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Autore: Marty004    03/12/2021    0 recensioni
E se ci fosse un altro sopravvissuto tra gli Uchiha? Magari una ragazza della stessa età di Sasuke e che pare assomigliare molto a Orochimaru? Dopo il tradimento del ninja leggendario, l'organizzazione Alba sembra proprio aver trovato un ninja, di ignota identità, in grado di prendere il posto vacante. Orochimaru, che nel corso degli anni non ha mai perso di vista i movimenti dell'organizzazione, decide di affidare a Sasuke (che ha lasciato la Foglia ormai da 3 anni) il compito di ottenere informazioni sul decimo membro di Alba.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akatsuki, Altri, Nuovo Personaggio, Orochimaru, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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Misaki guardava fuori dallo spiraglio della botola con aria assente. Erano ormai oltre 4 anni che lei e Yuki erano rinchiuse in quel piccolo sotterraneo nel quartiere degli Uchiha. La bambina non aveva mai visto il mondo al di fuori di quel posto buio e ogni tanto, per farle vedere un po’ di sole, si arrischiava ad aprire per qualche centimetro l’entrata di quel sotterraneo, sedendosi con lei sulle scale. 
Ripensava e malediceva il giorno in cui aveva conosciuto Orochimaru. Nonostante sua madre appartenesse al clan Uchiha, Misaki non era mai stata portata per le arti ninja e non aveva ereditato lo Sharingan. Da sempre, era più attratta dalla conoscenza riposta nei libri e per questo, non aveva frequentato l’accademia ninja, ma una normalissima scuola. Si specializzò poi in chimica e biologia e divenne un membro della squadra di ricerca e sviluppo di Konoha. La passione per i libri e soprattutto per la scienza l’aveva ereditata dal padre, un uomo qualunque che lavorava nella biblioteca del villaggio; non era un ninja e soprattutto non era un Uchiha. Fu per questo motivo che Misaki e la madre furono ripudiate dal famoso clan; ma in fondo erano entrambe felici con quell’uomo che avrebbe fatto di tutto per la sua famiglia. Il padre di Misaki era morto anni prima per una grave malattia e anche la madre morì poco dopo ammalandosi, anch’ella, per il dolore. La donna rimase, quindi, in poco tempo sola, ma non si perse d’animo e dedicò tutta se stessa nel proprio lavoro.
Fu in quel laboratorio che conobbe Orochimaru. Era un ninja talentuoso e stimato da tutti, nonché allievo del Terzo hokage. Essendosi distinto nella Terza Grande Guerra Ninja appena conclusa ed essendo un candidato alla carica di Quarto hokage, al villaggio non si faceva altro che parlare di lui. Inoltre, era convinto di poter migliorare la conoscenza delle arti ninja tramite la scienza e per questo, aveva ottenuto dei permessi speciali per poter frequentare il laboratorio di ricerca e sviluppo. Inizialmente, Misaki non ne capì il motivo, ma Orochimaru provò sin da subito ad avvicinarla. Ingenuamente, finì per innamorarsi di quell’uomo e dopo qualche mese di frequentazione, scoprì di aspettare un bambino da lui.
Il giorno che decise di dargli la notizia, provò a passare da casa sua, ma non vi trovò nessuno. Impaziente, Misaki si rifiutò di tornare indietro; cercò la chiave dietro al vaso di fiori all’entrata, dove sapeva che Orochimaru la lasciava, e una volta afferrata, entrò pensando che al proprietario non sarebbe dispiaciuto se si fosse trattato di lei. Ovviamente era stata altre volte in quella casa e conoscendola bene, si diresse nella camera dell’amato per aspettare il suo ritorno. Annoiandosi, la donna curiosò intorno nella stanza, finché la sua attenzione non ricadde sui vari libri, fogli e quaderni accatastati sulla scrivania. Chissà che cosa stava studiando con tanto impegno quell’uomo. Provando a capire che cosa interessasse tanto a Orochimaru, lesse qua e là i suoi appunti e rabbrividì. In pochi minuti comprese quello che l’uomo stava cercando di scoprire: come trasferire l’anima da un corpo a un altro. Se fosse riuscito nel suo intento avrebbe praticamente ottenuto il segreto dell’immortalità. Le tabelle che Misaki aveva di fronte indicavano chiaramente risultati di esperimenti svolti; non vi erano nomi, ma a giudicare dalla terminologia, doveva trattarsi per forza di corpi umani e molti erano deceduti. Le venne in mente che, nell’ultimo periodo, c’erano state diverse segnalazioni di persone scomparse al villaggio. Che le avesse rapite lui?
Sconvolta, si sedette sul letto e notò sul comodino un libro di chirurgia oculistica. Le venne improvvisamente un forte dubbio e si precipitò nel salotto dove c’era la libreria. Apparentemente c’erano solo innocui libri di scienza e letteratura, ma quando provò a spostare qualche volume, scoprì che dietro di essi erano nascosti dei rotoli con sopra lo stemma del clan Uchiha. Ovviamente trattavano tutti dello Sharingan, descrivendone le caratteristiche, i vantaggi e gli svantaggi che se ne poteva trarre.
Improvvisamente le fu tutto chiaro. Orochimaru non era innamorato di lei; era solo un pazzo assetato di potere che da lei non voleva nient’altro che lo Sharingan. Evidentemente era convinto che Misaki lo avesse ereditato e in confronto agli altri membri del clan, lei, che non era neanche un ninja, era una preda facile. Forse finora non le aveva torto un capello solo per evitare di infangare la sua reputazione in vista della nuova nomina a hokage. Si sentì ferita e in pericolo; se avesse fatto finta di niente, l’uomo avrebbe potuto cavarle gli occhi dalle orbite da un momento all’altro. Provò anche disgusto per le persone che molto probabilmente aveva rapito per farci degli esperimenti.
Il senso di giustizia che le aveva insegnato la sua famiglia la spinse, in quel momento, a precipitarsi nell’ufficio del Terzo hokage e raccontargli tutto quello che aveva scoperto. L’anziano capo del villaggio la ringraziò per le informazioni fornite; lui e i suoi ninja avrebbero fatto in modo di scoprire se quei dubbi fossero fondati e, tuttavia, la avvertì che se fosse stato tutto vero, Misaki correva un grosso rischio. Orochimaru avrebbe potuto facilmente intuire che fosse stata lei a scoprire il suo segreto e a rivelarlo, e avrebbe potuto decidere di fargliela pagare in qualche modo. Senza contare che, come sospettava la donna, era molto probabile che mirasse allo Sharingan. L’hokage affermò, quindi, che avrebbe potuto metterle a disposizione dei membri della squadra Anbu, 24 ore su 24, per proteggerla.
Mentre si dirigeva al palazzo dell’hokage, Misaki aveva pensato per tutto il tragitto a un modo per mettersi in salvo da quella situazione; la sua vita era in pericolo in ogni caso, sia se fosse rimasta al fianco di Orochimaru, sia se avesse contrastato i suoi piani. Fuggire dal villaggio non avrebbe avuto senso; prima o poi l’uomo avrebbe scoperto dove si nascondeva. La proposta che le fece l’hokage era allettante, ma Misaki temeva che non fosse abbastanza; per quanto la squadra Anbu fosse composta da ninja d’élite, Orochimaru era un osso duro. Inoltre, per proteggere la creatura che portava in grembo, riteneva che sarebbe stato meglio che nessuno sapesse della sua gravidanza. Non lo disse neanche all’hokage.
