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Autore: Ciarax    30/11/2021    0 recensioni
"Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri."
- Cesare Pavese -
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Ma non è la solitudine in sé il problema ma quello che porta le persone a compiere a causa sua. E rimanere soli forse è peggio che venire feriti da chi si ama di più.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Autobot, Nuovo personaggio, Optimus Prime, Ratchet
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Transformers: Prime
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CAPITOLO - I

 
 
            «Il sole deve averti fritto qualche circuito»
Una risata dal comlink rimbombò all’interno della base quasi deserta.
            : Se anche la piccola Max è preoccupata per me deve essere proprio il mio giorno fortunato.
            «Non montarti la testa, Cliff. Aspetta solo di rientrare alla base e poi ti faccio vedere io chi è che si preoccupa per una testa di metallo dura come la tua» rimbeccò Max con una nota di esasperazione, un sorriso divertito sulle labbra a tradire il tono falsamente severo.
            : Forse lasciarti con Ratchet non è stata una scelta molto saggia da parte di Optimus.
Ratchet, sentendosi chiamato in causa si girò scoccando un’occhiata irritata verso il comlink, tornando poi a prestare la propria attenzione agli schermi che aveva dinanzi a sé, borbottando qualcosa di incomprensibile.
            La conversazione terminò lì e Max riprese a lavorare sul piccolo Switch: un piccolo robottino quadrupede in grado di muoversi autonomamente. Era l’ennesima volta che tentava di sistemare il piccolo pannello solare che montava sull’esoscheletro, per permettergli una ricarica in caso si fosse scaricata la batteria ma quella primitiva intelligenza artificiale continuava a scambiare qualsiasi fonte di luce artificiale come una naturale.
Il risultato naturalmente non portava a quello sperato, e Max era esasperata dalla testardaggine che il suo piccolo amico che aveva costruito -quando aveva poco più di dodici anni, fosse in grado di dimostrare.
            Dopo l’ennesimo risultato inconcludente nel trovare una fonte di Energon, Max ebbe l’impressione di trascorrere un’altra giornata nello stesso identico modo rispetto ai mesi passati ma dovette ricredersi quando vide tutti gli Autobot attraversare il Groundbridge con una tale fretta, lasciandola da sola alla base nell’arco di un paio di minuti.
            : Ratchet, mi ricevi? Siete arrivati sani e salvi? Non trovo il segnale di Cliffjumper vicino a voi, la voce dal comlink risuonò nei canali audio del medico e degli altri Autobot presenti in quella miniera oramai abbandonata.
            «Apri il Groundbridge» l’ordine era risuonato secco e senza un’altra risposta dall’altro capo della comunicazione. Il Groundbridge si aprì dietro di loro senza alcuno scambio di conversazione e gli Autobot lo attraversarono senza esitazione.
            Il silenzio accolse gli Autobot al loro rientro dalla missione, con il solo solito click sulla tastiera che raramente si interrompeva durante il giorno. La base era illuminata a sufficienza per lo più grazie agli enormi schermi olografici su cui Ratchet lavorata ininterrottamente, mettendo raramente piede sul campo; mentre poco più giù c’era una base rialzata a sufficienza che ospitava alcuni computer a dimensione di essere umano, sempre occupati.
            Max alzò lo sguardo dalla sua postazione e incrociandolo con Ratchet che scosse la testa, si trattenne dal domandare quello che più le premeva sapere in quel momento. Osservò silenziosamente il rientro dei Cybertroniani, chiusi in un mutismo piuttosto eloquente e senza bisogno di parole capì cosa fosse successo.
Cliffjumper non ce l’aveva fatta. O almeno qualcosa doveva essere andato seriamente storto perché Arcee non era con loro.
            Arcee non riusciva a perdonarselo. Tre anni di inattività e al primo scontro con i Decepticon uno di loro era stato fatto brutalmente fuori: Cliffjumper era stato lo sfortunato tra loro che aveva avuto il destino segnato da quello scontro e lei non sapeva come si sarebbe potuta perdonare con quel senso di colpa.
Mentre sfrecciava tra le strade deserte che portavano alla piccola cittadina di Jasper, sperò solamente che nessun altro di loro avrebbe dovuto subire lo stesso destino del suo più vecchio amico, finché sarebbero rimasti su quel pianeta roccioso.
            Alla base la situazione non era oltremodo leggera: Optimus si era ritirato e Bulkhead in quel momento non sembrava prestare particolare attenzione a quello che lo circondava quindi i due rimasero a lavorare in silenzio per un paio d’ore; mentre Bumblebee si era presto dileguato per fare alcuni giri di perlustrazione in modo da tenere tutto sotto controllo.
