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Autore: MaikoxMilo    05/12/2021    2 recensioni
Le voci di tenebra azzurra, cheta ma terribile, si stanno allungando sempre di più sul nostro mondo. Sono latrati di sofferenza che, rantolando, vanno sparendo sempre di più, sono singulti di dolore che affogano nel silenzio di una frattura spazio-temporale, sono pianti inermi di bambini che non sono mai nati. Tutto porta ad un unico filo conduttore, tutto è manovrato da un solo, unico, burattinaio che agisce in virtù di uno scopo più alto, imprescindibile. La Dimensione Terra, la dimensione delle possibilità, unica ancora a resistere nel Multiverso algoritmico, sta per venire risucchiata da un'altra estensione, vicina ma lontana, gemella ma distante: il luogo natio del Mago medesimo, Ipsias. L'altra. L'infinitamente ineffabile.
Ciò che è successo lassù, quale correlazione ha con la Dimensione Terra? Potrà la Melodia della Neve, la melodia di tutte le cose, opporvisi?
Nuove esperienze e battaglie attendono i Cavalieri d'Oro del XXI secolo, sempre accompagnati da Marta, Michela, Francesca e Sonia, ormai entrate di diritto tra le schiere dei custodi del tempio.
In un mondo che va eclissandosi... sarà possibile una nuova luce?
Naturalmente si tratta del seguito di Sentimenti che attraversano il tempo, del quale è necessaria la lettura!
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 12: Contatto

 

 

N.B: Questo capitolo si situa circa due settimane dopo l’attacco su più fronti al Santuario (16 novembre 2011) e, per essere compreso, necessita della lettura dei primi sei capitoli dei 5 Pilastri di Marduk. Ci risentiamo in fondo per le consuete spiegazioni :)

 

 

30 novembre 2011, tarda mattinata

 

 

Oggi è il ventunesimo compleanno di Francesca ma mi trovo ancora sull’isola di Milos ad assolvere gli ultimi giorni di punizione. Provo un’ansia sempre più crescente mano a mano che si avvicina il giorno del ritorno, che dovrebbe coincidere con il 4 dicembre. Credo di aver visitato l’isola in lungo e in largo almeno due volte, dopo gli ultimi fatti accaduti è diventato sempre più difficile stare qui buona, soprattutto quando ho appurato che il Santuario è stato attaccato e che hanno fatto quelle determinate cose a mio fratello.

Già, determinate cose… che ovviamente lui non mi ha raccontato di sua spontanea volontà, figuriamoci! Tuttavia Camus non conta che proprio vicino a lui vi è una spia che mi aggiorna di giorno in giorno: Milo, che dopo la nostra esperienza nel passato ha promesso di raccontarmi tutto, ed io a lui, per sostenere quella immane testa di fava che è mio fratello, che continua ottusamente a tacere sulle sue condizioni, come se non fossero importanti, come se non sapesse, o fingesse di non sapere, che io posso… sentirlo!

Sospiro, affrettando il passo, perché mi sento nervosa e ho voglia di ‘menare le mani’ negli allenamenti con Rhadamantis che si sono fatti ancora più intensi per mia stessa richiesta.

Mi sento così tesa! Non posso festeggiare il compleanno di Francesca come vorrei, anche se lei mi ha rassicurato che faremo qualcosa dopo il nostro ritorno; mio fratello non si fa aiutare e il Santuario sta ancora cercando di smaltire i danni dell’ultima battaglia, quella in cui Sonia ed io siamo state costrette a non poter intervenire. Dopo i fatti di metà novembre, giunti alle mie orecchie proprio grazie a Milo, per giorni mio fratello non è stato in grado di contattarmi. Stava… troppo male! Quando finalmente è riuscito a chiamarmi, la sua voce al telefono, un sottilissimo filo, sembrava provenire dall’oltretomba, mi ha fatto venire il magone, nonostante le sue solite rassicurazioni su ‘ormai è passato’, ‘sto bene, piccola’… macché passato, che stare bene, che piccola!!!

Ero troppo sconvolta per litigare, lui era troppo affaticato per ribattere, per cui mi sono trattenuta, ma ogni tanto mi sembra di fare un passo in avanti e dieci indietro. Ancora non è sincero con me circa il suo stato, ancora minimizza le sue condizioni, ancora tenta di opporsi da solo, nonostante la promessa che ci siamo scambiati dopo la peste nel 1741. Quando fa così non lo reggo, mi sento ferita, inadeguata, e so che non è mancanza di fiducia nei miei confronti, so che è fatto così, è sin troppo abituato ad agire da solo e vuole solo proteggermi, dimostrarmi che è forte, che riesce a prendersi cura di me come fratello maggiore, ma… ma… se solo mi consentisse di fare altrettanto! Se solo...

Calcio con foga un sassolino, che sbatte contro il muro a secco per poi frantumarsi… ops, ho usato troppa forza, fortuna che non c’era nessuno nei paraggi! Sono davvero troppo nervosa, stavolta gli allenamenti con Mantus saranno più che indispensabili, devo assolutamente diventare più forte, soprattutto ora che il nemico ha così tanti alleati.

Accelero ulteriormente il passo per giungere sulla spiaggia, il luogo dell’incontro prestabilito, ma voltata la stradina che mi conduce lì, noto subito che Rhadamantis non è da solo. Sobbalzo, riconoscendo Saga di Gemini, istintivamente mi nascondo dietro al muro, il cuore a mille: che diavolo ci fa lui qui, a parlare con la Viverna Infernale?! Mi sporgo un poco per osservare meglio la scena, affinando le orecchie e acuendo i sensi. Ho perso il conto di tutte le volte che, in questi mesi, mi sono ritrovata ingiustamente ad origliare, ma del resto qui sono tutti reticenti, vogliono celare i segreti e, in fondo, se non avessi spiato un paio di volte, non avrei scoperto determinate cose.

“...Pare che anche tu abbia una predilezione per allevare gli allievi sperduti di Camus, Rhadamantis, stai cercando di diventare anche tu un buon samaritano?! Occhio però a non farti beccare, non credo che la prenderebbe sportivamente!”

No, non è Saga di Gemini, il tono di voce è completamente diverso, il ghigno sinistro, i capelli di tinte più scure... se non si tratta di lui, allora potrebbe essere solo…

“Kanon! - lo chiama infatti Rhadamantis, seccato, alzandosi in piedi per poi squadrarlo – Chi meglio di te è esperto nel settore?! Anche tu, se ben ricordo, hai corso il rischio, sentivi così forte la devozione di diventare insegnante?!”

Kanon ridacchia sommessamente, prima di contemplare il mare, come a riportare ala luce ricordi piacevoli per non farli sparire al di sotto dell’oceano.

“No, è che Isaac era troppo dotato per lasciarlo lì, ad arrangiarsi, dovevo ultimare ciò che Camus aveva lasciato… a mio modo!”

Al nome dell’allievo perduto di Camus sussulto, subito mi faccio più attenta sul discorso. So relativamente poco dei fatti accaduti durante la battaglia contro Poseidone, mio fratello me lo ha solo accennato, gli fa troppo male parlare di queste cose, ma effettivamente so bene che c’era Kanon dietro tutto il piano, che poi si è redento, ma che è stato lui a seminare il male in quello schizofrenico di Saga. Quindi… ha finito lui di addestrare Isaac?

“Ed immagino che il tuo modo non sia stato di gradimento a Camus, visto il rancore che nutre nei tuoi confronti…” gli fa notare Rhadamantis, ghignando a sua volta.

“Se mi vede tenta di uccidermi… - ribatte Kanon, impassibile, come se fosse roba di tutti i giorni, il suo pane quotidiano – Ma va bene così, ho reso il ragazzo capace di accettare il Kraken dentro di sé, se avessi avuto più tempo forse sarebbe riuscito anche a dominarlo completamente, invece…”

“Invece che cosa? - lo incalzo, uscendo impulsivamente allo scoperto, guardandolo dritto negli occhi, senza esitazione – Che cosa, Kanon di Gemini? Vai avanti!”

Non è da me essere così diretta, ma non ho paura di lui, anche se forse dovrei, oppure sono solo sciocca e avventata. E’ comunque uscito il nome di Isaac, devo saperne sicuramente di più, mi preme dal profondo del cuore.

“Seraphina, non è buona norma per una fanciulla origliare le conversazioni private di due uomini!” si rivolge a me Rhadamantis, con una punta di severità, scrutandomi a fondo in attesa che mi avvicini.

“Che peccato, Mantus, non sono più Seraphina, e non sono una nobildonna, dovrei avertelo già detto!” lo osservo, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto con fare inquisitorio.

“Mantus?! Ma che adorabile soprannome, ti sei fatto addomesticare?!” ghigna ancora Kanon, guardando l’altro.

“Stai zitto! O vuoi battagliare come negli Inferi?!”

“Intendi quando te le ho date di sana pianta?! Accomodati!”

“Veramente era un pareggio: sei morto anche tu!”

“Dovevo ridare l’armatura a mio fratello, il mio compito era concluso!” risponde pratico Gemini, sottolineando provocatoriamente che, in altre circostanze, lo avrebbe agevolmente sconfitto.

Ah quindi si sono conosciuti sul campo di battaglia, c’era da immaginarselo, ma mi manca la parte in cui un Cavaliere di Atena che ha indossato le vestigia di Gemini e un Giudice degli Inferi abbiano familiarizzato fino a ritrovarsi compagnoni da spiaggia. Beh, non importa, mi interessa solo di Isaac. Il mio cuore accelera inspiegabilmente nel pensarlo.

“E’ da un po’ che osservo da lontano i fatti del Santuario, ma ora che ti ho davanti non posso che riconoscerti per ciò che sei... – Kanon si rivolge a me, studiandomi – Sorella di Camus, suppongo, data la somiglianza dei lineamenti e degli occhi. Marta, giusto?”

“Mi conosci?”

Lo vedo sistemarsi il ciuffo, sbuffando tiepidamente. E’ un bell’uomo come quasi tutti quelli della cerchia dorata, potente sopra ogni dire, mi da l’idea immediata di essere intelligente e furbo, forse anche un po’ troppo. E questo non è necessariamente un pregio!

“Non sono il custode di Gemini, ho particolari libertà in confronto agli altri, date da Atena in persona. Sto sempre via, questo non significa che, quando riemergo, non sappia le ultime novità!”

Riemergere… significa forse…? Sgrano gli occhi, prima di tentare di ricomporre lo schermo di imperturbabilità.

“Significa che fai la spola da qui al regno sottomarino?!”

“Già, e suppongo che tu conosca molto bene quel luogo, giusto? So della tua precedente vita, so della tua tomba, del resto… quando ho ereditato Dragone Marino vi ho visti!”

Trasalisco, ormai mi è impossibile mantenere una parvenza di autocontrollo. Istantaneamente tremo, coprendomi il petto con le braccia in atteggiamento difensivo. Dragone Marino... l’armatura che aveva preso Unity, poi finita nelle mani di costui. Non lo sapevo, i miei ricordi si fermano ad un certo punto e non riesco ad andare più avanti, ma anche questa informazione è troppo importante per me, mi fa sentire quasi… violata!

“Ci hai… visti?! Che ne hai fatto dei nostri corpi?!” sibilo, come animale desideroso di difendere ciò che considera proprio. Non esprimo alcun nominativo, ma lui capisce istantaneamente.

“Nulla… state ancora laggiù, anzi, attualmente sono io a proteggere il vostro simulacro sotto ordine dello stesso Shion e di Atena!” mi spiega, sbrigativo, non sembra un tipo propenso a parlare troppo, ma non esita a dirmi la verità.

“Atena?!” ripeto, incredula.

“Per ordine di Atena, sì! - conferma, chiudendo e aprendo gli occhi – Se il nemico dovesse arrivare a comprendere che parte del potere che va cercando è racchiusa ancora nel corpo del tuo… Dègel… sarebbero guai, non trovi?!”

“Sono… informazioni strettamente confidenziali!” tentenno, la gola secca. Dunque lui sa, nuovamente mi sento vulnerabile.

“Per questo motivo Atena non l’ha riferito a nessuno, è qualcosa inter nos tra me, lei, Shion e ovviamente tu!”

“I-io lei non l’ho mai… vista… n-non può averti...”

“Il fatto che non sia presente al Santuario in questo momento, non comporta che non sappia comunque le dinamiche successe fino ad oggi. Ti conosce, sorella di Camus, anche se non direttamente!”

Non ci posso proprio credere… è da quando sono qui che la reputo una menefreghista incapace e invece sa tutto?! Ma se fosse davvero così, allora perché non è mai intervenuta in nostro favore e lavora dietro le quinte?! Mi irrito al solo pensarlo, per cui provo a scacciare via tale consapevolezza, riportando la mia mente sul discorso che mi preme di più.

“In che rapporti eri con Isaac?”

“Oh, sai di lui? Non dovresti avere avuto il tempo per conoscerlo...”

“Oh… il fatto che non fossi presente, non implica che non sappia nulla, Kanon di Gemini!” ricalco la sua frase precedente, con una smorfia che oserei definire quasi beffarda, alla Cardia.

Kanon fa una faccia strana, a metà strada tra il sorriso storto e il meravigliato, poi, rilassando la muscolatura, ridacchia compiaciuto, genuinamente sorpreso.

“Oh, allora puoi chiamarmi come suo padrino, se rendo l’idea…”

“Pfff, e perché dovrei?!”

“Perché sono io che me ne sono preso cura quando è giunto, ferito, ad Atlantide. Ha ultimato l’addestramento per merito mio!”

“No! Tu lo hai solo allontanato da Camus, non hai ultimato un bel niente, non era tuo compito!” strepito, improvvisamente furiosa, come se le emozioni non fossero solamente le mie, ma anche quelle di mio fratello.

Kanon assottiglia le palpebre, non molto lieto della mia presa di posizione.

“E’ stato Camus a dirtelo?! Ti ha detto… che l’ho strappato io da lui?!”

“N-no! - mi affretto a ripiegare, in difficoltà, non sapendo bene dove guardare – Ma provo le sue emozioni, so cosa ha passato dopo la sua perdita e… e non era tuo diritto farlo, dovevi riportarlo a casa, i-in Siberia”

“Mi stai prendendo un po’ troppo per un buon samaritano, ragazzina… non lo ero, credimi, all’epoca ancora meno di adesso e comunque mi sono limitato a portarlo dove la sua rabbia lo conduceva. Isaac era molto di più di un semplice aspirante Cavaliere, lui era il Kraken, lo stesso Camus non se ne è reso pienamente conto, ha cercato di ostracizzarlo, sbagliando, non pensare che tuo fratello non abbia fatto errori nel crescerlo!”

“C-come ti permetti?! T-tu...”

“Sei la sorella minore, lo divinizzi, lo comprendo bene, te lo posso assicurare… - lascia la frase a metà, meditabondo, prima di riprendersi – Non avrebbe dovuto ostacolare il mostro marino intessuto nel ragazzo, ma aiutarlo a comprenderlo e imbrigliarlo!”

“I-il Kraken… che cosa sarebbe?”

“Conosci tutta la storia reale, Marta?”

“N-no, Camus non ne parla mai, ci… ci soffre troppo!” sono costretta ad ammettere, mio malgrado, torturandomi istintivamente le dita. E’ sottile nel linguaggio, costui, e capace di volgere facilmente il discorso in suo favore, devo stare attenta e non dare troppa confidenza.

“Bene, e allora segui il mio consiglio: cerca informazioni su di lui, se non te le può dare tuo fratello cercale in coloro che hanno vissuto gli eventi. In base a questo fatti un’idea tua!”

Mi balena subito in testa il nome di Sonia e Milo. Effettivamente potrei chiedere anche a loro.

“N-non me lo puoi dire direttamente tu, che sembri averlo conosciuto così da vicino?!”

“Scherzi?! Non amo chiacchierare, inoltre non sono il più adatto per dirtelo, e ho da fare!” mi liquida, facendo per andarsene, ma io mi oppongo ancora.

“Almeno rispondi a quest’altra domanda, se sai...”

Si ferma, mi fissa di profilo, con attenzione. Ha uno sguardo diverso da Saga, più buio e penetrante, sebbene siano fratelli gemelli, mi inquieta e mi incuriosisce al tempo stesso, scorgo solo l’ombra in lui, eppure, proprio per questo, ne riesco a vedere distintamente anche la luce.

“Quale sarebbe? Parla!” mi incalza, in tono un po’ più alto del normale.

