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Autore: elenatmnt    06/12/2021    7 recensioni
"Non ho saputo ricambiare l'attenzione che mi hai regalato, non potrò nemmeno guidarti o guardarti le spalle quando crescerai e diventerai il guerriero che sei destinato ad essere e di questo ti chiedo perdono, ma sappi una cosa, io credo in te, sono fiero di te. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò".
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Il piccoletto mugugnava parole senza senso, mi stava destando dal sonno, un pisolino a dir poco piacevole, ci voleva; l’ombra di qualcuno ci sovrastava, non eravamo soli. Mio padre era seduto di fianco al mio letto che ci guardava, con un volto più calmo che non vedevo da tempo.
“Sensei?” sussurrai.
“Sono felice di risentire la tua voce” mi disse con una lieve bozza di sorriso.
“E io di rivederti” c’era un pizzico di sarcasmo nelle mie parole, ovviamente non gli sfuggì. Mi pentii subito di averlo fatto.
“Voglio parlare con voi, è giunto il momento di porre fine a questo misfatto. E per farlo è giusto che il primo passo lo muova io”. Al tatto leggero e delicato di nostro padre, Mikey si svegliò emettendo un sonoro sbadiglio; scorgendo il volto del Maestro, si alzò di scatto dal letto allontanandosi verso l’uscita “Aspetta Michelangelo! Ti devo parlare. Vi devo parlare. Ho qualcosa di importante da dire”. Il mio fratellino sembrava insicuro, si avvicinò alla soglia con l’intento di andarsene, come preso da un’irrefrenabile voglia di fuggire via. Non lo fece, con piccoli passi titubanti venne dubbioso al mio fianco, dalla parte opposta di Splinter, ma non gli rivolgeva lo sguardo. Nonostante il tempo passato, Michelangelo era ancora risentito nei suoi confronti.
Sensei girò la testa verso la porta e chiamò i miei fratelli “potete entrare figlioli”, Leonardo e Donatello avanzarono nella stanza, suppongo fossero lì da un pezzo ad aspettare il segnale di mio padre.
Cosa aveva in mente?
Leo era accostato alla porta a braccia incrociate, Mikey si accomodò sul letto al mio fianco destro, Donatello ai piedi del letto prese la sedia della scrivania, la girò al contrario e si sedette appoggiando le braccia sullo schienale, Sensei era alla mia sinistra sempre seduto sullo sgabello.
“Ho riflettuto molto su ciò che è accaduto in questo ultimo anno, mi rendo conto che non sono stato un padre presente dopo gli ultimi avvenimenti.
Quando sei padre, ti fai carico della paura che possa accadere qualcosa ai tuoi figli. Ogni volta che uscite il mio cuore è irrequieto, torno sereno solo appena vi vedo rientrare sorridenti e felici.
Avere la consapevolezza che a tuo figlio è capitato qualcosa di brutto è una sensazione che non c’è penna che possa scrivere e non ci sono parole per raccontare, il peggior incubo che un genitore possa vivere. Ti stravolge la vita in un istante, non sai che fare, il sangue si ghiaccia, la vista si annebbia, tutto è confuso, il cuore ti batte senza sosta, non senti il caldo o il freddo. Tutto intorno diventa futile, senza senso, preghi solamente che la cosa più preziosa che hai, la vita di tuo figlio, sarà in salvo”.
Fece una pausa. Quelle parole gli costavano tutta la sua disciplina, tutto l’autocontrollo. Alle volte parlare è più difficile che combattere; affrontare sé stessi è peggio che affrontare un nemico. Lo capimmo e gli demmo il tempo di cui necessitava per continuare il suo discorso.
“Sapere che la condizione di Raffaello fosse irreversibile, mi ha spezzato il cuore a tal punto che ho perso di vista il resto, ho trascurato tutti voi, pensando al mio dolore egoista, ignorando che ognuno di voi stava attraversando la medesima situazione. Ho perso la pazienza, ho messo da parte il senso dell’onore e la disciplina, non sono stato un buon esempio; colpire Michelangelo è stato un gesto meschino e vergognoso, la mia anima è macchiata di questo peccato. E capisco che se questa famiglia è caduta in pezzi è solo colpa mia.
Vi ho tenuti d’occhio da lontano come un’ombra, vedendo chiaramente il vostro declino e sono stato partecipe di questo con la mia assenza, voi avevate bisogno di me e io non c’ero.
Sono edotto di tutto ciò che ho fatto e detto, non mi è concesso cambiare il passato, ma mi è concesso scegliere il futuro. Sono qui per chiedervi perdono figli miei, non mi aspetto che lo facciate, non lo merito. Sappiate solo che questo vecchio ratto vi ama ed è veramente pentito di tutto il dolore che ha provocato”.
Oblio.
Redenzione.
Perdono.
I miei occhi si spostarono sui miei hobby giornalieri: tempo che passava, ragnatela nell’angolo in alto a destra, odore, rumori della superficie, crepa sul muro.
“Papà?” la voce che scoccò la parola come una freccia che mira al cuore era di Mikey, proprio lui, quello che aveva evitato tutti noi in particolare il Maestro Splinter. Il ragazzino dal cuore buono, dal viso lentigginoso, dal sorriso spensierato era proprio davanti a mio padre “facciamo l’albero di Natale?”.
Come descrivere la bellezza di quell’attimo di puro amore?
Tutti si avvinghiarono a mio padre, divennero cuccioli, infantili, bambini. Piangevano soffocando i gemiti nel kimono del Sensei. Il padre che aveva perso la via di casa adesso era finalmente tornato.
Non mi lasciarono indietro, quel gomitolo di fratelli si buttò cautamente sul mio letto. Si aggrapparono alle mie braccia, lasciando a malapena la mia mano libera per Splinter il quale già la stringeva.
 

