Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: nothingdrum    02/12/2021    0 recensioni
Una storia che sto scrivendo basata su un sogno che ho fatto, questo potrebbe essere l'unico capitolo che uscirà su efp e si tratta solamente del prologo. Per ora sto raccogliendo opinioni, la vostra è quindi ben gradita!
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Io e la mia ragazza abitavamo in un piccolissimo appartamento in centro. Venticinque metri quadrati che io e lei avevamo riempito di cazzate, con buona pace del padrone di casa, che abitava almeno a un'ora e mezza di macchina da quel bilocale che affittava a studenti universitari. Due stanze al secondo piano che contenevano in ordine: una minicucina con tre fornelli invece dei soliti quattro giusto per farmi incazzare quando volevo cucinare qualcosa in più allo stesso tempo che non fosse pasta più condimento; una libreria attaccata al muro che prendeva una parete intera, che avevamo riempito con una miriade di film e cazzate completamente inutili alla vita quotidiana lontana dai genitori; un tavolo, almeno quello espandibile, che arrivava fino al centro della zona giorno rendendo impraticabile la metà dei movimenti all'interno della cucina; la dispensa, situata intelligentemente sotto la caldaia la quale aveva un buco proprio sullo sfiato che dava all'esterno facendo periodicamente cadere fuliggine nell'armadietto dov'era situata, era alta all'incirca fino alle spalle di una persona, permettendo di metterci non più della spesa settimanale necessaria al nostro sostentamento. Una porta portava all'interno dell'ancor più piccola camera da letto, dove proprio il letto da una piazza e mezza occupava all'incirca tre quarti dello spazio vivibile della stanza. Tutto ciò non mi aveva impedito di piazzare sopra la cassettiera del 1937 piena di tarme che ci aveva gentilmente lasciato il proprietario di casa una TV 32 pollici Full HD che ci permetteva con grazia di vedere qualche film, al contrario del tubo catodico 18 pollici che avevamo trovato quando siamo entrati la prima volta. Il bagno era il pezzo forte della casa, talmente bello da non poterlo ammirare in due persone, quindi dovevamo entrare uno per volta. Anche perché una cabina doccia insensatamente grande impediva il passaggio di due individui contemporaneamente. In compenso c'era una piccola finestra dalla quale i gatti del vicino che allegramente passeggiavano sul tetto della casa affianco potevano entrare a piacimento ogni volta che si volesse arieggiare il bagno. La cosa di cui andavo più fiero però all'interno di quei venticinque metri quadri di amore incondizionato era il fatto di essere riuscito in qualche modo ad assemblare un piccolo impianto HIFI sotto il televisore: niente di che, intendiamoci, giusto quello che ritenevo necessario alla sopravvivenza delle mie orecchie. Avevo appoggiato due piccoli diffusori da scrivania Polk Audio ai lati della cassettiera, quindi sulla minuscola scrivania che utilizzavamo a sinistra, e su un Kallax dell'IKEA da trenta euro a destra. Due casse veramente piccole ma di un'efficienza invidiabile, grazie anche al bass reflex sul frontale che garantiva dei bassi eccezionalmente profondi, che nella stanza minuscola dove erano situati riuscivano a riempire benissimo l'ambiente. Ero piuttosto soddisfatto, anche perché le mandavo con un bellissimo amplificatore Philips RH591 del 1971, il quale ausilio era stato necessario nel momento in cui ho scoperto che il mio televisore nuovo di zecca consentiva solamente l'uscita audio ottica e bluetooth, e che piuttosto di convertirmi al neo partito nazista delle soundbar avrei preferito volentieri tirarmi una martellata nei testicoli. E così, via, altri venticinque euro di convertitore digitale analogico, solamente per passare da un'uscita ottica del cazzo nell'entrata AUX di un amplificatore di cinquant'anni fa. E' probabile che a questo punto vi chiediate punto primo Per quale motivo non hai preso un amplificatore più recente?” e in secondo luogo “Dove diamine hai trovato un amplificatore del 1971 in condizioni accettabili di funzionamento?”.