“I-Isaac… dov’è?”

“Non lo sai? Hyoga lo ha sconfitto...”

“Sì, ma dov’è? E’ vivo, in qualche modo, io lo so!” insisto, determinata.

Sembra una domanda priva di logica, ma so che così non è, so che c’è speranza, lo sento pulsare da qualche parte lontana, ma pulsa. Deve essere vivo, ne sono sicura, ed io vorrei tanto che si riabbracciasse con Camus, vorrei riportarglielo, in qualche modo, perché entrambi hanno necessariamente bisogno uno dell’altro.

Kanon mi da immediatamente la schiena per non farmi scorgere la sua espressione, ma poco dopo la sua voce si palesa: “Non è più qui…”

La frase volutamente ambigua mi instilla una fievole speranza che invade piano piano il mio cuore: “Quindi… mi confermi che respira ancora?! Che non devo cercare solo il suo corpo privo di vita, ma… LUI?!”

“Non è più qui…” ripete meccanicamente Kanon, sempre girato, lo sguardo fisso, immobile, verso il mare.

“Tu… anche tu… lo stai cercando, vero?! - tento, gli occhi luminosi, quasi sorridendo, sempre più certa delle mie sensazioni – I poteri dei Cavalieri di Gemini sono immensi, riescono a frantumare le galassie e a creare uno spazio di singolarità che può essere considerata una dimensione a sé stante. Stai sfruttando questi tuoi poteri per rintracciarlo, vero?! Fa parte della tua espiazione?!”

Ancora rimane fermo immobile, non mi risponde, passano alcuni secondi, prima di vedermelo andarsene. Provo l’impulso di seguirlo.

“E-ehi!”

Ma Rhadamantis mi blocca, avvolgendomi con un braccio per non farmi proseguire: “Lascialo stare! Kanon è fatto così, finché non avrà una pista più che certa non ti dirà niente.”

“Ma quindi ce l’ha questa pista!” esclamo, un poco agitata, guardando prima lui e poi la sua figura allontanarsi fino a scomparire. Non sopporto più tutta questa omertà, perché non sono chiari?! Perché vivo dentro una istituzione che sembra conoscere tutto ma non spiega quasi niente?!

Non ne posso più…

“Sì... probabilmente ha il tuo stesso sentore!” riesce infine a dirmi la Viverna Infernale, riuscendo finalmente a darmi quell’abbozzo di risposta che, per quanto piccola, a me sembra grossa come il mondo intero.

“Tu… come mai conosci così bene Kanon, Mantus?!” gli chiedo a bruciapelo, sperando che possa continuare a darmi le soluzioni che tanto cerco.

“Ci siamo affrontati in battaglia. - liquida la faccenda, prima di spingermi indietro e prepararsi a combattere. Non risponderà più, l’ho capito, non è neanche una novità. – Se non sbaglio sei qui per allenarti, giusto? Quindi bando alle questioni frivole!” mi sprona, caricando immediatamente una sfera di energia che tuttavia schivo con lestezza, meravigliandolo un poco.

Va bene, vuoi menare le mani, draghetto, avrai il mio ben servito!

“Così sia! Necessitavo proprio di sfogarmi!” esclamo, gettandomi contro di lui con tutte le energie che possiedo. Mi sento speranzosa come non mai, darò tutto quello che posso, e ora ho più di un motivo per farlo.

Recuperare Isaac non sembra più così utopico come pensavo.

Perché Isaac è vivo!

Già. E’ VIVO!

Ed io lo riporterò a casa!

 

 

* * *

 

 

1 dicembre 2011, crepuscolo

 

 

Mi sdraio a peso morto sulla spiaggia, osservando il cielo che va tingendosi di arancio, stanca, disillusa e pure avvilita. Insomma, uno stato emotivo opposto rispetto a quello di ieri! Parlare con Kanon mi ha fatto bene, mi ha ridato la speranza di recuperare Isaac, in qualche modo, ma la chiacchierata di oggi con Sonia e Myrto, che erano presenti quando i Cavalieri di Bronzo hanno affrontato Poseidone e i suoi Generali, pur non prendendo parte alla battaglia, mi hanno gettato nella più nera disperazione.

Non sanno le cose che per sommi capi, ma mi hanno già detto che Isaac ha consapevolmente scelto di schierarsi con il dio dei mari. Non è stato traviato, non è stato ingannato, è stata una sua precisa scelta di campo: distruggere il mondo per ricostruirlo come nell’era dei miti perché l’uomo è malvagio e non può essere salvato. Non proteggere quindi, disintegrare… perché?!

Sonia ha conosciuto di persona Isaac… è stato quando lei e Milo si sono recati in Siberia per andare a trovare Camus, che era stato molto male dopo una missione. Non ho indagato ulteriormente, sebbene mi sia tornato il magone, preferendo chiedere poi direttamente a lui, o vederlo nei sogni, ma ho insistito molto su Isaac per tentare di capirne la personalità. E’ così che sono venuta a sapere che Sonia è stata attaccata proprio da lui, dal Kraken, che, anzi, Isaac è davvero il Kraken, il principio distruttivo medesimo, la forza vitale che non può essere espugnata.

Non so bene perché, ma ne sono rimasta molto delusa… credevo di conoscerlo, che fosse una brava persona, ma, da quanto è uscito dai loro discorsi, fa quasi paura, sfugge, e questo senso di… di, non lo so neanche io, non mi passa. E non capisco.

Mi è stato detto di parlarne con Hyoga, colui che più di tutti lo ha conosciuto, ma tirare fuori questo discorso con lui è come darsi la zappa sui piedi da soli. Il Cavaliere del Cigno condivide le stesse problematiche di mio fratello, se non più gravi, essendo il primo responsabile della sua scomparsa e, successivamente, della morte, anche se, pare, sia vivo. Disperso, ma vivo. Ma lui non lo sa e neanche Camus.

Isaac che lo ha salvato dalle spietate correnti oceaniche, Isaac che voleva perseguire gli ideali di mio fratello, i suoi passi, Isaac un compagno sincero, leale, un ragazzo d’oro… come è possibile che sia lo stesso Isaac che si è poi schierato con Poseidone, che voleva spazzare via il mondo, schiacciando i più deboli. Come?!? CHI è davvero Isaac?! Perché era così importante per Camus, al punto da non riuscire quasi più a nominarlo, se non nei vaneggiamenti? La sua perdita ha causato in lui uno squarcio atroce, incolmabile, che lo fa tutt’ora soffrire. Tale squarcio lui non riesce neanche interamente a condividerlo con me, da quanto gli faccia male. Ci ha provato, in Siberia, con tutto sé stesso, a stento è riuscito un po’ a piangere e poi non ne ha più trattarlo. Mi basta nominarlo e cambia espressione, ed io non so più che fare per condividere con lui questo peso, per sostenerlo con tutta me stessa. E’ così fragile, quando parla di lui...

Isaac...

Mi metto seduta, sospirando, osservando il mare amico e il sole morente che, proprio davanti a me, sta percorrendo la parabola finale della giornata, tingendo i dintorni di rosso.

“Che cosa hai fatto, Isaac?” gli chiedo cogitabonda, come se mi potesse udire, abbracciandomi le ginocchia e fissando un punto lontano dove il mare pare intrecciarsi con il cielo. Il blu con il rosso. Il rosso con il blu.

Il primo tramonto di dicembre, il mese che, nel nostro emisfero, sancisce la definitiva vittoria della luce sulle tenebre. Ripenso alle parole di Mantus a proposito dell’oscurità che è dentro di noi, che più ci avviciniamo alla luce più si allunga la nostra ombra e… anche il contrario, suppongo, cioè che più brancoliamo nel buio più ci è possibile distinguere la luce. La sola idea provoca in me un’intensa emozione, come se le risposte a tutti i mali del mondo fossero qui. Scatto in piedi improvvisamente a corto di fiato, gli occhi spalancati.

“Isaac, ma allora, tu…?”

Che cosa… che cosa sto facendo?! Dove sto andando?”

Una voce maschile, di cui non riesco bene a distinguere la provenienza, mi rimbalza nelle orecchie. Mi guardo confusamente intorno, cercando di capirne le origini senza però riuscirci.

Quasi inconsciamente, guidata da qualcosa di magnetico, mi dirigo sulla battigia e poi, incurante della temperatura dell’acqua non certo confortevole, proseguo oltre. Il mare mi lambisce prima le caviglie, poi i polpacci, le ginocchia. Il peplo mi si alza conseguentemente, galleggiando appena, quasi sembra miscelarsi alla schiuma di mare. Un vento freddo mi avvolge, la mia pelle si fa d’oca, ma non me ne curo. Continuo a guardare davanti a me, carpita dal sole che tocca l’orizzonte lontano, in un chiaroscuro che frastorna la pupilla. Luce e oscurità, che si interconnettono, intessendosi l’un l’altra. Nessuna delle due può sopravvivere senza il suo opposto.

Alzo le braccia all’altezza delle spalle, lasciando che i raggi rossicci del sole mi colpiscano, e così il vento. Tiepido. Caldo, freddo. E poi fresco. Queste sono le sensazioni che ne derivano, in una eterna lotta di principi che non ha mai fine. Sembra tutto così perfetto, nella sua ciclicità...

Mi lascio cadere in avanti. L’acqua schizza in ogni direzione. Rabbrividisco, il mare sembra gelido, ma elevo il mio cosmo per compensare. Sbatto i piedi, soffiando fuori le bolle per bilanciare la pressione interna con quella esterna. Equilibrio. Moto. Azione.

Nuoto con forza, non sapendo bene dove andare, ma avendo altresì la certezza che quando mi dovrò fermare lo sentirò. Qui dentro. Mi guardo brevemente la mano di destra tra le bollicine, la stringo con forza, prima di sbattere più intensamente i piedi per accelerare il mio moto. Devo… trovarlo!

 

Isaac si fissava la mano sinistra, stretta a pugno davanti a sé, il polso avvolto dal fazzoletto verde, unico ricordo materiale che gli era rimasto di Camus. Essa aveva assunto sfumature rossicce, lambita dal sole che stava tramontando, lambita dagli ultimi raggi dell’astro che non sarebbe riemerso per i successivi 6 mesi, decretando la vittoria pressoché definitiva delle tenebre sulla luce in un mondo che sfiorava la perdizione.

Dicembre dava l’avvio ad un nuovo ciclo di devastazione, la Terra, anzi, Ipsias, perché così si chiamava quella dimensione così affine eppure diversa dalla sua patria, sarebbe ben presto diventata ostaggio dei Ghulu, che, con i loro miasmi, avrebbero contaminato l’ambiente circostante. Tutto si sarebbe fermato, di nuovo. Lo attendeva il suo primo, lungo, inverno, non credeva di essere pronto ad affrontarlo. Affatto.

Erano passati 8 mesi dal suo arrivo lì, la sua ennesima condanna in una vita che non poteva del tutto finire, essendo guidato da un principio vitale distruttivo e conservativo come il Kraken. Ne erano trascorsi 2 di oscurità, 6 di luce, proprio in quegli ultimi gli erano stati insegnati da Dègel i rudimenti dell’esistenza in quel luogo infernale, poche, ma essenziali, nozioni di sopravvivenza; tante, per niente superflue, spiegazioni teoriche sull’esistenza stessa di un pianeta che non era del tutto morto, ma neanche vivo. Fermo, ma palpitante. Perso, ma non perduto.

E, di nuovo, nell’ascoltarlo, nell’udire come si esprimeva Dégel, come si dilungava nelle cose che lo appassionavano, la nostalgia lo aveva invaso. Tutto, di lui, gli ricordava il Maestro Camus, tutto, di lui, gli rammentava quanto dura sarebbe stata la sua condanna da lì a per sempre. Avere Camus, ma non avercelo, perché lui NON era Camus, non era lui, non avrebbe mai potuto esserlo!

Eppure, lo era senza alcun dubbio, non c’era possibilità di equivoco!

Ora sarebbe arrivato l’inverno, il Grande Inverno, quello che giungeva anche in Siberia e che recava con sé le tenebre complete, ma che poi se ne andava nell’arco di un mese e mezzo, perché il sole vinceva sempre.

Ma non lì, non in quella landa timorata dagli dei.

Come gli era stato detto fin dal principio, anche nei 6 mesi di luce completa il sole non si vedeva, se non al crepuscolo. Il cielo era perennemente bianco lattiginoso, le cose assumevano contorni loro, ma risultavano distorte, come distorto era quel mondo. Non c’era alcun Sol Invictus lì, non c’erano luci ad allietare la malinconia di un buio imperituro. Non c’era rotazione terrestre, quindi l’Aurora Boreale, o Australe, la promessa di un sole che sarebbe pur sempre tornato, non esisteva più. Nessun vento solare, nessun respiro della natura, nulla…

Il sole era definitivamente morto, se non per quei due momenti dell’anno, stentati battiti, che corrispondevano all’alba e al tramonto.

Isaac si sentiva solo come mai prima di allora, qualcosa si era rotto in lui. Osservava la luce davanti a sé ma non la vedeva realmente. Le immagini delle sue vite precedenti, che aveva cercato di dimenticare, gli scivolavano addosso, facendolo tremare.

Non era una reale solitudine la sua, così fatta di presenze, di tutti coloro che aveva ucciso, di tutti coloro che aveva amato. Di tutto. E ciò acuiva il suo immane senso di isolamento.

Sorrise di sbieco. Dimenticare… che sciocco pensiero, non poteva dimenticare, in alcun modo, troppo semplice così, troppo facile. Aveva determinate colpe che non sarebbero mai state perdonate, le ferite subite nello scontro con Hyoga erano lì a ricordarglielo, ancora bruciavano, ancora non lo facevano dormire la notte, per non dimenticare mai i suoi peccati.

Così viveva con Dègel e Seraphina ma i fantasmi del suo passato lo andavano comunque a trovare, senza concedergli la benché minima requie. E ogni volta che riaffiorava un viso famigliare, era una pugnalata al cuore. Spietata. Tremenda.

Probabilmente era stato per tentare di sopperire a quell’irrequietezza che, quello stesso giorno, aveva chiesto a Seraphina un modo per sconfiggere i Proteiformi e per bloccare i Ghulu ancora salvabili. Dégel ci riusciva, lo aveva ben visto, si era quindi messo in testa di diventare ancora più forte, di più, ancora e ancora. Se tanto la sua Terra, il suo mondo, erano perduti avrebbe fatto qualcosa per quella dimensione. Ad ogni costo!

Ci sarebbe un modo...” aveva accennato lei, scambiando un’occhiata d’intesa con Dègel, intento a leggere un tomo antico, l’espressione tirata e ancora un poco sofferente.

Gli occhi di Isaac erano passati da lei a lui, soffermandosi sul suo viso. A quella cicatrice che segnava il collo dell’ex Acquario fino al labbro superiore e che gli doleva alquanto, rendendo difficoltoso ogni suo piccolo cambio di espressione, ogni suo piccolo cenno e sorriso -e Dègel, a differenza di Camus, quello sì, sorrideva molto di più!- retaggio, nonché conseguenza, del suo intervento per salvarlo dal Proteiforme che aveva assunto la forma di Lisakki, e che lo aveva colto di sorpresa.

Dègel, in quel frangente, non aveva esitato a proteggerlo, incurante dei rischi per sé stesso, incurante di essere menomato per sempre, come avrebbe fatto lo stesso Camus.

Ma... se sei così simile a lui perché non SEI lui?!

Si era ritrovato a chiedersi Isaac, scrollando il capo a metà strada tra l’arrabbiato, il pentito e l’afflitto.

E sarebbe?” aveva quindi incalzato, quasi frenetico, desideroso di rendersi utile in qualche modo per ripagare, almeno in parte, il suo sacrificio.

Impara da Dègel ad utilizzare lo Zero Assoluto e, da me…” aveva iniziato Seraphina, cauta, con quella punta di dolcezza nella voce, ma subito Isaac era saltato su, iracondo, non riuscendo più a controllarsi.

Non imparerò NIENTE delle tecniche del ghiacci da lui, ho già un maestro, ho già…” si era fermato, sentendosi un ingrato.