L’unica soluzione che le veniva in mente era quella di provare a chiedere aiuto al clan Uchiha. Anche se non era mai stata riconosciuta come parte di quell’importante stirpe di Konoha, sin da bambina, Misaki era molto amica di Mikoto Uchiha, che aveva sposato il comandante della polizia del villaggio, nonché l’esponente più influente alla guida del clan. Se avesse spiegato la situazione all’amica, forse lei e il marito avrebbero accettato di aiutarla, convincendo l’intero clan a proteggerla. Inoltre, il quartiere Uchiha era, forse, uno dei posti migliori per nascondersi, in quanto era costellato di stanze e sotterranei a cui solo i possessori dello Sharingan potevano accedere.
Convinta che questa fosse la scelta più saggia, rifiutò educatamente la proposta dell’hokage, esponendo le sue intenzioni. Anche l’anziano capo convenne che se gli Uchiha fossero stati d’accordo con quella soluzione, effettivamente non c’era luogo più sicuro in cui potersi nascondere. Tuttavia, per questioni legali, basate su antichi accordi, l’amministrazione di Konoha non poteva intromettersi negli affari degli Uchiha e finché Misaki fosse stata nascosta nel loro quartiere, l’hokage non avrebbe potuto dare l’ordine ai suoi ninja di proteggere la donna. Avrebbe dovuto contare, quindi, esclusivamente sulla forza del clan; ma a giudicare dal valore in battaglia che avevano dimostrato sin dall’antichità nelle varie guerre, non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Senza neanche passare da casa sua, Misaki si diresse direttamente da Mikoto. Erano quasi le 10 di sera ormai, e in casa trovò sia l’amica che il marito Fugaku; il loro figlio, Itachi, a quanto pareva, era già a letto. Mikoto accolse l’amica con dolcezza, ma Fugaku sembrò alquanto irritato da quella visita tarda e improvvisa; forse perché sapeva bene che la donna era stata ripudiata dal clan e non voleva che gli Uchiha la vedessero trattare con il loro capo. Misaki spiegò loro la situazione e inchinandosi fino a poggiare la fronte sul tatami, implorò aiuto.
Non ci volle molto perché Mikoto si impietosisse, ma Fugaku, inizialmente rifiutò categoricamente la questione; non poteva mettere in pericolo la vita degli Uchiha per proteggere una donna che non faceva parte del clan. Tuttavia, la moglie provò a convincerlo in tutti i modi a concedere quell’aiuto: avrebbero potuto nascondere Misaki nello scantinato sul retro della loro casa dove tenevano le riserve di riso, senza necessariamente farlo presente all’intero clan. Orochimaru non poteva sapere dell’amicizia delle due donne e non avrebbe mai potuto immaginarsi di trovare Misaki in un posto del genere.
Fugaku rimase titubante, ma non voleva fare un torto alla sua amata moglie, senza contare che nella discussione venne sollevata anche la questione del nuovo nascituro: anche se la madre non lo possedeva, c’era la possibilità che il bambino ereditasse lo Sharingan e tenere la donna sotto la propria custodia avrebbe permesso al capo degli Uchiha di tenere sotto controllo l’eventuale eredità dell’abilità oculare. Con riluttanza, Fugaku accettò di aiutare Misaki, ma a due condizioni: gli altri membri del clan non avrebbero dovuto sapere nulla, per evitare che l’uomo perdesse credibilità e influenza, e infine, se il bambino avesse ereditato lo Sharingan, questo gli sarebbe stato immediatamente sigillato per facilitare la preservazione dell’abilità innata. Capire chi possedeva il potere oculare degli Uchiha era molto semplice: al momento della nascita, il neonato aveva le iridi rosse che tornavano poi del loro colore naturale dopo qualche ora.
In realtà, quelle erano due condizioni che anche a Misaki tornavano molto utili: meno persone conoscevano la sua situazione e meno vi era il rischio di una fuga di informazioni e se non fosse stato Fugaku a proporre la sigillatura dell’eventuale Sharingan, l’avrebbe richiesto lei stessa, per evitare che Orochimaru non facesse del male al bambino, nel malaugurato caso in cui avesse scoperto di avere un figlio.
La sfortunata donna venne subito nascosta, quindi, in quel piccolo sotterraneo che Mikoto si preoccupò di rendere vivibile, arredandolo al meglio che poteva, e non ne uscì più fuori. Nei giorni successivi a quella sera, diversi ninja vennero mobilitati alla ricerca di un probabile laboratorio in cui Orochimaru svolgeva i suoi esperimenti e non ci volle molto perché fosse colto sul fatto dal Terzo hokage stesso. Il ninja leggendario riuscì, tuttavia, a fuggire dal villaggio probabilmente, si diceva, a causa dell’hokage che non ebbe il cuore di eliminare il proprio allievo. Dato che nessuno sapeva né dove si trovasse Orochimaru, né quali fossero i suoi scopi, per Misaki fu troppo rischioso uscire allo scoperto. Forse qualche suo collega stava chiedendo di lei, ma sembrava che il Terzo hokage stesse riuscendo in qualche modo a sviare la questione senza raccontare la verità. Qualche settimana dopo che Orochimaru era riuscito a fuggire, tra l’altro, l’anziano capo del villaggio diede le dimissioni e lasciò il posto a Minato Namikaze che divenne il Quarto hokage e che forse non venne mai messo al corrente della storia di Misaki.
La notte di un freddo Gennaio in cui Misaki diede alla luce la sua bambina, nevicava. Era un evento raro a Konoha e per questo decise di chiamarla Yuki. Tuttavia, a dispetto delle preghiere e speranze, nelle iridi della neonata, Mikoto riconobbe chiaramente lo Sharingan e non poté fare altro che convocare il marito per far sì che lo sigillasse.
Da allora, madre e figlia vissero insieme in quel sotterraneo negli anni successivi, senza uscire neanche per una boccata d’aria, e avrebbero continuato a farlo finché Orochimaru non fosse stato catturato, ma a quanto pareva ci sarebbe voluto ancora molto. Chissà quando Yuki sarebbe potuta uscire da quel buco e giocare con gli altri bambini.
Negli ultimi tempi, Mikoto aveva proposto all’amica di far adottare la bambina; lei e Fugaku, per evitare scandali e tensioni tra gli Uchiha, non potevano prendersene la responsabilità, ma potevano cercare qualcuno di affidabile all’infuori del clan che fosse stato disposto a crescerla amorevolmente. Forse il Terzo hokage stesso avrebbe potuto prendersene cura, dato che già si stava occupando del figlio del Quarto hokage, il quale era tragicamente morto per difendere il villaggio dall’attacco della Volpe a nove code. << Tra poco la bambina deve andare a scuola, non può stare qua per sempre >> le aveva detto Mikoto per convincerla.
Ma naturalmente, separarsi dalla propria creatura è una scelta dolorosa per ogni madre e Misaki aveva chiesto un po’ di tempo per pensarci. Più che per se stessa, si preoccupava del dolore che quell’eventuale separazione avrebbe potuto causare a Yuki, ma allo stesso tempo si rendeva conto che quello era l’unico modo per far sì che un giorno sua figlia potesse vivere felice.
<< Mamma che cos’hai? Sei triste? >> Yuki, che aveva smesso per un attimo di giocare con i lunghi capelli castani della madre, interruppe i pensieri di quest’ultima che aveva lo sguardo fisso nel vuoto già da diversi minuti.
<< No tesoro, non è niente >> le disse con dolcezza Misaki, accarezzandole la testa.
In quel momento, si sentì rumore di passi e dallo spiraglio della porta si intravidero delle ombre. Riconoscendo i piedi dell’amica, Misaki prese in braccio la bambina e scese velocemente le scale per permetterle di entrare.
