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Autore: elenatmnt    05/12/2021    6 recensioni
"Non ho saputo ricambiare l'attenzione che mi hai regalato, non potrò nemmeno guidarti o guardarti le spalle quando crescerai e diventerai il guerriero che sei destinato ad essere e di questo ti chiedo perdono, ma sappi una cosa, io credo in te, sono fiero di te. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò".
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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“È andata così, è ora di voltare pagina”.

 
Passarono ancora mesi e ritornò l’inverno, il freddo, il ghiaccio. Maledetto ghiaccio.
Era passato più di un anno dal mio incidente, precisamente dodici mesi e dieci giorni. Alla fine l’ho contato, ho contato il tempo, avevo tanto di quel niente da fare che iniziai a fare cose stupide; oddio stupide un accidente. Sono quelle piccole cose che capitano tutti i giorni davanti ai nostri occhi alle quali non badiamo, eppure sono proprio lì.
Contavo il tempo che passava, osservavo una ragnatela nell’angolo in alto a destra che ogni giorno diventava più grande; indovinavo chi aveva cucinato e cosa solo dall’odore che arrivava fin su in camera. Al mattino presto si potevano percepire i rumori della superficie, una crepa sul muro diventava sempre più lunga quasi a toccare il pavimento…
Inutile dire che dal giorno della mia quasi morte, la situazione peggiorò per tutti, e con peggio intendo, beh peggio!
Donatello continuava ad occuparsi di me come sempre, tentava di parlarmi, di convincere ad aprirmi con lui, che ignorarlo non avrebbe migliorato la situazione. Le sue parole mi scivolavano addosso come acqua, ci provò per un paio di mesi finché non gettò la spugna. Le sue occhiaie e gli occhi perennemente rossi mi dicevano che il genio non dormiva molto e il suo sgattaiolare fuori dalla sua stanza di notte me lo confermava, lo sentivo. Per quanto il mio corpo fosse un rottame, il mio udito e il mio olfatto si erano raffinati. Inoltre quelle rare volte che incrociavo il suo sguardo notavo che aveva le pupille dilatate… E sì, il mio fratellino era dipendente di qualche sostanza, troppi dettagli mi portarono a quella conclusione, lo osservavo come un cecchino, era chiaro che si stava facendo del male. Possibile che nessuno se ne fosse accorto? Ciononostante non volevo cedere, non avrei parlato era la mia lotta, il mio grido.
Continuarono a portarmi in salotto, era un modo per tenermi d’occhio; a cosa servisse era un mistero, sicuramente non potevo farmi del male da solo. Anzi avevo una sola possibilità, potevo strapparmi la lingua a morsi, questo però avrebbe creato solo altri problemi, è stato l’unico motivo per cui ho evitato l’idea dell’autolesionismo.
Leonardo mi teneva compagnia appena dopo l’allenamento, era così diverso, solitamente si sarebbe sforzato di sorridere, con la solita positività del leader ‘va tutto bene’. Il tizio con la maschera blu che si sedeva sulla poltrona accanto a me a leggere un libro in silenzio non era neanche lontanamente l’immagine del mio fiero fratello Senzapaura. Era dimagrito molto, la forma muscolosa e snella del mio fratellone aveva lasciato posto a un mucchietto di ossa. Non so se avevo più pietà per me stesso o per lui.
Michelangelo non si vedeva quasi mai; c’è stato un momento in cui ho persino dubitato che abitasse ancora in questa casa. Speravo che ogni tanto mi dedicasse un po’ di attenzione, il massimo che faceva era salutarmi col tono basso se proprio mi passava davanti. Le rare volte che lo scorgevo aveva il volto cupo e i denti stretti, come se fosse in procinto di attaccare, il suo corpo era segnato da cicatrici irregolari, sicuramente conseguenza del pessimo tentativo di auto ricucirsi, tutto sommato era il più allenato di tutti, aveva messo su un’impressionante massa muscolare, e come se non bastasse faceva la vita notturna. Sembrava me. Michelangelo era me.
Dov’era mio padre in tutto questo? Cosa gli era successo? Perché non faceva nulla per aiutarci?
Lui, lui era la causa di tutto, doveva essere il perno della famiglia, doveva tenerci uniti, proteggerci, aiutarci. No, ci aveva del tutto abbandonato.
Neanche lui si vedeva molto in giro, non allenava più neanche i miei fratelli, una famiglia lasciata allo sbaraglio, si accontentava di osservarci da lontano, io nel mio stato non facevo eccezione. Eravamo orfani ormai.
Ah, quasi me ne dimenticavo. Era la mattina di Natale.