Aveva reagito con una tale rabbia da far tremare le pareti della casa, entrambi lo avevano guardato con una tristezza infinita, percependo le sue emozioni difficili da controllare. Lui urlava, dibattendosi come un forsennato, turbolento, desiderando gridare e ancora gridare la propria rabbia incontrollabile, la sua ferocia, che era solo in parte dovuta al Kraken. Era diventato un ragazzo ancora più difficile, lo sapeva benissimo, se ne rendeva conto, di quelli che, forse, solo con una sberla ben assestata si sarebbero calmati, ma né Seraphina né Dègel avevano mai alzato alcunché su lui, nemmeno il tono di voce, accogliendo invece i suoi sfoghi senza opporsi, come il masso che, dolcemente, accoglie la furia del torrente in piena. A volte per calmarlo la giovane donna lo abbracciava, mentre l’ex Cavaliere dell’Acquario, pur mantenendo le distanze, lo accoglieva con quella sua voce pacata e infinitamente paziente, come era accaduto proprio quello stesso giorno.

Isaac… non voglio sostituirmi al tuo maestro, ma...”

Perfetto! Perché non lo sarai mai, Dègel! Ti sono debitore per avermi salvato, ma la cosa finisce lì!”

Ma… - aveva comunque ripreso come se non fosse stato interrotto, non riuscendo a celare una smorfia di dolore nel parlargli – Il tuo Maestro Camus desiderava senz’altro che tu progredissi ulteriormente, per questo che…”

TU NON PARLARE DI LUI!!! CHE NE SAI?! ANCHE FOSSE, NON E’ IL CAMUS CHE HAI CONOSCIUTO TU!!!”

Gli era esploso addosso, prima di bloccarsi a metà strada nell’osservare ancora una volta quella cicatrice che gli segnava il labbro superiore, parte della guancia e il collo, per poi essere celata dalla maglia che indossava ma continuare comunque fino al braccio. Aveva rischiato di morire per quello, erano servite le cure di Seraphina e, ancora, di un’erba quasi magica, conosciuta dagli sciamani che lui si era offerto di andare a cercare.

Si sentì ancora di più un verme. Non resistette oltre, gli diede le spalle, non reggendo più quegli sguardi limpidi verso un ingrato di simile stampo come lui.

Perdonatemi, vado a prendere una boccata d’aria!” aveva tagliato corto, quasi sfuggendo alle loro premure immeritate.

Ma tra poco è il Solstizio e...” lo aveva provato ad avvertire la giovane donna dai capelli argentati, un poco incerta, non sapendo bene se provare a rassicurarlo con un abbraccio, visto che a volte capitava che si calmasse, o desistere. La mano di Dègel si strinse nella sua, lo guardò, lui negò col capo, indicandogli la giusta via: quello era il momento di lasciarlo solo, ne necessitava.

Vado appunto a godermi l’ultimo, l’unico, raggio di sole!” aveva frettolosamente spiegato Isaac, non voltandosi, affrettando anzi l’andatura.

Sii prudente, piccolo, torna prima del buio…”

Erano state le ultime parole di Seraphina, sussurrate a fior di labbra, atte a tentare di confortarlo, ottenendo però il solo effetto di farlo sentire ancora più male.

Era uscito dalla casetta in mezzo al bosco, andando in direzione opposta, dove in quei mesi aveva imparato si trovasse un’immensa distesa marina del tutto simile agli oceani della Terra, il pianeta blu.

Ebbene, era un ‘pianeta blu’ anche Ipsias, erano poche le terre emerse a confronto con l’immensa distesa oceanica; da quando poi il movimento rotatorio era stato ridotto pressoché a zero, il moto delle maree era stato sconvolto. Non resistevano che poche isole in cui, timidamente, la vita provava comunque a riaffiorare, instancabile.

Glielo aveva insegnato Dègel, insieme ad innumerevoli altre cose, e lui, per tutta risposta, ripagava tutto quello, l’accoglienza, la gentilezza con cui era stato curato, nel peggiore dei modi, dimostrandosi problematico e irascibile. Davvero pessimo!

Si passò una mano tra i capelli, nascondendosi poi il viso. L’altro braccio continuava a stringere le ginocchia, tenute vicino al petto sconquassato da singhiozzi che non poteva permettersi di far trapelare.

Cosa sto facendo?! - si chiese ancora – Dove penso di andare?!”

Si sentiva profondamente deluso da sé stesso, ancora e ancora. Dalle parole di Elisey a proposito del Kraken, di rimanere lontano dal mare, le cose non avevano fatto altro che peggiorare. Tutto era andato irrimediabilmente perduto!

Ripensò agli occhi sempre fieri di Camus, al suo sorriso appena accennato, alla sua mano che, con un poco di riluttanza, gli sfiorava i capelli, permettendosi poi di accarezzarlo con più forza, quasi come se lo scoglio difficile fosse il primo contatto, il resto veniva da sé. Così era per davvero, senza bisogno di parole, senza bisogno di troppi gesti. Si capivano. Nessun gesto andava sprecato tra loro, proprio per quello, quando accadeva, quando si stringevano l’un l’altro, tutto sembrava mettersi miracolosamente nel verso giusto senza tante spiegazioni, com’era naturale che fosse.

Così naturale essere con lui… ricordò di aver pensato che non avrebbero mai potuto essere separati, ecco invece che il destino beffardo li relegava a non potersi neanche più guardare. Non ci sarebbero mai più stati quegli occhi gremiti di orgoglio, lo sapeva, più passava il tempo più tentava di convincersi, solo che, invece di diminuire, il dolore e il senso di perdita aumentavano, incommensurabilmente. Serrò la mascella, fremette.

Papà… Hyoga… - li chiamò debolmente, trattenendo a stento un singhiozzo più potente degli altri – Mi… mancate da morire!” buttò tutta l’aria di un fiato, nascondendo il viso tra le ginocchia.

Il calore del sole stava perdendo intensità, l’astro ormai toccava l’orizzonte, presto si sarebbe eclissato, inghiottito dal mare, e non sarebbe più riemerso prima di 6 lunghi, lunghissimi, mesi. Non ci sarebbero stati né Camus né suo fratello ad alleviare quei momenti, non più.

“Oh, ehm, sei… sei Isaac? Ti… ti sento, percepisco le tue… emozioni!”

Sussultò nell’udire una voce femminile inaspettatamente famigliare. La conosceva, non era quella di Seraphina, sebbene contraddistinta dalla stessa patina di delicatezza, ma così simile. Si alzò in piedi di scatto, scrutando confuso nei dintorni sempre più bui.

Quella voce così famigliare… possibile?!

Di riflesso, si avvicinò all’acqua, agli scogli, che percorse fino al loro limite. Il mare lo aveva sempre attirato, non sapeva spiegare se solo per il fatto di essere il Kraken o anche per altro, ma aveva sempre avuto un fascino magnetico per lui. Si affacciò sulla sponda. Lo specchio marino non dava altro che la sua immagine sfocata e un poco traballante, in apparenza, ma ebbe comunque l’istinto di sporgersi, posando il palmo delle mani a pelo dell’acqua, quasi fosse una superficie rigida.

Per i primi secondi non successe niente, non percepiva altro che le particelle del mare, che gli davano una sensazione di fresco sulla pelle, poi… qualcosa si posò a sua volta sui suoi palmi, arrivando fin quasi alla punta delle sue dita. Delle mani, un poco più piccole delle sue. Sussultò ancora, affinando lo sguardo per tentare di distinguerla nelle tenebre sempre più fitte che aleggiavano i dintorni. Finalmente qualcosa prese forma, lentamente, qualcosa, anzi, qualcuno che lui conosceva piuttosto bene, ma che non incontrava da tempo.

Si emozionò. Il cuore prese a battere più velocemente del consueto.

 

Il mio cuore tamburella con forza nel petto nel distinguere finalmente gli occhi, i capelli, le forme di colui che stavo cercando disperatamente e che sono riuscita infine a raggiungere

Sorrido di riflesso, felice. L’immagine che arriva alla mia cornea è quella del suo riflesso in uno specchio, ciò mi crea un senso di straniamento che non riesco subito a sopperire. Vorrei stringergli le mani, che avverto trepidanti sui miei palmi, ma non mi è concesso nient’altro che questo breve, anche se intenso, contatto.

Prenderei aria, se potessi, ma io sono sott’acqua, lui è la fuori non so bene dove, ma dal rosso che gli accarezza delicatamente la pelle della guancia direi che è il crepuscolo anche da lui.

Dove sei, Isaac? Dove sei stato? Lo sentivo! Lo sentivo dentro di me che eri ancora vivo! Oh, Isaac… ISAAC!!!

Esito ancora un attimo. Non so da dove cominciare, devo presentarmi, in qualche modo, ma come e… da che cosa parto, nel discorso?! Avrei così tante cose da dirgli!

“I-Isaac! - lo chiamo sfruttando il potere residuo di Poseidone per farlo e parlare così chiaramente anche se sono avvolta dall’acqua – I-io… non immagini che gioia provo nell’essere riuscita a mettermi in contatto con te! I-io… devi sapere che sono...”

“Marta... sei davvero tu?!”

Il suo chiamarmi per nome, con quel tono confidente, mi sconvolge, quasi mi fa inghiottire l’acqua, sebbene non la percepisca più intorno a me. Ci siamo solo noi, come sospesi in aria, i nostri corpi, che sembrano quasi fluttuale nel vuoto, i nostri palmi delle mani che si appoggiano su quelli dell’altro senza però potersi stringere, davvero come se fossimo a contatto tramite uno specchio che tuttavia non può essere attraversato.

“Mi… conosci?!”

“Non… lo ricordi? Ci siamo incontrati così tante volte nei sogni...” sembra incerto, stupito quasi quanto me. Io che lui mi conosca; lui che io non rammenti questi incontri che lui dice.

Non riesco a ribattere, stupefatta oltre l’inverosimile.

“Però stavolta non è un sogno, tu sei… reale! Come hai fatto a raggiungermi?” capisce, con un mezzo sorriso, e mi sembra che il suo corpo si rilassi, che lui stesso sia più sollevato.

“I-io… - non so minimamente cosa dire, almeno finché dei flash improvvisi non mi investono con prepotenza la mente. Essi sono frammenti di lui, bambino, e poi ragazzo, come se fossimo cresciuti insieme, come se nelle nostre menti, nei nostri sogni più accaniti, ci fossimo sempre, sempre, incontrati e accolti.

Non è la prima volta, questa, che lo vedo, è successo più e più volte ma… non me lo spiego, come è possibile?!

“Hai ricordato… lo vedo bene dai tuoi occhi blu che mi hai voluto mostrare solo una delle ultime volte, p-prima che fossi perduto!” mi dice ancora lui, trasformando il suo leggero sorriso in qualcosa di ancora più intenso, anche se più malinconico.

– Sei sempre stato tu… a raggiungermi, per questo non lo ricordavo, perché sei stato tu!” capisco, tremando visibilmente, emozionata a mia volta.

“No, non sono stato solo io… - biascica arrossendo, ancora più a disagio, non sapendo dove guardare – Tu mi sei stata sempre vicina, mi hai… fatto da guida in mezzo alle tenebre, t-tu…”

“I-io… no, qualcosa deve aver reso possibile questo; qualcosa deve aver funto da catalizzatore, Isaac, non saprei però cosa...”

“Nemmeno io… ma è un dato di fatto questo: siamo entrati in contatto diverse volte e abbiamo interagito. Ti ho sempre avuta… accanto!”

Non so proprio cosa dire, sembra così triste nel pronunciare queste parole. Parla di cose che non so contestualizzare, eppure, ora che lo sento con queste mie orecchie, so che è successo veramente, nelle nostre teste, ed è reale, così come queste mie mani che sono appoggiate alle sue, che me lo fanno percepire, anche se è così distante.

“Come stai, Isaac?”

La domanda mi sorge spontanea, ma lo meraviglia visibilmente. Spalanca le palpebre, lo sento palpitare, mentre gli occhi verde pascolo si fanno lucidi, il che mi fa notare subito che li possiede entrambi, anche se quello di sinistra, precedentemente asportato, non sembra autentico ma un artificio che ha un non so che di magico.

“Oh, Isaac, hai recuperato la vista nonostante la cicatrice ti sia rimasta!” gli sorrido, modulando la voce per renderla più dolce. Mi appare così fragile, del tutto incapace di rispondere, mi fa tenerezza, oltre che un magone crescente, non so se per via delle mie emozioni o anche per quelle di Camus.

“Sì, è… sono sempre sfregiato, ma almeno ci vedo!”

Sembra che gli dia non pochi problemi mostrarmi la cicatrice, come se si vergognasse, infatti si gira, celandola ai miei occhi, in un atteggiamento che mi sembra strano e impacciato al tempo stesso.

“Devi esserne fiero di quella… - gli dico, attirando la sua attenzione – E’ il segno dell’amicizia tra te e Hyoga e la dimostrazione del tuo coraggio!”

“Me l’hai già detta questa cosa, quando ero in coma ad Atlantide… l-lo sono, Marta!”

“Camus lo sarebbe ancora di più...”

“Camus...”

“Gli… manchi da morire, sai? Ha così tanto bisogno di te!”

Continuo a trattarlo come se fosse un vecchio amico e lui continua a risultarmi fragile e delicato come il suo maestro. Una cosa strana, perché so che lui è sempre stato molto forte e determinato, oltre che coraggioso sopra ogni dire. Eppure è come se mi mostrasse la parte più morbida della sua effige. Non il Kraken, che avverto come potenza in lui, ma un semplice ragazzo, allenato da un grande uomo, è vero, ma pur sempre un ragazzo che ha perso e perso ancora gli affetti più profondi.

Sbatto le palpebre. Anche questo lo so, non me lo spiego. Sembra tutto così naturale…

“C-come sta lui?”

Fa fatica a parlare del suo mentore, certo di essere una delusione per lui, è visibilmente agitato dalla situazione, quasi rotto. Continua a tenere i palmi sui miei, lo percepisco, ma non riesce ad andare oltre, neanche io.

Quindi sai anche che è vivo, Isaac... ciò mi rende più facile proseguire.

“Come… sta? - mi chiede ancora, con insistenza – E Hyoga?”

E’ il mio turno di non sapere cosa dire. Esito. Già, come stanno? Non lo so, Camus simula di stare bene anche quando è uno straccio e lo stesso fa Hyoga, che però è lontano e non l’ho più visto.

“S-starebbero meglio se ci fossi tu qui con loro...”

Lui però, serrando le palpebre, nega con la testa, visibilmente sofferente e provato.

“N-no… non è così!”

“Isaac! D-dove ti trovi? Dove sei?

“I-io sono...”

La sua immagine riflessa tremula davanti a me, vedo la sua bocca muoversi ma non distinguo le parole, né riesco a leggere il labiale.

“Co-cosa? N-non ho capito, Isaac, non...”

La luce sta cambiando intorno a me e intorno a lui, si fa via via più scura, la luce cede spazio alle tenebre, rendendo meno nitidi i dintorni e trasmettendomi una sensazione di urgenza: con il sole… se ne andrà anche l’immagine riflessa di lui!

“Isaac!” lo chiamo, agitata, rendendomi conto di star perdendo il contatto. Non so cosa stia succedendo, non so neanche come sia possibile il nostro incontro, ma non voglio separarmene.

Lui riprova ad esprimersi, ma ora anche il suo viso perde nitidezza con l’avanzare delle tenebre. Stringo disperatamente le palpebre, chiudendo le mani a pugno.

“Stai tranquillo! Troverò un modo per riportarti indietro, troverò un modo per ricondurti da Camus e Hyoga, lo prometto, ovunque tu sia!” riesco ancora a dirgli, ad alta voce, nella speranza che lui mi possa udire.

“Marta...” è fievole la sua voce che chiama un’ultima volta il mio nome, ma sufficiente a darmi la carica completa.

“LO GIURO! TU ASPETTAMI!!!”

Le sue palpebre che si spalancano ancora di più sono l’ultima immagine nitida, mentre la sensazione di tuffarmi nuovamente in acqua circonda il mio corpo. Sussulto, ingurgitando parte del liquido, sbattendo disperatamente i piedi per tornare in superficie, perché ormai il contatto è spezzato, non ho idea di quando si potrà ricreare. Mi sento lacerata nel profondo… e fa male!

Finalmente riemergo, mettendomi a tossire disperatamente, la gola che brucia perché ho ingurgitato acqua salina. Scrollando la testa quasi come un cagnolino, riesco finalmente a riaprire gli occhi, ora proiettati in direzione del sole ormai completamente tramontato. Non ne resta che un fascio color rosso sangue, come di un guerriero ferito che striscia lontano dal campo di battaglia.