Beh cari lettori la risposta a queste domande è estremamente semplice: Io e mio padre non stiamo bene col cervello. Se c'è qualcosa che ho ereditato da mio papà oltre al terrificante approccio esageratamente ironico alla vita è la passione per l'HIFI. Ore ed ore passate nel garage sotto casa a rimettere a posto amplificatori, diffusori, giradischi e compagnia bella ritrovati in mercatini dell'usato, o ancor peggio nella cantina di qualcuno che vendeva o buttava oggetti dal valore oggettivo di centinaia di euro solamente perché “Me l'ha regalato la mia ragazza nel 1986 dopo aver visto Arancia Meccanica e siccome era una puttana e non voglio avere un cazzo di suo preferisco che lo prendi tu”. Grazie caro sconosciuto di un paese chiamato Lorgnano che non compare neanche su Google Maps, rivenderò volentieri il tuo Michell Transcriptor che mi stai regalando a cinquanta euro al valore reale di 1200 euro su Subito.it. Se magari avesse dato un'occhiata su internet invece che pensare alla tipa sicuramente somigliante a Sabrina Salerno che negli anni ottanta gli ha messo le corna ora si potrebbe comprare un utilissimo iPad nuovo di zecca.

Ma sto divagando. Il bello di un hobby come quello era, oltre incontrare gli sprovveduti, il restauro che ne seguiva. Nel caso specifico del Philips 591, un finale non funzionante che papà aveva rimesso a nuovo con me che osservavo ed imparavo (come accadeva la maggior parte delle volte) e che ogni tanto dicevo la mia dando un'opinione o un'ipotesi estemporanea. La maggior parte di queste ipotesi si rivelavano sbagliate, ma ogni tanto ne azzeccavo una, e riuscivamo a rimettere a posto quel componente molto velocemente. Ovviamente trattavamo perlopiù vintage, che era più facilmente reperibile nei mercatini, più economico e più facilmente rivendibile. Chiaramente ci passavano tra le mani anche apparecchi da migliaia di euro, ma dubito mio padre si sarebbe fidato a darmi in prestito un Musical Fidelity da millecinquecento euro solo per sonorizzare la camera dove passavo la mia vita universitaria.

Io facevo la magistrale di Antropologia, mentre lei si destreggiava in un'allegra triennale di Beni Culturali. Si chiamava Maya, come il Velo. Fortunatamente non era un'illusione perché lo fosse stata probabilmente mi sarei pettinato con il fucile stile Kurt Cobain. Veniva dalla Sicilia, terra che amavo, e non era abituata al freddo dell'Italia appenninica: era facile vederla girare completamente coperta durante i giorni invernali, nonostante il termostato segnasse palesemente 18 gradi all'interno di casa. Ma era eccezionalmente brava a cucinare, e i suoi capelli lunghi e ricci con i quali mi strozzavo durante la notte erano un meraviglioso cuscino su cui svegliarsi la mattina. Eravamo felici, in quei venticinque metri quadri. E' per questo che quando tutta questa storia iniziò, mi sentii estremamente fuori posto.

Era pomeriggio, arrivavo lì da casa mia che era lontana all'incirca quarantacinque minuti di macchina. Lei aveva passato tutta la mattinata in casa, come faceva spesso, anche perché fuori la temperatura si aggirava tra gli zero e i cinque gradi. Mi incamminavo lentamente lungo il vicolo dove si trovava la porta dell'appartamento, quando notai che una persona, che non avevo mai visto prima, mi seguiva ed imitava palesemente i miei movimenti, quasi a prendermi in giro. Mi fermai di scatto quando ad un certo punto notai con la coda dell'occhio che si era sistemato i capelli esattamente assieme a me.

