Videogiochi > Ace Attorney
Segui la storia  |       
Autore: ChrisAndreini    18/11/2021    0 recensioni
L'unico obiettivo di Phoenix Wright, semplice garzone di paese, era raccogliere un sasso caduto dal cielo per avere l'occasione di sposare la donna che ama, e magari incontrare il padre che non aveva mai conosciuto nel frattempo. Non aveva mai messo in conto che tale roccia si sarebbe rivelata un brontolone irritante e irritato e che il suo regalo di compleanno e proposta di matrimonio sarebbe stato ricercato da tre principesse, una strega spalleggiata dal bicentenario padre, e un'aspirante regina con manie di grandezza. Se poi ci mettiamo in mezzo anche una pericolosa ciurma di pirati dei cieli, mercanti senza scrupoli e stregoni mezzi ciechi e molto abili negli inganni, si può dire con assoluta certezza che Phoenix avrebbe preferito restare a casa. Anche se l'avventura può pericolosa della sua vita può rivelarsi anche la più straordinaria e importante che affronterà mai. E chissà, magari si renderà conto che l'amore della sua vita potrebbe essere diverso da quello che pensava.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Franziska von Karma, Maya Fey, Miles Edgeworth, Phoenix Wright
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La stella caduta

 

-Padre?!- chiese Phoenix di getto, nel momento in cui si ritrovò addosso a quello che ovviamente non poteva essere altri che suo padre.

Anche se subito iniziò a rendersi conto che sembrava un po’ giovane per essere suo padre. Però, dai, che ne sapeva Phoenix, in quel mondo magico, come funzionavano le età. Magari era invecchiato più lentamente rispetto ad altri… o era magico… o… beh… non gli somigliava affatto, in effetti. Ma aveva i capelli grigi!!

Doveva essere lui!

Anche perché non sembrava esserci nessun altro intorno a loro.

-Ti sembra che io potrei mai essere tuo padre?!- esclamò il padre, irritato e offeso dall’accusa.

Phoenix sobbalzò, preso in contropiede da tanta veemenza.

-Hai i capelli grigi!- gli fece notare senza alcuna logica, solo per giustificare una certezza che sempre meno considerava tale, mentre osservava meglio i tratti… anche piuttosto graziosi, bisognava ammetterlo, dello sconosciuto che sempre meno somigliava ad un suo ipotetico padre.

-Sono argentati, ignorante!- si lamentò il non-padre, fulminandolo con lo sguardo, sempre più offeso -E non ho alcun figlio! E per fortuna, dato che non vorrei mai avere un pelandrone del genere come progenie!- si lamentò poi, offendendo Phoenix, che si convinse definitivamente che quel tipo non poteva essere suo padre.

E se anche lo fosse stato… beh, era Phoenix a non volere un tipo del genere come padre, tiè!

-Ehm… scusa…- imbarazzato per la figuraccia, e con le guance paonazze, Phoenix si ritirò, lasciandolo respirare. Poi si guardò intorno, cercando magari qualcun altro lì in mezzo. Magari suo padre era lì vicino, nascosto dietro un cespuglio. O reso invisibile dallo stregone che lo teneva… un momento, suo padre era tenuto prigioniero da uno stregone! Giusto! 

Phoenix tornò a guardare quello che sicuramente non era suo padre, che si era messo seduto e stava provando a togliersi la terra dai vestiti, borbottando insulti tra sé. Si concentrò in particolare sui suoi capelli argentati.

-Chiedo scusa…- attirò nuovamente la sua attenzione, avvicinandosi, in quanto unica fonte di informazioni presente in giro.

L’uomo alzò gli occhi al cielo, e lo fulminò nuovamente con lo sguardo, per fortuna non letteralmente.

Chissà se era capace di fulminare qualcuno letteralmente.

-Ehm… i tuoi capelli sono naturalmente argentati?- chiese Phoenix, cercando di essere più discreto possibile ma non riuscendo a nascondere il suo intento indagatore.

-Certo che sono naturali! Si può sapere cosa vuoi da me?!- si indignò maggiormente l’uomo, strisciando lontano da Phoenix nel tentativo di fargli capire che non voleva avere niente a che fare con lui, ma non mettendosi ancora in piedi.

-Scusa se insisto, ma… non è che hai visto qualcuno qui in giro? Tipo uno stregone con i capelli viola, e un uomo, simile a me magari, che potrebbe essere mio padre?- Phoenix non capì l’antifona, e gli si avvicinò di qualche passo.

-No! Non ho visto nessuno! E avrei preferito restare solo!- molto simpatico e affabile lo straniero, non c’è dubbio. Provò ad alzarsi in piedi, ma crollò rovinosamente a terra.

-Hai bisogno di aiuto?- si offrì Phoenix, un po’ preoccupato per lui, avvicinandosi un po’ di più e mettendosi a disposizione.

-Mi aiuti se mi lasci in pace!- l’uomo evitò ulteriormente il suo aiuto, ritirandosi dalla sua presa e strisciando più velocemente lontano da lui.

Phoenix decise di lasciargli i suoi spazi. Non voleva imporre la propria presenza, né finire nei guai con uno sconosciuto chiaramente poco amichevole.

Iniziò a guardarsi meglio intorno, ma non c’erano neanche troppi luoghi dove suo padre poteva essersi nascosto.

Non c’erano alberi, o cespugli, o case, o…nient’altro, davvero. Solo terra, e… un momento. Erano in un cratere.

Come ci era finito dentro un cratere?! L’aveva creato lui con l’impatto? No, se ne sarebbe accorto, forse.

Ma soprattutto dove poteva essere suo padre?!

Forse aveva ragione a temere il peggio, e magari suo padre era morto ed era seppellito lì!

Phoenix iniziò quasi a disperarsi, ma poi fece nuovamente due più due, cercando di inseguire la speranza. Se suo padre fosse stato sepolto lì, il cratere avrebbe dovuto portare alla luce i suoi resti, no? Insomma, Phoenix non era un esperto di queste cose, ma ci sperò con tutto il cuore.

Ma questa teoria non rispondeva al perché non era finito da suo padre.