Respiro profondamente, guardandomi intorno, mentre scalcio nell’acqua per rimanere a galla. Mi sono allontanata molto dalla costa senza nemmeno rendermene conto, mi trovo in mare aperto e ora sarà un’impresa tornare indietro.

Faccio quindi dietro-front e, con la testa stavolta fuori dall’acqua, mi muovo a rana, preda dei pensieri. Isaac è vivo, ne ho avuto ulteriore conferma, ma smarrito chissà dove. Lui ha mantenuto i ricordi dei nostri incontri, io non lo rammentavo fino ad ora, ma è vero che abbiamo già comunicato più di una volta. Davvero è come se fossimo cresciuti insieme, lui conosce me, io conosco lui, nei sogni potevamo perfino toccarci, ho stampata dentro di me la sensazione della mia mano che si stringeva alla sua, così come il suo odore di muschio, forte, estremamente tangibile e concreto. E’ reale… è accaduto davvero, non può che essere così!

Però dove si trova ora?! Perché il contatto si è interrotto?! Lui…

La sua immagine avvolta da una luce tenue rossastra mi fa sussultare nel mezzo del nuoto, costringendomi a fermarmi ancora un attimo. Mi volto dietro di me, al tramonto che languisce sempre di più: anche lui si trovava al crepuscolo; e il crepuscolo era proprio davanti a sé, le iridi ne erano dipinte, quelle iridi verde pascolo che sembrano fili d’erba in maggio irradiati dalla luce…

Dovunque si trovi, anche lì c’è un sole che permette la vita; dovunque si trovi, anche lì...

Mi blocco di nuovo, stupefatta: un altro sole?! Che vado a pensare?! Se fosse un altro sole, sarebbe un’altra dimensione, perché penso a questo? Perché la mia mente viene condotta istintivamente lì?

Potrebbe essere… un altro universo?!

Isaac era molto distante da me, sebbene vicino... come se fossimo separati da un velo che, per quanto sottile, impediva il passaggio completo da qui a lì.

Da qui a lì… dalle cose di qua, a quelle di là… e viceversa.

Come l’ombra che si allunga grazie alla luce; come il proprio riflesso in uno specchio d’acqua…

...irraggiungibile ma tremendamente prossimo...

 

- (…) Conosci Ipsias, Dègel?

-...essendo la dimensione più vicina alla Terra, essendosi scontrata con quest’ultima diverso tempo fa in più di un’occasione... (…) la mia sfera di azione, per quanto spettro, si limita a questa dimensione, non mi è consentito guardare altrove, al di là dell’orizzonte degli eventi!Tuttavia...

-Tuttavia..?!”

-… so quanto di là sia venuto di qua e quanto, di qua, sia andato di là…

 

“Oh, mio..!”

Devo dare un colpo di reni per evitare di sprofondare, ansimo per lo sforzo da quanto disperato risulta essere il mio gesto.

IPSIAS!

E se Isaac fosse ad Ipsias?! Come ci sarebbe arrivato?! Come sarebbe possibile?!

Riprendo a nuotare, ancora più contrita di prima, mordendomi il labbro inferiore. Mi sento stanchissima, non mi raccapezzo più, mi è venuto un forte mal di testa, ma non riesco a togliermi dalla testa che Isaac si trovi proprio là, che sia andato alla deriva per… non lo so, in effetti... ma in qualche modo deve essere approdato in quella dimensione, che lo ha preso come parte di sé stessa.

Ripenso alle parole oscure di Dègel prima che scomparisse, alla sua strana espressione…

Ma, se le cose stanno davvero così, CHI è venuto qua, se è stato Isaac ad andare di là?!

 

 

* * *

 

 

4 dicembre 2011, mattina

 

 

“Noooo, Marta, non grattarti, resisti ancora un po’!”

“M-ma io veramente…” provo ad obiettare, gli occhi che lacrimano per il fastidio. Cerco quindi di sbatterli più volte per sopperire il bruciore, non avendo modo di sfregarmeli.

“Te l’ho detto che non era abituata, non si trucca mai!” le dice Sonia, allegra, agghindata di tutto punto, mentre ciondola sulla sedia, briosa più del solito.

“Pensavo che fosse un’impresa già con te, ma, devo dire, lei ti supera! - commenta Myrto, quasi euforica, maneggiando la matita che mi sta mettendo sul contorno occhi – Beh che è sorella di Camus, non mi dovrei meravigliare!”

Arrossisco, sentendomi al centro dell’attenzione senza averlo richiesto. Oggi termina la nostra punizione qui sull’isola di Milos, finalmente saremo riammesse al Santuario. Myrto, per celebrare l’evento, si è messa in testa di truccare sia me che lei. Anche Sonia non è avvezzata ma, devo ammettere, è molto più accondiscendente di me, ha sopportato in silenzio il supplizio, immobile, mentre io, se posso, svicolo, non sopportando oltre la matita, né l’eyeliner, né il mascara o chissà quale altra diavoleria.

“E’ questione di abitudine...” mi ripete Myrto con pazienza, ancora incerottata e bendata dopo essere rimasta ferita durante il terremoto di oltre due settimane fa.

Questione di abitudine, d’accordo, ma se mi da fastidio perché devo infliggermi un tale supplizio?!

“Perché hai dei bellissimi occhioni blu, e Camus sarà contento!” mi risponde, sogghignando quasi avesse indovinato la domanda dietro il mio sguardo perplesso.

Vorrei dirle che a mio fratello non frega nulla se sono agghindata oppure al naturale, tanto mi vede piccola uguale, un pulcino arruffato, ma è stata talmente insistente che l’ho voluta assecondare, sebbene me ne stia pentendo.

Sospiro rassegnata, mentre lei finisce di tracciarmi la matita, passando poi ad umettarmi le guance.

“Io penso ai capelli!” trilla ad un certo punto Sonia, dotata di due treccine che la rendono ancora più graziosa. Corre a prendere un fermaglio, non vedendo l’ora di cimentarsi in qualche tipo di acconciatura.

Chi me lo ha fatto fare…

Mi ritrovo a pensare, rassegnata, chiedendomi quando gli occhi smetteranno di bruciarmi. Non mi sono ancora vista allo specchio, ma già ho paura.

Ci fosse ancora Dègel, qui con me, allora si che avrebbe un senso questo, ma così… vero che bisognerebbe avere cura di sé stessi indipendentemente dagli altri, ma mia madre non ha mai avuto la pazienza di spiegarmi queste civetterie ed io, non avendo voglia di impararle, le ho sempre lasciate perdere. Il risultato è stato che mentre le mie ex compagne di classe sembravano già delle donne nel fior fiore dell’età, belle, intraprendenti e solari, io sono sempre sembrata una ragazzina, o peggio, una scimmietta, come amavano prendermi in giro gli altri.

Perché stia pensando questo proprio ora non lo so… come può mancarmi questa fetta di quotidianità, i litigi, le prese in giro, l’isolamento?! Non ha davvero senso! O forse non sono i miei compagni che rimpiango, ma l’illusione di avere una certa stabilità e certezza, la sensazione che tutto vada dritto senza scossoni, quasi spensieratamente, cosa che adesso non ho di certo più.

Finalmente le mie stiliste finiscono la loro opera. Mi contemplano per qualche breve, necessario, secondo, confabulando tra loro, prima di regalarmi un largo sorriso.

“Sei splendida, proprio come immaginavo!” esclama Myrto, passandomi uno specchio per vedermi.

Inavvertitamente sussurro, non riconoscendomi quasi più. Arrossisco di netto, prendendo a toccarmi le guance.

“Ma sono davvero io???”

“Certo, piciula! - mi rassicura lei, affiancandomi per poi spiegarmi, con dovizia di particolari, il suo operato – Ho utilizzato un trucco che ti fa sembrare comunque più piccola, vedi? La matita nera, l’eyeliner dorato e il mascara che allunga le ciglia hanno fatto il resto. Hai degli occhioni fenomenali già al naturale, se li valorizzassi faresti strage di cuori!”

Come se mi interessasse, poi… l’unica persona che abbia mai amato giace in fondo al mare avvolta dal ghiaccio eterno, il solo pensarlo mi strazia.

Ricaccio indietro la tristezza mentre Myrto passa a fare complimenti simili anche a Sonia, ben più a suo agio di me sebbene, esattamente come la sottoscritta, tenda a non truccarsi mai.

Le vedo parlare tra loro di Milo, del fatto che la piccola farà un figurone con il suo maestro, che ne rimarrà sbalordito, e di farsi vedere anche così dai fratelli che la riempiranno a loro volta di complimenti. Sorrido automaticamente nel vederle così a loro agio. Myrto ha davvero un cuore d’oro, sono ben contenta di averla conosciuta e devo ringraziare Shion per l’offerta che mi è stata data. E’ un’esperienza che non dimenticherò mai! Se avessi continuato una vita normale, probabilmente mi sarei iscritta a Storia, come università, e da lì avrei tentato di diventare archivista, il mio sogno.

Ad un certo punto vedo la giovane donna sussultare, dandosi una manata sulla fronte come ad essersi ricordata di una cosa urgente. La vedo sparire per andare in camera sua e tornare con un oggettino in mano che io riconosco subito.

No, anche quello no!

“Marta!!! Il rossetto, manca il...”

Si dirige a grandi balzi verso di me, quasi avesse trovato l’elisir di lunga vita e dovesse inocularmelo, ma io la blocco di riflesso, con garbo ma fermezza.

“N-no, anche quello no, per favore!”

“Perché? Rende le labbra più carnose!”

“L-lo so, ma l’ho sempre odiato e poi, e poi… - prendo un profondo respiro, prima di aggiungere – e poi io me lo mangio, dura poco con me, anche se fosse waterproff o come si dice!” biascico, al limite dell’imbarazzo.

Brevi istanti di sconcerto, prima di sentirla scoppiare a ridere, quasi trattenendosi la pancia e lacrimando. Ecco ora mi giudicherà...

“Mi fai morire, Marta!!!”

Ridacchio a mia volta, grattandomi brevemente la testa. Per una donna di tutti punto come Myrto devo aver detto una bestemmia, ma sono contenta che non mi faccia sentire sbagliata. Sono cose che una donna dovrebbe imparare, direbbero molti, ma io non ne sento la necessità e queste generalizzazioni non mi sono mai andate a genio.

“E tu, Sonia?” chiede poi alla mia amica, una volta ripresosi.

“Io, sì, certo, adoro i rossetti!” trilla lei, alzando la mano e sedendosi docilmente sullo sgabello.

Myrto passa quindi a concentrarsi sulla sua bocca facendo prendere un respiro di sollievo a me.

Il procedimento è di breve durata, Sonia, ornata con un rossetto viola scuro che la fa sembrare più grande, scende, andando poi a prendere le sue cose in camera. Io rimango sulle mie, divertendomi a muovermi le gambe, su di giri all’idea di rivedere mio fratello, le mie amiche e tutti gli altri.

“Marta!”

Mi prende un risalto nel sentire nuovamente la voce di Myrto, non me l’aspettavo, con la mente ero già partita per la tangenziale dei miei pensieri. Mi riscuoto, giusto in tempo per accorgermi che qualcosa mi viene posato in grembo.

“Tieni, questa è tua di diritto!” mi sussurra lei, dandomi una breve carezza sulla testa.

Prendo tra le mani ciò che mi ha dato, di forma rettangolare, girandomelo tra le dita. Quando finalmente distinguo cosa sia, il mio cuore perde un battito: è bellissima!

“E’ la foto che vi ho fatto di nascosto a te e tuo fratello, sì – mi spiega lei, teneramente – E’ tua, immagino tu non abbia ricordi fisici con Camus, giusto?”

Annuisco brevemente, senza tuttavia riuscire a dire niente, troppo emozionata per farlo. Riesco solo a tremare. La foto in questione, fatta per l’appunto di nascosto da lei poco prima di venire qui su Milos, raffigura me e Camus in un atteggiamento estremamente confidenziale e naturale. Ci stiamo infatti abbracciando, io, premuta contro il suo petto, quasi sparisco tra le sue ampie spalle; lui che mi tiene forte stretta sé, una mano dietro la mia nuca, il viso delicatamente appoggiato sulla mia testa. Mantiene gli occhi chiusi, completamente rilassato, come raramente gli ho visto essere, con quel leggero sorriso a solcargli il viso candido. Felice. Siamo felici entrambi, e ciò mi emoziona.

“Gra-grazie, Myrto!” gracchio, stringendomela al petto come se fosse un tesoro.

“Non ho altre copie, lo giuro! - esclama lei, facendomi l’occhiolino – Tranquillizza pure Camus, non spaccerò in giro questa foto in cui sembra così vulnerabile, urlando ai quattro venti quanto sia cambiato il Cavaliere dell’Acquario!”

Sorrido, annuendo con il capo, quasi commossa.

“Però dovete farmi una promessa!”

Riapro gli occhi sorpresa, non avendo proprio idea di cosa vorrebbe chiedermi. Per un istante, mi sembra che i suoi occhi scuri, mediterranei, si facciano per un attimo più lucidi, come se fosse stata sfiorata da un pensiero triste, che tuttavia scaccia in fretta.

“Questa sarà solo la prima di una lunga serie. Ne farete altre, molte altre, fino a compilare un bellissimo album di ricordi! - si ferma un attimo, chiudendo e riaprendo gli occhi – Promettimelo, Marta! Noi non possiamo in alcun modo arrestare il flusso temporale, ma possiamo fermare l’attimo, far sì che quel momento possa perpetuarsi per sempre. Fatelo, piciula, insieme, godete della compagnia reciproca, anche se tuo fratello non ama particolarmente farsi riprendere, lo avrai senz’altro...”

Ma non le do il tempo di finire, semplicemente, posata con attenzione la foto per non rovinarla, mi precipito verso di lei, circondandola in un abbraccio, emozionatissima.

“G-grazie, Myrto, te lo prometto!” farfuglio, visibilmente agitata.

Lei, sulle prime, esita, non aspettandoselo, ma poi ricambia il gesto, trasmettendomi calore.

“Non c’è di che!” dice, lisciandomi i capelli con naturalezza.

 

 

* * *

 

 

4 dicembre 2011, pomeriggio

 

 

Non riesco a star ferma per l’emozione di rivederlo, me ne rendo conto, sono scalpitante e assolutamente frenetica, come una molla pronta ad azionarsi. Mi devo dare assolutamente una calmata!

Siamo sotto coperta, Sonia ed io, oggi il mare è mosso e il tempo non è dei migliori, anche se non piove. Myrto ci ha consigliato di rimanere all’asciutto, cosa che la mia amica avrebbe fatto in ogni caso, stante la sua paura per il mare. Stiamo tornando a casa, finalmente!!!

Dopo l’attacco su più fronti, si sono respirate settimane di relativa calma, dove anche le mie amiche e i Cavalieri d’Oro rimasti feriti hanno potuto rimettersi in forze. Camus, superato il malessere, si è fatto sentire sempre più frequentemente, dall’una alle due volte al giorno e, piano piano, ho potuto saggiare con mano, in base al suo timbro vocale che si faceva sempre più forte e meno tremante, la sua guarigione. Milo mi ha rassicurato che si è ripreso splendidamente dall’ennesima brutta esperienza, aggiornandomi settimanalmente sulle sue condizioni. Mio fratello ha sempre avuto una capacità di recupero fuori dall’ordinario, ma tende a strafare quando si sente un poco meglio e anche stavolta lo ha fatto, tornando anzitempo alle sue faccende. Ovviamente io fingerò di non saperne niente in attesa che me lo dica lui, SE me lo dirà, s’intende. Ho timore che abbia comunque subodorato il fatto che le mie percezioni su di lui si facciano sempre più intense, portandomi a sentirmi male per questo, malgrado abbia fatto del mio meglio per mascherarlo. Allo stesso modo, anche io so cose che lui non vorrebbe, so essere brava a fare la gnorri, anche se non lo vorrei, non con lui. Però… lui non riesce ad essere ancora del tutto onesto con me per istinto di protezione, io… sto crescendo, non mi va di essere trattata sempre come una bimba, vorrei che mantenesse davvero la promessa che ci siamo scambiati nel passato, ma tant’è…

 

Uhmpf, parlate tanto di fratellanza, di persona più importante della propria vita, ma non riuscite ad essere sinceri l’uno con l’altra, vi mentite, per un fine che vi raccontate essere superiore… in verità siete due poppanti, ma arriverà il momento della verità e allora… saranno rombi e tuoni!