Mikoto aprì del tutto la botola ed entrò con un caldo saluto, tendendo in braccio le solite provviste di cibo. Ma questa volta non era da sola come al suo solito; dietro di lei vi entrò un ragazzo che avrà avuto più o meno 10 o 11 anni, con lunghi capelli mori raccolti in una coda. Sorpresa e spaventata allo stesso tempo da quella nuova presenza, Misaki, poggiando a terra Yuki, fece un passo indietro con aria preoccupata.
<< Non preoccuparti Misaki. Itachi è un ragazzo affidabile, non dirà nulla di voi >>
<< Itachi? Accidenti quanto sei cresciuto! L’ultima volta che ti ho visto avrai avuto più o meno l’età di Yuki >> disse Misaki avvicinandosi con aria titubante al ragazzo che le rispose con un sorriso.
<< Ho pensato di portarlo qua per farlo giocare un po’ con Yuki. La bambina si annoierà. Non è vero piccola? >> Mikoto poggiò le provviste in un angolo e si accovacciò accanto a Yuki con un dolce sorriso: << In realtà avrei voluto portare Sasuke; dato che hanno la stessa età probabilmente si sarebbero divertiti di più, ma ho paura che sia ancora troppo piccolo per capire che non deve parlare ad altri di Yuki. Itachi invece è praticamente già un uomo. E’ stato già promosso a chunin, sai? >>
<< Complimenti! Devi essere un piccolo genio! >> si congratulò Misaki rimanendo a bocca aperta
<< Faccio solo del mio meglio >> rispose Itachi abbassando la testa e arrossendo per la timidezza.
<< E Sasuke? Come sta? >>
<< Oh è una peste! Non riesce proprio a stare tranquillo, devo continuamente rincorrerlo per tutta la casa. Sono sfinita! Per fortuna che quando non è in missione ci pensa Itachi a tenerlo >> rispose Mikoto osservando il figlio che stava già pazientemente provando a proporre un gioco a Yuki.
Misaki rise di cuore e poi con tono triste disse: << Che peccato non poterlo vedere >>.
L’amica la guardò con un sorriso triste e provò a tirarle su il morale: << Se vuoi la prossima volta ti porto delle foto >>
<< Mi farebbe molto piacere >>
Ma Misaki non ebbe mai modo di vedere quelle foto. Quella stessa notte, quando l’intero villaggio dormiva già da ore, la donna che non riusciva a dormire a causa delle preoccupazioni, sdraiata in quel rudimentale letto abbracciata alla figlia, sentì dei lievi rumori da sopra la botola. Non potevano essere Mikoto o Fugaku; non era mai successo che uscissero in giardino nel cuore della notte. Trattenendo il respiro, Misaki svegliò immediatamente la figlia e dicendole di fare silenzio si precipitò giù dal letto prendendola in braccio. In preda al panico, aprì nel buio il piccolo e logoro armadio alla sua sinistra e tra le coperte piegate, ci mise la bambina che aveva l’aria di non capire il perché di quel brusco risveglio: << Stai qui dentro in silenzio. Qualsiasi cosa succeda non devi fiatare, non devi fare alcun tipo di rumore capito? Va tutto bene, ma fai come ti ho detto >>.
Yuki non ebbe neanche il tempo di chiedere spiegazioni che vide l’anta dell’armadio chiudersi davanti a sé. In quel preciso istante infatti qualcuno aprì la botola.
Misaki rimase in un silenzio tombale e, intanto, sentiva il cuore esploderle nel petto. Quattro gambe scesero lentamente le scale: Orochimaru che teneva in mano una torcia, seguito da un ragazzo che indossava un coprifronte con su disegnata una nota musicale.
<< Salve Misaki, da quanto tempo >> l’uomo, con un sorriso sarcastico, si avvicinò alla donna che stava immobile al centro della stanza.
Nel frattempo, Yuki aveva visto la luce della torcia irrompere nell’armadio dal piccolo buco della serratura dell’anta e vi aveva avvicinato un occhio per vedere cosa stesse succedendo.
Notando lo sguardo ringhioso della donna, Orochimaru assunse un’aria irritata: << Non sei felice di vedermi? Eppure mi sembrava che qualche tempo fa apprezzassi molto la mia compagnia >>
<< Già, prima di scoprire che cosa sei… >>
<< Mia cara, dovrei essere io quello offeso. Non è stato gentile da parte tua andare a fare la spia dal Terzo hokage >>
<< E chi ti dà la certezza che sia stata proprio io a dirgli tutto? L’hokage ha scoperto da solo i tuoi luridi piani >>
<< Non prendermi per uno stupido. Perché allora ti saresti rinchiusa qua dentro per anni? Di che cosa avevi paura? >>
<< Tu vuoi lo Sharingan. Mi hai ingannata perché pensavi fossi una preda facile >>
<< Ma che brava Misaki, hai capito tutto! Ebbene sì, desidero quel potere da tutta la vita. Sento che con lo Sharingan in mio possesso niente e nessuno potrà fermarmi. E’ stata un’ottima idea nasconderti qua sotto la custodia degli Uchiha. Ho dovuto faticare molto prima di trovarti. Ma adesso… tira fuori lo Sharingan >> Orochimaru estrasse un kunai e lo puntò alla gola della donna che provò a indietreggiare, ma trovò il muro alle sue spalle.
<< Se non farai resistenze potrei anche lasciarti in vita. Mi prenderò soltanto i tuoi occhi e me ne andrò, dimenticandomi che mi hai fatto cacciare dal villaggio. Direi che è un buon affare >> incalzò l’uomo.
Misaki cominciò ad ansimare per la paura: << Ti è andata male Orochimaru. Anche se mia madre era un Uchiha, io non ho ereditato lo Sharingan >>.
Orochimaru fece una smorfia di disapprovazione: << In fondo ho sempre immaginato che mi saresti stata completamente inutile >>. Con un colpo secco lacerò la tenera carne alla gola della donna che, con un lamento strozzato, cadde a terra in un sordo tonfo. La stanza si riempì d’un tratto di sangue; gli schizzi arrivarono fino all’armadio dove Yuki stava ancora osservando la scena e rimase pietrificata, non capendo come mai la madre fosse caduta a terra. Quella fu una scena che le sarebbe rimasta impressa nella mente per tutta la vita.
<< Prendi il corpo. Ce ne torniamo a casa >> ordinò Orochimaru al suo sottoposto che si mise immediatamente in spalla l’esile corpo della donna e cominciò a salire le scale.
Yuki, sconvolta dalla scena, ebbe l’istinto di arretrare, ma dalla pila di coperte che aveva dietro di sé cadde qualcosa di pesante che fece rumore. Orochimaru, rimasto solo in quella stanza, si voltò immediatamente, con sguardo pensieroso, verso l’armadio e avanzò lentamente verso di esso. La bambina sentì l’intero corpo tremare dalla paura e chiuse gli occhi; ma quando l’uomo aprì le ante, capendo di non poter fare nulla per sfuggire a quella situazione, con coraggio, lo guardò dritto negli occhi. Lo sguardo di quell’uomo era molto diverso da quello dolce delle due donne che si erano prese cura di lei fino a quel momento; non sembrava neanche umano.
Orochimaru, nonostante fosse esterrefatto da quella scoperta, cercò di mantenere uno sguardo impassibile, ma non riuscì a tenere nascosto una certa compassione che trapelava dal fondo della sua anima. A giudicare dalla somiglianza dello sguardo, quella bambina doveva essere per forza sua figlia; non avrebbe mai immaginato di trovarsi in una situazione simile.
<< Hai visto tutto? >> chiese l’uomo.