Allora… ragionando… che spiegazioni c’erano al non aver trovato suo padre lì?

Forse era stato trasportato da un’altra persona.

Phoenix lanciò un’occhiata verso l’unica altra persona oltre a lui nel cratere, che era riuscito a rimettersi in piedi, e camminava con una certa difficoltà, zoppicando, e non degnando Phoenix neanche di uno sguardo.

Perché mai la candela di Babilonia avrebbe dovuto portarlo da quel tipo?

A cosa stava pensando quando sua madre l’aveva accesa?

Pensava a suo padre, questo era appurato, ma poi la sua mente l’aveva portato verso altre cose oltre al muro, a Dahlia, alla… stella!

Gli occhi di Phoenix si accesero di entusiasmo quando si rese conto di dove l’avesse portato la magia, e iniziò a guardarsi nuovamente intorno, in cerca di un qualche oggetto luccicante, o una roccia particolare, o qualcosa che brillava ai suoi piedi, magari non tanto visibile dato che era giorno.

Ma non c’era assolutamente nulla che corrispondesse alla descrizione.

Non aveva senso! Doveva per forza essere dalla stella!

Dopo qualche minuto di osservazione, approcciò per l’ennesima volta l’uomo che era lì con lui. Sicuramente aveva quantomeno visto qualcosa.

-Scusi…- gli si avvicinò.

-Cosa vuoi ancora?!- sbottò lui, incrociando le braccia in modo difensivo.

-È l’ultima volta, promesso! Non è che per caso hai visto una stella, qui in giro?- chiese, speranzoso.

L’uomo impallidì, e si irrigidì.

-E cosa vorresti, di grazia, da questa stella?- chiese, risultando se possibile più freddo e ostile.

Phoenix non notò la preoccupazione chiara sul volto del suo interlocutore, troppo impegnato ad arrossire imbarazzato pensando alla sua amata.

-Eh eh, ho promesso alla donna della mia vita di regalarle una stella per il suo compleanno. L’abbiamo vista cadere insieme ieri sera. L’hai vista? Ora che ci penso, è passato un po’. Ma non può essersi mossa, no? Siamo in un cratere, quindi sicuramente è caduta qui!- Phoenix iniziò a spiegare il suo piano, e il suo ragionamento.

L’occhio dell’uomo davanti a lui iniziò ad avere un tic nervoso.

-Sì!- lo interruppe poi, con irritazione sempre crescente -È caduta proprio qui- confermò, indicando tutto intorno a loro.

Phoenix era entusiasta.

-Davvero?! Evvai! Ce l’hai tu? O me la puoi indicare? Possiamo raggiungere un compromesso se…- provò a fare affari, ma l’uomo non aveva finito.

-O meglio… lì sopra era dove la stella stava nel cielo, ad osservare un processo di Londra con l’accusato chiaramente colpevole. Ed è anche il luogo in cui questo magatama è arrivato sul più bello disturbando la stella e facendola cadere dal cielo…- indicò, con voce sempre più pronta ad esplodere, una collana con uno strano simbolo che aveva appeso al collo. Phoenix non capiva esattamente dove egli volesse andare a parare, e continuò ad ascoltarlo, confuso.

-Poi lì è dove la stella è caduta tra atroci sofferenze, rompendosi una gamba e forse anche il coccige, che fa parecchio male. Neanche il tempo di alzarsi in piedi che, proprio lì, un idiota è caduto dal cielo ferendo maggiormente il già citato coccige della stella…- l’uomo continuò la telecronaca, avvicinandosi sempre di più a Phoenix e alzando la voce ad ogni parola.

Era il momento di Phoenix di indietreggiare. La sua mente stava lentamente arrivando alla soluzione, ma non voleva crederci.

-E, come se non bastasse, tale idiota continua ad importunare la stella con domande insulse, strane supposizioni, e proposte che francamente denotano un’ignoranza senza pari, perché, mio caro idiota… IO NON SONO IL REGALO DI COMPLEANNO DI NESSUNO!- gli urlò contro, alla fine, sfogando sul ragazzo davanti a lui tutta la frustrazione che aveva dentro da quando era caduto.

Non poteva essere più chiaro di così, neanche per Phoenix, che, a bocca aperta, non riuscì a boccheggiare altro che un incredulo -Tu… sei tu la stella?- al quale la stella rispose con una faccia da capitan ovvio.

-Congratulazioni, hai vinto il nulla! Perché non sono un oggetto!- gli fece notare, dandogli nuovamente le spalle, e avviandosi al limite del cratere, nel tentativo, probabilmente, di provare a scalarlo per uscire da lì e allontanarsi in fretta dallo straniero.

-Io chiedo profondamente scusa! Non pensavo che la stella… che tu fossi… ecco… umano- Phoenix, ripresosi dallo shock, iniziò a sentirsi davvero molto in colpa.

-Non sono un umano! Sono una stella! In cielo come in terra!- il suo sincero dispiacere non venne recepito dalla stella, che gli lanciò un’ennesima occhiataccia, come se il solo pensiero di essere associato a lui fosse disgustoso.

-Scusa! Intendo solo, che… cioè… non voglio certo schiavizzarti per portarti dalla mia ragazza! Non sono un mostro! Pensavo fossi… un’altra cosa. E non volevo caderti addosso, è stato un incidente. Volevo trovare mio padre, ma poi mi sono distratto, e questa candela mi ha portato da te, non potevo controllarlo- Phoenix provò nuovamente a scusarsi, e mostrò la candela che l’aveva portato lì.

La stella si interessò immediatamente all’oggetto magico.

-È una candela di Babilonia, quella?- chiese, osservando il poco che restava della candela con attenzione.

-Uh… sì. Può portare ovunque tu voglia- spiegò Phoenix, iniziando a pensare ad un modo per sfruttare quell’interesse per entrare nelle grazie della stella.

-So cos’è una candela di Babilonia! Potrebbe riportarmi… uhm… non è che potresti darmela?- la stella abbandonò i modi ostili, e si fece molto più affabile. Provò ad ostentare indifferenza, ma era chiaro come il sole che quell’oggetto era davvero importante per lui.

