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Autore: Ciarax    04/12/2021    0 recensioni
"Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri."
- Cesare Pavese -
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Ma non è la solitudine in sé il problema ma quello che porta le persone a compiere a causa sua. E rimanere soli forse è peggio che venire feriti da chi si ama di più.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Autobot, Nuovo personaggio, Optimus Prime, Ratchet
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Transformers: Prime
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CAPITOLO – II
 


            «Penso che debba darmi qualche spiegazione, Prime»
Agente speciale William Fowler. Lo stesso che un anno prima aveva quasi rischiato un infarto vedendo Max curiosare ingenuamente con Bumblebee senza nessun timore o paura nei confronti di creature talmente tanto grandi da poter far fuori un umano senza particolari problemi. Si era presto accorto della stravaganza e dell’ingegno di quella ragazzina poco più che maggiorenne, dall’intuito fuori dal comune per essere riuscita ad imparare e capire gran parte di quello che riguardava i cybertroniani con quasi nessuna fatica.
            «Abbiamo tutta la situazione sotto controllo, Agente…»
            «Sono tornati vero?» lo interruppe bruscamente Fowler, ricevendo un’occhiata seria da parte di Optimus.
            «Se si riferisce ai Decepticon dubito se ne siano mai andati, il vostro pianeta è troppo… prezioso per loro» calcò con enfasi le ultime parole, anche se l’Autobot ebbe l’impressione di come le sue parole suonassero quasi sorde alle orecchie dell’agente speciale.
            «In questo caso devo avvisare il Pentagono»
            «Mi ascolti agente Fowler, noi siamo la vostra migliore linea di difesa contro la minaccia dei Decepticon» disse gravemente Optimus, con una nota di irritazione nella voce. Non era in alcun modo il tipo da perdere la pazienza così facilmente ma quella testardaggine iniziata a diventare veramente faticosa da ignorare.
            «Direi anche l’unica» borbottò Max forse a voce un po’ troppo alta quando si accorse dell’occhiata di sbieco che le rivolse Ratchet che incurvò un angolo della bocca in un impercettibile sorriso, senza smettere di lavorare alla propria postazione.
Fowler però non fu dello stesso avviso, scoccando un’occhiata truce verso Max rimasta girata di schiena, «Non è una discussione che la riguarda, signorina Cohen. Le ricordo che è qui solamente per gli Autobot hanno insistito»
            «Hey sacco di carne – attirò la sua attenzione Bulkhead, -è rimasto schiacciato qualcuno sull’autostrada? Noi Autobot sappiamo quando usare la forza e soprattutto quanta usarne» esclamò strappando e riducendo in rottami il braccio robotizzato che Max e Ratchet avevano finito di sistemare da meno di una settimana.
            «Se i militari venissero coinvolti sarebbe una vera catastrofe. Lei forse può passare sopra il numero di vittime che una guerra causerebbe… ma io non posso permettermelo» si aggiunse poi Optimus, fermamente deciso ad impedire qualunque tipo di spargimento di sangue o Energon. Di perdite ne aveva subite già fin troppe, non c’era bisogno di ulteriori vittime… per di più totalmente estranee alla guerra che infuriava da millenni tra Autobot e Decepticon.
            «E allora mi faccia il favore di sistemare al più presto la situazione, Prime… oppure ci penserò io» esclamò dunque Fowler prima che l’ascensore si richiudesse per portarlo nuovamente al suo elicottero, facendo tirare un sospirò di sollievo ai tre clandestini che poterono di nuovo uscire allo scoperto.
            «Per essere un umano si dà troppe arie» si lamentò Bulkhead ricevendo un’occhiata di ammonimento da Optimus che non fece fatica a comprendere l’atteggiamento schivo di quell’umano.
            «L’agente Fowler si preoccupa per il suo pianeta ed è giusto così»
Un bip di avvertimento colse l’attenzione di Max, che spostando da parte Switch si protese verso lo schermo più vicino. Il respiro le si mozzò in gola quando vide la fonte del segnale.
