il corpo di Nagini che cadono in un rumore sordo e Harry Potter che sta in piedi sulle proprie gambe e una bacchetta stretta tra le mani che non gli risponderà: Draco lo sa, il Salvatore del Mondo Magico è il nuovo proprietario della bacchetta di biancospino che lui stringe in un pugno.

Qual è il piano B? gli ha chiesto la Granger una volta, lui se lo inventa in quel momento e muove un passo verso sua madre.

Voldemort gli si para di fronte con le braccia aperte e un sorriso che per anni ha idolatrato e che adesso gli sembra solo portatore di morte e distruzione, ma si lascia abbracciare, si lascia fare promesse che il Signore Oscuro non manterrà: la sua voce serpeggia lungo le braccia, fino a che il Marchio Nero non striscia e stringe e brucia sulla pelle, insieme alle cicatrici di un'infamia che non aveva ancora compiuto quando era stato rinchiuso nelle celle.

Draco era pedone nero e s'è fatto alfiere bianco e questa è la sola mossa che riesce a fare per dare la vittoria alla fazione a cui ha scelto di appartenere: scoprire il re, fingere di lasciarlo senza alcuna difesa e accerchiare il nero per non dargli via di fuga.

Abbraccia sua madre, si riempie i polmoni del suo odore e poi il tempo si ferma — non ha consistenza, sembra passato un secolo e forse un secolo dura un'ora, un minuto, una manciata di secondi talmente piccola che non può essere quantificata — quando si volta e grida il nome di chi non gli ha mai stretto la mano ma gli ha salvato la vita.

"POTTER!" urla, lanciando la propria bacchetta nella direzione in cui il Prescelto si è fermato.

Ora sì, è traditore della causa che suo padre gli ha insegnato a sostenere e lo sfregio sul braccio è verità, ma non si è mai sentito così pulito, così giusto, così lontano dal buio che lo ha avvolto nell'anno appena trascorso.

La Granger glielo ha detto, quand'era ancora cieca: questo buio non ti somiglia, tu sei altro, adesso.

Adesso che lei ha leccato il suo sapore, che l'ha guardato e l'ha visto, che ha capito quanto il peso che ha portato addosso gli abbia fatto piegare la colonna vertebrale in una curva che lui fatica a raddrizzare; adesso che anche lei sa che in un anno può non cambiare nulla, ma in un secondo può mutare tutto.

Lo sa Hermione Granger, lo sa il Signore Oscuro che ha la bocca disegnata in una linea dritta di sdegno e lo sguardo fisso sul Bambino-Che-È-Sopravvissuto, che gli scarta verità come fossero Cioccorane incapaci di saltare via.

Li sente parlare, un discorso infinito che ferma tutto: nessuno si muove, soltanto il simbolo del male e del bene che girano in tondo in un cerchio che inizia e finisce con loro due com'è sempre stato, come avrebbe sempre dovuto essere.

"È di nuovo l'amore?" Voldemort ha il volto trasfigurato, la bacchetta di Sambuco che gira tra le dita viscide e ossute pronta a uccidere. "La soluzione preferita di Silente, l'amore, che a sentir lui vince la morte."

Draco s'allontana dalla folla, si rintana all'ombra di una colonna e sposta lo sguardo lungo la Sala Grande, oltre la porta d'ingresso, ma Hermione non c'è — se non è amore quello che gli fa muovere la testa ogni volta che vede l'ombra della Granger spostarsi, allora non sa proprio cosa sia.

"Avada Kedavra!"

"Expelliarmus!"

Il silenzio che prima era paura e trepidazione, adesso è macigno che cala sui vincitori e somiglia a una coperta che emana il giusto calore eppure soffoca i respiri, assorbe i sudori e tutti i suoni; è surreale e fa quasi paura, la vittoria dei giusti, e lui si chiede se ne faccia parte, se sia davvero alfiere bianco e non più pedone nero, scacco matto e partita finita.

Il corpo del Signore Oscuro giace sul pavimento e, insieme agli ultimi brandelli d'anima, ha perso pure l'aurea di onnipotenza e terrore che ha emanato da vivo e Draco, per la prima volta, si rende conto d'essere stato al cospetto di un uomo che non era altro che un semplice mortale deforme, con la pelle di serpente e gli occhi rossi come il sangue.

È come svegliarsi da un incubo, trovarsi nel proprio letto e avvolgersi nel profumo di lenzuola che odorano di casa; come sognare di cadere nel vuoto e accorgersi di essere sempre stati al sicuro.

Ed è strano, sentirsi vivi, rendersi conto di esistere ancora, che è arrivato, alla fine, quel dopo che non era sicuro di scoprire da vivo.

Si siede in disparte, al tavolo a cui è appartenuto da quando aveva undici anni e sua madre occupa il posto di fronte, gli stringe la mano e soltanto adesso lui s'accorge di non averla sentita prima nel suo abbraccio che aveva il sapore dell'addio piuttosto che il profumo del bentornato: le disegna lentamente le linee tra le falangi, tocca la carne del palmo e del polso, mentre suo padre gli racconta che ha preferito vederlo rinchiuso e sofferente per poco piuttosto che saperlo orfano per sempre, era l'unico modo per farti credere che fosse morta, l'unico modo per spingerti a reagire, gli dice.