 

Le parole affatto simpatiche di Mantus, a proposito del legame mio e di Camus, mi risuonano trucemente nelle orecchie. Sa essere cristallino, fin troppo, tanto da essere irritante, non posso negarlo. E ha ragione! Tra me e mio fratello c’è pieno di non detti, entrambi fingiamo di crederci, entrambi lo mascheriamo, ma nessuno di noi due, bandendo finalmente l’orgoglio, riesce ad essere limpido con l’altro circa la propria salute. E, prima o poi, questo peserà… troppo!

Non mi piace per niente ma… cos’altro posso fare?! Non sono più una bambina,che diamine, vorrei che se ne rendesse conto! E… anche io posso proteggerlo, non è che devo rimanere inerme solo perché sono la minore!

“Siamo in dirittura d’arrivo!” ci urla Myrto da babordo, indicandoci di cominciare a prepararci.

Le gambe hanno un fremito maggiore a causa dell’emozione, mentre Sonia entra proprio in uno stato di fibrillazione, raccogliendo la propria roba qua e la per riporla caoticamente nello zainetto.

“Ci siamo quasi… - le dico, sorridendole, certa che condivida la mia agitazione – Pronta?”

“Assolutamente si!”

Il motore romba, segno di una manovra in atto. Avverto il fremito dell’imbarcazione che mi riporta alle memorie il traghetto dell’isola d’Elba che fa la rotta Piombino-Portoferraio, l’unica esperienza in mare che ho avuto prima di questa. Sono sempre stata più montanara che marina, lo ammetto. La fase dell’ancoraggio è sempre la più delicata, lo so bene, anche se Myrto è un’ottima navigatrice. Poco dopo, lo stesso motore che rombava smette di funzionare, portandoci alla comprensione di essere ormai approdati al porto. Ancora uno, due, dondolii, poi il nulla, silenzio, finché…

“Chi si rivede, bellezza sul traghetto! Tutto bene il viaggio?”

Vedo gli occhi di Sonia illuminarsi, riconoscendo la voce del suo maestro, anche io sorrido raggiante, uscendo insieme a lei da sottocoperta. Rimaniamo un paio di secondi senza mostrarci ad annusare l’aria umida dell’ambiente, oltre che il sale marino e il profumo di salsedine.

“Milo, sei sempre il solito! - ridacchia intanto Myrto, felice di rivederlo – Tutto bene, le vostre pupille sono davvero straordinarie, due bocconcini ricolmi di sorpresa! Bravissime a riordinare l’archivio, potrei chiedere ancora il loro aiuto in futuro, se dovessi avere dei problemi!” spiega raggiante, orgogliosa del nostro operato.

“E dove… dove sono, però?” chiede Milo, probabilmente non vedendoci nell’immediato.

Io non ho nemmeno il tempo di palesare la mia voce che vedo Sonia, ormai incapace di trattenersi, precipitarsi in direzione della prua, urlando un “SONO QUIIIIIIIIIIIIIIII!!!” che deve diffondersi per tutti i dintorni.

Il secondo dopo, ben lanciata, sparisce dalla mia vista, dirottandosi direttamente giù, fiduciosa che Milo la prenda in braccio e soprattutto al volo.

“Ehi! Ehi, Sonia! - esclama lo Scorpione, non aspettandosi un tale gesto. Rumore di qualcosa che sbatte, un cigolio indistinto, altro di non ben definito, brevi secondi di raccoglimento, poi... – Ehi, ti vedo paffutella, Sonietta, Myrto ti ha messo all’ingrasso?!? OUCH!”

Suono si schiaffeggio nell’aria, ridacchio, immaginandomi la scena.

“Imbecille… tonto! MILO!”

“Bentornata a casa, piccoletta, mi mancavano le tue amorevoli carezze!”

“SCEMO! Anche tu mi sei mancato”

“Ahi, però non tirarmi e i capelli e… no lì no, non schiacciare lì!”

“Sono a casa, Milo… ora sono a casa!”

“Lo so e… ho preparato una cena speciale per te, per il tuo ritorno, sai?”

“Ho paura...”

“Mi ha aiutato Aiolos… ci sono anche i tuoi fratelli, mangiano con noi”

“Ah, meglio, ihi!”

“Sei… sei tremenda, non ti fidi di me?”

“No, non sai cucinare!”

Risate vivaci nell’aria, che mi trasmettono un sollievo immediato. Finalmente, ispirata dall’atmosfera familiare, esco anche io scoperto e lo noto subito, il cuore accelera in un battibaleno. Lo guardo, lui mi guarda, stava osservando Sonia e Milo, in verità, ma appena mi vede la sua attenzione è tutta per me, in un misto tra la sorpresa e l’abbozzo di un sorriso. E’ ancora pallido in volto, ma sembra stare abbastanza bene. Mi mancava, mi è mancato così tanto!

“Marta!” mi saluta, affabile, gli occhi luminosi, senza però fare alcun movimento nella mia direzione.

Guardo anch’io distrattamente sia Milo che Sonia, felici di essersi ritrovati. La più piccola è ancora tra le sue braccia, gli pizzica un poco la guancia, trovandolo divertente; lo Scorpione ha gli occhi brillanti per l’emozione, fa il lagnoso ma è tutta finzione, è il loro rito, del resto...

Anche io… anche io vorrei un momento così con mio fratello, anche io ho tanto bisogno di abbracciarlo! Camus probabilmente vede le intenzioni passare nei miei occhi prima ancora di manifestarle, alza un braccio di riflesso, che io interpreto erroneamente come un invito.

“N-no, asp... aspe...” si oppone infatti lui, ma è troppo tardi, sono con i piedi già fuori dal dirimpetto e mi sto caricando come una molla per il grande balzo, le braccia aperte, briosa.

“FRATELLINO!!!”

Sembro tanto Michela in questo momento e, come lei, non penso, non calcolando che tra me e lui c’è una notevole distanza fatta di acqua sporca di porto e duro asfalto, per questo Sonia si era presa la rincorsa. Lei furba, io no. Qualcosa passa negli occhi di Camus che probabilmente mi vede già spiaccicata per terra. Lo vedo sussultare, prima di correre a sua volta nella mia direzione per afferrarmi, ma il mio volo, unito al peso, lo sbilancia non poco all’indietro, facendolo finire per terra ed io sopra di lui. Rido serena, appendendomi poi al suo collo e incassando il viso tra le sue due clavicole completamente ubriaca a quel contatto. La felicità è tanta, esplosiva, non mi fa rendere conto nell’immediato che il suo corpo invece è rigido, che ha provato una stilettata di dolore intensa nell’afferrarmi al volo e che, ora che si sta sollevando sui gomiti, sempre con me sopra, è perfino più teso di prima. Mi osserva con incredulità per un secondo, ma io lo precedo, tutta entusiasta.

“Camus… CAMUS! Sono così contenta di…”

“Che… che hai fatto al tuo viso?!”

Lo fisso senza capire, sbattendo le palpebre, prima di realizzare di essere truccata e lui effettivamente non è abituato a vedermi così. Abbozzo un sorriso, credendo sia solo questo il problema.

“E’ stata Myrto, c-come sto?” chiedo un parere, desiderando, forse, dentro di me, un suo complimento o un apprezzamento.

Lui, sulle prime non dice niente, fa per accarezzarmi la guancia con un pollice, ma poi ode delle risate sia provenienti da Myrto che dei passanti, perché effettivamente il Pireo è pieno e la gente, incuriosita dal trambusto, ci guarda, me ne accorgo solo ora.

Sono ancora sopra di lui, ho giusto il tempo per imbarazzarmi per la magra figura, che si alza senza avvertirmi, lasciandomi cadere indietro. Finisco a mia volta con il sedere a terra, mentre lui, riottoso, mi da le spalle.

“C-Camus?” chiedo, smarrita.

“Queste svenevolezze non sono necessarie in pubblico, lo dovresti sapere, Marta! - mi fredda, voltandosi verso di me nell’indurire la sua espressione, prima di compiere qualche passo per avvicinarsi a Myrto, rimasta invece sull’imbarcazione – Che ti è saltato in mente di ridurla ad un pagliaccetto?! L’hai forse presa per una bambola?!”

Un pagliaccetto… menomale che sono ancora per terra perché nella mia espressione passa, chiaro e limpido, una vena di delusione. Rimango quindi ferma, abbattuta, la faccia da funerale, mentre, dietro di me, comincia la guerra dei mille giorni.

“Come ti permetti di trattare la tua sorellina così?! - ribatte lei, velenosa, la risata di prima un lontano ricordo – Sei davvero uno screanzato!”

“E a te chi ti ha dato il permesso di addobbarla come un manichino?! Ha gli occhi delicati, le sia arrossano come niente e… e santo cielo, con quel trucco così marcato sembra dover andare a… a non voglio neanche dirlo, per Atena!

Altra stilettata al cuore, mentre, lentamente, mi raddrizzo, rimanendo comunque seduta spersa più di prima.

“COSAAAAAAA?! Ma come puoi dire una cosa simile di lei?! - urla ancora più forte Myrto, sovrastandolo di voce, capendo le sue allusioni – E’ un trucco normalissimo, bigotto del cazzo!”

“Qu-quello sarebbe… normale?! Marta non è te, Myrto, non è a caccia! - ottimo, ora lancia le frecciate pure a lei, delizioso! - Che ragione avevi di incipriarla così?!”

“ERA PER L’OCCASIONE, COGLIONE! Era così contenta di rivederti, le sei mancato un sacco in questi 40 giorni e… ed era molto agitata dopo i fatti accaduti al Santuario a metà novembre, quindi le ho proposto di celebrare la fine della punizione agghindandosi, anche Sonia lo è, non l’hai vista?! - gli urla un’altra sequela di insulti uno dietro all’altro, da farlo tacere seduta stante – Certo che voi maschi non capite proprio una fava!!!”

“...”

“Bigotto… e anche stronzo!”

“Non osare, Myrto, non… non dovevi impicciarti in queste cose!”

“Secondo me non è neanche per quello che reagisci così, tu, semplicemente sei sentimentalmente stitico, non riesci a manifestare agli altri il tuo attaccamento a lei, ti vergogni, per questo tu...”

“Ma che ne sai, tu!

“Oh, sei arrossito, però, ho centrato, vero?! L’avresti abbracciata dopo, al sicuro, nell’intimo della tua abitazione, e invece lei si è fiondata su di te, fuori di sé dalla gioia, ciò ti ha costretto a mostrare i sentimenti che custodisci gelosamente dentro di te, davanti non solo ai passanti, ma a me, e Camus dell’Acquario non può mostrare una tale debolezza, nevvero?!?”

“I-io non...”

“Sei di nuovo arrossito, centrato un’altra volta, bloblablobabop!” si mette a fare boccacce lei, sicura di sé e delle sue convinzioni.

Dei, voglio sparire dalla vergogna… di due non ne fanno uno e stanno urlando come dei pazzi squinternati! Temo andranno avanti così ancora per un bel po’ ed io mi sento completamente svuotata. Guardo davanti a me senza vedere l’ambiente per davvero, conscia di aver sbagliato, sì, approccio con lui, non dovevo essere così appiccicosa, non in pubblico, ma comunque ferita e rammaricata per le sue parole.

Perché quando cerco di dare sfogo al mio universo interno finisco sempre così, vergognandomi?! Vorrei davvero essere un po’ più come Michela o… solare come era Seraphina!

All’improvviso, quatto quatto, si avvicina a me Milo, entrando nel mio campo visivo insieme a Sonia, che ha un’espressione abbattuta al pari di me. Lei sa quanto aspettassi questo momento, ed è andato tutto a rotoli.

“Per quanto può valere, piccola… per me invece sei splendida! Sei giù molto bella di tuo, ma il trucco risalta i tuoi lineamenti e i tuoi occhioni, dovresti agghindarti un po’ più spesso, sai? Forse, l’unica nota, direi, alleggerirei un po’ il… come si chiama l’affare per le ciglia?!” chiede, guardando Sonia come a richiedere l’aiuto del pubblico.

“Mascara, Milo!”

“Ah, sì, quello! Non hai bisogno di essere così incipriata, i tuoi occhi parlano da soli!”

“Grazie… - tiro un poco su col naso, alzandomi e abbracciandolo di riflesso, ricambiata – Sono felice di essere tornata… a casa!” mi lascio sfuggire, nascondendomi nella sua giacca.

“E noi siamo felici di riavervi qui, ci siete mancate!”

Ecco, sarebbero bastate queste due parole pronunciate da mio fratello, e invece... Sospiro, cercando di non far capire a nessuno quanto ci sia rimasta male per questa sua reazione E’ comunque altrettanto lampante che se la siano data tutti, basta solo vedere l’intervento in mio favore dello Scorpione, forse il solo Camus non ci è ancora arrivato.

“CHIEDILE SCUSA SUBITO, VILLANO!” lo minaccia neanche troppo velatamente Myrto, puntandogli l’indice contro.

“Io non… non ho fatto niente, perché dovrei…?” biascica mio fratello, in evidente difficoltà.

“MA ALLORA SEI PROPRIO CITRULLO, EH?! Implorale perdono e dille che sei felice di rivederla, se è magnanima te lo concederà, anche se io ti avrei già mandato al diavolo!”

“Ma che acc… non seguo i tuoi ordini, Myrto!”

Stanca di quella patetica sceneggiata che stanno protraendo all’infinito, che tanto valeva abbracciarmi visto che stanno dando comunque spettacolo, mi stacco da Milo, guardandolo negli occhi e ringraziandolo ancora della premura che ha avuto nei miei confronti.

Poi, senza aspettare più nessuno, mi dirigo, come se niente fosse, verso il Santuario, o almeno così sarebbe mia intenzione, se non percepissi l’intrusione di Camus che, tardivamente, tenta di recuperare terreno.

“No!” lo fulminò con lo sguardo, prima che possa aprire bocca, quasi soffiando come un pitone.

“Ma… non ho detto niente!” mi fa notare lui, ritraendosi istintivamente. Ora sì che percepisce il mio disappunto, eccome se lo percepisce!

“E’ comunque no, fratello...” calco sull’ultima parola per fargli comprendere maggiormente quanto io sia furiosa, delusa, dispiaciuta, infastidita… tutto insieme!

“Sei.. arrabbiata?” tenta, tastando prudentemente il terreno.

Mi verrebbe da dire ‘ma ganga!’, come era in voga quando ero piccola, ma scrollo la testa, guardando altrove, in una evidente manifestazione di dissapore.

“No”

“Non vuoi… tornare insieme al Santuario?” mi domanda ancora, procedendo a tentoni. Farebbe quasi tenerezza, se le sue interferenze e interessamenti, ora, non mi indisponessero ancora di più.

“No! - ribadisco, andando oltre, glissando l’argomento – Conosco da sola la strada!”

“Però… stai andando in direzione opposta!”

Ma allora vuoi morire, eh...

La sua osservazione, peraltro giusta, perché effettivamente così desiderosa di eclissarmi sto andando da tutt’altra parte, fa malauguratamente scattare quel qualcosa in me che ancora tenevo a freno. Mi volto verso di lui, arcigna, tutte le pieghe della pelle del viso ben marcate in una manifestazione che, probabilmente, a giudicare dal suo sussultare, riesce a percepire ben prima di palesarsi sotto forma di voce.

“Tu sai invece in che direzione devi andare?! - chiedo retoricamente, quasi sibilando, prendendo poi il fiato per esporre, ovviamente strillando, il resto – A FANCULO! DEVI ANDARE A FANCULO, CAMUS!!!”

E così, dopo averlo mandato a quel paese non una, ma due volte, dopo aver udito Milo mormorare un: “stavolta te la sei davvero andata a cercare, amico mio”, me ne vado in silenzio, oltraggiata, inveendo contro la totale inabilità di parlare di mio fratello.

Mi ero fatta così tanti, bellissimi, castelli in aria sul nostro incontro dopo più di un mese di assenza, dopo i fatti accaduti a metà novembre, dopo quello che ha patito ancora una volta. Sospiro ancora una volta, girando l’angolo, sciogliendo l’acconciatura che Sonia mi aveva minuziosamente preparato con un gesto di stizza.

E’ proprio il caso di dirlo: bentornata alla dura realtà, Marta!

 

 

* * *

 

 

 

4 dicembre 2011, notte

 

 

Dei, che cosa ho fatto… sono riuscita a rovinare tutto, di nuovo!