            «Ratch…- mormorò con un filo di voce attirando a malapena l’attenzione di Ratchet che le rivolse un’occhiata di sbieco, -è il segnale vitale di Cliff» passò poi l’immagine sullo schermo principale del computer del medico Autobot, attirando così poi l’attenzione di tutti gli altri.
Miko, Jack e Raf ne approfittarono per salire sulla postazione di Max in modo da smetterla di guardare dal basso tutti gli Autobot.
Il piccolo Raf fu l’unico a rivolgere un’occhiata in più alla diciannovenne seduta scompostamente sulla sedia di fronte ai quattro schermi, pieni di dati in una lingua completamente a lui sconosciuta. Avvicinandosi al piano di lavoro invaso da carte e fogli con su schizzati progetti e appunti dal tratto illeggibile, un piccolo cinguettio metallico attirò la sua attenzione.
            «È un altro Autobot?» domandò innocentemente il dodicenne attirando l’attenzione di Max che lo osservò per un attimo da cima a fondo prima di spostare lo sguardo su Switch e scuotere leggermente la testa.
            «Oh no, lui è Switch il mio più vecchio amico… e primo progetto di intelligenza artificiale -anche se primitiva» mormorò lei osservando Switch avvicinarsi incuriosito alla mano aperta di Raf, con cautela poi accennò qualche passo in avanti bilanciandosi sui quattro arti prima di ruotare i due sensori ad ultrasuoni -che ricordavano la stessa forma di due occhi, emettendo alcuni cinguettii metallici che a Raf ricordarono molto quelli di Bumblebee.
            Switch era stato il prototipo di robot che Max riuscì a costruire e ricordava ancora bene come la prima volta che l’aveva assemblato, il piccoletto sapeva a malapena mettere una zampa di fronte l’altra. I codici per riuscire a far muovere in modo armonioso i tre motori che ogni zampa aveva era stato arduo, specialmente all’inizio.
Erano cinque anni che continuava a mettere mano sui suoi codici e oramai era diventato il suo piccolo orgoglio: in grado di camminare e ritrovare l’equilibrio in quasi ogni situazione, i sensori che aveva installati invece gli permettevano di evitare gli ostacoli e riconoscere alcuni semplici e precompilati comandi. Anche se l’ultimo non era interamente merito suo ma del suo ultimo aggiornamento, un primo tentativo con la rete neurale e che dava una vaga sorta di intelligenza artificiale al piccolo robot.
Si trattava di un qualcosa di molto semplice e con la poca potenza di calcolo che aveva a disposizione il suo raggio di apprendimento era veramente basso, ma non le importava. Forse quando avrebbe raggiunto la vecchiaia quel piccolo robot sarebbe stato in grado di mettere due parole in fila.
            «Presto Ratchet prepara subito l’infermeria… potrebbe servirci» esclamò Optimus attirando l’attenzione di tutti.
            «E noi che facciamo?»
            Il leader degli Autobot passò un attimo in rassegna i tre giovani umani che lo guardavano in attesa di istruzioni, l’entusiasmo di Miko rapidamente smontato dalle parole pronunciate qualche attimo dopo, «Restate qui con Ratchet»
Ignorando i versi di disappunto sincronizzati di Miko e Ratchet, Max preparò le coordinate del Groundbridge, scambiando solo una veloce intesa di sguardi con Optimus che colse la flebile speranza dell’umana. Con un cenno attivò la protezione metallica sul volto e tutti gli Autobot attraversarono senza esitazione il Ponte terrestre richiusosi immediatamente dopo il loro passaggio.
«Aspetta cos’è successo?» domandò incredulo Jack, sporgendosi dal parapetto per cercare di capire dove fossero andati quegli ammassi di metallo alti almeno una decina di metri ciascuno.
            «Li abbiamo trasferiti usando le coordinate esatte per il Groundbridge» spiegò senza particolare enfasi l’unico Autobot rimasto, riprendendo il silenzioso e meticoloso lavoro nella sua postazione.