“Cerchi rogne?” dissi, mentre mi giravo di scatto verso lo sconosciuto. Lo squadrai da cima a fondo non appena lo ebbi chiaramente sott'occhio. Lunghi capelli neri, bello alto, attorno ai trentacinque anni e un impermeabile da fare invidia a Brandon Lee sul set del Corvo. Ancora cinque minuti di quella pantomima e avrebbe fatto la stessa fine.

Ma nessuna risposta, anzi, solamente un sorriso da parte sua. Un sorriso inquietante, più simile ad un ghigno. Neanche il tempo di rabbrividire, e il tizio voltò l'angolo di corsa, scomparendo ai miei occhi. Pensai al solito coglione drogato, come se ne vedevano parecchi in città, e continuai per la mia strada, anche perché ero praticamente arrivato. Maya mi aprì la porta non appena suonai il campanello, fidandosi fin troppo secondo me del fatto che avessi detto che sarei arrivato attorno alle 14. Entrai in casa velocemente solo per ritrovare tutti i mobili spostati in cucina. La libreria era ora dove stava il tavolo; la scrivania, che era nell'altra stanza, era ora al posto della libreria, e il tavolo era proprio in mezzo alla stanza, rompendo il cazzo in un modo terribile.

“E questo?” dissi, a metà tra il divertito e lo stupito.

“Così quando studio almeno mi entra la luce direttamente!” Mi ero dimenticato di dire che la casa aveva solo due finestre, entrambe sulla stessa, e unica, facciata. Il buio regnava sovrano.

“Ho capito, ma ti rendi conto che il tavolo qui in mezzo ai coglioni è lievemente, ma dico lievemente, scomodo?” Il tavolo in pratica rendeva impossibile passare sia da una parte che dall'altra senza doversi mettere di fianco. “Devo fare Harry fottuto Houdini per andare a pisciare?”

Lei mi guardò con gli occhi più da Bambi che potesse sfoderare, e quando lo faceva istantaneamente io volevo finire come la mamma, di Bambi. Ma quel giorno no, quel giorno ero inattaccabile, e lo sguardo che incrociò era più o meno quello di Clint Eastwood in tutti i suoi film.

In un solo secondo ebbi palesemente una manifestazione satanica davanti ai miei occhi. Le sue narici si gonfiarono, gli occhi di Bambi divennero iniettati di sangue e le sopracciglia super espressive che aveva si inarcarono.

“Va bene allora! Rimetti tutto a posto, fai come vuoi!”

Gesù Cristo.

Gesù.

Cristo.

E' difficile non cadere nella terribile comicità all'italiana quando si parla di queste cose, ma veramente vogliamo ignorare il fatto che la frase “fai come vuoi” sia la cosa più fastidiosa che una donna possa mai dire ad un uomo? Soprattutto quando è palese che non puoi fare come vuoi, ma a loro non frega un cazzo, a meno che non sia una questione di vita o di morte, il “fai come vuoi” è la legge universale della risposta femminile, una sentenza mortale nei confronti di qualsiasi opinione maschile.

Senti ma stasera vuoi mangiare carne o pesce?”

Pensi che dovrei comprare questo lettore Blu-Ray fantastico in offerta a cinquecento euro?”

Posso toccarti le tette?”

Incredibile come a queste tre domande completamente slegate fra loro la vostra ragazza possa rispondere allo stesso identico modo. Dico ragazza perché se chiedete la terza domanda ad una sconosciuta potrebbe finire molto molto male (si sto parlando di stupro).

Lei dopo questo meraviglioso e per niente stressante scambio di vedute se ne andò velocemente nell'altra stanza, rischiando di cadere in terra nel momento in cui dovette attraversare il tavolo, e sbatté la porta. Ovviamente non mi sarei rimesso a risistemare le cose, in fondo io il weekend tornavo a casa di mia madre, lei stava lì tutta la settimana, era giusto che le cose fossero sistemate come voleva lei, anche se già sapevo che al mio ritorno tutto sarebbe stato come prima.