            «Ratch…» l’atmosfera all’interno della base si era fatta improvvisamente pesante, mentre il medico Autobot rivolse solo un’occhiata all’umana seduta vicino gli enormi computer sul ponte rialzato.
            Max non riusciva a concentrarsi sui dati che le scorrevano sullo schermo, anche se per quanto era stato lo shock della perdita di Cliffjumper, per gli Autobot l’accaduto doveva essere stato ancora più sentito. Avrebbe voluto rispettare il loro silenzio ma non riusciva a rimanere immobile mentre sembravano tutti sommersi dal lutto. Dove persino Ratchet era stato tanto scosso da mostrare qualcosa in più rispetto alla solita espressione corrucciata, e questo era un segnale chiaro e forte di quello che stavano passando.
            Ratchet non poté fare altro che trattenere un sospiro cogliendo la scintilla di tristezza negli occhi verdi di Max, la stessa umana che era stata al loro fianco nell’ultimo anno. Anche lei stava soffrendo come loro per la perdita di Cliffjumper ma aveva deciso di rimanere una silenziosa presenza di conforto, ben consapevole di come le parole lì non sarebbero state in grado di mitigare lo sconforto.
            «Ci serve solo un po’ di tempo» sospirò il medico Autobot con un tono sommesso, forse per la prima volta dopo chissà quanto tempo.
Gli unici che mancarono per quasi l’intera giornata furono Arcee e Bumblebee che fecero ritorno alla base solo nel pomeriggio inoltrato, richiamati poi da Optimus e ragguagliato immediatamente sullo scontro con i Decepticon e il coinvolgimento non intenzionale di alcuni esseri umani. Il cinguettio metallico di Bumblebee fu quello che attirò l’attenzione del piccolo Switch, intento a ricaricarsi inutilmente vicino ad all’ennesima fonte di luce artificiale; uscendo dallo standby iniziò a camminare verso la fonte del rumore, evitando alcuni attrezzi lasciati in giro da Max, immersa nel suo disordine e per nulla accortasi della scomparsa del suo amico robotico.
            Fu solo quando un pesante tonfo metallico riverberò all’interno della base che Max si scosse dalla sua concentrazione totale verso i dati sullo schermo. Girò la testa e notò come persino Ratchet si voltò a cercare la fonte del rumore, ossia Bumblebee, lanciatosi a terra in un gesto istintivo per evitare una caduta rovinosa a Switch dal ponte rialzato che gli avrebbe causato seri danni.
            «Quel piccoletto ha seriamente bisogno di una sistemata» commentò Arcee con un piccolo sorriso divertito mentre osservava Bumblebee e Switch comunicare tramite click e cinguettii metallici, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
            «Con una potenza di calcolo così piccola provaci te a farlo funzionare come si deve» borbottò la ragazza prima di scrollarsi di dosso l’irritazione improvvisa che sentì montarle in petto. Sospirò, sapendo che non era colpa di Arcee se sentiva che tutto in quel momento era un totale caos, si alzò dalla sedia su cui era rimasta seduta dalla notte precedente e lasciò che Bumblebee depositasse Switch sulla sua spalla.
            L’Autobot spinse il piccolo robot con movimenti delicati e rivolse uno sguardo inquieto verso Max che sorrise leggermente per tentare di rassicurarlo, prendendo una delle razioni che l’Agente Fowler le mandava mensilmente e aspettò l’apertura dell’ascensore che portava fuori la base, «Vado a prendere un po’ d’aria»
            «Ho detto qualcosa che non va?» domandò improvvisamente preoccupata Arcee, mentre gli Autobot osservarono Max prendere l’ascensore per arrivare sul tetto della base a prendere un po’ d’aria. Ratchet scoccò un’occhiata alla postazione vuota dell’umana e riprese il proprio lavoro in silenzio mentre gli altri iniziarono a ritirarsi per la notte, con la pesantezza degli ultimi due giorni ad incombergli pesantemente tra i circuiti.
            L’aria torrida del deserto non era decisamente il tipo di aria “fresca” in cui avrebbe sperato Max, ma almeno era fuori dalla base e poteva rimuginare senza il rischio di far preoccupare qualcuno degli Autobot. Capì immediatamente come essendo l’unica presenza umana costante nella vita dei sei -cinque Autobot in quell’ultimo anno, si erano rapidamente affezionati a lei, sentimento ben ricambiato; ma questo a volte la faceva sentire anche costretta, volendo essere sempre il punto ottimista in quel gruppo che era diventato presto una famiglia.