Phoenix era tentato di consegnargliela senza far storie, giusto per farsi perdonare di avergli creato danni, ma combatté il suo istinto da pushover.

Se ora dava la candela alla stella, essa sarebbe scomparsa da lì, lasciandolo solo in mezzo ad un cratere, oltre il muro, senza suo padre e senza regalo di compleanno per Dahlia.

Forse poteva approfittare dalla situazione per trovare un compromesso che sarebbe andato bene ad entrambi.

-È un regalo di mia madre, sai. L’unica cosa che ho di mio padre, oltre a questa spilletta…- Phoenix spiegò, indicando la spilla sul suo colletto, e usando il suo migliore tono d’affari.

La stella si oscurò, e gli diede le spalle.

-Capito, addio!- abbandonò la negoziazione e tornò al muro del cratere.

-Aspetta, aspetta! Sono pronto a dartela, ma… in cambio, posso chiederti un favore?- Phoenix andò dritto al punto, con grandi occhioni da cucciolo.

-No- la stella neanche lo guardò.

-Almeno ascoltami, prima!- provò a convincerlo Phoenix, mettendoglisi davanti per costringerlo a guardarlo.

La stella sospirò.

-Senti, non tengo abbastanza a tornare a casa per mettermi a fare accordi con gli umani! Volete solo una cosa, da noi! E non permetterò che ti avvicini al mio cuore!- mise in chiaro le cose, in tono minaccioso.

Phoenix si allontanò, alzando le mani, e arrossendo non poco.

-S_senti… sei affascinante per essere un uomo, ma l’unico cuore che voglio è quello di Dahlia, mi dispiace!- era il suo turno di mettere le cose in chiaro.

La stella ci mise qualche secondo a capire cosa intendesse, poi indietreggiò di parecchi passi, arrossendo a sua volta.

-Non era questo che intendevo!- si difese, con tono molto più acuto -Tu vuoi… aspetta… perché vuoi dare una stella alla tua ragazza?- iniziò finalmente ad essere pronto al dialogo.

Forse c’era una speranza!

-Perché è la ragazza migliore del mondo! È così gentile, e affettuosa, e bellissima, e angelica! Merita il meglio, e ti abbiamo visto cadere da oltre il muro, ed eri bellissimo anche tu… cioè… non in quel senso. Ma insomma le ho promesso che avrei attraversato il muro e le avrei portato una stella perché lei…- iniziò ad elogiare la donna della sua vita. La stella non era per niente impressionata.

-Sì, ma perché lei vuole la stella, sì, insomma, per farci cosa?- indagò ulteriormente, rendendo più chiara la sua domanda.

Phoenix alzò le spalle.

-Per nessuno scopo. Non è tanto la stella in sé, ma la prova d’amore. Affrontare le intemperie, il viaggio, la sfida! Dimostrarle che la amo abbastanza da attraversare il muro. E se mi aiuti venendo con me da lei e dimostrando che ho fatto questo viaggio, ti giuro che subito dopo averle dimostrato di averti trovato, ti regalerò la candela e potrai farci quello che  vuoi! Te lo prometto!- Phoenix alla fine fece la sua proposta, mostrando la candela di Babilonia che sarebbe servita come merce di scambio, e facendo i suoi occhi da cucciolo più teneri.

La stella lo fissava incredulo.

Phoenix poteva quasi vedere le rotelle che lavoravano nel suo cervello.

Dopo parecchi secondi di silenzio, fece il punto della situazione.

-Vuoi che io ti accompagni dalla tua ragazza per offrirmi a lei come tuo dono di nozze ma appena confermi con lei di essere riuscito a trovarmi mi darai quello che resta della candela?- riassunse, molto poco convinto, indicando l’oggetto. Sarebbe stato abbastanza solo per un altro viaggio.

-Sì! Non ci saranno cuori coinvolti! Tranne il mio e quello di Dahlia… e solo metaforicamente! E poi… ti servirà aiuto per uscire da questo cratere, in ogni caso, non pensi? Ti starò accanto tutta la strada!- Phoenix gli porse la mano, in segno di intesa, per stringere l’accordo.

Sperò di essersi venduto abbastanza bene.

La stella lo osservò parecchi secondi, sempre molto poco convinto, ma alla fine gliela strinse.

-Mi avvalgo della facoltà di cambiare idea in ogni momento!- fece presente, però, lasciando in fretta la mano di Phoenix e pulendosela nella toga argentea che indossava.

Phoenix annuì, anche se sperò che non cambiasse idea.

Certo, era andato oltre il muro per suo padre, non per la stella, ma ora che si ritrovava lì, doveva provare con tutte le sue forze a portare il regalo a Dahlia. Dopotutto aveva un tempo limitato. Mentre suo padre poteva conoscerlo e salvarlo anche più in là.

-Mi chiamo Phoenix, Phoenix Wright!- si presentò, con un gran sorriso.

-Miles… della costellazione Edgeworth- rispose la stella, in un sussurro.

Era la nascita di una splendida collaborazione!

…forse.

 

Di due cose Mia Fey era assolutamente certa: 

1) Non aveva tempo da perdere;

2) Sua zia avrebbe tentato di ucciderla presto.

Non aveva idea di come avrebbe tentato di farlo, però, quindi Mia doveva essere all’erta in ogni momento, e raggiungere il magatama percorrendo strade meno rintracciabili e facendo dei giri particolari.

Cosa che purtroppo le avrebbe fatto perdere tempo.

Un’altra cosa di cui Mia era piuttosto certa, era che zia Morgan avrebbe cercato di eliminare prima lei rispetto a sua sorella, e questo era un fattore piuttosto positivo, perché significava che più Mia riusciva a tenere l’assassino sui suoi passi, meno Maya sarebbe stata in pericolo.

Mia vedeva molto meglio Maya, come regina. Aveva il cuore al posto giusto, si impegnava sempre al massimo, e avrebbe senza alcun problema ottenuto il favore del popolo con le sue idee e il suo entusiasmo.

Ma allo stesso tempo, Mia sapeva di non poter aspettare che fosse sua sorella a prendere la collana: non poteva permettere che fosse Morgan la prima a trovarla.