Yuki annuì abbassando lo sguardo, incapace di parlare. A quel punto, Orochimaru si abbassò per prenderla in braccio, ma la bambina, terrorizzata provò ad arretrare per sfuggirgli.
<< Calmati. Non voglio farti del male. Vieni con me >> l’uomo assunse un tono comprensivo per rassicurarla, ma Yuki continuò a osservarlo negli occhi con l’aria di chi non aveva la più pallida idea di cosa avesse dovuto fare.
<< Come ti chiami? >>
<< Yuki >> rispose con un filo di voce
<< Yuki eh? E’ un bel nome. Non sei mai uscita fuori da questo posto, vero? >>
La bambina scosse la testa in un cenno di diniego.
<< Non sei curiosa di vedere il mondo esterno? Se vieni con me potrai vederlo >>
Yuki sembrò rifletterci per un istante, ma poi lentamente, con aria dubbiosa, allungò la mano e la poggiò su quella che le stava porgendo lo sconosciuto. Orochimaru, allora, la prese in braccio e uscì dal sotterraneo.
 
Inutile descrivere lo strazio di Mikoto quando, la mattina seguente, trovò la botola aperta e il piccolo sotterraneo intriso di sangue. Le disperate urla mobilitarono l’intero quartiere Uchiha e Fugaku dovette necessariamente rivelare a tutti che cosa, lui e la moglie, stessero nascondendo da anni. Ammirando il coraggio del proprio capo nell’essersi addossato da solo un simile pericolo e responsabilità, nessuno tra gli Uchiha sembrò contrariato per la sua scelta di aiutare Misaki; anzi in quel momento, la maggior parte di loro sembrò sconvolta per l’accaduto e preoccupati per la sorte che era toccata alla bambina. A giudicare dalla quantità di sangue trovato nel sotterraneo, qualcuno doveva essere morto e quasi sicuramente si trattava di Misaki. Probabilmente, Orochimaru si era portato via il corpo nella speranza di riuscire a ottenere lo Sharingan o, comunque, qualche segreto sulle abilità degli Uchiha. Ma quello che si stavano chiedendo tutti era se quell’essere avesse ucciso anche la bambina; dato che l’armadio era stato trovato aperto c’era anche la possibilità che Yuki fosse rimasta nascosta là dentro per poi fuggire non appena fosse stato possibile.
Pieni di speranza, gli Uchiha si divisero in squadre e per giorni si impegnarono esclusivamente nella ricerca di Yuki e Misaki vive o morte che fossero, ma senza successo; entrambe sembravano svanite nel nulla.
Nonostante la disperazione, Mikoto decise di farsi forza e di andare a riferire l’accaduto al Terzo hokage, rivelandogli anche l’esistenza di Yuki, di cui l’anziano non sapeva nulla. Mostrandosi un po’ irritato, ma allo stesso tempo rassegnato, dall’incorreggibile tendenza degli Uchiha a voler lavare i panni sporchi a casa propria, senza mai provare a collaborare con gli altri, disse che avrebbe mobilitato anche lui delle squadre alla ricerca delle due scomparse. Tuttavia, come anche Mikoto sapeva bene, fece presente che c’era anche la possibilità che Orochimaru si fosse portato via la bambina viva, dato che poteva esserle utile per i suoi scopi. Ma in quel caso, oltre al fatto che trovare quel criminale si era rivelato praticamente impossibile, dato che Yuki era sua figlia, anche se l’avessero trovata, nessuno avrebbe avuto alcun diritto di sottrarla dalla custodia del padre.
Per il resto della sua breve vita, Mikoto pregò ogni giorno perché Yuki fosse viva e stesse bene.
 
Ci volle un po’ perché Yuki capisse che non avrebbe più rivisto la madre. Era convinta che si fosse solo addormentata e che l’avrebbe riabbracciata non appena si fosse svegliata. Forse anche lei sarebbe stata felice di aver finalmente cambiato casa; quel posto, in quanto a luminosità e fattezze, non era così diverso da quello che avevano appena lasciato, ma era 10 volte più grande e Yuki aveva persino una stanza tutta per sé. Ma si sentiva tremendamente sola senza la madre e spesso passava ore a piangere sotto le coperte. Anche farsi la treccia da sola era completamente impossibile: Misaki le aveva insegnato a fare le trecce, ma Yuki si esercitava sempre sui capelli della madre e non aveva mai provato a farsene una da sola. Tuttavia, poiché la donna le diceva che le stava molto bene e gliela faceva sempre, la bambina ci teneva a portare quella treccia di giorno, quando non era ora di dormire.
Non riusciva a inquadrare bene quell’uomo che diceva di essere suo padre: da un giorno all’altro la riempì di bambole e giocattoli e si sforzava essere gentile, ma chissà perché, faceva finta che sua madre non fosse mai esistita. Inoltre, dopo qualche giorno dal suo arrivo, quell’uomo cominciò a farle discorsi incomprensibili: << Ho grandi progetti per te Yuki. Ti renderò la creatura più forte che sia mai esistita su questa terra >>.
Yuki si limitava a osservarlo, non capendo che cosa volesse dire.
<< I bambini devono obbedire ai genitori. Farai quello che ti chiedo anche se non ti piacerà? >>
La bambina annuì dubbiosa.
<< Adesso non puoi capire. Ma ti assicuro che un giorno mi ringrazierai >>.
I giorni seguenti, Orochimaru cominciò a portare Yuki fuori dal covo per farle fare due passi all’aria aperta. La bambina non aveva mai visto il cielo, le nuvole, gli alberi o i fiori ed era incuriosita da tutto. Ogni tanto, suo padre assecondava la sua curiosità dicendole il nome delle cose in cui si imbatteva, ma ciò su cui si concentravano le sue spiegazioni erano, perlopiù, i ninja. Le spiegò chi fossero e che cosa facessero, le loro abilità, il loro controllo del chakra ecc. A volte le dava qualche dimostrazione pratica e quando fece comparire un serpente dalle sue vesti, Yuki si spaventò, ma, per non deluderlo, promise che avrebbe imparato a fare lo stesso.
Ben presto Orochimaru cominciò ad allenarla: le fece fare qualche esercizio leggero per i muscoli, le spiegò come concentrarsi per evocare il chakra e le mostrò vari tipi di armi ninja, insegnandole la differenza tra armi da lancio e katane, o tra un kunai e uno shuriken ecc. Ma in realtà, Yuki si rese subito conto che questo tipo di cose la annoiavano a morte. A che cosa sarebbe mai potuto servirle tutto quello che suo padre le stava mostrando? Nonostante ciò, voleva a tutti i costi guadagnarsi la stima del padre e nonostante la noia, si impegnava in tutto quello che le chiedeva di fare.
In compenso, fece ben presto amicizia con Anko, una ragazza di circa 16 anni che diceva di provenire dal villaggio della Foglia e che aveva deciso di seguire il suo maestro Orochimaru. Era molto paziente con Yuki; giocava spesso con lei e le insegnava cose come i colori, i numeri ecc. Praticamente divennero come sorelle.
 Con il passare dei mesi, gli allenamenti si fecero più intensi e pericolosi e Orochimaru divenne sempre più duro e irritabile. Per quanto si sforzasse, Yuki non riusciva a rendere nel combattimento come avrebbe desiderato suo padre e quest’ultimo, ormai, non perdeva mai l’occasione per rimproverarla e farla sentire inutile e inferiore. Dopo averle insegnato le basi del combattimento e perfino qualche arte magica, Orochimaru voleva a tutti i costi scoprire se sua figlia possedeva il dono dello Sharingan e fece di tutto per metterla nelle situazioni più pericolose per la sua vita, che avrebbero potuto risvegliarlo. Ma Yuki non aveva la più pallida idea di cosa fosse questo Sharingan né, tantomeno, come richiamarlo. Più provava a concentrare il chakra negli occhi e più provava fitte lancinanti all’altezza di questi, che le lasciavano poi, dei forti malditesta per ore, a volte giorni.