Mi misi a guardare la tv, mentre lei si sbollentava in camera da letto in modi a me ignoti. Fu dopo un''ora che il campanello suonò la prima volta. Una di quelle vibrazioni estremamente fastidiose, quelle che ti fanno saltare in aria ogni volta che il postino deve consegnarti un pacco. Sobbalzai infatti, e come facevo spesso mi affacciai direttamente dalla finestra piuttosto che rispondere al citofono.

Il tipo era tornato. Rideva ancora di me, con quella faccia da schiaffi degna del bambino più cattivo del mondo che finalmente aveva messo le mani su i biscotti nel ripiano più alto.

“Cosa cazzo vuoi, me lo spieghi?” fu l'unica reazione che riuscii ad avere, anche perché l'inquietudine del fatto che questo tizio abbia visto dove abitavo stava lentamente facendo presa su di me.

“Tu sei Riccardo!” mi urlò dal vicolo.

“Si, e quindi?” risposi, corrucciando le sopracciglia.

L'unica reazione che ottenni fu un'altra fuga da parte sua.

 

Il resto della giornata la passai pensandoci, chiedendomi quale bizzarro ingranaggio del cervello di quel presumibilmente tossico fosse andato talmente in cortocircuito da venire a rompere i coglioni sotto casa di uno sconosciuto. E se l'avessi già visto prima? Fu la principale domanda che mi posi. Ma un tipo del genere io non potrei mai averlo visto. Insomma, ho sempre evitato da quando sono nato posti e persone minimamente associabili alla tossicodipendenza. Per me vedere qualcuno farsi una canna davanti a me equivaleva all'incirca a vedere una bambina di sei anni finire sotto la ruota di un camion, un trauma indescrivibile. E non solo rifuggivo l'idea dell'uso di droga, ma facevo di tutto per far si che chi si drogasse pagasse pegno delle proprie scelte. Come un piccolo, diabolico, J. Edgar Hoover durante la mia scuola superiore mi capitò persino di chiamare la Polizia e dirgli di andare a fare un'ispezione al mio Liceo, solamente perché vidi dei ragazzi farsi un cannone nel giardino lì di fronte. Ovviamente feci molta attenzione alla data in cui chiamare le forze dell'ordine, infatti casualmente durante il giorno dell'ispezione, proprio il sottoscritto era impegnato a farsi le foto con le cosplayer mezze nude di Evangelion ad una fiera del fumetto. Sarebbe troppo banale parlare di Rivincita dei Nerds quindi dirò solo che le tette di quelle cosplayer e come riescano a rimanere su nonostante tutti i complessi marchingegni che compongono i loro costumi rimane un mistero molto più della domanda che per il resto del quadrimestre dominò il mio liceo:

Ma chi cazzo li ha chiamati gli sbirri?”.

Ma sto divagando. Esclusa la pista droga, il mistero si infittì dato che non avevo alcun indizio sulla provenienza di quella persona. Non era sicuramente del posto, altrimenti avrei subito riconosciuto l'orripilante accento degli abitanti della città. Qualcuno che possa avermi pedinato? Magari qualcuno che avevo inavvertitamente mandato a fare in culo mentre stavo in autostrada, e che grazie all'enorme adesivo N7 attaccato alla mia Punto era riuscito a seguirmi fin qui. Ma facendo il conto dei vaffanculo i conti non mi tornavano, quindi decisi di andare a far pace con Maya, lasciando i pensieri riguardo quel misterioso figuro nei meandri del mio cervello.

Ma come conosce il mio nome?