            «E cos’è?» chiese Raf continuando a stuzzicare curioso il piccolo robot che teneva delicatamente tra le mani.
Prima che Ratchet potesse di nuovo interrompersi, già irritato dalla sola presenza di quei tre umani, Max lo precedette, «È una scala ridotta di quello che i cybertroniani chiamano Ponte Spaziale, con quello possono viaggiare anche da un pianeta all’altro»
            «Ma visto che non siamo in possesso né dei mezzi né di Energon a sufficienza per i viaggi intergalattici, siamo bloccati qui con esseri come voi -tagliò corto l’Autobot senza distogliere lo sguardo ma senza nascondere il risentimento nello stare su quel pianeta, -Però sono riuscito a ricostruire il Groundbridge per viaggiare da un punto all’altro del vostro pianeta»
            «Vuoi dire che potrei andare a visitare i miei genitori a Tokyo in questo istante?» domandò improvvisamente Miko, saltando sul posto dall’eccitazione mentre Jack le rivolse un’occhiata esasperata.
            «E in pochissimi minuti anche… se vuoi spedisco tutti e tre a Tokyo» disse Max con una punta d’ironia senza staccare gli occhi dal segno lampeggiante che indicava il segnale vitale di Cliffjumper, ricevendo un’occhiata preoccupata da parte di Ratchet.
Il medico non l’aveva mai vista rispondere in modo così… diretto a qualcuno, era sempre abituato a vederla preoccuparsi di non offendere nessuno e fare in modo che non ci fossero litigi neanche tra loro Autobot. E nonostante la battuta notò come fosse da due giorni -da quando effettivamente aveva ricevuto la notizia della morte di Cliff, che non sorrideva. Neanche una volta.
            «Piuttosto… tu chi sei? Non ti sei presentata fin dall’inizio» Miko non sembrò prenderla affatto sul personale oppure la sua curiosità ebbe semplicemente la meglio e rivolse tutta la sua attenzione sulla ragazza che non sembrava affatto avere alcuna intenzione di intraprendere una conversazione.
            «Sono Max» tagliò corto con un sospiro la diciannovenne. Beccandosi un’occhiata poco gentile di Miko, riprese a controllare i dati che aveva sullo schermo più vicino a sé, registrando a malapena la scomparsa dei due ragazzi più grandi.
Miko iniziò a guardarsi intorno e a curiosare in giro. «Posso sapere a cosa serve questo?»
            «È rotto, non toccare» tagliò corto Ratchet senza neanche voltarsi a guardare cosa stesse indicando l’umana rumorosa.
            «C’è niente qui che possiamo toccare?» domandò Jack leggermente irritato da quel trattamento infantile, neanche fossero bambini di cinque anni.
Passò qualche attimo di silenzio, entrambi convinti che Ratchet non li avesse neanche sentiti, quando la voce di Max giunse a loro chiara, «Si, prendete quel braccio meccanico distrutto da Bulk prima… l’avevo appena finito di riparare»
Un messaggio di errore comparve sullo schermo di Ratchet e il suo verso di disappunto non passò inosservato al piccolo Raf che era rimasto sulla piattaforma, incuriosito dai vari progetti di Max sparsi in giro disordinatamente.
            «Mi spieghi come mai usate i computer terrestri?» domandò poi mentre il piccolo Switch era in bilico sulla sua spalla accoccolato.
            «Ovviamente non per nostra scelta, -si giustificò immediatamente Ratchet, prima che altri messaggi di errore comparvero sui tre schermi, -gran parte di quello che c’è qui l’abbiamo ereditato dai precedenti proprietari di questa ex base missilistica. Li modifico ogni volta che lo ritengo opportuno»
            «Ma ovviamente è fallimentare se non ci danno i pezzi che ogni volta gli chiedo. Fowler riesce ad essere un vero testardo…»
            «Se tu magari prestassi attenzione quando ti do delle istruzioni» il tono di rimprovero di Ratchet zittì Max, facendole interrompere il proprio lavoro e rivolgendo al suo guardiano uno sguardo truce.