"E se Potter non avesse vinto?"

Lucius allora non risponde: non è mai stato bravo a fare il calcolo delle probabilità, a capire fin dove spingersi per evitare conseguenze nefaste, ma Potter è vincitore e il Signore Oscuro è stato sconfitto, un ragazzino ha salvato la vita di migliaia di adulti ignari e tanti altri che si sono piegati per credo e paura a un essere mortale che si è professato eterno.

Draco annuisce, il capo ancora calato sulle mani di Narcissa, ma qualcosa ai margini del suo campo visivo si sposta e lui volta lo sguardo.

La Granger è ferma di fronte a lui, si tortura le dita proprio come quando erano rinchiusi nelle segrete di Villa Malfoy e a lui sembra più piccola di quanto non sia mai stata.

La vede sobbalzare all'eco di un lamento esploso, ma non sposta mai gli occhi da lui: è l'atteggiamento di chi è stato bersaglio e alla fine esce indenne (o quasi) dalla fuga, di chi è stato preda e vede il corpo del proprio cacciatore esanime.

Si chiede se smetterà mai di allarmarsi al primo fruscio stonato, se prima o poi tornerà la serenità in quegli occhi che lo guardano e chissà se lo vedono davvero dietro la patina delle lacrime.

Ha pianto i propri morti, scavalcato cadaveri di bambini, ragazzi e adulti, ha fatto la conta delle vittime e Draco lo capisce quando lei s'avvicina a passi misurati.

"Avevi ragione: ci si sente comunque sconfitti" gli dice.

Non si toccano, eppure lui sente la sua pelle scivolare sotto i polpastrelli, i suoi capelli aggrovigliati che gli solleticano il mento.

"Grazie" conclude Hermione, prima di andare via.

I muscoli si tendono senza che lui li comandi e gli occhi la cercano come fosse insieme la strada e le prove che portano alla Fonte della Buona Sorte, e il cuore non lo sa in che modo, ma si sposta dal petto e batte nelle corde vocali, forse è questo che lo spinge a lasciare la presa dalle mani di Narcissa e a farlo scattare in piedi, provocando lo strusciare della panca sul pavimento.

Si dice che se avesse avuto abbastanza coraggio le avrebbe chiesto di portarlo al cinema, di prendere con lui il bus e visitare una città che non ha mai visto; le avrebbe chiesto di contare insieme le foglie che cadono dagli alberi in autunno, di guardare i tramonti di ogni stagione e aspettare insieme il Natale e perdersi nei mercatini di cui gli ha parlato.

Ma Draco il coraggio non ce l'ha, se l'è giocato tutto in quel lancio di bacchetta che ha segnato la morte del male, eppure…

Eppure non sa dove, ma ne trova un briciolo da qualche parte dentro e lo dona interamente a lei in una domanda che le ha già posto.

"Di chi?" le chiede, con la certezza assoluta di sapere per quale motivo premeva dalla prima volta per avere una risposta.

"Un serpeverde" Hermione risponde mentre gli regala ancora le spalle, poi si volta a guardarlo.

La guerra è finita, non sono più prigionieri ed entrambi sanno di essere polvere e macerie e ossa e carne e sangue.

Che c'è ancora qualcosa di bello adesso lo vedono, eppure nessuno dei due sorride.

O forse lo fanno insieme.

Angolo Autrice:

Questa è probabilmente la shot più lunga che io abbia mai scritto e nasce dall'immagine che ho dietro la testata del letto.

Ci sono dei chiarimenti da fare, ovviamente e li trovate qui di seguito.

Il Cavea Proditorum (che significa letteralmente gabbia dei traditori) è un incantesimo di mia invenzione la cui potenza è proporzionale a quella del mago che l'ha lanciato, per cui ogni volta che voldemort si indebolisce lo fa anche l'incantesimo, per draco e hermione riescono a fare delle piccole magie;

Lo scacco di scoperta è una mossa degli scacchi secondo la quale una pedina (cavallo, alfiere o pedone) lascia scoperto il proprio re per circondare e bloccare ogni movimento del re avversario… o almeno, così credo che sia.

Nel libro ci sono Tiger e Goyle Nella Stanza delle Necessità, ma ho sempre preferito vedere Draco affiancato da Blaise Zabini e perciò...

Lo sappiamo tutti, ormai, che non ci si può smaterializzare a Hogwarts, per questo Malfoy si troverà ai limiti della Foresta Proibita.

Narcissa non è davvero morta: in questa storia Lucius farebbe di tutto per compiacere il suo padrone, ma anche per proteggere suo figlio e per questo finge la morte della propria moglie.

La Coppa di Tosca è stata comunque distrutta da Hermione e Ron nella Camera dei Segreti, ma non c'è stato nessun bacio e Ron non va a sbandierare in giro che lei è la sua ragazza.

Nel libro, Harry ha già con sé la bacchetta di Draco, ma affinché la storia funzionasse ho preferito riprendere la scena cancellata in Harry Potter e i doni della morte parte 2 in cui Draco lancia la propria bacchetta al Bambino-Che-È-Sopravvissuto.

Nel libro, alla fine della battaglia, la famiglia Malfoy è seduta in disparte nella Sala Grande e sì, ho preso spunto da entrambe le trasposizioni.

E niente, spero che questa storia vi sia piaciuta...

   
 
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