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Autore: elenatmnt    03/12/2021    8 recensioni
"Non ho saputo ricambiare l'attenzione che mi hai regalato, non potrò nemmeno guidarti o guardarti le spalle quando crescerai e diventerai il guerriero che sei destinato ad essere e di questo ti chiedo perdono, ma sappi una cosa, io credo in te, sono fiero di te. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò".
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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“La mia vita è un inferno. Non c’è via d’uscita”.

 
Passò qualche tempo dalla discussione che ebbi con Leonardo, fuori era estate ormai, anche se nella nostra casa non c’era differenza tra le stagioni, essendo sottoterra non ci badavo.
Come avevo promesso uscii dalla mia camera, non era semplice traferirmi dal letto alla sedia, richiedeva il lavoro di tutti e tre i miei fratelli, ognuno con un compito ben preciso impartito da Donnie; trascorrevo la maggior parte del tempo tra il salotto e la cucina.
Mi riconciliai con Donatello, rendendomi conto che non mi aveva mai portato rancore, continuò a occuparsi di me senza farmelo pesare, inoltre costruì molte rampe per muovermi in casa e un piccolo ascensore, tipo montacarichi che portava dal piano terra fino su in camera mia. Ammetto che avevano fatto un gran bel lavoro. Mi meritavo tutte le loro attenzioni?
Non mi lasciavano mai solo, per quanto io insistessi nel dirgli che me la cavavo bene e che potevano continuare a vivere la loro vita normalmente, mi ignoravano. Irritante!
I ragazzi non uscivano mai in tre, uscivano in coppia in modo tale che uno di loro rimanesse con me. Solitamente Michelangelo mi leggeva fumetti o guardavamo un film insieme, film che naturalmente sceglieva lui, mettersi contro era come tentare di farsi spuntare le ali. Donatello era il peggiore, dovevo subirmi lezioni di biologia e di chimica mentre aggiustava qualcosa o faceva uno dei suoi esperimenti, tuttavia quando se ne rendeva conto, cambiava argomento e parlava di moto, conoscendo la mia passione per quei veicoli a due ruote. Con Leonardo, stranamente era più piacevole, alle volte lo osservavo mentre si allenava e gli davo consigli, altre volte conversavamo parlando di noi stessi, dei nostri sogni, delle nostre paure. Possiamo dire che ci siamo conosciuti meglio, guardavo Leonardo con occhi diversi, il cavaliere Senzapaura era molto più simile a me di quanto immaginassi. Mio padre non usciva quasi mai, come al solito preferiva ritirarsi a meditare o mi costringeva a guardare con lui quelle assurde soap opera. Ve lo immaginate? Mio padre, il più grande guerriero ninja di tutti i tempi che non si perdeva una puntata di “una mamma per amica”. Assurdo ma vero!
Rispetto alla situazione che mi aveva descritto Leo, sembrava che da quando mi ero riunito a loro nella vita quotidiana, tutti stessero meglio; tutti tranne me.
La mia recita funzionava bene, non avevo ben chiaro però per quanto avrei retto. Vedevo loro felici, si potevano muovere, correre, saltare; ogni immagine, ogni azione, ogni sensazione la volevo vivere a pieno. Non mi accontentavo di guardare, vedevo la mia vita scorrere via, ero lo spettatore di me stesso.
 
Quella sera era il turno di Michelangelo, sarebbe rimasto con me a fare qualcosa. Indovinate cosa? Film!
“Mikey ti ripeto per l’ennesima volta che se vuoi andare con i ragazzi per me è ok!” gli ribadii.
“E perdermi una meravigliosa serata cinema?” sprizzava entusiasmo per poco, lui è sempre stato così. Il raggio di sole di casa, colui che trovava gioia nelle piccole cose belle della vita.
“Non insisto, tanto so già come va a finire. Cosa mi proponi stasera? Non tollererò un’altra storia sdolcinata, possiamo vedere almeno qualcosa d’azione?” lo pregai.
“Eccome fratello: Big Hero 6!” proclamò felice della scelta.
“Mikey è un cartone animato, poi lo abbiamo visto un milione di volte” dissi stufo.
“Si, ma un cartone d’azione. Sono supereroi, non ci si stanca di questo film!” finita quella frase andò in uno status di contemplazione dell’ignoto e tornò sulla Terra dopo trenta secondi “ci sono!” esultò, stava per arrivare una cavolata fresca fresca. “Posso chiedere a Donatello di costruirmi un Baymax tutto mio, sono un genio!” si stava riferendo al protagonista del film, un robot infermiere che diventava un supereroe.
“Metti il DVD Mikey” tagliai corto.
Il mio pestifero fratello con un salto fu davanti al lettore DVD, inserì il disco ed ebbe inizio la nostra ‘solita’ serata cinema.