Ero talmente stizzita che non ho detto una parola durante la cena, preparata in pompa magna per il mio ritorno, limitandomi a guardare truce tutto e tutti per poi filare in camera mia senza nemmeno salutare.

Presumo di aver dormito un paio d’ore massimo, mi sento più rincretinita di prima. Non credevo, ma il viaggio via mare, l’emozione del ritorno, devono avermi stancato, e poi, vabbé, la litigata con mio fratello. L’ho spedito a fanculo senza neanche una ragione precisa, quando, conoscendolo, avrei dovuto io trattenermi da sforzarlo a manifestare i suoi sentimenti in pubblico. Invece no, ho agito da impulsiva, ancora una volta, e mi sono sentita ferita. Proprio degno di me fare e disfare tutto.

Non volevo tornare così, non dopo quello che so abbia passato; non vorrei neanche costringerlo a parlare, se non se la sente, ma continuo ad aspettarmi, infantilmente, cose che lui non può darmi perché non sono nella sua natura. E, come troppo spesso accade, io ci rimango male. Significa che non sono ancora pienamente in grado di accettarlo così com’è, questo mio continuare a forzarlo lo dimostra e… è davvero tremendamente puerile, da parte mia, nonostante la lezione del passato sia sempre chiara in testa.

Non volevo litigare con lui, ma starà dormendo ora e probabilmente è troppo tardi per rimediare.

Mi alzo comunque dal letto per uscire dalla camera e andare in bagno, nel farlo, noto che la luce della cucina è ancora accesa e che c’è rumore diffuso di acciottolio di piatti. Mi dirigo quindi in pantofole al piano di sotto, non assecondando momentaneamente il mio bisogno di espletare le funzioni corporee. Giungo così in cucina dove i miei dubbi diventano certezza: Camus è ancora bellamente in piedi nonostante siano le 11 passate e si sia stancato più del dovuto anche oggi. Che testa di minc…!

Sospiro, entrando senza fare troppo rumore, ma lui mi percepisce subito, voltandosi e regalandomi un dolce, anche se un poco tirato, sorriso. Forse ora… riusciremo a parlare civilmente?!

“Pensavo dormissi di filato fino a domani mattina, il viaggio deve essere stato stancante...”

“E’ stato più stancante sprizzare gioia da tutti i pori nel vederti ed essere poi trattata così solo perché avevi Myrto davanti!” gli faccio notare, con un pizzico di severità, prima di mordermi la lingua.

Giochiamo ancora a rimpiattino, Marta?! E cresci un po’, accidenti!

“Marta…”

“Dei, l’ho rifatto di nuovo quando vorrei solo… chiederti scusa! - esito, vergognandomi di tutto, guardando altrove – Ti ho messo in difficoltà oggi, davanti a tutti e… mi dispiace!”

“N-no, tu non hai fatto nulla di… sbagliato, è che...” tenta di spiegarsi, bloccandosi a sua volta in vistosa difficoltà. Ciò mi spinge a deviare argomento.

“Comunque pensavo che ti fossi già coricato, voglio dire, hai già preparato la cena, di sicuro Michela e Francesca avranno chiesto di lavare almeno i piatti e tu avrai sicuramente rifiutato” gli rispondo, preoccupata.

“Non vado mai a dormire prima della Mezzanotte, dovresti saperlo, e, per il resto… sarei comunque venuto prima su da te per… chiarire!” ammette, un poco a disagio.

“C’era tempo domani per farlo, sei molto stanco...” gli faccio notare, pur non approfondendo il discorso.

Lui si asciuga le mani e scrolla il capo, come a dire che è un’inezia, che sta bene e che tanto ha già finito. Fingerò di crederci ancora una volta.

Poco dopo è lui a riprendere a parlare, forse vedendo la mia esitazione e la mia faccia da cane bastonato.

“Cosa ti ha svegliato? Dovresti riposare, piccola, domani riprenderai gli allenamenti con me” mi dice, avvicinandosi con naturalezza.

“L-lo so, però...”

“Scusami… scusami per oggi, m-ma...”

“Sei complessato da farti vedere in atteggiamenti confidenti, Cam, so anche questo...”

“N-no non è i-il solo… non è la sola ragione!”

“Ma io ero davvero felice di vederti e… non ho pensato, mi sono buttata, volevo solo abbracciarti, ed è finito che non ti ho rispettato!”

“Anche io volevo tanto riabbracciarti, piccola, m-ma non mi aspettavo la tua reazione così, davanti a tutti e… ero a disagio!”

“Lo so, come ti dicevo, ti chiedo scusa per averti sforzato ad essere ciò che non sei”

“Ed io… per averti ferita, perché ti ho ferita, vero?”

“U-un po’, ma pazienza… devo crescere, Cam, mi reputo grande, ma non lo sono, non ancora!” rabbocco aria, grattandomi insistentemente gli occhi, che bruciano.

Non lo sono ancora, già, come non sono abbastanza forte per proteggerlo, ma lo diventerò!

“Lo sei invece, per moltissime cose e… in ritardo, ma… ben tornata a casa, ma bichette!”

Annuisco, rasserenata, ha preso a chiamarmi così dopo la battaglia su più fronti, non so il motivo, ma mi piace molto. E’ il momento giusto per dargli finalmente ciò che vorrei, ma mi vergogno. Lui mi accarezza delicatamente la guancia con un pollice, spingendomi poi ad alzare il mento per guardarlo in faccia, notando così il rossore.

“Ti fanno male gli occhi? E’ per questo che ti sei svegliata?”

“N-no...” farfuglio, a disagio.

“Però ce li hai ancora arrossati e…”

“Cam, p-possiamo andare un attimo in camera tua? Voglio dire, p-puoi tu andare in camera ed io… ti raggiungo subito?”

“In camera?”

“Erk, s-sì...”

Mi guarda strano, non capendo pienamente la mia richiesta. Alza un sopracciglio, fa per chiedere delucidazioni, ma io lo precedo.

“V-vorrei farti vedere una cosa...”

Darti, più che altro. Poi le cose sarebbero due, ma non voglio dilungarmi nella spiegazione, mi vergogno troppo.

Non credo riesca a capire appieno le mie intenzioni, ma mi asseconda e annuisce, dirigendosi poi in camera. Attendo che si chiuda la porta alle spalle per andare nella mia, di camera, prendere la borsa, tirare fuori la pochette data in dotazione da Myrto, toccare il benedetto bracciale per vedere se c’è ancora e trovare finalmente il coraggio di andare finalmente in camera da lui. Sembra un po’ un’impresa dei mille, del resto non sono abituata a fare i regali.

Entro nella sua stanza. Lui mi guarda. Io guardo lui. Silenzio.

Non so se ridere o piangere, mi sento deficiente. Soppeso come esordire nel discorso, chiedendomi perché con lui sia così complicato, con Cardia, nel passato, è stato tutto così spontaneo...

Camus non mi fa fretta, attende pazientemente, cercando di capire cosa mi frulli per la testa. Sto tenendo tutto dietro alla mia schiena, esito, poi passeggio nervosamente, poi ancora esito, e poi mi metto a tamburellare i piedi.

“Sembri un fascio di nervi, calmati, Marta! - mi dice poi, non sapendo se avvicinarsi o aspettare ancora, scegliendo poi quest’ultima opzione – Che succede? Cosa tieni lì dietro?”

Deve preoccuparsi un po’ nel vedermi così, -come esordisco, che cavolo?!- lo vedo compiere un primo passo, ciò mi spinge ad intervenire… nel peggiore dei modi!

“R-ricordi la missione a Delphi?” chiedo a bruciapelo, rossa in viso. La domanda è ovviamente retorica ma lui mi risponde seriamente.

“Come potrei dimenticarla, è lì che Hyoga ed io...” sospira, guardando altrove.

Mi mordo il labbro inferiore… ma allora sono davvero idiota per cominciare così! Vabbè, non importa, posso ripiegare, forse…

“E-ecco, in quella circostanza io ho trovato qualcosa...”

“Che cosa?”

“Un...”

“Un…?”

E lasciami finire, Cam, che cavolo, faccio già fatica così!

Alla fine me la risolvo avvicinandomi a lui a capo chino, prendendogli poi la mano per mettergli il bracciale tra le dita.

“Questo” dico solo, trovando interessante osservare i piedi.

Camus si passa il gingillo tra le mani, riesco ad indovinare i suoi movimenti sebbene non riesca a guardarlo in faccia. L’imbarazzo fin sopra i capelli.

“Questo… dove lo hai trovato?” mi chiede, sinceramente stupito.

“E’… è un regalo per te” borbotto, vergognosa.

“Questo lo avevo capito, peste! - mi dice, in tono caldo, scompigliandomi i capelli e alzandomi ancora una volta il viso con delicatezza – Ma volevo sapere dove, non è una pietra… molto comune, diciamo!”

“I-in un negozio d-di souvenir, c-c’erano queste pietre graziosamente violacee che formavano un bracciale. Ho sentito come un tintinnio, mi chiamava, ma sapevo che non sarebbe spettato a me, bensì a te!”

“C-come sarebbe a dire che ti chiamava? La… potevi percepire, come se ti parlasse?” indaga lui, scrutandomi a fondo, una strana luce negli occhi che sembrano risplendere di una consapevolezza a me sconosciuta, ma io non reggendo il suo sguardo lo abbraccio, nascondendo il viso nella sua maglietta.

“Marta...” lui avverte il mio tremore, con un braccio mi avvolge le spalle, l’altro palmo tiene ancora la pietra tra le dita. Alzo goffamente la mano, stringendo la sua che tiene il bracciale per poi chiudergliela dolcemente in modo che ne rimanga racchiuso.

“E’ tua, Cam, ne hai bisogno!”

“Perché… mi dici questo?”

Ingoio a vuoto, lo avverto molto emozionato, anche se, come è di sua natura, tenta di controllarsi. La cosa mi da la spinta per proseguire in maniera un poco meno tentennante.

“Perché è fatta apposta per te! - mi raschio la gola, tentando di spiegare le ragioni che mi hanno smosso – N-non conosco il nome di questa pietra, m-ma lei… era lì per te, ed io lo sentivo, sì, come se parlasse! N-non so cosa mi abbia spinto a prenderla, ma è di un viola delicato, raro, ne ero come attratta. Hai bisogno di tanta fortuna, Cam, di sostegno, di qualcosa che… mitighi l’immenso peso che ti porti dietro, gli incubi che fai e...”

Alla parola ‘incubo’ lo sento irrigidirsi e tremare più forte tanto da spingermi a parlare con ancora più dolcezza nel carezzargli la schiena.

“Stai tranquillo, non sei solo, non più… - gli sussurro, facendogli percepire la mia vicinanza – Sembra… mi è sembrata così delicata, come te, Cam, di una delicatezza che però è forza, la forza di non arrendersi, di non mollare, di continuare, nonostante tutto e tutti. Ed io… vorrei che tu avessi sempre questa forza dentro di te!”

“M-Marta, i-io...”

E’ rimasto senza parole, non sa più che dire, mi tiene contro di sé, le gambe gli tremano un poco, come se sfuggissero al suo istinto di controllarsi.

“Sentivo trattarsi di una pietra della guarigione, ed io vorrei che tu guarissi… da tutto, Cam! - prendo una breve pausa, emozionata – Come nella canzone di Battiato, ricordi, che ti ho canticchiato dopo il tuo risveglio dalla peste. E-ecco questo: ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai... ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi di umore, dalle ossessioni delle tue manie. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. E...

“...E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io… avrò cura di te! - conclude lui per me, tremando tutto, da cima a fondo, e trasmettendomi, tanta, tanta, tenerezza – L-lo so, mia coraggiosissima lucciola e… ci sei riuscita a superare le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per salvarmi. Ci sei riuscita!”

“I-io...”

Non saprei cos’altro dire, ma a questo punto lui cede del tutto. Mi stringe forte a sé, il petto scalpitante, affondando il viso tra i miei capelli e rimanendo lì, nascosto. Ne sento il respiro un poco accelerato tra i ciuffi, il suo cuore che batte quasi contro il mio da quanto sia premuta contro di lui. Sorrido tra me e me e me, sentendomi felice.

Rimaniamo così per diverso tempo prima che lui riesca a tornare padrone della sua voce...

“E’ charoite, piccola mia, i-il miracolo viola della Siberia... – mi spiega, emozionato come raramente lascia trapelare – Ed è come tu dici...”

“C-charoite?” chiedo delucidazioni, non avendo mai sentito di una pietra simile dal suono così dolce.

“Sì, è la pietra dello spirito e del coraggio, molto cara agli sciamani siberiani che la considerano sacra. Contiene tracce di ferro, alluminio, manganese e bario, soprattutto il primo è importante perché è componente essenziale dell’emoglobina, indispensabile per il trasporto del sangue che, come certamente saprai, è fondamentale per tutti gli esseri viventi. Si dice abbia effetti purificanti sull’intero organismo. – mi inizia a spiegare con passione – Rappresenta la trasformazione, guarisce dai mali psichici tramutando l’energia negativa in guarigione, purificando lo spirito e così il corpo. Rappresenta tutto ciò che è inconscio e sconosciuto, conduce verso territori arcani, sonda il misterioso... ”

“Sembra… davvero una Signora Pietra!” esclamo, carpita, come sempre dalle sue spiegazioni dettagliate. Deve essere che l’argomento gli deve piacere particolarmente, è evidente, ed io adoro ascoltarlo, mi ci perderei.

“E’ originaria della Siberia, della Yakutia nello specifico, per questo ti ho chiesto dove l’avessi trovata, è molto rara!”

“Credo sia lei ad aver trovato me...”

“Tu l’hai percepita?” mi chiede ancora, rimarcando la domanda precedente.

“S-sì, era come se mi chiamasse” confermo, un poco stranita dal suo dare così tanta importanza a questa questione.

Lui annuisce, momentaneamente incapace di parlare. Mi accarezza i capelli ancora per un po’, prima di tornare a parlarmi con voce ancora più ferma.

“Dove vuoi che la indossi?”

“Al polso sinistro, quello più vicino al cuore!” affermo, decisa, ancora come se fosse stata la pietra a suggerirmelo.

Annuisce ancora una volta, sempre a corto di parole, mentre, alzando il braccio in questione, se lo mette. Un tintinnio lieve, quasi come un ringraziamento, mi arriva alle orecchie, segno che la pietra è giunta esattamente dove doveva stare. Sorrido, accennando l’intenzione di staccarmi e, con ogni probabilità, andarmi a nascondere per la vergogna, ma Camus mi trattiene contro di sé.

“S-stai un po’ qui… puoi?” mi sussurra, desiderando prolungare il contatto tra noi.

“Ma certo che… posso!”

Anche io non volevo allontanarmi realmente, però sto morendo dall’imbarazzo, mi sento molto stupida ad essere così impacciata per una cosa così, ma davvero non sono avvezza a fare regali e… si vede! Ma Camus sembra non accorgersi di questo, tanta è l’emozione, i suoi occhi sono lucidi, glieli riesco a scorgere, prima di essere dolcemente accompagnata giù per coricarci l’uno di fronte all’altra, ancora avvolti dall’abbraccio reciproco come era stato in Siberia. Mi guarda intensamente per una serie di secondi, poi mi accarezza il viso con la mano che tiene il bracciale e mi posa un leggero bacio sulla fronte.

“Grazie, piccola mia...”

Oh, nessun lamento che non dovevo disturbarmi? Non ci posso credere!

“E grazie anche… per rimanere al mio fianco, nonostante sia certamente difficile d-dato il tipo che sono!”

Sorrido senza ribattere verbalmente. Mi lascio coccolare da lui, permettendo che siano i gesti a sopperire alla mancanza di parole che ci ha colti. Mi liscia i capelli con movimenti sinuosi, poi passa alle spalle sulle quali, con le dita, traccia piccole circonferenze che mi solleticano piacevolmente, portandomi quasi ad addormentarmi. Gli occhi mi si chiudono e… no, un secondo, l’altra cosa! Devo dargli l’altra cosa, prima di crollare!

“Cam...” bofonchio, stiracchiandomi le gambe e sfregandomi le palpebre ormai pesanti. Devo assolutamente riscuotermi, quell’altra cosa è troppo importante per cadere in sordina.

Lui si solleva appena sull’avambraccio per scrutarmi il viso: “Riesci a resistere ancora un po’ al sonno?”

“Uh, s-sì...”