Pertanto era decisa più che mai a trovarla, se possibile, e usare i poteri da regina per esiliare Morgan oltre il muro, in modo che non potesse più abusare del suo potere e minacciare la famiglia reale, e gli stregoni.

Insomma, Mia Fey aveva le idee piuttosto chiare, ma la sua fretta era messa a dura prova dalle circostanze, dato che, purtroppo, era stata costretta a fermarsi in un villaggio per abbeverare i cavalli e aggiustare la carrozza che, casualmente (ma anche no) era stata manomessa.

E mentre aspettava, cercando di restare in totale anonimato, decise di fare un giro per la città e vedere la condizione dei suoi sudditi.

Futura regina o no, a Mia stava molto a cuore lo stato del suo regno, e non aveva avuto molte possibilità di visitarlo, dalla scomparsa di sua madre. Sua nonna era stata molto categorica al riguardo: non voleva che le sue nipoti rischiassero la vita in un regno che ogni giorno si faceva meno sicuro.

Mia non incolpava sua nonna. Sapeva che aveva fatto del suo meglio, almeno finché la malattia non l’aveva costretta a letto.

No, Mia incolpava sua zia, che aveva solo peggiorato le cose facendo le veci della madre, e implementando sempre più leggi che sfavorivano e discriminavano i maghi.

Mia iniziò a guardarsi intorno, passeggiando con un mantello sul volto in modo da non essere riconosciuta, anche se dubitava fortemente che il popolo ricordasse che faccia avesse. Ma un eventuale assassino sì, quindi era meglio essere prudenti.

-Posso offrirvi un ritratto, bella signorina! Solo una moneta d’argento!- la sua attenzione venne attirata da una bambina, che non sembrava avere più di dieci anni, abiti logori e i capelli coperti da una bandana, che però lasciava sfuggire qualche ciuffo indaco. 

Chiaramente una strega.

Mia finse di non essersene accorta.

Sorrise alla bambina, e si piegò alla sua altezza.

-Un ritratto? Mi piacerebbe, grazie- acconsentì, sperando fosse un’occasione per indagare un po’ sulla situazione delle persone con poteri magici, in quel villaggio.

-Grazie, signorina! Ci metterò pochi minuti!- la bambina prese dal nulla un foglio di carta e un carboncino, e iniziò a disegnare febbrilmente, come se temesse che Mia potesse cambiare idea in ogni momento e lasciarla senza nulla.

-Come ti chiami?- chiese Mia, per fare conversazione mentre aspettava.

-Vera, signorina- rispose lei, a bassa voce, un po’ timorosa ma non volendo sembrare scortese.

-È un bellissimo nome, Vera- Mia le sorrise, provando a metterla a suo agio -Dove sono i tuoi genitori?- chiese poi, attivando i suoi poteri spirituali per assicurarsi che la bambina davanti a lei dicesse la verità.

La vide sobbalzare, ma si affrettò a rispondere.

-Sono a casa. Mio padre è molto malato! E mia madre deve badare a lui, per questo io sono qui a cercare di guadagnare qualche soldo- rispose prontamente, con il tono di chi aveva imparato un copione da ripetere a memoria.

Mia notò con chiarezza parecchi lucchetti comparire davanti alla bambina, segno che stava mentendo. Questo non le dava la certezza di dove fossero i suoi genitori, ma chiaramente non erano a casa.

Forse non ne aveva proprio.

-Mi dispiace molto- decise di non infierire fin da subito mostrando la propria conoscenza, ma di prenderla larga.

-Finito! Una moneta d’argento- purtroppo per Mia, non aveva molto tempo di prenderla larga, perché la bambina era molto più veloce di quanto avrebbe sospettato, e le porse subito il disegno appena finito.

Mia osservò il disegno, aspettandosi qualcosa di magico, o di infantile. Non con giudizio, ma logicamente, una bambina di dieci anni non poteva riprendere la realtà con estrema precisione, a meno che non usasse la magia che chiaramente possedeva.

Ma Vera la stupì, perché era riuscita a replicare perfettamente la realtà, e da quanto Mia poteva capire usando i propri poteri spirituali, non aveva usato magia, solo grande talento e un’incredibile osservazione.

-È straordinario, Vera. Grazie mille- le sorrise caldamente, ottenendo un accenno di un sorriso da parte della bambina, sollevata di essere riuscita nell’affare.

Prese poi una moneta d’oro, e gliela porse.

Il sorriso di Vera si spense.

-No, signorina. Solo una moneta d’argento!- provò a rifiutare, in difficoltà.

-Mi piace tantissimo il tuo disegno, e vorrei ringraziarti con una moneta d’oro- Mia insistette, prendendole la mano e mettendoci la moneta.

Poi decise di osare con un piccolo ma importante gesto.

Prese un ciuffo di capelli che era uscito fuori, e glielo sistemò dentro la bandana, in modo che non si vedesse.

Vera si irrigidì, e si coprì la testa, spaventata.

-Non faccio del male a nessuno!- si affrettò a giustificarsi.

Mia ritirò le mani, si inginocchiò in modo che fosse ovvio che non volesse farle alcun male, e le sorrise rassicurante.

-Lo so, Vera. Io sostengo i maghi, e provo ad aiutarli- le assicurò.

Vera iniziò a mordersi le unghie, agitata, ma non replicò, né diede segno di scappare.

-Dove sono i tuoi genitori?- chiese nuovamente Mia, riattivando i suoi poteri e notando che i lucchetti iniziavano a tremare.

La bambina stringeva la moneta d’oro con forza. Non guardava Mia negli occhi.

-Posso aiutarti, Vera. Posso aiutare sia te che i tuoi genitori, se sono in pericolo- provò a convincerla Mia, sistemandole dolcemente la bandana sul capo.

Uno dei lucchetti si ruppe.

-…Gavin- borbottò Vera, in un sussurro.

-Gavin?- Mia era confusa. Aveva sentito quel nome, prima, ma non era certa di dove. Probabilmente in una discussione origliata tra sua nonna e sua zia.

-Il pirata… l’ha preso… ha preso mio padre… prendono i maghi e li vendono per la loro magia- un altro lucchetto di Vera si spezzò.

Mia sgranò gli occhi. Vendita di maghi per la loro magia.