            «Oh avanti, Ratchet! Nessuno mi ha insegnato quello che so, se non avessi fatto quelle modifiche i processori si sarebbero fusi» si giustificò la ragazza, incurante di aver attirato l’attenzione anche di Miko e Jack che avevano appena portato i pezzi principali del braccio meccanico nei pressi della piattaforma rialzata.
            «E tu avresti rischiato di saltare in aria» puntualizzò semplicemente il medico Autobot con un’espressione contrariata, a malapena diversa dalla solita corrucciata che aveva sempre ma particolare a sufficienza da venire riconosciuta immediatamente da Max che perse immediatamente il cipiglio severo di poco prima.
            «Saltare in aria?» domandò confuso Raf da quell’acceso scambio, mentre apriva il proprio portatile e collegandolo a quello nella postazione principale, accettando il cavetto passatogli da Max.
            Max annuì, «Il mainframe si stava surriscaldando e rischiavamo di fondere tutti i processori… ho dovuto collegare un ponte molto rapido in modo da raffreddare il prima possibile tutto il sistema e nel mentre erano da sostituire alcune schede di memoria che si erano fritte» spiegò poi indicando alcuni punti nel codice originale del sistema.

            Osservò Raf ascoltare attentamente tutte le sue modifiche, annuendo seccamente poi diete una scrollata veloce tra le righe di codice e fece alcune piccole modifiche. Fu poi il suono piacevole e la scomparsa delle notifiche di errore che sorpresero Ratchet che osservò meravigliato come finalmente il sistema non sembrasse avere più alcun problema.
Max lasciò Raf curiosare ancora un po’ nel sistema, mentre Miko e Jack raccoglievano alcuni pezzi rimasti in giro e sparsi qua e là del braccio robotico -che avrebbe dovuto riparare più in là in quella giornata, si sporse leggermente poggiando le braccia sulla balaustra metallica.
            «Pensi sia veramente solo un bug nel sistema?» domandò con un filo di voce a malapena percepita solo da Ratchet grazie ai recettori audio più sensibili del normale udito umano.
Il medico Autobot si voltò a guardarla, a pochi metri da lui mentre non ricambiava lo sguardo ma vide chiaramente il tentativo di trattenere quelle poche lacrime che si concedeva solo quando era da sola. In meno di una settimana aveva ricevuto la notizia improvvisa della morte di Cliffjumper e subito dopo la sua possibile ricomparsa -quando gli altri Autobot erano sul campo a rischiare la vita mentre loro due erano incastrati lì a fare da babysitter a tre umani. Per quanto poi nessuno dei due sapeva di non essere quasi di alcuna utilità nel mezzo dell’azione -anche se Ratchet certamente sapeva difendersi, questo non aiutava né lui né Max a mitigare il senso di impotenza.
Un sospirò fece incurvare impercettibilmente il corpo di Ratchet, per nulla a suo agio in quelle situazioni ma incapace di sentirla parlare con un tono tanto distrutto.
            «Non lo so» ammise con lo stesso flebile tono di voce, schietto e incapace di mentirle solo per lo scopo di farla sentire meglio, illudendola. La sua speranza era già così debole che di certo non si sarebbe assunto la responsabilità di vederla spegnersi in caso di esito negativo di quella missione.
Delicato poi le poggiò la punta del dito indice sulla testa, sfregando leggermente il metallo tiepido sopra la folta matassa di ricci corvini prima di tornare a digitare rapidamente sulla tastiera. Il gesto prese alla sprovvista Max ma un timido suono di protesta e divertimento uscì dalle sue labbra mentre tentava di sistemare quel groviglio di lunghi capelli legati distrattamente in una crocchia disordinata.
            Un tiepido e minuscolo sorriso fu più che sufficiente a rasserenare la scintilla del vecchio medico Autobot, intimamente sollevato di sapere come la stessa ragazzina dolce che aveva vissuto con loro nell’ultimo anno era ancora lì. Seppellita da una coltre di dolore che stava lentamente tentando di digerire e superare.