            L’atteggiamento ottimista però non impedì a Optimus o Ratchet di notare quando Max era preoccupata per qualcosa o nervosa, ma non voleva addossargli anche i suoi di problemi. Dopotutto, con esseri vecchi di milioni di anni, cosa potevano essere se non frivolezze i problemi di un essere umano, infinitesimamente più piccolo e con un’aspettativa di vita tanto breve?
Non aveva alcun motivo di far pesare anche i propri dilemmi sulle spalle degli Autobot, specialmente ora che i Decepticon avevano fatto nuovamente capolino dopo tre anni di inattività. Avrebbe sommerso tutto buttandosi nei propri progetti o nel lavoro di supporto così come aveva fatto nell’ultimo anno, e così come faceva da una vita.
            Solamente il pigolio di Switch la distrasse dai propri pensieri, il piccolo robot si era ricaricato a sufficienza con i pochi raggi solari del sole oramai tramontato da un pezzo. Senza volerlo doveva essere rimasta lì più tempo del previsto e gettando uno sguardo all’orizzonte, sospirò.
Un anno ma ancora non si era abituata a quelle razioni militari e la mancanza di appetito non l’aiutava certo a mandare giù quel cibo insipido. Pensò invece di passare quelle poche ore che ancora mancavano prima del sorgere del sole ad eseguire un’ennesima scansione sul territorio circostante a diverse profondità, sperando che qualche giacimento di Energon fosse lì da qualche parte.
            Fu Ratchet l’ultimo a decidere di staccare dalla propria postazione, e accorgendosi solo in quel momento del flebile cinguettio di protesta di Switch poco più in basso. Lo schermo era bloccato su una sequela di dati compilati per metà, mentre Max era appisolata sulla tastiera e che con la mano schiacciava il povero Switch incapace di muoversi.
Con attenzione l’Autobot riuscì a liberare il piccolo robot che pigolò qualcosa e si richiuse in sé stesso, andando finalmente in standby e lasciando Ratchet con l’onere di dover decidere se svegliare o meno Max.
            Si era a malapena accorto del suo rientro ma talmente abituato alla sua presenza costante che non aveva prestato attenzione all’improvviso ricominciare del picchiettare ritmico sulla tastiera. Era decisamente tardi e anche quella volta Max si stava concedendo solo un paio di ore scarse di riposo, dando così anche l’occasione a Bulkhead e Bumblebee di prenderlo in giro e rimarcare come i comportamenti dell’umana fossero sempre più simili al suo guardiano.
Non che l’avesse ignorata, quella fase era stata superata da talmente tanto tempo che neanche ricordava più, arresosi presto all’idea di avere quella piccola creatura organica sempre intorno a sé. Con un lieve sospiro si ripromise di parlarle per costringerla a fare più attenzione alla propria salute, nettamente più fragile di quella di un Cybertroniano; la prese con attenzione e la depositò con cautela sulla branda che aveva reclamato come proprio letto da un anno oramai, accoccolandosi su sé stessa una volta toccata la superfice scomoda.
            Ratchet gettò un’occhiata sulle razioni rimaste di quel mese e si accorse con un certo disappunto di come fossero più del previsto, dai dati raccolti in quei tre anni e l’esperienza diretta gli era parso immediatamente chiaro come gli umani necessitassero di una consumazione regolare e giornaliera per essere funzionali. Cosa che Max non stava facendo, ignorando non solo il cibo ma anche la quantità minima di sonno richiesto.
Quell’umana si stava rivelando veramente un’impresa e ingenuamente si chiese da dove stesse prendendo un esempio tanto deleterio per la sua persona.
            «Arcee e Bumblebee sono in arrivo…»
            «Qualcosa non va?» domandò Max sentendo l’esitazione nelle parole di Ratchet che però non fiatò e si limitò ad aprire l’ingresso della base, permettendo ai due Autobot di fare rientro.
Arcee e Bumblebee lasciarono che gli umani si allontanassero di un paio di metri prima di poter riprendere la loro forma, mentre Bulkhead si avvicinò loro incuriosito.
            «Ma non erano solo due gli umani?» domandò Ratchet affiancando Bulkhead, confuso se per caso non avesse sentito male il giorno prima ma certo che i suoi recettori audio fossero perfettamente funzionanti.
Lì c’era decisamente un umano di troppo.