-Vera…- provò ad indagare ulteriormente, a rassicurarla, ed aiutarla, ma la bambina notò qualcosa alle sue spalle, e sobbalzò vistosamente, per poi scappare via.

-Vera!- Mia provò a chiamarla, ma era troppo veloce.

Si girò verso l’origine di tale terrore, e notò che erano guardie della regina.

Cosa ci facevano lì?! Teoricamente il regno era ancora a lutto per la morte di Ami!

Non erano passate neanche ventiquattr’ore!

-Attenzione, cittadini, come proclama reale dichiaro che tutti i maghi, superiori e inferiori, devono fare rapporto al centro del villaggio per ispezione e pagamento della tassa straordinaria. Tutti quelli che si rifiuteranno di farlo entro ventiquattr’ore saranno imprigionati e portati a palazzo. Ordini della regina!- annunciò uno uomo a cavallo vestito da cavaliere.

Che cosa?! Ma che razza di proclama era quello?! Non era stato approvato da nessuno! Di certo non da nonna Ami prima di morire, e neanche da lei, o sua sorella, o… Morgan. Era stata chiaramente zia Morgan!

Quella… strega!

Mia si avvicinò, ancora con il cappuccio ben premuto sulla testa, alla delegazione.

-E per quale ragione?- chiese, senza alcun timore, attirando l’attenzione di tutti i presenti, e della guardia, che le lanciò un’occhiata poco impressionata.

-Ordini della regina! Non si discute. Se non sei una strega, non ti riguarda- lanciò un’occhiata ai capelli castani che spuntavano fuori dal cappuccio, e intuì che non fosse abbastanza speciale.

-Da quanto ne so, la regina non ha annunciato alcun proclama straordinario prima della sua morte, avvenuta ieri notte. Pertanto chi mai può aver dato un ordine del genere?- chiese Mia, a voce più alta, per attirare maggiore attenzione.

Ed infatti il cavaliere la guardò sorpreso, quasi allarmato.

-Come sei a conoscenza di queste informazioni riservate?!- chiese, alterandosi, e sguainando la spada, che puntò contro Mia.

Una cosa da sapere sulla magia spirituale: a differenza dei maghi veri e propri, la magia spirituale non agisce sul mondo esterno, ma resta ancorata in quello mentale. Pertanto, Mia non poteva nulla per difendersi dalla spada dell’uomo.

Non che le servisse usare la magia per difendersi, ma è giusto per farlo sapere a voi lettori.

Si limitò infatti a togliere il cappuccio, mostrando a tutti il suo volto.

-Lo so perché sono la principessa, primogenita di Misty Fey e una delle tre eredi al trono. E dato che so con assoluta certezza che non c’è ancora una regina che siede su di esso, chiedo gentilmente di informarmi su chi è la falsa regina che proclama leggi in nostra vece- affrontò il cavaliere, che ebbe l’accortezza di ritirare la spada e mostrarsi spaventato.

-Non lo so! L’ordine è passato da altri cavalieri prima di raggiungere noi! Stiamo solo eseguendo gli ordini!- si affrettò a giustificarsi, cambiando completamente atteggiamento.

-Beh, ora avete un altro ordine da seguire, stavolta da fonti certe: ordino, in qualità di principessa ed erede al trono, che finché non verrà annunciata la nuova regina, non ci sarà alcuna ispezione o tassa straordinaria verso i maghi di questo villaggio, dei villaggi vicini, e in tutta Kurain. Fai il passaparola con gli altri cavalieri, e avvertili che se dovessi incontrarne altri che hanno proclami diversi da questo, non esiterò a strappare loro il titolo e sbatterli in prigione!- minacciò, con autorità, emettendo un’aura di potere.

-Certo, principessa! Assolutamente, principessa!- tutti cavalieri si inchinarono rispettosamente a lei, e si affrettarono a ritirarsi dal villaggio, il più in fretta possibile nel terrore che cambiasse idea.

Nonostante tutti pensassero questo di lei, Mia non cambiava idea.

Sapeva che giravano voci secondo cui i maghi avessero ucciso sua madre, ma non era con la discriminazione che si sarebbero risolti i conflitti con gli incantatori.

E poi… persone come Vera non erano responsabili degli errori che solo alcuni maghi avevano, forse, commesso.

Mia non voleva diventare regina, ma se proprio doveva esserlo, sarebbe stata una regina giusta.

Anche se era stato rischioso esporsi così, con un killer alle calcagna. Le voci girano veloci, a Kurain, e Mia sapeva che aveva perso sia tempo, che vantaggio sul killer.

Ma aveva anche guadagnato qualche informazione, e più sicurezze riguardo la cattiva fede di sua zia Morgan.

Mentre tornava verso la sua carrozza, ormai riparata, Mia notò Vera, nascosta in un angolo, che le sorrideva. Un sorriso appena accennato, e subito dopo la bambina sparì nel nulla, imbarazzata.

Anche Mia sorrise tra sé.

Ne era valsa la pena.

 

Miles della costellazione Edgeworth si era pentito dell’accordo meno di dieci minuti dopo averlo stretto, e solo la sua inattaccabile logica gli aveva impedito di strozzare con le proprie mani quel tale Phoenix Wright, rubargli la candela, e tornarsene nel cielo in tempo per il matrimonio tra il Samurai d’Acciaio e il Crudele Magistrato.

Beh, la logica e il suo senso del dovere e della legge, acquisita nei suoi anni di osservazione della terra.

Uccidere era sbagliato, su questo concordavano tutti.

Ed era sbagliato anche rubare… quasi sempre.

In quella circostanza poteva prendere la candela e convincersi che fosse un pagamento per tutti i guai che quel ragazzo gli stava facendo passare.

Miles della costellazione Edgeworth odiava Phoenix Wright. La sua prima impressione si era rivelata giusta, e l’unica che avrebbe mai avuto.

Perché erano in cammino da almeno tre ore, sotto un sole cocente che Miles non aveva mai provato prima di quel momento addosso, e quel tizio non aveva smesso neanche un secondo di parlare della sua fidanzata, ripetendo sempre le stesse identiche cose per tutto il tempo, come in un loop.