 
Sacrificio. A mio parere in quella pellicola si cela questa morale, molto profonda per essere un semplice cartone animato. Quello che colpisce al cuore è proprio la capacità di arrivare consapevolmente alla rinuncia della propria vita per salvare quella di qualcun altro.
Io credo che il sacrificio sia la prova del vero amore. Sì, che senza misurare gli sforzi, desidera, prima di tutto, il bene della persona amata. D’altra parte, l’amore è la forza misteriosa che sostiene ogni sacrificio.
Sto parlando veramente di amore?
Amore.
Che cos’è l’amore?
 

Il film durò circa un paio d’ore; in realtà, lo guardò solo Mikey, io ero lì col corpo, ma la mia mente viaggiava in un mondo etereo, di momento in momento ogni scusa era buona per divagare in un passato che non poteva più essere vissuto, per un futuro che non ci sarebbe mai stato. Che futuro mi attendeva? Noi saremmo cresciuti, ognuno avrebbe preso la propria strada, il maestro Splinter sarebbe invecchiato, io non volevo diventare un impedimento per il loro futuro, la zavorra che li teneva ancorati a terra mentre loro desideravano librarsi in aria e volare per inseguire i propri sogni.
“Raph?!” il mio fratellino mi chiamò e mi svegliai dalla mia trace. I titoli di coda scorrevano sullo schermo e io del film non vidi proprio nulla.
“Che c’è Mikey?” domandai, probabilmente stava solo accertandosi che io non mi fossi addormentato del tutto, ma non era quella la ragione.
“Raphie… tu… desideri ancora morire?”.
Mi colpì un fulmine a ciel sereno.
Lo sapeva? Glielo avevano detto? Anche il mio piccolo fratellino sapeva di questo? Perché gliel’avevano detto? Un’infinità di domande in un solo istante si insinuarono nella mia testa. Mi vergognavo già abbastanza di me stesso solo per il fatto di essere ridotto in quelle miserabili condizioni, che il mio fratellino sapesse della mia brama di morte era molto più di ciò che io potessi sopportare.
“Michelangelo… io…” la mia voce era un soffio di vento, dirgli come la pensavo faceva male, perché dovevo vergognarmi dei miei desideri?
“Non mi devi spiegazioni Raph, lo capisco bene. Al tuo posto io avrei voluto lo stesso” disse lui facendosi serio in volto, tuttavia sereno.
“Mi dispiace Mikey… io non ce la faccio più…” le mie parole erano arrendevoli, uscivano dalla bocca da sole, ero come avvolto dall’esigenza di sfogarmi, di far sapere che non mi era mai passata e che volevo morire ad ogni costo.
Egoista? Si lo ero, perché smettere di soffrire doveva essere considerato un gesto di egoismo?
Quello che avvenne dopo fu a dir poco incredibile; ai miei occhi il mio fratellino divenne il più grande di tutti, più maturo del nostro stesso padre.
“Ti aiuto io. Se vuoi ancora morire, sappi che ti aiuterò”, quello non poteva essere il mio piccolo e innocente fratello, quello che da bambino frignava per niente, quello più coccolato, quello ingenuo. No non era lui.
Davvero voleva aiutarmi? Lo desideravo ma non potevo permetterglielo, se lo avesse fatto sarebbe stato odiato da tutti, temevo le conseguenze che avrebbe affrontato.
“Michelangelo io non posso accettare…” confessai con tutto il dolore nel mio cuore.
“Perché? Non vuoi più?” il suo tono sembrava un rimprovero, forse era offeso. Non che volesse la mia morte, certo che no, aveva capito che mi stavo preoccupando per lui, che in modo indiretto tentavo ancora di proteggerlo.