“Vorrei farti vedere una cosa che ho recuperato, per caso, in questi giorni” prende nuovamente parola lui, finendo di carezzarmi per poi muoversi con l’ovvio intento di alzarsi. Non riesce ad ultimare l’azione che lo vedo irrigidirsi subitaneamente, piegarsi in avanti, premendosi una mano sull’addome come se avesse provato un dolore netto e improvviso.

Ecco, se prima rischiavo di crollare dal sonno adesso no di sicuro, sono già in allarme!

“Camus!”

“Stai tranquilla, va tutto bene! Stai pure giù, torno subito” mi sorride brevemente, alzandosi difficoltosamente in piedi, ma la sua smorfia di dolore non è sfuggita al mio sguardo.

Decido di non indagare oltre per rispetto alla sua tempra, sebbene questo suo modo di fare mi scoraggi e mi faccia continuamente sentire inadeguata.

Lo osservo aprire un cassetto dell’armadio a due ante e tirare così fuori una specie di tomo che poi riconosco, dalla forma, essere un album di fotografie. Torna quindi sul letto, indicandomi gentilmente di girarmi a pancia sotto, lui fa altrettanto, posando il tomo sopra alle lenzuola per sistemarsi così al mio fianco.

“Sai... ad Aiolos piaceva tanto fare le foto. Nell’anno e mezzo in cui sono rimasto qui, prima della Notte degli Inganni, ne ha scattate un bel po’ a noi piccoli, alcune persino di nascosto, riproducendole per poi distribuirle. - mi spiega, con un mezzo sorriso – Io… non lo ricordavo affatto ma, facendo pulizie, mi è caduto sott’occhio”

“Wow! E possiamo vederle?” chiedo, gli occhi trepidanti.

“Certo, mi piacerebbe se le rivedessimo insieme” annuisce, sereno, circondandomi le spalle con un braccio e rimanendo quindi a sorreggersi solo con l’altro gomito e avambraccio. Da a me l’onore di sfogliarlo, cosa che non esito a fare.

Apro la prima pagina, trovandovi già tutti i Cavalieri d’Oro versione mignon, o comunque ridotta, in posizione da squadra di calcio, i più piccoli davanti, gli altri dietro.

“Deve essere stato Shion a farvi questa!” commento, emozionata.

“Sì, è l’unica in cui siamo tutti insieme, anche perché solitamente eravamo divisi in gruppi. Io stavo principalmente con Milo, Mu, Aldebaran, Shaka e Aiolia, anche se ci ho messo un po’ ad… ehm, ambientarmi!”

“Questo è assolutamente da te!” sbuffo, divertita, andando alla pagina dopo.

Come mi è stato accennato, le altre foto sono più speculari, non raffigurano tutti i futuri custodi, ma solo alcuni gruppetti, da Aphrodite, Deathy e Shura che, a quanto pare, facevano comunella, a Milo, Aiolia e Mu, sempre insieme.

Noto subito che Cancer, Pisces e Capricorn in molte foto indossano già l’armatura d’oro. Sembra ci ballino dentro alla corazza, così piccoli, quasi esili come sono; fa un po’ impressione e mette tristezza, malgrado Deathy abbia quella perenne faccia da schiaffi in ogni sua espressione. Mi ricordano molto quei bambini-soldato che per me non dovrebbero neanche esistere in questo mondo, ma proseguo, sperando di trovare qualcosa di più allegro.

Oh, eccolo!

Ridacchio nel vedere un’immagine estiva con i più piccoli, tutti in costume da bagno, felici a prendere il sole o a sguazzare nell’acqua, tranne… mio fratello!

“Ma guarda, proprio come adesso, eh!” lo punzecchio, ridacchiando, appoggiandomi alla sua spalla, del tutto a mio agio. Socchiudo gli occhi, ripensando alle parole di Myrto di godere della compagnia reciproca il più possibile.

“Non mi piaceva stare scoperto!” sussurra lui, arrossendo un poco.

“Ed è un peccato, Cam, hai un bellissimo corpo! - lo rassicuro, stringendogli di riflesso la mano per farlo sentire bene, poi torno a concentrarmi sulla foto – Si vede che stavi morendo di caldo, sei tutto rosso con quella camicetta che ti copre fin troppo!”

“Qui era prima del mio allenamento in Siberia… - si lascia sfuggire, una nota dolente gli attraversa gli occhi, prima di costringersi a scacciarla – però effettivamente annaspavo. Fossi stato da solo, forse, me la sarei tolta, ma c’erano gli altri"

“Ma questa è prima o dopo i tentativi di Milo di spogliarti e farti girare scoperto?!” chiedo, incuriosita.

“Durante… non ha mai smesso, in realtà!”

Ridacchio ancora, continuando a sfogliare l’album. Camus è riconoscibilissimo ovunque con quei capelli blu, pur molto più corti, e quel cespuglietto arruffato che si trova in testa rimasto immutato in tutti questi anni. Mi fa tenerezza.

Procedo nel mio percorso attraverso il viale dei ricordi. Camus continua a tenermi vicino, studiando i miei cambi di espressione, le emozioni che mi colgono. Ogni tanto gli cala un po’ la palpebra, ma si riprende subito, costringendosi a rimanere sveglio. Deve essere stanco ma non vuole dimostrarlo, men che meno a me.

“Certo che… Milo ti stava sempre attaccato, eh? Era la tua ombra!” commento, soffermandomi un poco su una foto che vede ritratti loro due con un gatto ai loro piedi. Il futuro Scorpione circonda le spalle di un imbarazzatissimo Camus in maniera non dissimile a come sta facendo lui adesso con me, ma nella foto, nella sua immagine bambinesca, sembra molto più impacciato, con quella piega strana delle labbra, le guance rosse e il corpicino un poco rigido. Tenero!

“Sì, è sempre stato una cozza come ti ho già accennato. Si era fissato di dover essere mio amico e mi stava appiccicato, ma le sue attenzioni mi mettevano a disagio e ogni tanto reagivo male, soprattutto quando eravamo insieme con gli altri – mi sorride con tenerezza – In realtà mi ha… salvato dalla solitudine, non l’ho mai ringraziato sufficientemente per questo!” ammette poi, tremando consistentemente.

“Camus… - lo chiamo dolcemente, riprendendogli la mano e accarezzandogli il dorso che ora tiene il bracciale di pietre – Non sei solo...”

“Lo so… - si raschia la gola lui, ricambiando la mia stretta – ma mi sono sentito a lungo così...”

Ne sono consapevole, fratellino, non avresti mai dovuto, non lo meritavi!

“Qui invece... – e mi cambia il discorso, concentrandosi sulla foto sotto – Sono con Aiolia nella sua casa. Aiolos voleva assolutamente farci una foto ricordo insieme”

“Il futuro Leone non sembra molto contento...” asserisco, scrutando a fondo la sua espressione ferina contraddistinta da un disappunto loquace. Effettivamente in questo scatto che li ritrae sulle sedie del tavolo, mio fratello sembra in forte disagio, mentre Leo sembra pronto a scattare sulla preda.

“No, infatti… Lia all’inizio non poteva vedermi, ma mi ha dovuto comunque sopportare perché sono stato per mesi ospite di Aiolos”

“E… perché questo astio?” chiedo, non capendo come proprio Aiolia, tra i Cavalieri d’Oro più nobili, potesse avere quasi in odio mio fratello.

“Gelosia, credo… - suppone lui, in tono possibilistico – Ero un bimbo problematico, c’è voluta tutta la pazienza di Aiolos per tirarmi su e, inavvertitamente, soprattutto nel primo periodo, ha dato meno attenzione a lui”

“Ma tu non centravi...”

“Sì, ma quando si è piccoli è tutto più… gigantesco!”

“Però poi avete risolto, no?”

“Sì, un giorno te lo racconterò nei particolari, perché è legato a-al mio apprendistato in Siberia.”

Capendo che non se la sente di parlare ancora di questo, mi ritrovo ad annuire, riprendendo il viaggio che finisce con una foto dei Cavalieri d’Oro più piccoli ognuno con le proprie vestigia.

Anche qui la sensazione che ne deriva è estraniante. Capisco che deve essere passato un annetto dalle prime, perché i capelli di mio fratello scendono un poco più in giù delle spalle, così come quelli di Milo, ma sembrano comunque dei microbi con indosso un peso sin troppo gravoso. Li vedo infatti un poco piegati nel cercare di sorreggersi sulle proprie gambine, sforzandosi comunque di sorridere verso l’obiettivo.

Questo non dovrebbe proprio succedere, perché Atena, la presunta dea della giustizia, consente tutto questo?! Perché permette a dei bambini di essere strappati dalla loro infanzia?! Anche Hyoga avrà avuto un passaggio così traumatico, da quanto so, e, insieme a lui, chissà quanti altri.

Volto la pagina con un poco di stizza. Ma non ci sono più foto.

“Oh? Non ne hai più?” chiedo, un poco delusa. Ci stavo prendendo gusto!

“Poco dopo ci fu la Notte degli Inganni...” mormora solo, grave nella tonalità.

“Oh, capisco… - mi ritrovo a sospirare, prima di riprendermi – Non hai foto di te in Siberia? Non hai foto di Isaac e… Hyo-”

Lo avverto irrigidirsi al mio quesito, discostando frettolosamente lo sguardo nel sentirsi fragile al mio cospetto. Mi mordo la lingua capendo di aver fatto una cappellata, l’ennesima. E’ così vulnerabile quando si parla di queste cose...

“N-no, non ho foto dei miei… lupetti… - biascica, sofferente, pur calcando il diminutivo – E neanche del mio allenamento in Siberia prima di diventare maestro, la Cukotka è una terra estremamente povera e non sono andato lì… per divertirmi!” mi spiega, serrando la mascella.

“Ma quindi tu… hai un buco di circa 15 anni senza avere foto di te, di ciò che hai vissuto, della tua crescita!” proferisco tristemente, abbassando lo sguardo.

“S-sì, è come hai detto, e non ho foto nemmeno di te, piccola, mi piacerebbe averne!” si espone, accarezzandomi dolcemente i capelli. A queste sue parole mi raddrizzo, seria, cogliendo l’occasione che mi è capitata davanti.

“Beh, una ce l’hai da… ora!” dico tutto d’un fiato, riacquistando il buonumore e notando di averlo meravigliato non poco.

“Marta, cosa..?”

Non rispondo verbalmente, semplicemente mi alzo e apro la sacca che mi sono portata dietro, estraendo finalmente la foto di Myrto. Gliela porgo, sistemandomi al suo fianco.

“Q-questa sarebbe...”

Non riesce a proseguire, l’emozione è forte, gli occhi gli si fanno lucidi di nuovo. Se la rigira tra le mani, come a soppesarla, la osserva più volte, saggiandone ancora di più la concretezza. Così delicato quando manifesta le sue emozioni…

“Sì, è quella che ci ha fatto Myrto di nascosto. La trovo estremamente naturale, mi piace un sacco!” commento, arrossendo, appoggiando il mento sulla piega del gomito nel rimanere a contemplare le leggere variazioni della sua espressione.

“Sì, è… bellissima!” conferma lui, portandosela vicino al volto per poi socchiudere gli occhi, respirarla, quasi.

“E’ davvero una brava persona!” gli dico, convinta.

“Chi?”

“Myrto!”

“Mmh...” lui invece di convinto ha ben poco.

“Come ‘mmh’? E’ VERO!” gli do una leggera gomitata tra le costole come a rimproverarlo.

“E’ irritante e una so-tutto-io!”

“Dici così perché ti ha capito benissimo e a te da fastidio, vero?”

“NO! Non ha… non mi ha...”

“Oh, sì che ti ha compreso, e tu sei geloso della tua intimità! Se provassi a sforzarti un po’, se manifestassi, oltre che con me, anche con gli altri il tuo...”

“Tu ti sei trovata bene?”

Eccolo che, all’angolo, salta di palo in frasca, mi verrebbe da prenderlo a badilate nelle gengive!

“Certo… splendidamente!”

“...”

“Ma la mia casa è questa, ormai, tranquillo. Non ti sbarazzerai così facilmente di me!”

Mi pare quasi che si rilassi alla mia affermazione, tornando a contemplare la foto che sembra piacergli davvero tanto. Aveva davvero paura gli dicessi che, visto che mi ero trovata così bene, sarei rimasta volentieri da Myrto?! Sorrido di riflesso, riprendendo il discorso precedente.

“Questa deve essere solo la prima!” dico, grintosa, indicando di passarmela. Lui fa come richiesto, rimanendo in attesa, mentre mi vede metterla delicatamente dentro la fascetta e riporla nell’album.

“Ne vorresti…?”

“Sì, altre, tante altre, Cam! Insieme, con tutti, con Michela, Francesca e Sonia, in ogni stagione, in ogni luogo che visitiamo, appena possibile...”

“...”

“So che siamo in bilico molto più di altre persone, ma proprio per questo vorrei fermare il tempo, mi capisci? Vorrei che ne rimanesse almeno il ricordo, voglio vivere ogni momento appieno, con voi, con te... da qui in avanti!”

Gli occhi di Camus sono luminosi nel sentirmi parlare, freme un poco, discostandomi teneramente il solito ciuffo ribelle dalla fronte.

“E anche tu lo meriti, Cam, lo meritate tutti, di avere dei ricordi, perché siete dovuti crescere troppo in fretta, perché non avete riposato un attimo e...”

“Vieni qui… piccola!”

Non ho il tempo di finire il discorso che mi sento acciuffare dalle sue braccia. Mi trae a sé mentre, girandosi su un fianco, mi cinge con forza il busto in una manifestazione di affetto che raramente lascia trapelare ma che, proprio per questo, mi mozza il fiato.

Tremo per l’emozione nell’avvertire nuovamente il suo respiro forte e sicuro tra i miei capelli. Ricambio la stretta, passandogli il braccio sul fianco per arrivare così ad accarezzargli la schiena. Ridacchio sommessamente quando la mia pelle entra in contatto inavvertitamente con la sua, constatando che mio fratello, pur vergognandosi a mostrare l’addome, tiene maglie sempre piuttosto corte, vuoi per la perpetua sensazione di caldo, vuoi perché più comode, che al minimo movimento inconsueto mostrano proprio una delle parti che lui considera più vulnerabile. Esattamente come ora.

“Ti voglio bene!”

E’ il mio turno di non rispondere, crogiolandomi nel suo affetto che sento palpitante. Non controbatto, aumento semplicemente l’intensità del mio abbraccio, affondando ancora di più il viso sul suo petto. Sì, sono davvero a casa!

“E ti prometto… che avremo occasione di ‘bloccare il tempo’, come dici tu, di creare ricordi, insieme!”

Annuisco, felice, lasciandomi cullare, continuando a non rispondere verbalmente.

“Io avevo paura a farlo… - ammette poi, il suo respiro muta d’intensità – Ho sempre trovato i ricordi come una distrazione dal proprio dovere, e un Cavaliere, sai, non può permetterselo. Tuttavia Hyoga, che vive di ricordi, di emozioni, è arrivato così in là, superandomi e mostrandomi che… anche un guerriero ne ha bisogno per andare avanti, per essere spronato nella lotta. Io… volevo eliminarli, Marta, per me erano debolezze, ma Hyoga mi ha mostrato quanto fossi in errore...”

“Lo ha fatto Hyoga?” chiedo, cercando di guardarlo in volto.

Parlare dell’allievo reduce non è mai facile, ciò mi riporta alla mente il contatto con Isaac, la consapevolezza che è vivo e che forse dovrei dirglielo, ma… ripenso alla sua reazione di netto rifiuto quando gli avevo ventilato la possibilità di poterlo recuperare. Non vorrei che fosse controproducente...

“Sì, il mio… Hyoga! - continua, a metà strada tra l’orgoglioso e il rattristato – Ed ora, che sono morto più volte e che ho rischiato d-di morire, d-di non essere più… io… anche io voglio costruire dei ricordi con te, piccola mia, e con tutti gli altri!”

Fa ancora fatica a parlare di tutto questo, si deve fermare più volte, prendendo boccate d’aria prima di procedere. Non gli è facile esprimersi, per lui non lo è mai stato, ma sta facendo di tutto, se non di più, per riuscirci. Ed io sono fiera di lui!

“Camus...”

Vorrei dirgli quanto sono orgogliosa di lui, quanto stia crescendo, ma la mia pancia decide di brontolare proprio in un momento così solenne, riportandomi alla memoria che dovevo andare in bagno già da prima. Arrossisco, di netto, nascondendomi nell’incavo della sua spalla. Vorrei sperare che non avesse udito niente, ma era di gran lunga un rumore prodotto ad un volume sin troppo alto.

