«Aspetta,
potresti ripetere?»
«Un
primo appuntamento. Non è
così strano.»
«Invece
sì, Perce: stiamo insieme
da mesi!»
«Senza
avere nemmeno un
appuntamento.»
Percy
stava diventando sempre più
rosso, eppure Fera non accennava a capire. Non era tanto difficile, la
sua era
una richiesta perfettamente legittima. Sospirò, si sistemo
gli occhiali sul
naso appuntito e guardò la sua espressione smarrita,
preparandosi a spiegare il
suo piano.
«Da
quando ci siamo… da quando
siamo diventati una coppia, la nostra relazione è rimasta
più o meno la stessa.»
«Se
vederti con il pigiama di
flanella significa questo…»
«Mi
riferisco alle nostre uscite,
Fera. Lavoriamo, ci scriviamo lettere e, se abbiamo qualche notizia
importante
da comunicarci, ci Smaterializziamo al Paiolo Magico.»
«Vorrei
soltanto farti notare
come appariamo in questa descrizione…»
«Amici.»
«No:
colleghi. Ci vedevamo
e ci vediamo ancora anche per stare insieme, lo sai. Per Priscilla,
abbiamo dormito
nello stesso letto!»
«Posso
concedertelo, ma agli
occhi di tutti non sembriamo una coppia.»
Fera
sollevò un sopracciglio.
«Agli occhi di chi, per esattezza?»
Le
orecchie di Percy avvamparono
di nuovo; per fortuna, la sua ragazza fu abbastanza perspicace per
capire.
«Oh,
no, no… Tu non parli di
Catherine e Paul… Tu parli dei tuoi genitori!»
esclamò reprimendo una
risata. «Ti vergogni perché quando vengo a
trovarti ci comportiamo come
sempre.»
«Non
è esattamente questo…»
«Vorresti
che ti baciassi davanti
a tutti?» lo canzonò. «Che ti prendessi
per mano? Vorresti mangiare la torta
dal mio piatto?»
«Voglio
che andiamo a cena
fuori!» sbottò infine lui. «Voglio fare
qualcosa che non abbiamo mai fatto. Ti
vengo a prendere, ti porto al ristorante e ti riaccompagno a casa. Non
mi
sembra di chiedere molto.»
Fera
sorrise. «Perché no? D’accordo,
allora, vada per questo venerdì.»
Due
giorni dopo Percy si trovava di
fronte all’appartamento che Fera aveva preso in affitto a
Londra. Teneva in
mano un mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini acquistati a
Diagon Alley,
ma non si sentiva a disagio: amante delle regole, stava solo cercando
di
seguire i dettami dell’appuntamento perfetto. Mentre saliva
le scale, si trovò
di fronte proprio Fera.
«Che
ci fai qui?»
«Ti
vengo incontro.»
«Dovevo
bussare alla porta!»
«Ah,
ok… Se proprio devi… Torno
indietro?»
«Non
prendermi in giro. Tieni.»
Le
consegnò fiori e cioccolatini
con meno gentilezza di quanto avrebbe voluto, così per
recuperare tossì, si
chinò in avanti e la baciò sulla guancia. Fera
sorrise divertita.
«Sai
già dove andare?»
«Certamente.
Ho prenotato a
Soho.»
Lei
strabuzzò gli occhi. «Hai
scelto un ristorante babbano?»
«Pensavo
ti facesse piacere.»
«Oh,
sì… Sì, certo. Andiamo
allora.»
Nonostante
la buona volontà, la
sua decisione si rivelò poco fruttuosa, e poteva capirlo
anche dalle
espressioni infastidite di Fera che lei tentava di dissimulare, ma che
il
ragazzo, dopo oltre sette anni di conoscenza, sapeva riconoscere
immediatamente.
In
primo luogo, al posto della
neve che gli sarebbe piaciuto trovare in quel periodo
dell’anno, si era alzata
una nebbiolina che aveva appannato i suoi occhiali, facendolo finire
con i
piedi dentro una pozzanghera. Nel ristorante che un collega del
Ministero gli
aveva consigliato – forse per fargli un brutto tiro
– non c’era un bagno a cui
recarsi, quindi Percy non poté usare un incantesimo per
asciugare pantaloni,
scarpe e calzini, mentre Fera partì con
un’invettiva contro il proprietario,
che per legge doveva tenere un bagno nel suo esercizio. Solitamente
Percy le
avrebbe dato il proprio sostegno, ma quella sera voleva soltanto un
appuntamento da manuale, e temeva che il ristoratore gliela avrebbe
fatta
pagare durante il pranzo.
Riuscì
– non senza problemi – a convincere
Fera a mettere una fine a quella discussione e a trascinarla in un
locale
vicino, un pub irlandese che sul momento credette potesse piacere alla
ragazza,
date le sue origini; al contrario, si ritrovarono avvolti in una cappa
di fumo,
tra Babbani che avevano alzato troppo il gomito e un cameriere alle
prime armi,
che confuse la loro ordinazione con quella di una coppia che non vedeva
l’ora
di litigare. Mantenendo la calma, Percy aveva risolto il disguido e
aveva
mandato giù una brodaglia insulsa, che fece storcere le
labbra anche a Fera, la
quale tuttavia decise di tenere per sé il proprio
disappunto. Per concludere il
pranzo in bellezza, Percy dovette chiederle aiuto dopo essersi confuso
alla
cassa con i soldi babbani, perché la proprietaria del pub
stava iniziando a
perdere le staffe.
Quando
uscirono da lì erano ormai
le quattro del pomeriggio, avevano entrambi ancora fame e non vedevano
l’ora di
mettere fine a quell’appuntamento disastroso.
«Ehi,
guarda» esclamò d’un tratto
Fera, indicando la via su cui si trovavano. Erano finiti su Charing
Cross Road,
a qualche edificio di distanza dal Paiolo Magico.
Sospirando
mesto, Percy le
propose di fermarsi a prendere un tè. «Andiamo da
Fortebraccio, però» aggiunse.
«Bill mi ha detto che ora vende gelato caldo. Giusto per
cambiare un po’ aria.»
Fera
acconsentì. Si stavano
dirigendo da Fortebraccio quando qualcosa attirò
l’attenzione della ragazza,
che si fermò di fronte a una vetrina. La
vetrina.
«Vuoi
fare un giro al Ghirigoro?»
le propose.
Annuendo,
Fera lo precedette all’interno
della libreria, conducendolo verso la pila del Nuovo Manuale di
Legislazione
Magica – Riveduto e Aggiornato. Stava sfogliando il libro
quando la sentì
sbuffare, inveire contro il curatore, chiedersi se avesse studiato a
Beauxbatons. Alzò lo sguardo su di lei e la vide persa
completamente nel
proprio mondo, un mondo in cui lui ora aveva una parte importante, e
sorrise
nonostante tutto.