Avrebbe dovuto portare ancora un po’ di pazienza.
            «Da quanto tempo li conosci?» domandò il piccolo Raf, incuriosito mentre studiava Switch da diverse angolazioni per studiarne il funzionamento.
            «Più o meno… un anno credo - rispose pensierosa Max prima di notare il leggero tremore sui quattro arti metallici del robot, -attento a non tenerlo sotto sopra per troppo tempo, diventa intrattabile poi»
            «Oh, scusa piccolino» esclamò riportando Switch in una posizione neutra, mentre i suoi cinguettii di protesta si fecero sentire più del dovuto.
Jack e Miko finalmente riuscirono a finire in meno di mezz’ora di raccogliere e radunare tutti i pezzi che Bulkhead aveva distrutto del braccio meccanico, ora abbandonato in una pila scomposta ai piedi della piattaforma rialzata, su cui salirono i due non appena poterono.
            : Max, inserisci le coordinate. Presto! Il richiamo di Optimus dal comlink fece scattare sull’attenti Max che slittò verso la propria postazione e digitò rapidamente alcuni comandi da terminale.
            «Coordinate inserite, Ratch. Il Groundbridge è pronto» esclamò dando così il permesso a Ratchet di aprire il Groundbridge, seguendo poi a ruota i tre ragazzi che si sporsero dalla balaustra metallica per vedere il ritorno degli altri.
            Il peso natole in petto non diminuì affatto neanche quando vide gli Autobot sfrecciare a grande velocità fuori dal Groundbridge, Optimus trasformatosi rapidamente prima che il portale venisse chiuso subito da Ratchet, impedendo così all’esplosione che li stava seguendo di danneggiare qualcosa all’interno della base.
Lo sbalordimento e l’incredulità era chiaramente visibile sui volti dei tre ragazzi che erano rimasti a bocca aperta di fronte quell’entrata spettacolare, ignari delle cupe espressioni che i cybertroniani avevano in quel momento.
            Max tirò un sospiro di sollievo quando li vide tutti in piedi, o quasi, mordendosi il labbro inferiore fino a sentire il sapore ferroso del sangue quando si accorse che non c’era l’unico -che forse in quel momento sperava egoisticamente di vedere in piedi assieme agli altri Autobot.
            «Avete fatto molto in fretta, -esclamò Ratchet, abbassando poi lo sguardo su Max che cercava con una certa urgenza quello che era come un fratello per lei, -… e come sta Cliffjumper?»
Il silenzio improvviso calò tra gli Autobot e quando Optimus chinò la testa fu chiara la risposta a quella domanda, ma Miko non sembrò accorgersene del pesante momento, irrompendo esuberante ed eccitata per l’esplosione di poco prima.
            «Che cos’è quell’esplosione? Avete lottato? Ci portate la prossima volta?»
Max non ebbe neanche il tempo di voltarsi che Arcee la anticipò nella risposta, impedendole di fatto di pentirsi di quello che avrebbe potuto dire in quel momento senza ragionare. Jack trascinò a forza con sé Miko, con una pallida scusa per dare del tempo agli Autobot di piangere il loro amico.
            «Arcee che cosa hai visto?» incalzò allora Optimus dopo che i due si furono finalmente acquietati.
L’Autobot si chiuse in un abbraccio silenzioso, socchiudendo lentamente gli occhi «Non era più Cliff. Era… come uno degli esperimenti dei Decepticon»
Provando a compiere qualche passo in avanti Arcee venne prontamente afferrata da Bumblebee che cinguettò preoccupato, aiutandola poi a sedersi dopo un momento iniziale di vertigini. Gli altri Autobot anche seguirono vicino a lei, improvvisamente allerta delle sue condizioni mentre Miko, Jack e Raf si sporsero ancora di più dalla piattaforma rialzata su cui si trovavano.
            «Robot che hanno le vertigini» iniziò Miko.
            «Robot che provano emozioni…» continuò Raf mentre smise di carezzare Switch, in piedi sulle sue mani.