Noi americani pensiamo che un vaso rotto non sarà mai come prima, quindi usiamo questa metafora per dire che quando spezzi un legame non riavrai mai più ciò che c’era prima.
Questo è quello che sostenevo io da buon americano, ma si dà il caso che io sia anche un po’ giapponese e i giapponesi dicono esattamente il contrario, pensano che un vaso rotto sarà più bello di prima, perché saprà di vissuto, proprio come un legame spezzato e rinsaldato con più forza.
Quando i giapponesi riparano un vaso rotto, uniscono i cocci con della resina mista a oro. Il vaso rotto e riparato con venature dorate è il risultato dell’unione dei pezzi frantumati, starebbe a significare la vita ed i cambiamenti che essa porta con sé. La vita, in effetti, non è mai lineare ma anzi presenta sempre delle spaccature, delle scissioni, che ci portano a compiere nuove scelte e ad intraprendere nuovi percorsi.
Queste profonde riflessioni mi fanno somigliare a mio fratello nerd! Meglio che non lo sappia.

 
“Figlioli c’è un’altra cosa importante che devo dirvi, in realtà è rivolta a te Raffaello” il suo tono serio e pacifico attirò l’attenzione di tutti.
Respirò profondamente, si allontanò dal mondo per un momento, era in procinto di buttarsi nel vuoto, almeno tale appariva.
“Come dicevo, non posso più essere indifferente al vostro dolore, al tuo Raffaello. Io accetterò qualsiasi decisione tu prenda e…” stava per farlo, stava accadendo “… e ti aiuterò a realizzare qualsiasi tuo desidero”.
Tremava, oddio se tremava, e i miei fratelli non furono da meno.
E io? Non lo so, ero felice, ero triste, ero emozionato, ero spaventato… semplicemente ero.
“Ma…” fu Donatello ad interrompere quel susseguirsi di emozioni con gli occhi distrutti e supplicanti, la voce roca e atona.
“Noi accetteremo la sua decisione, non abbiamo il diritto di scegliere al suo posto. Mi spiace averlo capito tardi e non ripeterò lo stesso errore, nemmeno voi figli miei” le parole di Sensei rispondevano alla perplessità di Donatello, tuttavia erano rivolte a tutti i presenti che mi guardavano in cerca di una risposta.
Caspita, non mi ero preparato un discorso, fui preso alla sprovvista, dunque dissi tutto ciò che mi veniva in mente senza pensarci su, non sono mai stato bravo nel proclamare discorsi, chi lo sapeva fare era Leo.
“Io… ecco… si, voglio che finisca. Sono stanco e lo sapete. Non ho mai accettato e mai accetterò la mia condizione. Voglio andarmene e… ora so che me ne andrò in pace, sono certo che starete bene… perché siete forti… i migliori… la miglior famiglia che si possa desiderare… io ci sarò sempre. Vi chiedo solo di lasciarmi andare”.
Respiri pesanti e trattenuti avvolsero la stanza, Michelangelo affondò il viso nelle mani, Donatello si mise una mano sulla bocca, Leonardo fissava un punto nel vuoto e il Sensei aveva il volto sereno, penso si fosse spiritualmente preparato a questo.