            «Oh ma non lo sai? Gli umani si moltiplicano» fu il commento sarcastico di Arcee dopo aver ripreso le proprie sembianze e affiancandosi agli altri Autobot.
L’unica ragazza del trio si allontanò un poco dagli altri e assalì di domande il povero Bulkhead, zittito da quel concentrato di eccitazione ed euforia. Sommerso dalle mille domande di Miko, l’Autobot non riuscì a seguire la conversazione degli altri dove Raf si fece timidamente avanti, intimamente incuriosito da quelle creature totalmente fuori ogni logica e schema.
            «Non capisco, se siete robot chi vi ha costruito?»
Per un attimo il volto di Ratchet mostrò qualcos’altro oltre indifferenza, ma si ricompose immediatamente tradendo solo una vaga irritazione.
            «Ma per favore…» borbottò sposando lo sguardo di lato, risentito da un’insinuazione tanto ingenua quanto scortese nei loro confronti.
Max, nonostante l’empatia provata nei confronti di Ratchet non disse nulla per non rendere nota la sua presenza, preferendo osservare dalla sua solita postazione quei tre ragazzi alquanto eterogenei tra loro. La diciannovenne era pressoché sicura di come il più grande tra loro fosse comunque di un paio d’anni più piccolo di lei, e dando retta la proprio istinto pensò come il ragazzino che sembrava già tanto attaccato a Bumblebee fosse un piccolo genio.
Persino lei dopo quasi un anno ancora aveva qualche difficoltà a capire il povero scout degli Autobot quando era in preda alla agitazione, e invece quel piccolo Raf era stato in grado di entrarci immediatamente in sintonia.
Un gruppetto alquanto ben assortito.
            Fu poi Optimus ad attirare l’attenzione su di sé, una volta fatta la conoscenza dei tre umani e averli messi al corrente della loro guerra plurisecolare, che purtroppo aveva raggiunto anche la Terra. Di tutti però l’unico quasi interamente catturato dal racconto fu Jack, mentre il piccolo Raf era ancora intento a capire come potessero esistere creature del genere, non costruite dal genere umano.
            «Sembra un gioco a quiz» esclamò Miko palesemente annoiata e facendo storcere il naso di Max a quell’atteggiamento irrispettoso.
            «Ma che cosa c’entriamo noi con questo Megatron? Non riesco a capirlo» ne approfittò intromettendosi Jack. Anche se quella situazione aveva del surreale, non capiva cosa avesse richiesto il loro coinvolgimento se nessuno di loro tre aveva mai visto questo tanto temuto leader dei Decepticon.
            «Di Megatron non si hanno notizie da parecchio tempo – concesse Optimus cogliendo l’esitazione in quei tre giovani umani, -ma se ha deciso di tornare all’attacco potrebbe essere una versa catastrofe»
            Ci fu solo qualche minuto di silenzio in cui Optimus lasciò che i tre digerissero un minimo quella importante mole di informazioni. Ben consapevole di come gli esseri umani fossero alquanto ingenui nei confronti di ciò che divergesse rispetto al naturale corso della loro esistenza, l’unica eccezione forse la riscontrò quando Max scoprì di loro: quando l’anno prima le loro strade si incrociarono quasi per caso e la notizia dell’esistenza di creature extraterrestri avanti anni luce non sembrò turbarla affatto, al contrario, l’unica emozione che sembrò cogliere nel suo sguardo fu la curiosità pura e genuina. La curiosità infantile di qualcosa di nuovo.
            «Dal momento che da oggi sapete della nostra esistenza è molto probabile che anche i Decepticon sappiano della vostra» attirò nuovamente l’attenzione il leader degli Autobot con tono grave.
            «Okay, se vediamo auto strane chiamiamo la polizia» tentò di essere sbrigativo Jack prima di venire interrotto dalle vivaci proteste di Miko che vennero ignorate da Max.
Riportando l’attenzione sullo schermo di fronte a sé, riprese a compilare alcuni dati mancanti di progetti rimasti incompleti o mai iniziati, mentre con la mano destra infastidiva giocosamente Switch che non la smetteva di emettere piccoli versi metallici di protesta sentendosi ogni volta sbilanciato da una parte o dall’altra.
            Max non si accorse dello sguardo di Ratchet su di sé, che da quando quei tre umani avevano fatto capolino alla base lei non si era ancora presentata, al contrario, era da quella mattina che si era chiusa sui suoi progetti e aveva a malapena detto due parole, saltando nuovamente i pasti. Se quello fosse stato dettato semplicemente dal suo solito carattere o parte del problema fosse dovuta anche alla recente perdita di Cliffjumper, Ratchet non ne era sicuro ma quell’indolenza così prolungata iniziava ad essere molto strana anche da parte di una personalità eccentrica e fuori dagli schemi come quella di Max.