Nel frattempo, Orochimaru provò anche a renderla immune ai veleni iniettandole a poco a poco piccole dosi di sostanze nocive e intervenendo con tecniche proibite, per far sì che il suo corpo producesse i giusti anticorpi. Ma a causa di questi interventi, Yuki passava diversi giorni a letto con febbre alta o in preda a dolori. Più cresceva e più si chiedeva se veramente suo padre faceva tutto questo per il suo bene. A poco a poco realizzò anche che, in fondo, era colpa di quell’uomo se era rimasta senza sua madre. Realizzò che quella notte, rinchiusa dentro l’armadio, si era sbagliata a credere che sua madre fosse semplicemente svenuta davanti a lui e che, in realtà, aveva assistito al preciso momento della sua morte. Cominciando a capire tutto questo, il cuore di Yuki cominciò a colmarsi di rancore nei confronti del suo stesso padre, anche se all’epoca se ne vergognava, pensando che non fosse un atteggiamento lodevole.
Un giorno provò a chiedergli perché aveva ucciso sua madre, ma l’unica risposta che le fu data fu: << Tua madre era molto pericolosa. Sapeva troppe cose che non avrebbe dovuto sapere. Adesso non puoi capire, ma un giorno ti sarà tutto più chiaro >>.
Negli anni in cui Yuki rimase sotto la custodia di Orochimaru, quest’ultimo si dedicò allo studio di un particolare enzima che stimolava le cellule e potenziava il chakra: in pratica, ciò che sarebbe poi diventato il segno maledetto. Il ninja leggendario fece diversi esperimenti, impiantando l’enzima in diverse cavie umane. I segni più potenti che creò furono quello della Terra, che garantiva un impressionante rafforzamento fisico, e quello del Cielo, che potenziava perlopiù il chakra. Su 10 persone, 3 sopravvissero al segno maledetto della Terra; soltanto Anko a quello del Cielo.
Non ci volle molto perché provasse il segno maledetto anche sulla propria figlia; quando Yuki compì 7 anni le impresse quello della Terra. La bambina non ricordava di aver mai provato un dolore così intenso. Sentiva come se qualcuno avesse appiccato un incendio dall’interno del suo corpo; ogni singola cellula le bruciava come un’ustione. Assistita da Anko, rimase per giorni a letto, incosciente e in preda alla febbre, ma sopravvisse. Notando anche gli sguardi compassionevoli dell’amica, Yuki si rese sempre più conto della perfidia e follia del proprio padre. Non appena fu in grado di rimettersi in piedi, Orochimaru, che aveva ormai rinunciato alla speranza che la figlia avesse ereditato lo Sharingan, le insegnò sin da subito a controllare il suo nuovo potere. Yuki fu anche la prima, tra le cavie, a riuscire a portare il segno maledetto al secondo livello. Grazie ai progressi della bambina, Orochimaru riuscì a scoprire diverse cose su come sfruttare e sviluppare al massimo tale segno.
Preso dall’euforia, pochi mesi dopo decise di rischiare ulteriormente la vita della figlia imprimendole anche il segno maledetto del Cielo. Voleva scoprire se esistesse la possibilità che i due segni interagissero tra loro, creando, così, una creatura potente al pari di un cercoterio. Ma c’era il rischio che anziché interagire, i due segni si escludessero a vicenda e in tal caso, la bambina non avrebbe avuto scampo.
Yuki passò di nuovo alcuni giorni a letto lottando contro febbre, dolori e convulsioni, ma sembrò che sarebbe miracolosamente riuscita a sopravvivere anche a quel nuovo esperimento. Tuttavia, Anko, resasi anche lei conto della mostruosità del proprio maestro che aveva messo a rischio non solo la sua vita, ma anche quella della propria figlia di soli 7 anni, una notte decise di provare a fuggire dal covo portando Yuki con sé.
Quella sera, la bambina stava cominciando pian piano a riprendersi, nonostante continuasse ad avere ancora la febbre. Nel cuore della notte, Anko si intrufolò nella stanza di Yuki e la svegliò scuotendole la spalla.
<< Che cosa fai qui Anko? >> chiese ansimando e con un filo di voce per il malessere.
Anko afferrò velocemente i vestiti della bambina e la fece scendere dal letto: << Vestiti, andiamo via di qui >>
<< E dove andiamo? >>
Accorgendosi che Yuki non si reggeva ancora in piedi, la aiutò velocemente a vestirsi cercando di sorreggerla: << Torniamo alla Foglia >>.
La bambina non aveva la forza neanche per rimanere di stucco e si lasciò cadere sulla schiena di Anko che corse subito via dalla stanza con lei. La ragazza riuscì a uscire dal covo senza farsi scoprire, ma quando stava per raggiungere il confine con il Paese del Fuoco si accorse di avere dei serpenti alle calcagna. Li eliminò, ma sapeva di essere ormai seguita da Orochimaru. Si appostò, quindi, nell’erba alta ai lati della strada principale della foresta e fece scendere Yuki dalle sue spalle.
<< Yuki dobbiamo separarci, Orochimaru ci ha scoperte; presto ci raggiungerà. Devi fuggire da sola, ce la fai a camminare? >>
La bambina cercò con tutta se stessa di rimanere in piedi, nonostante le girasse molto la testa e annuì.
<< Konoha è da quella parte. Muoviti velocemente e in silenzio, ma soprattutto non prendere le strade principali. Cerca di passare per l’interno della foresta. Così sarà più difficile trovarti >>
<< E tu che farai? >>
<< Torno indietro. Proverò a sviare Orochimaru. Ti raggiungerò non appena possibile. Adesso va! Veloce! >>
Con aria titubante, Yuki non poté fare altro che eseguire quell’ordine così insistente e non ebbe neanche modo di salutarla.
Anko riuscì ad attirare i serpenti a sé allontanandoli dalla bambina e prese la direzione verso il Paese dell’Erba anziché del Fuoco. Per permettere a Yuki di fuggire, dopo circa mezz’ora, si fece catturare.
<< Dunque hai deciso di tradirmi Anko? Dov’è Yuki? >> le chiese Orochimaru mentre i suoi scagnozzi tenevano ferma la ragazza.
<< L’ho uccisa e sono fuggita >> non era sicura che le avrebbe creduto, ma non sapendo come fare per distrarlo, decise di provare a inventarsi quella storia.
Orochimaru inarcò le labbra in un sorriso sarcastico: << Davvero? E perché l’avresti fatto? >>
<< Perché era il modo migliore per contrastarti. Tu volevi il suo corpo; per questo le stavi facendo le cose più atroci per renderla più forte >>
L’uomo sorrise di nuovo: << Ho sempre apprezzato il tuo coraggio e la tua perspicacia >>.
Riportandola al covo, Orochimaru chiese ad Anko che fine avesse fatto il corpo di Yuki, ma la ragazza rispose che l’aveva bruciato per evitare che egli potesse ricavarne qualche segreto sulle abilità degli Uchiha tramite esso. Come Anko temeva, però, il ninja leggendario faticò a credere a quella storia: nonostante si fosse accorto che l’allieva aveva cominciato ad odiarlo ed era forse già da tempo che bramava di tradirlo e tornare alla Foglia, non poteva credere che fosse riuscita a eliminare Yuki, a cui sembrava così legata, solo per mettergli i bastoni fra le ruote.