“Ovvio che sì! Sto impazzendo nel fingere che tutto sia ok, a regalare falsi sorrisi. Mi manca il vento sulla faccia, mi manca allenarmi con voi, combattere, abbuffarmi di pizza fino a scoppiare, correre tra i tetti di questa città, correre in vostro aiuto per salvarvi da qualche sciocca situazione, addormentarmi sul tatami dopo duro allenamento. Maledizione Mikey, io sono un ninja non voglio più vivere in questo modo. Non posso… non posso più…” cedetti alle lacrime e ai singhiozzi, tutti i sentimenti negativi vennero a galla, tutta la frustrazione e la miseria della mia condizione che avevo in tutti i modi cercato di reprimere.
“Allora lascia che ti aiuti fratello” si ruppe. Dai suoi occhi uscivano fiumi di lacrime, il suo era un atto coraggioso, da vero supereroe.
Il mio supereroe.
“Lo farò fratello, non mi importa delle conseguenze. Voglio solo la tua felicità” spiegò tra le lacrime.
Io sono più grande di lui, avrei dovuto proteggerlo, accudirlo, insegnargli tutto ciò che sapevo, invece fu lui a diventare più grande di me, si stava… sacrificando per me.
Il sottofondo musicale dei titoli di coda attenuò la tensione che si aggirava tra noi, quella era la mia unica possibilità, anche se il senso di colpa mi stava assalendo, volevo con tutto il cuore dirgli di sì, era sulla punta delle mie labbra.
Lui si alzò e mi si inginocchiò davanti, mi rispecchiai nei suoi immensi occhi celesti che mostravano comprensione e forza “è tutto apposto Raph, posso farlo se lo vuoi”, mise la sua mano sulla mia.
Cedetti. “Fallo Mikey, ora”.
Me ne sarei andato come un ladro lasciando tutta la colpa al mio fratellino, ero un vigliacco, un egoista, la disperazione manovrava le mie scelte, scelte che non potevo prendere più in modo autonomo.
Quella era la mia unica occasione di farla finita.
“Ti voglio bene Raph” disse lui trattenendo la disperata voglia di piangere ancora, aveva gli occhi rossi e ricolmi di lacrime, combatté tutto il tempo per trattenerle e dimostrarmi quanto fosse coraggioso.
“Anche io Mikey” il mio fu un mormorio leggero, la mia lotta era la medesima di mio fratello.
Non attese oltre, fece un respiro profondo e mi staccò il tubo che avevo in gola, non potevo più respirare. Pochi istanti, forse pochi minuti sarei morto guardando mio fratello che si piegò all’inevitabile pianto.
Quiete.
Occhi celesti.
Sorriso.
E poi, il caos.
Un fragore agghiacciante echeggiò in tutta la stanza, ero ancora cosciente per sentirlo, era la voce di mio padre che invocava il mio nome “RAFFAELLO!”.
Non potevo vederlo, ero di spalle rispetto alla sua posizione, tuttavia non ci volle molto e in un baleno fu davanti a me.
Era nel panico, urlava, piangeva, mi chiamava. Lo vidi mentre riprese il tubo e lo rimise al suo posto, sentii l’aria riempirmi nuovamente i polmoni, mi aveva riportato indietro. Perché?
Mi fissava con aria distrutta, era un padre che stava per perdere un figlio, era troppo difficile per lui lasciarmi andare. Qualcuno lo tirò via da me e mi ritrovai dinanzi Donatello, anche lui mi chiamava. Quando era arrivato? Intravidi Leonardo dietro di lui e Michelangelo sconvolto in un angolino che si nascondeva come un peccatore. Tutto era sconnesso, faticavo a razionalizzare la situazione, non mi usciva nemmeno una parola.
Avevo quasi raggiunto la libertà, solo qualche istante in più e sarebbe finita, il destino si era scagliato violento e ingiusto contro di me.
“Raph… Raffaello mi senti? Ci sei fratello?” ora lo sentivo, i suoni si fecero più nitidi e ogni cosa era più chiara.
Non risposi.
Lui continuò da buon dottore di casa ad occuparsi della mia incolumità, mi rivoltava come un calzino, ma i miei occhi erano puntati altrove, non avevo attenzione che per Michelangelo.
“Che cosa è successo?” fu Leonardo a domandare guardando in direzione del Sensei e di Mikey, io avevo il posto in prima fila di quello che sarebbe stata la causa del mio declino finale.
 