C’erano due opzioni: o non aveva un lessico abbastanza forbito da usare per descriverla meglio; oppure semplicemente non la conosceva abbastanza profondamente da descriverla con più parole dei classici e banali “perfetta, dolcissima, gentilissima, bellissima” che ripeteva ad oltranza.

Da quel poco che Miles aveva imparato a conoscere di Phoenix, entrambe le opzioni erano parecchio plausibili, e non gli davano alcun punto nella scala di favore di Miles, che non odiava gli uomini, ma di certo avrebbe preferito finire in compagnia di qualcuno di intelligente, forte, protettivo. Come il Samurai d’Acciaio.

…forse tali eroi esistevano solo in Giappone.

Anche se, d’altro canto, era sempre meglio finire in compagnia di uno stupido che non sapeva quanto fosse effettivamente potente, e poi usarlo come scudo umano nel caso ci fossero stati guai peggiori all’orizzonte.

Miles era una stella molto pratica e logica, e la logica suggeriva che sebbene moralmente e legalmente non fosse consigliabile usare gli altri come scudi umani, era perfettamente accettabile se serviva a farli stare zitti… e a salvare una creatura ben più importante, ovvero Miles stesso.

Era puro buonsenso!

Pertanto restava attaccato a Phoenix Wright, qualche passo più indietro, zoppicando per il dolore alla gamba e alla schiena, e iniziando a ponderare l’etica di un bel suicidio per far finire la propria sofferenza, e quanto fosse peggio dell’omicidio volontario.

Intanto, ignaro dei pensieri e drammi del suo compagno di viaggio, Phoenix procedeva spedito, pieno di energia ed entusiasmo verso l’ignoto, senza sapere minimamente dove stesse andando, ma seguendo il proprio cuore nella speranza che lo conducesse dall’amore della sua vita.

-E poi dovresti vedere i suoi capelli… sono una sfumatura di rosso indescrivibile! Sembra aver catturato il fuoco. E trasmette anche lo stesso calore con il suo sorriso che potrebbe…-

-…illuminare la più buia delle notti come se fosse giorno- borbottò Miles, concludendo per lui.

Era da un po’ che si domandava se il colore dei capelli di Dahlia significasse che fosse una strega, ma aveva deciso di non chiedere nulla al suo compagno di viaggio. Nella migliore delle ipotesi non lo sapeva perché ignorante, nella peggiore delle ipotesi stava solo fingendo di essere affabile pensando che Miles fosse uno sprovveduto e rivelare i suoi dubbi avrebbe potuto mettere la stella maggiormente in pericolo.

Phoenix lo sentì, e si imbarazzò un po’.

-Sto parlando un po’ troppo, vero? Scusa, è che lei è così perfetta, dolcissima, gentilissima e…-

-…bellissima, sì, lo hai già detto- Miles lo anticipò di nuovo, a denti stretti -…almeno tre o quattrocento volte, ad essere ottimisti- si lamentò tra sé, provando a stare al passo, ma obbligato a fermarsi per riprendere fiato.

Non che volesse dare a vedere quanto fosse provato dalla camminata, ma era la prima volta che camminava in tutta la sua vita, aveva dolori dappertutto per la caduta, e Phoenix procedeva fin troppo veloce per i suoi gusti, cosa anche strana, dato che Miles era più alto di lui (due centimetri sono sempre due centimetri).

-Hey, tutto bene?- Phoenix sembrò accorgersi della sua difficoltà, e gli si avvicinò per controllare le sue condizioni.

-Sì, certo!- mentì Miles, anche se non stava affatto bene.

Provò a fare un altro passo, ma la gamba ferita cedette, e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Phoenix, sarebbe senz’altro caduto a terra di faccia.

-Non mi sembra che tu stia bene! È la gamba? Hai accennato al fatto che fosse rotta. Posso dare un’occhiata? Mia madre mi ha insegnato a…- Phoenix si mise a disposizione, mettendolo seduto e iniziando a sollevargli la toga per osservare la gamba ferita.

Miles gli diede un calcio sul braccio per tenerlo lontano, e si fece ancora più male alla gamba.

Maledetto corpo umano!

Era tutto più facile su nel cielo! 

-Tieni le tue mani lontano da me!- esclamò con maggiore furore di quanto volesse, ma facendo passare il messaggio.

Phoenix si ritirò immediatamente.

-Scusa! Volevo solo aiutare…- alzò le mani, e lasciò Miles seduto a terra.

La stella voleva sollevarsi, ma non trovò neanche la forza di provarci. Rimase nel terreno a riprendere fiato, il calore del sole lo stava facendo letteralmente sciogliere.

-Almeno bevi un po’ d’acqua, non hai ancora bevuto né mangiato da quando abbiamo cominciato il viaggio… voi stelle avete bisogno di bere e mangiare?- Phoenix gli porse una borraccia con dell’acqua. Miles la prese con una certa esitazione.

-Non nel cielo- ammise, più tra sé che rivolto verso il suo partner momentaneo.

La vita di una stella era piuttosto semplice, e si limitava all’osservazione e allo studio. 

In teoria, Miles sapeva tutto quello che c’era da sapere sugli esseri umani.

In pratica… tutto era estremamente complicato, per lui.

Prese un sorso d’acqua, con attenzione, come se temesse potesse ucciderlo.

E sentendo la gola rinfrescarsi e il calore diminuire, finì la borraccia in pochi secondi, rischiando di farsela andare di traverso.

-Woah, woah, con calma… eri proprio assetato. Vuoi anche qualcosa da mangiare? Oh, l’acqua è finita… potremmo cercare un fiume da qualche parte e riempire la borraccia- Phoenix si avvicinò per accertarsi delle sue condizioni, ma non osò toccarlo nuovamente.

Era… beh… abbastanza gentile, questo Miles doveva ammetterlo. Ignorante e irritante, ma gentile.

E forse era questa sua ingiustificata gentilezza che metteva davvero in guardia la stella.

Aveva da tempo imparato a diffidare delle persone all’apparenza troppo gentili.

Però accettò il pane che gli stava offrendo, perché aveva un vuoto nello stomaco, e provare a colmarlo sembrava una buona idea.