Decise, quindi, di inviare delle squadre per ispezionare i dintorni di Konoha. Ma Yuki si rivelò essere più scaltra di quanto Orochimaru pensasse; nonostante la febbre, riuscì ad azzerare completamente il chakra ed ebbe estrema prudenza in ogni suo minimo spostamento. Il risultato fu che nel giro di un paio di giorni, si ritrovò ai confini del Villaggio della Foglia senza essere scoperta. Quando fu sicura che nelle immediate vicinanze non ci fossero sottoposti di Orochimaru, decise di uscire allo scoperto, avvicinandosi a dei ninja con delle maschere che riteneva essere della Foglia.
Non poteva sapere che quei ninja erano membri della Radice che erano stati inviati a perlustrare la foresta attorno al villaggio, perché si erano accorti della presenza di estranei. Notando i segni maledetti di Orochimaru, di cui ormai erano giunte le voci, sul collo della bambina che chiedeva loro aiuto, decisero di convocare il loro leader, Danzo, prima di permetterle di entrare nel villaggio. La scortarono, quindi, in un rifugio per ninja nel bosco e mentre aspettavano l’arrivo del loro capo, diedero alla bambina delle coperte per scaldarsi e qualcosa da mangiare.
Dopo circa un’ora Danzo giunse sul posto. Osservando Yuki dall’alto in basso con l’occhio sano, ascoltava in silenzio e con uno sguardo impassibile un suo sottoposto che gli riferiva ciò che aveva raccontato la bambina: che era figlia di Orochimaru e che era fuggita da lui a causa delle torture a cui era soggetta ogni giorno. Per ottenere la loro fiducia, Yuki aveva cercato anche di spiegare, all’incirca, la zona in cui si trovava il covo; il ninja riferì, quindi, anche questo al proprio capo.
Danzo sembrò estremamente dubbioso; si rifiutò categoricamente di consultare il Terzo hokage sulla questione, ordinando ai suoi sottoposti di non farne parola con nessuno, e dopo qualche decina di minuti convenne che tutto ciò poteva essere una trappola ordita da Orochimaru e che permettere a un ninja marchiato con il segno maledetto di entrare all’interno del villaggio sarebbe stato troppo rischioso. Da perfetto militare quale era, l’anziano di Konoha non si fece minimamente impietosire dall’età della bambina e dall’espressione provata che traspariva sul suo viso. Decise che per adesso non era necessario ucciderla, ma sarebbe stato meglio allontanarla da lì per evitare ogni pericolo per il villaggio.
Yuki venne quindi cacciata fuori dai confini del villaggio della Foglia, con la minaccia di condanna a morte se solo avesse provato a riavvicinarsi a quelle zone.
Dopo due giorni pieni di continue ricerche, i sottoposti di Orochimaru non erano riusciti a trovare neanche una traccia della bambina che stavano cercando e non avevano dubbi sul fatto che non fosse mai giunta a Konoha. A questo punto, forse era morta davvero; se non l’aveva uccisa Anko, era probabile che fosse morta da sola o per la febbre o aggredita da qualche belva.
Nei giorni successivi, Yuki continuò ad accertarsi di non essere seguita e quando capì che gli uomini di Orochimaru si erano ormai ritirati dai dintorni della Foglia, decise di rifugiarsi in un piccolo tempio shintoista abbandonato che si affacciava su una stradina. Provare a chiedere asilo ad altri villaggi forse sarebbe stato completamente inutile, dato che avrebbero potuto cacciarla per gli stessi motivi per cui era stata cacciata da Konoha. Pensò che per adesso sarebbe stato meglio rifugiarsi e aspettare di riprendersi dall’ultimo segno maledetto, ma non aveva idea di dove sarebbe andata poi, né di cosa ne sarebbe stato di lei. Ormai era sicura di non voler ritornare dal proprio padre dopo tutto quello che le aveva fatto. Si chiese anche che cosa ne era stato di Anko che le aveva promesso che l’avrebbe raggiunta, ma evidentemente Orochimaru doveva essere riuscito a catturarla.
Rimase per qualche giorno sdraiata sui gradini del tempio, in attesa che la febbre calasse del tutto. Ogni tanto si alzava per raccogliere qualche bacca e pregare la divinità di quel luogo affinché la proteggesse o, meglio ancora, le indicasse che cosa dovesse fare. Sembrava che non passasse davvero nessuno da quelle parti e apparentemente era al sicuro. Ma il malessere dovuto al segno maledetto non accennava a diminuire e si convinse sempre di più che sarebbe presto morta là, sugli scalini di quel tempio abbandonato. Poco male in fondo: avrebbe potuto finalmente riabbracciare la madre.
Ma una notte qualcuno la svegliò dolcemente. Era un ragazzo con i capelli mori e lunghi raccolti in una coda e sulla fronte aveva legato un coprifronte con sopra un disegno che somigliava a una foglia; doveva essere un ninja di Konoha. Yuki si accorse che il suo viso e le sue vesti erano coperte di sangue, ma lui non sembrava ferito. La bambina ormai non aveva più la forza neanche per avere paura; e di cosa poi? Probabilmente, presto sarebbe morta comunque senza un parente o una patria disposti a prendersi cura di lei. Si limitò ad alzare il busto dallo scalino su cui era sdraiata e ad osservare il ragazzo che le parlava con tono dolce: << Che cosa ci fai qua, da sola e al freddo? E’ pericoloso >>.
La bambina non rispose; l’ansia, la sofferenza e la disperazione che aveva accumulato negli ultimi giorni le avevano completamente tolto ogni forza per poter parlare. Ma non avrebbe comunque avuto senso; parlare con quello sconosciuto non avrebbe cambiato le cose.
<< Tu sei Yuki, vero? Ti chiami così? >>
Yuki assunse un’aria sorpresa, ma continuò a tacere.
<< Forse non ti ricordi di me, eri molto piccola, ma noi due ci siamo già incontrati una volta. Sono Itachi >>
La bambina provò a ricordare, ma non le venne in mente nulla, né il nome, né il viso di quel ragazzo. Gli unici ricordi che aveva degli anni prima di finire sotto la custodia di Orochimaru erano legati a sua madre, di cui però non ricordava più bene neanche il volto; ma soprattutto ricordava la scena della sua morte. A differenza di tutto il resto, il sangue di quella sera sparso sul pavimento in penombra, era così vivido nella sua mente che avrebbe potuto ridisegnarlo.
<< Stavi andando a Konoha? >> le chiese il ragazzo, ma lei rispose solamente abbassando tristemente lo sguardo.
Osservando le reazioni della bambina, Itachi in qualche modo capì che non aveva un posto dove andare e che dovevano esserle successe diverse cose spiacevoli. Sin da subito aveva notato i segni maledetti; forse era riuscita a fuggire da Orochimaru. Ricordò lo strazio della sua povera madre il giorno in cui si accorse che Yuki e Misaki erano scomparse nel nulla e le sue continue preghiere e speranze affinché quella bambina fosse viva e stesse bene. Dopo anni di ricerche da parte del suo clan, adesso Itachi aveva Yuki proprio davanti a sé, incontrata assolutamente per caso sulla sua via e che fortunatamente aveva riconosciuto subito.
<< Perché non vieni con me? >> il ragazzo porse la mano alla bambina che lo guardava con aria assente.
<< Sai, anch’io non ho più una famiglia ormai. Sto andando via dal villaggio, non ho più nulla da fare là >>
Yuki sembrò titubante; non sapeva se fidarsi o meno, nonostante il tono voce dolce e rassicurante.