Quando un vaso si rompe, puoi provare a rimettere assieme i pezzi, ma non sarà più lo stesso; continuerà ad essere rotto.
Siamo tutti un po’ dei vasi. Oddio non è il miglior paragone che io abbia mai fatto, ciononostante riflettendoci è una metafora perfetta: sono caduto e mi sono rotto, frantumato in mille pezzi. Non sono morto sono ancora vivo, ma non sono più come prima e per quanto la mia famiglia si ostini a ricomporre i miei pezzi io sono pieno di piegature.
Loro non sono diversi, la loro rottura è mentale, hanno tentato in tutti i modi di risanare lo squarcio che ci ha colpiti tutti, io stesso ci ho provato… solo ora mi accorgo che è stato uno dei più grandi errori della mia vita.
Ho illuso, mi sono illuso… ho rotto l’ultimo vaso.
 

“Allora? Ho chiesto cosa è successo?!” ripeté nervoso Leonardo.
Come un bambino che aveva rubato le caramelle Michelangelo fece un passo avanti a testa bassa, le sue lacrime colpivano il pavimento “sono stato io…”.
Credo non esista alcuna parola sul vocabolario che posse descrivere le facce dei presenti, dire sconvolti sarebbe esiguo.
“Mikey… come hai potuto?” dalle parole di Donatello trapelava puro odio.
Il mio fratellino, il mio piccolo Michelangelo esplose “Io?! Voi come potete?! Raffaello vi ha chiesto aiuto e voi lo avete ignorato. Non vedete che vi sta implorando, non vedete che soffre, non vedete che non ce la fa più?”.
“Basta Michelangelo!” fu l’ordine severo di mio padre.
“No maestro! Questa è un’ingiustizia, che razza di famiglia siamo…” fu interrotto una seconda volta.
“Ho detto taci!” questa volta il tono era una minaccia.
“Non posso più tacere, se voi non volete aiutare Raffaello lo farò io…”.
“Stai zitto!” furono le ultime due parole che lasciarono spazio ad azioni a dir poco onorevoli per il mio maestro, avrebbe portato il peso della vergogna a vita.
Una rabbia che conoscevo bene insinuò le sue radici come l’erba gramigna nell’animo onesto di mio padre; mai avrei pensato la rivoltasse contro di noi, mai avrei pensato la scagliasse contro Michelangelo.
Gettò il suo pugno sul volto lentigginoso del mio fratellino dagli occhi celesti.
Sgomento, nient’altro che sgomento e paura; mio padre aveva realmente colpito Michelangelo.
Tale al suono di un ruggito era il respiro di mio padre che a occhi sgranati e spiritati guardava suo figlio più piccolo riverso sul pavimento che si teneva il volto tra le mani, rannicchiato a pallina nel tentativo di ripararsi da un secondo attacco.
Donatello e Leonardo non sapevano come comportarsi, si lanciarono delle occhiate incerte e sconvolte, se Splinter avesse continuato sicuramente sarebbero intervenuti.
Dopo quella che sembrò un’eternità, il ruggito del leone lasciò posto ad una voce vecchia e stanca “Donatello, Leonardo. Portate Raffaello in camera sua, non perdetelo di vista”.
Sensei andò via lentamente trascinandosi il peso delle sue azioni, io fissavo Mikey, tremava come una foglia. Donatello fece per avvicinarlo ma Michelangelo lo scacciò via sventolando le mani, dimostrando la sua fragilità, la sua paura, la sua delusione. Non alzò neanche lo sguardo, a mostrare il suo volto tumefatto e sanguinante che dipingeva di color cremisi il pavimento. Leo tirò via Don, il leader sentiva che era meglio lasciargli il suo tempo, il suo spazio.
Ciò che era accaduto li avrebbe segnati tutta la vita ed era colpa mia, ancora una volta tutta colpa mia.
Tutto in nome della libertà.
Fu forse lo shock, o un’insana voglia di ribellione, una protesta, un modo per essere ascoltato o semplicemente la voglia impellente di lasciarmi andare, non so… so solo che da quella sera non parlai più.

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Note dell’autrice:

Ciao a tutti!
In questo capitolo ho fatto una citazione al film “Big Hero 6” della Disney, che naturalmente non possiedo. Questo capitolo è un po’ più lungo degli altri, ne avevo da raccontare e non potevo proprio mettere un freno!
Grazie mille sempre a Made of Snow and Dreams, Ciarax e tutti coloro che stanno leggendo con pazienza questa storia.
Ciaoooooo!!!
   
 
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