Phoenix si sedette accanto a lui mentre mangiava, riprendendo fiato a sua volta.

-Com’è essere una stella? Hai una famiglia, una fidanzata? Vuoi tornare nel cielo, giusto? Con la candela, intendo- dopo aver parlato ininterrottamente per tre ore della propria futura moglie, Phoenix scelse il momento peggiore per indagare sulla vita di Miles, che infatti rischiò di strozzarsi con il pane, sorpreso dalle domande che gli erano appena state poste.

E ancora più sorpreso dal fatto che quel buono a nulla avesse intuito l’uso che Miles voleva fare della candela.

Non che fosse così difficile da capire, ma Miles non lo aveva detto esplicitamente, e sembrava strano che Phoenix avesse la capacità mentale di arrivarci da solo.

Forse era davvero meno stupido di come apparisse.

…e pertanto più pericoloso.

Non rispose.

-Su nel cielo le cose sono diverse da qui- disse solo, senza dare alcuna risposta.

Tsk, una fidanzata. 

Solo il pensiero era rivoltante.

-Posso solo immaginarlo… wow. è così strano essere in compagnia di una stella- osservò Miles come se non riuscisse ancora a credere a cosa stesse succedendo.

Era semplice da leggere, e allo stesso tempo un vero e proprio mistero, per Miles, che si limitò ad allontanarsi ed evitare sia il suo sguardo che future indagini.

-Non… non sei di molte parole, vero?- suppose Phoenix, un po’ a disagio.

-No, non lo sono- rispose Miles, secco, appoggiando la testa sul suolo per stare più comodo. Non lo fece neanche con intenzione, semplicemente non ce la faceva più a stare neanche seduto.

Non si era mai sentito così stanco in vita sua.

…cosa normale, dato che non era mai stato stanco prima di allora.

-Vuoi riposarti un po’?- chiese Phoenix, comprensivo, avvicinandosi appena per controllare meglio le sue condizioni.

-Non potremmo… muoverci di notte? È più nelle mie corde- osò chiedere Miles, cercando di non mostrare quanto effettivamente fosse a disagio in quel momento. Stanco e incapace di alzarsi in piedi.

-Beh… è ancora presto, sarà poco oltre mezzogiorno… se aspettiamo la notte perderemo un sacco di tempo- obiettò Phoenix, guardandosi intorno.

-Sai almeno dove stiamo andando?!- sbottò Miles, irritato dall’obiezione. Non si reggeva in piedi! E altre ore in viaggio con quel tipo che parlava a tutto spiano non le avrebbe rette, al momento.

-Beh… io…- Phoenix si grattò il retro del collo, imbarazzato.

A Miles venne un terribile dubbio.

Per tutto quel tempo aveva seguito lui dando per scontato che sapesse dove stava andando. Proseguiva deciso, dopotutto, sapeva per forza dove stavano andando.

Ma quella non era la reazione di una persona che conosceva davvero le indicazioni.

-Tu… non sai dove stiamo andando?- lo accusò, mettendosi a sedere con una certa difficoltà e guardandolo incredulo.

-Io… sì! Lo so! Mi sto facendo guidare dal cuore! E poi… al primo villaggio che troviamo chiederemo informazioni più chiare!- Phoenix tornò sicuro di sé, ma le parole che disse non rassicurarono affatto Miles.

-Quindi… stiamo camminando da tre ore verso il nulla perché “ti stai facendo guidare dal cuore”?!- si ributtò a terra, pentendosi ancora una volta di aver seguito quell’idiota per una stupida candela di Babilonia. Non valeva tutta quella sofferenza!

-Senti, hai un’idea migliore?!- Phoenix fece il muso -Tu sapresti dove andare?-

Miles non aveva un’idea migliore, né sapeva dove andare.

-Propongo di camminare di notte- disse solo, volendo comunque avere l’ultima parola.

Phoenix sospirò, poi si alzò in piedi.

-Okay, facciamo così! Tu resti qui a riposarti, e io continuo in quella direzione cercando un villaggio vicino dove chiedere informazioni e magari trovare un posto per dormire e mangiare qualcosa- propose, accomodante.

Miles aprì la bocca per obiettare, più per il gusto di essere in disaccordo che per una vera e propria lamentela da fare, ma fu abbastanza intelligente e obiettivo da fermarsi in tempo.

Perché logicamente l’idea non era male.

Ed era un’ottima occasione per liberarsi di Phoenix almeno per un po’.

-D’accordo… mi sembra una buona idea- ammise, con difficoltà.

Phoenix sorrise soddisfatto.

-Perfetto! Allora torno più tardi, appena trovo un luogo decente. Tieni tu la bisaccia, nel caso avessi bisogno di mangiare qualcosa mentre sono via. Mi porto giusto alcune monete d’oro per pagare- Phoenix, mostrando una natura stoltamente innocente, consegnò senza remore a Miles la bisaccia con tutti i suoi possedimenti, prendendo giusto delle monete d’oro, e si allontanò nella direzione che avevano percorso fino a quel momento.

Miles rimase presto solo, in silenzio.

Finalmente!

Si ributtò a terra e si godette il canto degli uccelli e il frusciare delle foglie, senza il chiacchiericcio continuo di quell’insopportabile idiota innamorato.

E potè finalmente riflettere seriamente sulla situazione.

Anche se prima… controllò con una certa speranza la bisaccia che quel tipo gli aveva lasciato senza troppe remore. Se la candela era lì, poteva andarsene immediatamente, tornarsene nel cielo, e convincersi nei prossimi secoli che fosse stata la scelta più giusta da fare.

Dopotutto non aveva rubato la candela, era stato Phoenix lo sciocco a lasciargliela, e questo gli sarebbe servito da lezione per non fidarsi più degli sconosciuti.

Purtroppo, mentre cercava, con l’assoluta certezza che di lì a pochi minuti si sarebbe ritrovato a casa, si rese presto conto che, per quanto controllasse la borsa, non si vedeva la candela da nessuna parte.

…forse Phoenix non era sprovveduto come sembrava.

Miles gettò la borsa in un angolo, frustrato, e si mise comodo sul terreno, riflettendo sulla sua situazione attuale.