 

Passarono i giorni, e del tizio persi quasi completamente memoria. Erano giorni freddi, uscivo il meno possibile cercando di evitare raffreddori e malattie simili a causa della mia allegra e per nulla debilitante ipocondria che mi causava ansia ogni volta che c'era rischio di morte superiore al 5%. Allo stesso tempo sia io che Maya cercavamo di studiare, con risultati purtroppo altalenanti. Era mattina quando sentii di nuovo il campanello suonare, che con il suo sempre piacevole ronzio improvviso mi fece cadere mezza tazzina di caffè sul pavimento. La temperatura era piacevolmente vicina allo zero, quindi decisi di rispondere al citofono come le persone normali, e non urlando dalla finestra come una cinquantaseienne residente nei Quartieri Spagnoli.

“Chi è?

“Tu sei Riccardo!” Di nuovo, lo riconobbi subito.

“Senti se non la smetti scendo adesso a romperti il culo. Cosa vuoi?!”

Aprii la finestra e guardando giù fui enormemente stupito del fatto che fosse vestito nello stesso identico modo in cui lo vidi la prima volta, e grazie proprio a questo piccolo particolare riuscii ad accendere la lampadina nel mio cervello che mi diede la risposta a tutte le domande che mi ero fatto: “Barbone! Ma certo!”

Barbone era la risposta più ovvia e che incredibilmente non mi ero ancora dato. Incredibilmente perché solitamente è la prima cosa che ogni persona pensa quando incrocia una persona inusuale per strada.

Ti si avvicina qualcuno mentre cammini che ti offre delle coperte sudice al modico costo di cinque euro? Barbone.

Un allegro personaggio ama così tanto il tuo supermercato di fiducia da passare davanti alla porta di ingresso mattina pomeriggio e sera? Barbone.

Sei sulla metropolitana e noti qualcuno con la faccia felice che ha in mano il nuovo album degli Imagine Dragons? Barbone. Oppure sordo.

“Tornatene a pisciare nei vicoli testa di cazzo! Cioè... in un altro vicolo!” gli urlai.

Niente, mi guardava dal basso verso l'alto con quella faccia da pesce lesso. Ero stufo, ero colmo. Maya era uscita un'oretta prima, e proprio in quel momento la vidi spuntare dalla cima della strada. Il tizio, improvvisamente, cominciò a correre verso di lei. Mi si gelò il sangue istantaneamente. Corsi giù per le scale rischiando di fratturarmi tutte le ossa dei piedi che ovviamente erano scalzi e aprì la porta del condominio. Lui era lì, davanti a lei, e la guardava con occhi vitrei mentre ripeteva un'inquietante cantilena. “Tu non ci sei. Tu non ci sei. Tu non ci sei...”. Guardai Maya negli occhi spaventati, ovviamente non le avevo raccontato ancora nulla di questo tizio, d'altronde chi si aspettava un risvolto simile? Mi avvicinai lentamente a lui, che mi dava le spalle e continuava a fissarla in modo ossessivo.

Fu nel momento in cui gli toccai la spalla che lo vidi scattare. Afferrò Maya per le spalle e alzò il braccio come per darle uno schiaffo. Accadde tutto in un secondo.

Un calcio nel fianco e un pugno in faccia. Lo sconosciuto cadde in terra sulla dura roccia che da centinaia di anni componeva il suolo di quella schifosa città del milletrecento. La sua testa, incredibilmente, si fracassò come burro. Non avevo mai visto tutto quel sangue e non riuscivo a capire come fosse possibile che quel colpo potesse averlo ridotto in quello stato.

Neanche il tempo di afferrare Maya piangente e chiederle se stava bene che sentii dietro di me due voci dirmi la frase che più avevo temuto durante la mia merdosissima esistenza.

“Mani in alto, sei in arresto!” Quei bastardi dei vigli urbani si erano presi una pizza in fondo al vicolo, da un tizio arabo che la pizza non sapeva neanche cosa fosse e nella quale erano stati trovati molteplici volte peli di gatti che poco tempo prima erano misteriosamente scomparsi dalla strada. Dovevano essere stati i primi clienti della settimana, e ovviamente dovevano essere lì proprio nel momento in cui commettevo un atroce delitto. Ma poi i vigli urbani possono arrestare la gente?

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: nothingdrum