 
Il Natale è il periodo dell’anno più spensierato, almeno per me. Ritroviamo la nostra famiglia, i nostri affetti più cari e le tradizioni tipiche. Ci sentiamo accolti in un nido caldo che ci protegge.
E vogliamo parlare del cibo e dei dolci? Non si contano le volte che mi sono azzuffato con Mikey per leccare la crema avanzata nella terrina; accaparrarci il bottino era una questione di sopravvivenza.
Che bello ricordare queste immagini, era tutto molto più semplice da bambini.
Un’altra cosa che mi fa impazzire del Natale sono le luci, penso che la stessa cosa valga per i miei fratelli.
Già da bambino restavo incantato a guardare per ore le lucine dell’albero di Natale. E ora, lo ammetto, le luci mi fanno ancora impazzire; rimango estasiato quando vedo il nostro albero di natale acceso, un albero che quest’anno nessuno ha avuto intenzione di addobbare.
Dov’era lo spirito del Natale?

 
Quella mattina dormii fino a quando fu Donatello a svegliarmi; in realtà ero sveglio da un pezzo, come se tutto non fosse già abbastanza difficile, si misero anche gli incubi a tormentarmi. Don fece tutto il necessario per me come da routine ed era in procinto di andare a chiamare Leo per aiutarlo a sollevarmi dal letto, ma inaspettatamente per mio fratello, ruppi il mio ‘voto di silenzio’, riascoltando la mia stessa voce dopo mesi “No”, vi lascio immaginare il melodico suono, sono sarcastico ovviamente! Perché ho parlato dopo tanto tempo? Chissà, forse ero solo stufo o forse avevo bisogno di dire qualcosa o magari sentivo il bisogno di fare qualcosa per la mia famiglia.
Certo era, che Donatello si bloccò, era un palo, una statua di marmo. Se ripenso alla sua faccia rido, deliziosamente buffa, rimase a bocca aperta con gli occhi spalancati. Si riprese dopo una lunga attesa e mi rispose con tono indifferente, facendo finta che la mia parola non lo avesse turbato per nulla. Pateticamente contraddittorio alla statuina di un istante prima “No cosa? Non vuoi scendere in salotto?” mi chiese con voce incerta.
“Voglio…stare qui. Da solo”.
Ero pronto a una ramanzina, mi avrebbe accusato del mio comportamento infantile e che dovevo cercare di reagire diversamente; ebbene contrariamente alla mia regia mentale Donnie mi rispose semplicemente “Come vuoi tu, Raph!”. Non aggiunse altro, si diresse alla porta e se e andò lasciandomi solo.
Ecco che riprendeva la mia moltitudine di cose da fare: ragnatela, crepa sul muro e… qualcuno bussò alla porta. Cavoli! Ci avevo quasi creduto che mi avesse dato retta. Un momento dopo capii che infatti fu così, la mano che batteva alla porta era quella di Michelangelo, riconoscevo il modo.
Non disse nulla, né mi chiamò, né si annunciò, entrò e basta; la sua testa era bassa e il volto triste, rimase in piedi in fondo alla stanza, si torturava le mani scrocchiandosi le dita in un puro bisogno di scaricare la tensione “Raph… sono qui per dirti una cosa” gli costava fatica, quanto mi rispecchiavo in lui; “volevo chiederti scusa per essere sparito, volevo dirti che mi dispiace per come è andata e mi dispiace ancora di più di non esserti stato di alcun aiuto” scoppiò in lacrime, rimase in piedi affondando il viso tra le mani.
Ce ne aveva messo di tempo a tornare, dunque era per questo che mi evitava, si sentiva in colpa nei miei confronti e io che pensavo che mi odiasse perché il casino era successo per aiutare me.