            «E possono morire» concluse Jack quando finalmente tutti e tre parvero venire colpiti dalla immediata realizzazione di come quelli non fossero semplici macchine.
            Quegli esseri erano di un altro pianeta, chissà quanti migliaia di anni avanzato rispetto alla Terra. Giganti in guerra da una vita e che avevano sofferto, gioito e pianto come ogni essere umano, come ogni essere vivente.
Max in quel momento non sentì i tre ragazzi mentre arrivavano -finalmente, a quelle conclusioni così infantili, o forse non aveva la forza di rispondergli. L’unica cosa di cui era certa in quel momento era come la flebile speranza di poter ritrovare Cliff ancora vivo, sfumò in pochi secondi: lo sguardo sui volti dei suoi amici Autobot ne fu la prova più evidente.
            Ratchet non perse tempo e iniziò a scansionare Arcee dalla testa ai piedi, individuando e prelevando un campione di una sostanza ignota e di cui Cliffjumper era ricoperto. Spedì poi l’Autobot a fare una decontaminazione urgente e completa.
Il breve momento di silenzio fu interrotto da Jack e Raf che si resero improvvisamente conto di quanto fosse tardi, essendo stati fuori da quel primo pomeriggio dopo scuola. Jack tirò poi fuori il proprio cellulare e si accorse della totale assenza di segnale, spiegata da Optimus riguardo strani e diversi sistemi di isolamento di cui era dotata la base per evitare qualsivoglia sorta di rintracciamento.
            «Sono le dieci passate, ho il coprifuoco» si giustificò prontamente Jack cercando di mantenere un tono calmo nonostante l'agitazione evidente, mentre sperava che la madre non si accorgesse di quel madornale ritardo.
            «Anche io devo tornare a casa o mi mettono in castigo per un anno» esclamò il piccolo Raf con una nota di tristezza nella voce mentre poggiò a terra il piccolo Switch, lasciando che Optimus decidesse quali Autobot li avrebbero riaccompagnati dalle loro famiglie.
            «E Max? Non torna con noi?» domandò Miko improvvisamente ricordatasi di quella strana ragazza che sembrava conoscere già da tempo gli Autobot.
            «Vive qui alla base» tagliò corto Ratchet, continuando ad analizzare la sostanza ignota, ignaro delle occhiatacce di Miko nei suoi confronti. Non le piaceva l’atteggiamento di quell’Autobot più simile ad un vecchio scienziato scorbutico.
            «Piuttosto, dov’è? Era qui con noi un minuto fa»
Gli Autobot si guardarono intorno improvvisamente accortisi della sua scomparsa, e i cinguettii metallici di Bumblebee non fecero che irritare ulteriormente Ratchet.
            Il medico scoccò un’occhiata alla postazione lasciata abbandonata e sospirò, scacciando un poco il senso di colpa improvvisamente formatosi nella sua scintilla quando non si era accorto neanche della defilata di Max. Sarebbe dovuto essere lui il suo guardiano, tenerla protetta da qualsiasi pericolo finché la minaccia dei Decepticon non sarebbe stata eradicata da quel pianeta roccioso; e invece, non riusciva neanche ad accorgersi se l’umana spariva nel mezzo di una conversazione tanto era preso dall’irritazione per quei tre nuovi fardelli di cui si erano fatti carico.
Era Max l’unica di cui si sarebbe dovuto preoccupare, l’unica nativa di quel pianeta che era in grado di non stargli sui nervi… l’unica che in quel momento non era lì.
            «Vive qui? -domandò ingenuamente Raf, -ma i suoi genitori saranno preoccupati»
            «Questo non è qualcosa di cui posso parlare senza il suo permesso. Non intendo tradire la sua fiducia» interruppe Optimus, impedendo qualsiasi ulteriore discussione sull’argomento e finalmente riuscendo a spedire i ragazzi a casa.
            Per l’ennesima volta forse scappare di punto in bianco non era stata la mossa migliore che aveva fatto nell’ultimo periodo. Continuava ad avere l’impressione di non fare altro che sgattaiolare via da tutto quello che le causa dolore, quando erano gli Autobot quelli che avrebbe dovuto consolare.