            «È meglio che voi restiate sotto la nostra protezione, almeno finché non capiamo quali siano le intenzioni dei Decepticon» decretò finalmente Optimus, giungendo all’unica conclusione logica per la salvaguardia sia degli Autobot di cui era responsabile sia degli umani che si erano ritrovati lì senza saperlo.
            «Amico mio, con tutto il sincero rispetto… questi sparkling -bambini umani sono in pericolo qui come in qualsiasi altro posto del mondo. Non hanno nessun esoscheletro protettivo e se ne capita uno sotto il piede rimangono… schiacciati» si intromise finalmente Ratchet, irritato e contrario sin dall’inizio dal coinvolgere ulteriormente quei tre -originariamente due, umani. Calcò in particolare l’ultima parola e rendendo chiaro come lì il problema fosse più grave di quanto nessuno di loro forse avesse seriamente considerato.
            Max osservò divertita quel tentativo di far cambiare idea ad Optimus, anche se con lei era stato molto più diretto, Ratchet fu piuttosto eloquente nell’esprimere il suo punto di vista. Non era preoccupazione per l’incolumità di quei tre esseri umani, ma la semplice noia nell’averli in giro per la base senza controllo.
Gli umani non si erano dimostrati particolarmente simpatici agli occhi del medico Autobot che evitava parsimoniosamente ogni contatto con la specie nativa di quel pianeta, arresosi solo alla costante presenza di Max all’interno della base, considerabile come l’unico esemplare di umano che non stesse sui nervi a Ratchet. Non che avesse avuto particolare scelta da quando l’avevano incontrata, non c’era comunque nessuno legato a lei e questo le permise anche di potersi stabilire definitivamente alla base degli Autobot.
            «Ed è per questo motivo Ratchet che dobbiamo stare attenti a dove ci muoviamo…»
Optimus non fece in tempo a finire la frase che l’assordante rumore di un allarme risuonò chiaro e forte tra le pareti rocciose, illuminate a cadenza regolare dal segnale di prossimità attivatosi improvvisamente e attirando l’attenzione di tutti.
            «Fowler è in arrivo» informò semplicemente Max mentre spense l’allarme, aprendo poi l’immagine di sicurezza presente sul tetto su uno degli enormi schermi di Ratchet.
La voce sconosciuta mise improvvisamente sull’attenti i tre ragazzi che alzarono di poco lo sguardo e si accorse finalmente della quarta presenza umana che era dentro la base con loro. Seduta pigramente sulla sedia, Max rivolse loro malapena uno sguardo ma smettendola finalmente di torturare il suo piccolo amico che smise di protestare e si riassestò delicatamente sui quattro arti mobili come quelli di un aracnide.
            «Avevo capito che noi fossimo gli unici a sapere di voi» esclamò finalmente Jack, improvvisamente agitato. Non sapeva come reagire quando nessuno di loro si era accorto della presenza di quella ragazza che doveva essere stata lì per tutto il tempo, sentendoli sclerare e porre domande senza freni.
            «L’agente Speciale Fowler è il nostro collegamento ufficiale col mondo esterno. In genere ci fa visita solo in caso di… problemi» spiegò Optimus fermandosi un attimo per calibrare con cura le parole, incerto su come continuare.
            «Non mi riferivo solo a lui»
            «Meglio se vi nascondete, Fowler non ha un carattere così facile. A malapena mi sopporta, altri tre umani lo manderebbero ai pazzi» esclamò Max ricevendo occhiate stranite, guardando come i tre ragazzi seguirono alla lettera il suo suggerimento.
Se Fowler era lì, non era certamente una visita di cortesia e Max non poté fare altro che sperare come la situazione non peggiorasse ulteriormente. Incerta se avrebbe retto ad una qualsiasi altra perdita.
            Sospirò e scosse la testa, aspettando l’arrivo di Fowler e preparando mentalmente una serie di possibili valide spiegazioni per poter giustificare la presenza di ulteriori tre esseri umani -per di più adolescenti e un bambino, all’interno di una ex base militare adibita a centro di un gruppo di alieni giganti.
Quella giornata non si prospettava delle più rosee, ma qualcosa sembrò dirle come non ci sarebbe voluto molto a peggiorare ancora di più.
   
 
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