<< Non voglio farti del male. Vieni con me. Sarà sempre meglio che dormire qua al freddo >>
Aveva ragione; in fondo Yuki non aveva più niente da perdere. Decise di aprire di nuovo il suo cuore e di riporre la sua fiducia in quel ragazzo e poggiò lentamente la mano su quella di Itachi. Era esattamente la stessa scena che aveva già visto quando Orochimaru l’aveva scoperta dentro l’armadio del sotterraneo anni fa e le aveva chiesto di seguirla, ma questa volta sentiva che sarebbe stato diverso, o almeno lo sperava.
Itachi la fece salire sulla propria schiena e riprese il suo cammino. Yuki si riaddormentò poco dopo, nonostante il forte odore di sangue che emanavano i vestiti di quel ragazzo.
 
Quando si risvegliò, si ritrovò in un letto morbido e caldo e qualcuno le aveva messo un fazzoletto bagnato sulla fronte. Non sapeva per quanto aveva dormito, ma adesso si sentiva bene e probabilmente la febbre le era finalmente passata del tutto. Si sollevò guardandosi intorno: era una stanza piccola, ma accogliente e, soprattutto, dalla finestra entrava la luce del sole. Pensò che, almeno questa volta, non si trovava in un sotterraneo. Dalla stanza accanto sentì delle voci e scendendo in silenzio dal letto, provò a origliare dalla porta chiusa. Riconobbe la voce del ragazzo che l’aveva presa con sé e un’altra di un uomo.
<< Ma che diavolo ti è saltato in mente, Itachi? Portare con te quella bambina! Ti darà solo fastidi>>
<< Sarebbe morta se l’avessi lasciata lì >>
<< Beh, e a te cosa importa? >>
<< Mia madre non me l’avrebbe mai perdonato >>
<< Tua madre è morta >>
<< Lo so… >> Itachi sospirò.
<< Secondo me tu sei troppo tenero. Non ce la farai a svolgere i compiti che ti verranno assegnati>>
<< Non preoccuparti. So quello che faccio >>
<< Quella bambina è un problema. Quelli hanno intenzione di metterti in coppia proprio con Orochimaru; quanto credi che ci vorrà prima che scopra che cosa nascondi? Se vuoi farle un favore, consegnala a qualcun altro >>
<< Io sono l’unico in grado di proteggerla >>
<< Ah sì? E quando andrai in missione per giorni chi se ne occuperà? Non potrai portartela dietro>>
<< Avrà già 7 o 8 anni ormai ed è riuscita a fuggire da sotto il naso di Orochimaru. Direi proprio che sia pienamente autosufficiente >>
<< Non le andrà sempre bene. Quello è capace di tutto >> rispose lo sconosciuto in tono sarcastico
<< Le insegnerò a difendersi. In fondo ha sangue Uchiha e sono l’unico rimasto che può trasmetterle i segreti del mio clan >>
<< Fa’ come vuoi, ma per me è una pessima idea >>
Yuki sentì una sedia spostarsi e dei passi avvicinarsi alla porta a cui stava appoggiata. Velocemente indietreggiò e la porta si aprì subito dopo.
<< Oh, ti sei svegliata finalmente! Hai dormito per un giorno intero >> Itachi entrò nella stanza e provò ad avvicinarsi a Yuki con la mano tesa per sentirle la fronte, ma la bambina indietreggiò ulteriormente: << Come stai? Ti senti meglio? >>
Yuki assentì con un cenno della testa e in quel momento sulla soglia apparve una figura che quasi non sembrava umana: la pelle e la forma del volto somigliavano a quelle di uno squalo. Spaventata da quella visione, Yuki lo guardò in cagnesco, ma Itachi la rassicurò subito: << Non preoccuparti. Kisame è un tipo a posto. Non ti farà del male >>
<< Molto piacere. Se ho capito bene ti chiami Yuki, giusto? >> chiese Kisame, ma la bambina si limitò a guardarlo con aria assente senza rispondere. Non capiva che cosa le stesse succedendo intorno e non se la sentiva di aprirsi e parlare con degli sconosciuti.
Anche quando Kisame andò via da quella casa, che Yuki non sapeva minimamente dove si trovasse, anche se aveva intuito da solo le dinamiche, Itachi provò a farle delle domande per capire che cosa le fosse successo, ma la bambina non apriva bocca. Per giorni si rifiutò anche di mangiare, nonostante quel ragazzo ci stesse mettendo tutta l’anima per preparare delle vere e proprie leccornie.
Ma Itachi comprese lo stato d’animo triste e sconvolto di Yuki e cercò di non forzarla a parlare o a rapportarsi con lui. Doveva averne passate di tutti i colori sotto le grinfie di quell’essere che, sicuramente, da un momento all’altro le aveva strappato via la madre. Provò in tutti i modi ad essere gentile, finché Yuki ricominciò pian piano a mangiare, sentendosi rassicurata. Osservava quel ragazzo continuamente e quando concluse che non percepiva malvagità o cattive intenzioni in lui, dopo un paio di settimane, Yuki ricominciò, finalmente, anche a parlare. Raccontò a Itachi di quello che aveva visto la notte in cui morì sua madre, di quello che le aveva insegnato Orochimaru, degli esperimenti che aveva fatto su di lei e di come, poi, era riuscita a fuggire da lui. Il ragazzo, raccontandole a sua volta dell’amicizia tra le loro madri e del giorno in cui avevano giocato insieme nel sotterraneo di casa sua che, purtroppo, Yuki non ricordava affatto, le promise che avrebbe fatto tutto il possibile per proteggerla da ogni pericolo. Tuttavia, la avvertì che sarebbe stato saggio se avesse imparato a difendersi, dato che il suo nemico era pericoloso.
Yuki non fu affatto entusiasta di riprendere gli allenamenti che tanto odiava, ma era abbastanza intelligente da capire la situazione in cui si trovava e accettò di seguire Itachi nell’addestramento. Il ragazzo, tuttavia, si dedicò ad insegnare alla bambina anche a leggere e a scrivere nonché a fornirle qualche nozione di cultura generale, dato che permetterle di frequentare normalmente una scuola in un villaggio sarebbe stato troppo rischioso. Un vero peccato, dato che Yuki sembrava molto più affascinata dai libri che dai kunai. Itachi cercò di crescerla con affetto e fece di tutto per non farle mancare nulla; presto anche la bambina si affezionò molto a quel ragazzo che l’aveva salvata da morte certa.
Durante gli allenamenti, nonostante la bambina gli avesse rivelato che sicuramente non aveva ereditato lo Sharingan che tanto bramava Orochimaru, Itachi si accorse sin da subito che qualcosa non andava. Yuki, che da quanto affermava non era portata per le arti ninja nonostante avesse passato 3 anni pieni nel covo del padre a dedicarsi ad esse, non riusciva a richiamare correttamente il chakra. Era come se qualcosa interferisse nel suo flusso e ogni volta che provava ad eseguire una tecnica un po’ più impegnativa, le venivano dei forti malditesta. Itachi provò a scoprire quale fosse il problema evocando lo Sharingan e in quel momento vide chiaramente un sigillo all’altezza degli occhi; molto probabilmente, era stato il suo stesso padre, Fugaku, a imprimerlo alla bambina al momento della nascita.
Itachi rifletté un po’ sulla questione; l’idea di sigillare lo Sharingan di Yuki fu sicuramente dovuta all’intento di preservare l’abilità innata come esclusiva per gli Uchiha di purosangue, ma era possibile che tale decisione fu presa anche per evitare che Orochimaru facesse del male alla bambina. Se avesse rimosso il sigillo, il rischio che il ninja leggendario avrebbe scoperto che la figlia aveva ereditato lo Sharingan si faceva più alto. Ma a causa di esso che interferiva con il flusso di chakra, Yuki aveva difficoltà a svolgere perfino alcune tecniche base. Itachi decise quindi di rimuoverlo: avrebbe fatto sì che Yuki sapesse come difendere e preservare la propria abilità innata, proprio come un vero Uchiha.