Infatti poco dopo lo sento ridacchiare con naturalezza.

“Questa… non è fame!”

“Ehm, no...” borbotto, vergognosa.

“Vai pure in bagno, ti aspetto qui” mi dice poi, liberandomi dalla stretta e rimanendo sdraiato su un fianco.

“Sei stanco?” gli chiedo, accarezzandogli i capelli.

“Un po’, ma non ha importanza, ti aspetto” mi sussurra ancora, sistemandosi meglio, prima di darmi un’ultima occhiata ricca di affetto e chiudere gli occhi.

Annuisco, accarezzandogli i ciuffi ribelli prima di andare dove lo stimolo mi impone. Effettivamente ho mangiato un sacco stasera anche se ero arrabbiata, e mio fratello è di certo un gran cuoco, ma proprio in un momento simile il mio intestino doveva farsi sentire?! Che iella!

Ci impiego un po’ più del dovuto a tornare in camera. Quando riapro silenziosamente la porta, noto che Camus, ancora adagiato su un fianco, si è placidamente addormentato in una posizione simile a come lo avevo lasciato.

Mi avvicino intenerita per osservarlo. Solo le braccia si sono mosse un poco, l’album di foto sta in mezzo. Le dita della mano destra sono posate teneramente sul bracciale di pietre che gli ho regalato, come se lo avesse accarezzato più volte prima di cedere al sonno. Gliele sposto un poco, raccogliendo il tomo per rimetterlo al proprio posto, poi ritorno sul letto, sedendomi al suo fianco.

Il suo respiro è profondo e cadenzato, le ginocchia leggermente piegate, perfettamente aderenti una con l’altra, così come i piedi nudi. Gli liscio i capelli per tranquillizzarlo ulteriormente, deve essere proprio stanco per crollare così, non c’è da meravigliarsi. Sembra tranquillo ma, a ben guardare, non lo è, persino adesso. Non riesce a rilassarsi completamente neanche quando dorme, credo che nell’arco di questi mesi le volte in cui ho potuto vederlo riposare serenamente si possano contare sulle dita di una mano sola. Sospiro, abbattuta: c’è sempre qualcosa che lo disturba, rendendolo spesso teso, rigido, che sia il dolore, o gli incubi, o chissà cos’altro.

Ripenso a quello che mi ha raccontato Milo, alle mie stesse sensazioni circa quello che gli hanno fatto e che si ostina a non rivelarmi, ai prelievi di quel pazzoide di Utopo, alle conseguenze sul suo corpo, alla sua voce sofferente quando è riuscito a chiamarmi dopo quei fatti. Un fremito mi coglie. Improvviso.

Il mio sguardo si posa istintivamente sulla sua maglietta arricciata che gli scopre una parte dell’osso iliaco e così del ventre dove si intravede un bendaggio. Lentamente mi chino in quella direzione, iniziando a scostargli il leggero tessuto. Non ho comunque il tempo di indagare e di osservarlo meglio, perché lui, disturbato dal mio intervento, lamentandosi brevemente, si volta di scatto in posizione supina, facendomi indietreggiare di riflesso.

La sua reazione, in verità, dopo un iniziale sbigottimento, gioca a mio favore, perché la maglietta nel movimento si è sollevata ulteriormente, scoprendogli l’ombelico, o meglio, la medicazione che lo ricopre e che gli cela la fossetta.

Mi riavvicino circospetta, posando appena le dita sul bordo sottostante del cerotto quadrato, notando che è leggermente sporco, oltre ad emanare calore, perché la pelle in quella zona, sempre come mi è stato riferito anche dallo stesso Milo, è innaturalmente bollente.

Sospiro. Lo guardo ancora in viso per un attimo. Si è voltato dall’altra parte, biascica qualcosa di incomprensibile, ora la mano destra è vicina al suo volto adagiato di lato. Le sue palpebre fremono.

Vorrei accarezzargli i capelli, come so che gli piace tanto, per tranquillizzarlo, ma non ho nuovamente il tempo di agire che si rivolta, stavolta dall’altra parte, mostrandomi così il fondo schiena. Mi viene quasi da ridacchiare, mi trattengo per non disturbarlo, una mano davanti alla bocca. E’ incredibile quanto si muova durante il sonno, chissà se anche da piccolo faceva le baruffe con le lenzuola, non saperlo, o meglio, non aver nemmeno avuto l’occasione di scoprirlo, fa male.

Sorrido malinconicamente nel pensare ad un tempo che non ci è appartenuto, giusto in… tempo, per l’appunto, per vedermelo voltarsi nuovamente supinamente. La maglietta ormai è rivoltata sulla pancia, gliela scopre notevolmente, rivelandomi interamente ciò che lui probabilmente avrebbe voluto tenermi nascosto.

“Sei sempre una vertigine di contraddizioni… ti vergogni a mostrare il ventre ma indossi sempre magliette piuttosto corte che, al minimo movimento, ti scoprono proprio la zona che consideri più delicata… - mormoro, scrollando dolcemente il capo nel guardarlo respirare un poco più profondamente – Sei un essere così speciale... e non te ne rendi neanche conto!”

Afferro il bordo del tessuto con la punta delle dita per sollevargliela ulteriormente, accompagnando il più delicatamente possibile il gesto senza scossoni. La ferita, anche se non la vedo direttamente perché coperta, mi è stata detta essere un forellino, ma spurga ancora una stramba roba dorata, inodore e viscosa. Dovrei forse togliergli il cerotto e medicarlo, ma se lo sta già curando lui stesso e non mi sento di violarlo ulteriormente, ben conoscendo i problemi che ha con quella parte del corpo. Automaticamente gli accarezzo la pelle nelle vicinanze, pigiando appena le dita. Nonostante tutta l’attenzione che ci metto, sussulta, del tutto incapace di mascherare il suo dolore in un simile momento.

Deve avere molto male… l’addome è rigido e teso, oltre ad emanare innaturalmente quel calore che gli da così fastidio. L’istinto di togliergli il cerotto e medicarlo è nuovamente forte, ma non mi perdonerebbe, non avendone nemmeno parlato tra noi.

Già, non mi parla… malgrado la promessa che ci siamo scambiati nel 1741...

Ma, in fondo, come potrebbe? Non ci sono parole per descrivere quello che ha vissuto, men che meno a me, che sono sua sorella minore. Come posso io pretendere che si confidi?! Eppure lo pretendo eccome, vorrei essere il suo appiglio, il suo scoglio, non esserlo mi fa rabbia, lo avverto bene in me, ma non è questo l’approccio giusto, non è così che posso camminare al suo fianco!

Sospiro, decidendo infine di limitarmi ad abbassargli un poco la temperatura per mezzo del mio gelo per dargli un po’ di sollievo. Avverto il suo respiro accelerare di conseguenza, l’espressione farsi ancora più crucciata, mentre, percependo un’intrusione, si lamenta debolmente, in affanno.

Reagisce sempre così male anche se sono io a toccare quella zona… deve essere stato terribile per lui subire tutto questo. Risvegliarsi del tutto impossibilitato a muoversi su un lettino e trovarsi davanti una sorta di scienziato pazzo che gli ha fatto non uno, ma bensì dieci prelievi all’ombelico allo scopo di attivare il Potere della Creazione. Rabbrividisco, trattenendomi la pancia, ricordandomi del dolore, del senso di profanazione che anche io ho provato. Mi ritrovo a ringraziare mentalmente Milo per avermelo riferito, per avermi reputata adulta, almeno lui, anche se, in fondo, non lo sono ancora. Devo crescere, dimostrare di essere degna!

“Va tutto bene, Cam, resisti ancora un poco, tra non molto potrai riposare!” mi viene da dirgli, tremando, posando il palmo sinistro sul suo ventre mentre il destro gli sfiora la linea del volto.

“A-arf… p-picco-co...”

Mi sento arrabbiata, inadeguata, ma non riesco a prendermela con lui, non ha colpe, del resto!

Malgrado le tue intenzioni di tenermi all’oscuro di tutto, davvero non riesci a mascherarti come vorresti mentre dormi... mi sembri così vulnerabile ora, tu che sei una roccia, il mio mito, il mio eroe… vorrei essere lo stesso per te, Cam, non immagini quanto!

Sorrido tristemente, ultimando il processo, prima di riprendere il leggero tessuto della maglietta e tirarglielo giù con cura fin dove riesco. Ne rimane visibile la solita, consueta, striscia di pelle che gli mostra l’insenatura dell’anca e parte dei fianchi.

Lo vedo più rilassato, sebbene continui ad apparirmi fragile. Respira più profondamente, permettendomi così di accoccolarmi al suo fianco. Lo osservo ancora un po’, il suo profilo, le labbra dischiuse, il collo, le clavicole… queste ultime sono un po’ meno accentuate rispetto a quest’estate, segno che qualche chilo sia risuscito faticosamente a recuperare, ma non abbastanza. E’ ancora sottopeso...

Chiudo gli occhi, appoggiandomi sul cuscino, e prendendo dei profondi respiri. Con la punta delle dita, intanto, gli carezzo il braccio con movimenti circolari.

Avevo il dubbio, fino ad adesso, ma no, non gli parlerò di Isaac, almeno finché non avrò una pista più che certa, gli farebbe troppo male se questa dovesse poi rivelarsi infondata…

“Quanto hai patito… e quanto stai continuando a patire! Anche questa volta non ero con te quando è successo. Ti hanno fatto cose orribili, colpendoti proprio nel punto che hai più vulnerabile. Provare ad estirparti quel potere, che è intessuto in te, nato dentro di te dalla tua prima vita su questo pianeta… maledetti, non glielo permetterò più, non glielo permetteremo! Non sei solo, Cam, non lo sarai più!”

Istintivamente gli afferro la mano sinistra adagiata al suo fianco con entrambe le mie, racchiudendola dentro. Gli solletico dolcemente il polso con il pollice, entrando anche in contatto con il bracciale di pietre che gli ho regalato.

Charoite, mi ha detto trattarsi, spero davvero che lo possa aiutare!

“Ti proteggerò, diventerò forte per te, fratellino, te lo prometto!” gli sussurro lieve, appoggiandomi alla sua spalla.

Lo avverto respirare più forte mentre il suo viso, percependomi, si volta verso di me, poggiando dolcemente la guancia sulla mia testa. Si lascia andare completamente, finalmente tranquillo.

Riapro un poco gli occhi, sorridendo tra me e me, lo sento respirare così vicino, sereno. I ciuffi sulla mia testa ondeggiano appena alla sua brezza, posso ben vedere il lento alzarsi e abbassarsi del suo petto. Mi lascio cullare anche io a questo ritmo, sprofondando dolcemente nell’incoscienza. E’ così rilassante stare al suo fianco, mi sento così al sicuro... Aumento la stretta sulla sua mano, godendo appieno di questo momento.

“Sì, ti proteggerò!” gli ripeto ancora, speranzosa, tremando appena, prima cedere gli ormeggi al sonno che tutto travolge.

e riavrai il tuo Isaac ad ogni costo, anche questo ti prometto, anche se non posso ancora dirtelo a parole!

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Come promesso, a distanza di un anno, riprende anche questa storia, ferma perché dovevo procedere con i 5 Pilastri per renderla capibile. In verità, il capitolo è concluso da un bel po’ ma l’ho modificato spesso e ora ha raggiunto la forma definitiva per essere pubblicata.

Questo e il prossimo saranno ovviamente capitoli di transizione e di rilassamento generale prima di un nuovo trauma generico e diffuso (non possono mancare aha XD) spero comunque non risultino noiosi.

Di tutti i fatti accaduti qui, il più difficilmente comprensibile è il contatto che avviene tra Isaac e Marta e che merita di certo alcune spiegazioni in più.

Isaac… il ragazzo, come sappiamo da Parallel Hearts, è finito ad Ipsias dove ha incontrato Dégel (sarebbe più corretto dire Degelìus – Degel più Camus - XD) e la Seraphina di quel mondo. Ecco, di loro due non sappiamo molto, ma Dègel, se ricordate, è rimasto ferito dal Proteiforme Lisakki e, pare, abbia rischiato di morire. Da quei fatti, sono passati 6 mesi, il pianeta, quasi del tutto fermo nella sua rotazione, sta tornando preda delle tenebre e Isaac va a godersi l’ultimo sole. Proprio qui avviene l’incontro tra Isaac e Marta, ma mentre il primo ha conservato i ricordi di tutti i loro contatti (si vedono da quando erano molto piccoli!), la ragazza sembra ricordarlo solo ora. Perché? A questo non posso ancora rispondere…

Ma posso dirvi, di contro, che Ipsias è molto prossima alla Terra, dalle parole del “nostro” Dégel, si sono incontrate/scontrate più volte e, in determinati momenti, il velo tra i due mondi è molto più sottile. Questo si verifica quando ad Ipsias avvengono i due Solstizi, invernale ed estivo (dicembre - giugno), ed è la stessa Ipsias, l’ombra della Terra, a guidare tale processo, entrando in contatto con la sua “sorella”, ma ATTENZIONE il tempo nelle due dimensioni scorre in maniera diversa, nel senso che, per farvi capire, qui Isaac sta andando verso i 16 anni, mentre sulla Terra Hyoga sta andando verso i 17… va da sé che i due ragazzi si possono comunque incontrare e vedere anche in periodi diversi della propria vita… ricordate nella “Sonia’s side story”, dopo i fatti di Zima, che Isaac riesce a raggiungere Marta poco dopo che Camus si è sacrificato per lei e ha rimediato le ferite al torace (capitoli 8 – 9 e 10 della Guerra per il dominio del mondo)? Ecco...

Trovate che sia incasinato? Ehm, è solo l’inizio…

Su questo, come spiegazione, senza spoilerarvi troppo, direi che posso fermarmi momentaneamente qui e procedere con altre cose che mi premono.

Il capitolo verte maggiormente sulla reunion tra Camus e Marta dopo che la punizione si è conclusa. Come ho scritto all’inizio, sono passate più di due settimane, Camus sta un po’ meglio anche se non si è del tutto ripreso dai prelievi, e infatti è ancora molto sofferente. Come avete potuto vedere, neanche i 5 Pilastri sono conclusi, quindi vedremo le fasi della sua guarigione lì, più le dovute spiegazioni su Tiamat e anche molto altro, dovete solo aspettare.

La reunion tra i due fratelli, dicevo… Marta riesce finalmente a dargli il tanto agognato regalato e, dopo una serie di fraintendimenti, passano finalmente dei momenti insieme. Il loro rapporto, profondissimo peraltro, che pure sembra così ideale, nasconde delle tinte scure che spero di aver sufficientemente sottolineato. Nessuno dei due è completamente onesto con l’altro, Camus per il discorso della salute e di ciò che ha subito, Marta per il fatto di sentirlo così vividamente, per tacergli di Isaac e, nondimeno, per lo stesso Mantus (e ora anche Kanon, vabbè XD). Entrambi hanno le proprie ragioni di fondo, ma si ritrovano in questo ‘mordi e fuggi’ continuo che sbilancia un po’ il rapporto: Camus in quanto fratello maggiore non può nemmeno pensare di farsi vedere debole dalla sorellina, se non quando dorme, non riesce ad essere onesto e cristallino con lei circa la sua salute, malgrado la promessa che si sono scambiati nel 1741; Marta, a sua volta, si sente indegna di lui per questo, vorrebbe che fosse sincero e dimostrare che anche lei può essere un sostegno per lui, ma, a conti fatti, è più lei a celarsi e celare determinate cose. Oltretutto, uno dei difetti di Marta è quello di giudicare troppo velocemente, basta vedere il suo pensiero su Atena che invece, pare, si stia muovendo dietro le quinte in favore comunque loro, visto che ha ordinato a Kanon di custodire i corpi di Dégel e Seraphina terrestri… vedremo strada facendo.

Anche per questa volta dovrei aver finito con lo spiegone. Dovete perdonarmi, ma mi rendo effettivamente conto che la storia nella sua interezza sia veramente difficile da seguire senza perdersi, per questo ho pensato di costruirmi questo angolino per connettere tutti i pezzi tra loro, spero possa esservi d’aiuto. Comunque per domande e curiosità sono sempre a vostra disposizione.

Vi ringrazio dal profondo del cuore e vi e auguro a tutti una buona domenica! A presto, spero! :)

  
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