“Quando?” fu Leo a chiedere, diretto senza mezzi termini. Ecco il leader.
“Non sfottetemi per questo… mi piace pensare di essere come lo spirito del Natale Presente, vive un giorno solo, il giorno di Natale e oggi lo è. Dunque… stasera”.
Silenzio, ancora.
Ero consapevole di averli feriti, sapevo che li stavo facendo soffrire, ero cosciente di ogni mia parola.
Accettazione?
“No Raph, sul serio, da quando sei diventato così sdolcinato?” Mikey il mio stupido fratellino, riusciva sempre a portare buon umore anche nelle situazioni assurde.
“Testa di legno ti ho detto di non sfottermi!” il nostro finto battibeccare fece asciugare le lacrime dei miei fratelli.
“Allora gente, direi che è il momento di darci da fare per addobbare casa, su cosa aspettiamo?” Leonardo si illuminò dell’entusiasmo di un tempo, reprimendo la voglia di supplicarmi di non farlo.
“Io mi occupo delle luci!” si propose Don, con la solita mano sotto il mento, già pensava a qualche idea delle sue.
“La cucina è il mio regno, e io sono il re dei cuochi! Preparatevi ad abbuffarvi” Michelangelo era il migliore in cucina, nessuno poteva dire il contrario.
“Beh Raph, a noi toccano l’albero e gli addobbi!” lo disse con disinvoltura, come se potessi veramente aiutarlo.
“E no fratello, quello è compito tuo. Io sarò il capo e mi accerterò che ognuno di voi faccia il proprio dovere!” scherzai con sana ironia.
L’atmosfera che si respirava era certamente cambiata, se avesse avuto un sapore sarebbe stato quello della cioccolata calda; dolce, cremosa, calda, profumata. Si una perfetta descrizione della mia rinata famiglia.

 
L’accettazione è essere pronti a dare un senso a quanto accaduto, a inscriverlo nell’ordine naturale delle cose, ad accogliere la perdita e a considerare la possibilità di un progetto di vita nuovo, guardando al futuro con rinnovato entusiasmo.
Sapete, penso che la vera accettazione non riguardava me, io penso che fosse proprio la mia famiglia bisognosa di accettare la mia condizione… la mia morte.
Io avevo trovato già da tempo il mio scopo, per quanto mi sia stato negato, o considerato distruttivo, io avevo la mia strada da seguire. Loro no, loro non si sono dati pace per più di un anno, sono cambiati in peggio, si sono lasciati andare sia nella mente che nel corpo. E ora, finalmente, il giorno di Natale, avevano ritrovato sé stessi, avevano accettato di lasciarmi andare.
Lo avevano fatto sul serio?

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Note dell’autrice:
questa è la seconda e ultima parte di “accettazione”, era troppo lunga e ho preferito dividerla. Ma non è ancora finita. Ci vediamo presto!

 
   
 
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