Allora… i lati positivi di stare con Phoenix Wright, per il momento, erano: 

1) Aveva uno scudo umano da poter utilizzare in caso di pericolo;

2) Gli avrebbe dato la candela di Babilonia una volta finito con Dahlia (ew);

3) Era sciocco quindi facilmente manipolabile (a meno che non mentisse al riguardo, ma Miles ne dubitava, francamemte);

4) Veniva da oltre il muro, quindi con quasi assoluta certezza non sapeva per davvero nulla riguardo al potere delle stelle;

5) Era gentile… e gli aveva offerto cibo e acqua. 

Insomma… c’erano molti lati positivi nello stare, momentaneamente, con Phoenix Wright, soprattutto perché Miles aveva la certezza di poter tornare in futuro a casa, mentre se si fosse allontanato da lui, non avrebbe avuto idea di dove trovare un’altra candela, e in generale dove andare e cosa fare.

Era piuttosto certo che in quel momento qualcuno potesse già essere sulle sue tracce per usarlo.

Ma non poteva prendere una decisione senza analizzare i lati negativi: 

1) Phoenix avrebbe parlato per giorni di Dahlia ininterrottamente; 

2) …non gli veniva in mente nient’altro.

Ma era abbastanza per prendere una decisione.

Miles della costellazione Edgeworth non avrebbe tollerato un’altra conversazione sull’amata di Phoenix Wright!

Dopo essersi ripreso abbastanza da rimettersi in piedi, Miles prese la borsa, se la mise a tracolla, e scappò a gambe levate nella direzione opposta a quella che aveva imboccato Phoenix. Non verso il luogo dal quale erano arrivati, ma lontano dal ragazzo innamorato e chiacchierino.

Meglio morire, che sentire ancora parlare di Dahlia Hawthorne!

 

Ed infatti, come se il destino avesse sentito la sua richiesta, Miles si era avviato proprio nella direzione di una locanda che presto sarebbe potuta diventare la sua tomba

Era ai limiti della foresta, gestita da persone che fino a quel momento avevano fatto affari piuttosto loschi, ma che stavano cercando di ripulirsi. Winfred e Plum Kitaki erano maghi inferiori, non facenti parte della fratellanza, e quindi più difficili da individuare rispetto ai maghi superiori, con i loro capelli colorati.

I maghi inferiori avevano capelli di due colori diversi, spesso neri e bianchi, che potevano facilmente essere mascherati come segni dell’età incombente, o con delle bandane, cosa che un proprietario di una locanda poteva sfoggiare senza che qualcuno facesse domande.

Purtroppo per loro e la loro vita tranquilla, l’arrivo di una stella nella loro locanda significava che anche metà delle persone più pericolose del regno ci si sarebbero fiondate da lì a poco.

Ma questo, ora come ora, non lo potevano sapere.

E nel momento in cui l’avrebbero scoperto, sarebbe stato troppo tardi.

Perché dopo parecchie ore di viaggio con la voce incessante di suo padre in testa, più fastidiosa del chiacchiericcio di Phoenix Wright, forse, Franziska aveva finalmente ottenuto delle informazioni interessanti circa la stella, che si sarebbe fermata proprio in quella locanda, luogo perfetto dove attaccare.

-Uccidi tutti quelli presenti e appropriati della locanda, poi accogli la stella e calmala in modo che brilli prima di strapparle il cuore!- le suggerì suo padre, con estrema sete di sangue.

Per fortuna i Kitaki non erano bravi nell’udito come Redd White, perché altrimenti sarebbe stato imbarazzante, dato che mentre queste frasi le stavano venendo dette, Franziska era al bancone, aveva ordinato da bere, e stava ascoltando la padrona di casa raccontarle una storia mentre spazzava il pavimento.

Era l’unica ospite al momento. Non erano in molti ad avventurarsi in quella foresta.

Franziska non era un’assassina.

Un conto era una stella. Era il suo compito strapparle il cuore e portarlo a suo padre, e la vedeva come un oggetto, e non una persona.

Un conto era uccidere maghi come lei, che non le avevano fatto nulla e che volevano solo vivere liberi.

Certo, il figlio era un po’ antipatico, e l’aveva servita sbuffando, ma erano le prime persone che non avevano minimamente commentato il colore dei suoi capelli.

Forse c’era un modo per soggiogarli senza ucciderli.

-Ma cosa ti porta qui, figliola?- chiese Plum ad un certo punto, interrompendo il proprio racconto sulla ex fidanzata del figlio e i pensieri di Franziska, che le sorrise affabile.

-Sto cercando un oggetto per mio padre. So che questa foresta è piena di erbe particolari- mentì, per niente intenzionata a far girare la voce che una stella fosse caduta e che fosse da quelle parti.

Dubitava che il mago dai capelli viola avesse tenuto la bocca chiusa, ma Franziska comunque non voleva facilitargli il lavoro.

-Oh sì! È una zona piena di risorse! Per questo io e Winnie abbiamo scelto questo luogo. Quanto pensi di restare? Se hai bisogno di un posto dove dormire, questa locanda è perfetta per te!- provò a vendere i suoi servigi.

Franziska dubitava di avere abbastanza soldi, ma finse di essere interessata.

-Sembra davvero un bel locale. Mi farebbe fare un giro?- chiese, alzandosi in piedi, e pensando al modo migliore per sfruttare quel luogo.

Dalla borsa, prese un po’ di polvere di papavero.

Non ne aveva tantissima, ma sarebbe servita allo scopo.

Doveva solo farli addormentare, prendere il controllo della locanda, fare il suo lavoro, e si sarebbero svegliati senza rendersi conto di cosa fosse successo, come se fosse stato tutto un brutto sogno.

Quella notte, Franziska avrebbe portato a termine il suo compito, sarebbe tornata a casa, e suo padre l’avrebbe ricompensata, estremamente orgoglioso di lei.

Niente e nessuno l’avrebbe potuta fermare.

Una principessa e un ragazzo dai capelli a punta vogliono obiettare, ma dettagli.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ace Attorney / Vai alla pagina dell'autore: ChrisAndreini