Erano gli Autobot quelli che avevano appena perso un fidato compagno e amico di innumerevoli battaglie, e lei stava piangendo Cliffjumper dopo averlo conosciuto per poco più di un anno terrestre. Sentiva solo l’egoismo per il proprio bisogno di piangere per quello che era diventato come un fratello per lei, una parte di una famiglia che non ha mai avuto la fortuna di avere.
Troppe ne aveva cambiate, e altrettante l’avevano rifiutata.
Si sentì egoista per sperare che almeno questa durasse un po’ di più.
            «Arcee come sta?» domandò di punto in bianco senza muoversi di un millimetro, improvvisamente cosciente dell’enorme Cybertroniano di oltre dieci metri che si trovava alle sue spalle in religioso silenzio.
            «Starà bene… Cliffjumper non è stato il suo primo compagno caduto, e temo che non sarà neanche l’ultimo» rispose con prudenza l’Autobot, tentando di mantenere la propria voce baritonale al minimo, per non disturbare la quiete della notte.
Optimus vide il capo di Max reclinarsi leggermente in un piccolo cenno, mentre decise di raggiungerla con pochi e misurati passi prima di prendere posto accanto a lei, sul ciglio della montagna dove era scavata la loro base.
Era sempre rimasto incantato dalla tranquillità e dalla meraviglia che il cielo terrestre riuscisse a trasmettere, non gli venne difficile credere che gli umani spesso cercassero rifugio tra le stelle quando cercavano di mettere a tacere le proprie paure, anche se solo per qualche ora. Anche se notò, con una punta di rammarico, come non fosse visibile la porzione di galassia dove si trovava Cybertron; avrebbe potuto indicarla senza esitazione, ma non poterla neanche ammirare era una dolorosa costrizione per la sua vecchia scintilla.
            L’Autobot ebbe però l’intuizione che la piccola umana al suo fianco non condividesse la stessa tranquillità che quella notte trasmetteva a lui, nonostante il lutto ancora presente per la morte di Cliffjumper. Era chiusa in sé stessa e sembrava come al solito decisa a non mostrarsi debole con gli altri, un atteggiamento che aveva notato immediatamente ma che Optimus sperava avrebbe risolto prima o poi.
Loro c’erano sempre e Max sapeva di poter contare su di loro, la loro fiducia se l’era guadagnata da parecchio.
            «A volte ti invidio, sai? Riesci sempre ad essere calmo anche durante le battaglie, a malapena riesco a trattenere le lacrime in questo istante – iniziò Max con voce flebile, si interruppe e tirò su col naso, -non dovrei piangere io Cliffjumper, non in questo momento… non in questo modo»
Un leggero silenzio calò tra i due a quella confessione inaspettata. Optimus si ritrovò per un attimo spiazzato da quella sincerità improvvisa ma non poté che esserne felice, sollevato che finalmente Max si stesse confidando, riponendo finalmente la sua fiducia in qualcuno di loro.
            «Se c’è una cosa che ho potuto apprendere in questo periodo qui sulla Terra è quanto breve sia la vita di voi esseri umani. Con un tempo così limitato siete portati ad esprimere le vostre emozioni in maniera così… significativa. Siete creature capaci di estrema empatia ma anche di immensa crudeltà, spietatezza che ho visto solamente in alcuni Decepticon» disse d’un tratto Optimus, scegliendo con cura le proprie parole.
Max alzò la testa confusa, con gli occhi lucidi incrociò le ottiche azzurre dell’Autobot, non capendo, «Dove vuoi arrivare, Optimus?»