Erano anni che lo Sharingan della bambina voleva manifestarsi, per cui, fu semplicissimo evocarlo ed esercitarlo ogni giorno. Vi erano presenti già 2 tomoe in entrambi gli occhi; probabilmente tale sviluppo avvenne anni prima a causa della morte della madre o delle sofferenze subite nel covo di Orochimaru.
Nonostante lavorasse per una certa organizzazione Alba e spesso si assentasse per giorni, Itachi le insegnò tutto quello che c’era da sapere sullo Sharingan e le raccontò l’intera storia del clan Uchiha, evitando di dirle che ormai non esisteva più. Provò a spiegarle che i suoi genitori erano morti per cause naturali e che aveva deciso di lasciare il villaggio perché quel posto gli rivangava troppi ricordi dolorosi. Il fratello di cui parlava spesso, invece, aveva insistito per rimanere là.
Yuki scoprì, anni dopo, quello che Itachi aveva fatto, ascoltando casualmente una conversazione tra lui e Kisame. Rimase completamente sconvolta e ferita per le menzogne e in quel momento, si chiese se Itachi fosse davvero la persona buona che credeva. Pensò a come dovesse sentirsi il fratello che aveva lasciato al villaggio, l’unico sopravvissuto degli Uchiha. Furiosa, Yuki chiese spiegazioni a Itachi e minacciò di andarsene, dato che non aveva intenzione di abitare sotto lo stesso tetto di un pazzo assassino che aveva sterminato il proprio clan per divertimento. Il ragazzo, allora, cedette e le raccontò come erano andate le cose: il clan Uchiha stava organizzando un colpo di Stato e un anziano del villaggio, Danzo, gli aveva dato l’ordine di sterminare la sua intera famiglia. L’unico che non riuscì ad uccidere per amore, fu proprio il fratello minore, Sasuke. Naturalmente, da allora Itachi non poté più tornare a Konoha e decise di unirsi all’organizzazione Alba, che gli avrebbe dato modo di tenere sott’occhio sia il villaggio, sia alcuni dei ninja criminali più potenti al mondo quali Orochimaru, che avrebbero potuto essere una minaccia sia per Konoha che per il fratello. Ammise anche che aveva intenzione di farsi uccidere dal fratello un giorno, quando si sarebbe assicurato che fosse diventato in grado di difendersi da solo.
Itachi fece giurare a Yuki di non fare parola con nessuno di quanto le aveva raccontato, ma da allora continuò a ricevere le sue continue preghiere affinché ne parlasse almeno con Sasuke. Ogni anno che passava, Yuki sognava una vita normale in un villaggio tranquillo e pacifico; nonostante fosse ormai diventata un ninja esperto, combattere proprio non le piaceva. Apprese le tecniche degli Uchiha e affinò quelle che le aveva insegnato Orochimaru o che aveva visto eseguire da lui; si esercitò molto anche sui segni maledetti, riuscendo ad evocarli entrambi contemporaneamente. Tuttavia, sentiva di essere imprigionata in una vita che in qualche modo le era stata imposta, anche se capiva benissimo che per poter rimanere in vita non si poteva fare altrimenti. Itachi, che andava in missione per Alba con lui, scoprì che Orochimaru aveva trovato la via dell’immortalità appropriandosi di corpi giovani e forti e fu chiaro che, finché l’aveva avuta in custodia, aveva avuto l’intenzione di preparare al meglio il corpo della figlia, affinché un giorno potesse essere il suo contenitore perfetto. Dato che non proferiva mai parola sul fatto di avere una figlia e aveva interrotto le ricerche da tempo ormai, Itachi ne concluse che il ninja leggendario doveva essere convinto che la bambina fosse davvero morta. Nonostante fosse costantemente in stretto contatto con il giovane Uchiha, Orochimaru non scoprì mai che cosa nascondeva. Provò anche ad ottenere lo Sharingan di Itachi, ma non ci riuscì e decise quindi di lasciare Alba. Dopodiché, giunse voce che avesse attaccato Konoha uccidendo il Terzo hokage e che avesse messo gli occhi addosso su Sasuke Uchiha, imprimendogli il segno maledetto. Quella volta Itachi, nonostante cominciò a non sentirsi bene a causa di una malattia, si recò con Kisame alla Foglia per assicurarsi che il fratello fosse al sicuro e per ricordare implicitamente agli anziani il loro patto.
Nel frattempo, per Yuki, che aveva ormai compiuto 12 anni, i sogni di una vita pacifica andarono in fumo: il misterioso uomo con la maschera che aveva contribuito allo sterminio degli Uchiha e che risiedeva dietro le quinte dell’organizzazione Alba, scoprì l’esistenza e l’identità della ragazza. Come vi riuscì rimase un mistero. L’uomo, che si faceva chiamare Tobi, rivelò a Pain tutto ciò che aveva scoperto su Yuki e lo convinse a farle prendere il posto di Orochimaru. La ragazza si ritrovò con le spalle al muro: rifiutare la proposta avrebbe voluto dire mettersi contro l’intera organizzazione e mettere in pericolo anche Itachi. Anche l’Uchiha non trovò soluzioni: non potevano fare altro che obbedire agli ordini.
Yuki accettò, quindi, la proposta di Alba, a patto che, in cambio, i membri non rivelassero a nessuno né la sua identità, né le abilità e la proteggessero da Orochimaru. L’organizzazione accettò il patto e la ragazza divenne un membro segreto a tutti gli effetti. Le affidarono sin da subito missioni di spionaggio e lavori sporchi per guadagnare il più denaro possibile: spesso veniva inviata a caccia di taglie, altre volte doveva svaligiare interi castelli di ricchi daimyo. Nonostante fosse poco più che una bambina, le sue delicate mani avevano già stroncato decine di vite. Il suo animo si colmò di sensi di colpa e grazie a tale peso, sviluppò lo Sharingan al terzo tomoe. Ogni giorno che passava non desiderava altro che fuggire il più lontano possibile, ma la malattia di Itachi non accennava a migliorare e non se la sentiva di abbandonarlo; in ogni caso, il ragazzo non le avrebbe permesso di andarsene e rischiare di essere catturata da Orochimaru o uccisa da Alba.
<< Facciamo un patto, Yuki >> le disse un giorno Itachi, rammaricato nel vedere la ragazza come un uccello in gabbia.
<< Un patto? >>
<< Il giorno che riuscirai a sconfiggermi sarai libera >>
Yuki gli rivolse uno sguardo interrogatorio.
<< Se diventerai più forte di me per Orochimaru sarà impossibile catturarti >>
Il volto speranzoso della ragazza si rabbuiò di nuovo: << Rimarrebbe comunque il problema di Alba>>
<< La stermineremo insieme >>
Yuki sgranò gli occhi ambrati per la risposta inaspettata.
<< Se ti allenerai ancora di più e diventerai forte almeno quanto me, insieme saremo imbattibili e farò tutto il possibile per liberarti da ogni fardello che sei costretta a portare. Te lo prometto >>
Yuki rimase pensierosa per un po’, ma poi, pensando che, in fondo, insieme avrebbero potuto farcela, mostrò il suo sorriso più luminoso e si gettò tra le braccia dell’Uchiha: << Ce la metterò tutta, Itachi. Un giorno saremo liberi entrambi >>.
   
 
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