“Mikey, non hai nulla di cui scusarti” gli dissi serenamente, lui alzò lo sguardo di scatto meravigliato anche lui come Donnie.
Con passi lenti e pesanti, che trascinavano delle incudini immaginarie, si inginocchiò a terra al mio fianco, piangendo al mio capezzale “mi dispiace per quello che ti è successo, non lo meritavi, mi dispiace fratello mio” era pietà quella? Eh no, ne avevo abbastanza, nessuna lacrima doveva essere più versata per me.
“Ehi scemo, questo non lo tollero. Vuoi piangere? Fallo! Frigna per te se vuoi, ti offro la mia spalla, ma non piangere per me”. Lui alzò la testa mostrandomi i suoi immensi occhi celesti. “Dai, salta su cretino!” lo invitai con un sorriso beffardo.
Michelangelo si asciugò il viso con il dorso della mano, piagnucolava ancora mentre cercava di calmarsi; con una delicatezza che raramente rivelava, mi si sdraiò di fianco, proprio come quando eravamo bambini e che eravamo soliti fare anche fino ad un anno fa.
“Ehi Mr Muscolo, mi prometti che quando andrai ancora fuori a fare il giustiziere da due soldi, starai attento?”.
Nella posizione in cui ero, mi era scomodo vedere bene il volto esterrefatto di mio fratello, ad ogni modo lo immaginavo.
“E tu come lo sai?” mi chiese negando l’evidenza, non era chiaro se fingeva o se diceva sul serio.
“Dirò a Don di farti una visita agli occhi. Non so tu, ma tutti noi li vediamo bene gli sbreghi che hai sul corpo”.
“Sono così evidenti?”.
“Certo testa di legno” lo rimproverai. “Senti, non ti negherò di farlo, sei grande abbastanza da cavartela da solo, ti chiedo solo di pensarci due volte quando ingaggi battaglia. Pensa che c’è una famiglia che ti aspetta a casa e che ti rivuole indietro sano e salvo”.
“Volevo solo essere coraggioso come te…”
“Non devi dimostrare nulla. Sappiamo che lo sei, siamo solo stupidi a non dirtelo” confessai amaramente.
“Ti voglio bene” disse stringendomi ancora di più, temendo che potessi scappare via, scomparire.
“Anche io piccoletto”.
Michelangelo si era impegnato a crescere velocemente, a maturare; sfortunatamente si era trovato da solo e stava prendendo vie traverse, finché c’ero io, ero in dovere di guidarlo, ne avevo preso nuovamente coscienza.
Nonostante fosse appena mattina, ci appisolammo beati, fu una semplice pennichella, ma fu la prima volta, dopo mesi che riuscii a dormire senza incubi. Lui mi cingeva la vita col braccio e affondò la faccia nel mio collo, il mio fratellino era tornato.
Era il primo passo per la risalita.

 
La felicità è vicina e lontana, a seconda di come i nostri occhi la vedono. A volte ci precede, altre invece ci segue come un'ombra. Bisogna desiderarla, riconoscerla per assecondarla e dirigerla verso il nostro cuore. Nel cercare la felicità, spesso corriamo all'impazzata, sperando prima o poi di raggiungerla in qualche luogo, ma nella folle corsa non ci accorgiamo nemmeno di averla sfiorata. Forse ci aspettava dietro l'angolo o magari sulla porta di casa. A volte immaginiamo che sia su un'isola in mezzo al mare o sulla vetta di una montagna e invece è vicina, intorno a noi, accanto a noi.

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Note dell’autrice:

Ciao a tutti! Ci stiamo avvicinando alla fine, quale sarà il risvolto di questa famiglia?
Grazie, grazie, grazie per aver letto con pazienza questa storia fin qui!
elenatmnt


 
 
   
 
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