Incantesimo
Il cibo era delizioso, caldo e saporito, le riempì la bocca di note ormai lontane, un ricordo cercò di affiorare nella sua mente: quei sapori parlavano d’infanzia …
“Ti senti meglio?” Chiese la donna, interrompendo il filo dei suoi pensieri e riportandola al presente.
“Sì.” Affermò ed incontrò gli occhi scuri della donna che la guardava, vi era qualcosa di profondo in essi. “Mi chiamo Sarah.” Si presentò, rendendosi conto di non averlo ancora fatto.
“Sarah Wilson.” Confermò la donna e sorrise nel vedere il suo sguardo sorpreso.
“Oh!” Rise, colpendo la targhetta che aveva sul petto: ogni scienziato aveva il nome scritto sugli indumenti.
“Puoi chiamarmi Anguta.” Quel nome solleticò la sua memoria, dove lo aveva già sentito? “È un nome Inuit.” La aiutò la donna, quasi leggendole nella mente, ed ecco che improvvisamente i tratti della donna ebbero senso. Era strano come ogni cosa arrivasse al suo cervello con un po’ di lentezza, come se i suoi sensi fossero lenti nel comunicare al suo cervello le informazioni.
“Sei stanca, il passaggio è sempre… complicato.”
“Passaggio?” Chiese e Anguta annuì, poi le sorrise di nuovo. “Dimmi, cosa facevi tra i ghiacci?”
I suoi occhi si illuminarono, mentre pensava alla sua ricerca e, in poco tempo, era completamente assorbita nella narrazione. La donna la guardava, sembrava assorbire ogni sua parola, i penetranti occhi scuri concentrati su di lei, sorrideva, annuiva, chiedeva. E, per quanto tutto ciò fosse assolutamente impossibile, lei si perse in quegli occhi scuri e nel loro incantesimo.
Il cibo era delizioso, caldo e saporito, le riempì la bocca di note ormai lontane, un ricordo cercò di affiorare nella sua mente: quei sapori parlavano d’infanzia …
“Ti senti meglio?” Chiese la donna, interrompendo il filo dei suoi pensieri e riportandola al presente.
“Sì.” Affermò ed incontrò gli occhi scuri della donna che la guardava, vi era qualcosa di profondo in essi. “Mi chiamo Sarah.” Si presentò, rendendosi conto di non averlo ancora fatto.
“Sarah Wilson.” Confermò la donna e sorrise nel vedere il suo sguardo sorpreso.
“Oh!” Rise, colpendo la targhetta che aveva sul petto: ogni scienziato aveva il nome scritto sugli indumenti.
“Puoi chiamarmi Anguta.” Quel nome solleticò la sua memoria, dove lo aveva già sentito? “È un nome Inuit.” La aiutò la donna, quasi leggendole nella mente, ed ecco che improvvisamente i tratti della donna ebbero senso. Era strano come ogni cosa arrivasse al suo cervello con un po’ di lentezza, come se i suoi sensi fossero lenti nel comunicare al suo cervello le informazioni.
“Sei stanca, il passaggio è sempre… complicato.”
“Passaggio?” Chiese e Anguta annuì, poi le sorrise di nuovo. “Dimmi, cosa facevi tra i ghiacci?”
I suoi occhi si illuminarono, mentre pensava alla sua ricerca e, in poco tempo, era completamente assorbita nella narrazione. La donna la guardava, sembrava assorbire ogni sua parola, i penetranti occhi scuri concentrati su di lei, sorrideva, annuiva, chiedeva. E, per quanto tutto ciò fosse assolutamente impossibile, lei si perse in quegli occhi scuri e nel loro incantesimo.