            «Sei dotata di grande empatia e l’immenso aiuto che hai dato a noi Autobot in questo poco tempo è inestimabile, abbiamo un debito a vita nei tuoi confronti. Non hai alcun motivo di provare vergogna per il tuo bisogno di esprimere un’emozione – calcò per un attimo l’ultima frase, assicurandosi di aver fatto capire la serietà e la sincerità delle sue parole, -Io… ho semplicemente avuto più tempo per imparare quando c’è bisogno di essere calmi e quando no. Gli Autobot contano sulla mia guida»
            Quelle parole le entrarono lentamente in testa, rassicuranti come poche volte nella sua vita. Parole sicure ma attente e sincere… Optimus era senza dubbio una delle creature più oneste che avesse mai incontrato, non c’era stata una volta in cui l’avesse sentito mentire o dire qualcosa che potesse nuocere volontariamente ad un altro Autobot o essere umano. Neanche Fowler, per quanto irritante c’era riuscito.
Con il cuore meno dolorante, alzò lo sguardo e ammirò per alcuni minuti il cielo notturno. Nonostante non amasse il clima torrido del Nevada o la vista di tutta quella sabbia, non poté fare a meno di sentire una ondata improvvisa di calma distenderle tutti i nervi tesi fino a quel momento. La tranquillità di quel luogo era stata di certo una delle migliori fortune di quegli ultimi anni.
            «Qualche volta… anche chi guida gli altri ha bisogno di sfogarsi, sai Optimus?» esclamò poi Max mettendosi in piedi, rivolgendo un piccolo sorriso stanco all’Autobot che ricambiò con un cenno del capo.
Rimaneva solo un’altra questione da risolvere in quel momento.
            Anche se non ne era sicura, per una volta sperò timidamente che il suo guardiano avesse ceduto alla stanchezza, decidendo di andare finalmente a ricaricarsi. Ma così non fu.
Ratchet era ancora in piedi, mentre picchiettava ritmicamente sulla tastiera nella propria postazione, non si accorse dell’apertura dell’ascensore da cui fece timidamente capolino Max. Camminò silenziosamente fino all’imbocco del ponte rialzato che portava alla sua solita postazione, fermandosi proprio in prossimità degli enormi schermi traslucidi.
            Il medico Autobot smise di digitare sulla tastiera e rivolse finalmente la sua attenzione poco più in basso, corrucciando l’espressione come confuso ma prima che potesse dire nulla, Max lo anticipò.
            «Scusa, Ratch… non volevo farti preoccupare» disse a bassa voce, ringraziando il perfetto funzionamento dei suoi ricettori audio che non la costrinse a ripetere le sue parole.
Ratchet scosse la testa abbandonando definitivamente l’ennesima compilazione di dati, notando solo in quel momento quanto in realtà fosse tardi secondo gli orari degli umani.
            «Non devi scusarti di niente…» la tranquillizzò senza particolare dolcezza nelle parole, constatando la stanchezza dell’umana dall’enorme sbadiglio che tentava di nascondere con scarsi risultati.
Silenziosamente allungò una mano e diede un cenno d’assenso quando Max lo guardò, aspettando come sempre il suo permesso prima di poterlo toccare -così come lo aspettava per tutti gli altri Autobot, accomodandosi poi con sua sorpresa tra il collo e le placche dell’esoscheletro che erano ancorate alle sue spalle.
            «Ancora non mi abituo a qualcuno che si preoccupa per me» mormorò con un filo di voce Max mentre si raggomitolò su sé stessa, confortata dal metallo tiepido e sentendo Ratchet riprendere a digitare sulla tastiera.
            Che il suo guardiano non fosse il migliore con le parole lo aveva scoperto subito, schietto e senza peli sulla lingua non aveva problemi a dire in faccia quello che lo irritava. Altrettando disinvolto non lo era se doveva consolare qualcuno, neanche lontanamente abituato a dire qualcosa che non fosse un commento pungente ma con Max quell’atteggiamento non durò molto.
Sapeva perfettamente dei suoi goffi tentativi di non essere sempre scorbutico ma erano le silenziose azioni come quella che le scaldavano il cuore. Ratchet non sarà stato molto bravo nel confortare a parole ma quei gesti erano quanto di più Max avesse mai potuto sperare.
Gli Autobot erano una famiglia che ci sarebbe sempre stata per lei.
   
 
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